DIBATTITO SU QUESTIONI INTERNAZIONALI PER UNA CITTA' INTERNAZIONALE
venerdì 10 febbraio 2017
PUTIN SPINGE IL GASDOTTO TURKISH STREAM E RIAPRE LA VIA DEI BALCANI - HA BASE A TRIESTE, IN PORTO VECCHIO DOVE UTILIZZA IL REGIME DI PORTO FRANCO, LA SAIPEM LEADER MONDIALE NELLE PERFORAZIONI SOTTOMARINE CHE DOVEVA REALIZZARE IL SOUTH STREAM ORA ABBANDONATO PER I CONTRASTI CON LA UE -
Oggi il Piccolo pubblica un articolo (QUI) che riproduciamo sotto, dell' ottimo Mauro Manzin sul gasdotto Turkish Stream che sostituirà il South Stream, progetto abbandonato per i contrasti e le sanzioni UE.
Completiamo la notizia ricordando che la Saipem aveva un contratto per il South Stream adesso abbandonato.
La Saipem ha una Base Operativa a Trieste, all' Adriaterminal in Porto Vecchio, dove utilizza il regime di Porto Franco per tenere i macchinari ad alta tecnologia utilizzati per le perforazioni senza doverli ogni volta importare ed esportare con relative onerose pratiche doganali, ed anche per assemblare e testare i robot che sono all' avanguardia tecnologica a livello mondiale.
Attualmente nel magazzino 23 in Porto Vecchio è custodito proprio il grande robot che sarebbe servito per il South Stream e che invece da aprile sarà utilizzato davanti alle coste dell' Egitto per il giacimento di gas, il più grande del mondo, recentemente scoperto.
La presenza della Saipem nel Porto Franco Internazionale di Trieste è fonte di importanti commesse e lavoro per altre aziende triestine come la Cartubi (clicca QUI per l' articolo del 25/4 che riproduciamo anche alla fine).
Ecco l' articolo del Piccolo:
Putin spinge Turkish Stream e riapre la via verso i Balcani
L’infrastruttura collegherà la Russia alla regione europea turca della Tracia Ma l’obiettivo di Mosca è prolungare il tracciato del gasdotto fino alla Serbia
di Mauro Manzin (Lubiana)
Fallita la direttrice Est-Ovest tracciata da South Stream, il gasdotto che vedeva impegnata Gazprom insieme all’italiana Eni nella sua realizzazione e che dalla Russia doveva esportare il gas in Europa, ora Vladimir Putin ci riprova. E così l’altro ieri ha ratificato l’accordo intergovernativo con la Turchia sulla costruzione del gasdotto Turkish Stream. Il Consiglio federale russo, la camera alta del parlamento di Mosca, ha ratificato l’accordo intergovernativo lo scorso primo febbraio. La Duma di Stato, la camera bassa dell’assemblea legislativa russa, aveva ratificato l’accordo il 20 gennaio, mentre la Grande assemblea nazionale turca lo aveva fatto il 2 dicembre scorso. L'accordo sarà valido 30 anni con possibilità di proroga per ulteriori periodi di cinque anni. Il gasdotto (una doppia tubatura) passerà sotto il Mar Nero per approdare in Tracia, ossia nella regione europea della Turchia. Per ora dovrebbe fermarsi lì. Ma il condizionale è d’obbligo. La geopolitica energetica di Putin punta sempre e ancora al mercato dell’Europa centro orientale, con i Balcani in prima fila. E qui rientrerebbe in gioco laSerbia, storica e fedele alleata della Grande madre Russia pur avendo in piedi le trattative per l’adesione all’Unione europea. Insomma, un anello di congiunzione quasi perfetto per poter sviluppare nuove strategie di penetrazione nei mercati europei e, successivamente, con possibili sbocchi della pipeline in Adriatico. È iniziata ufficialmente una grande partita a scacchi e si sa che sulla scacchiera i russi sono praticamente imbattibili. Bisognerà vedere quale sarà la contromossa dell’Europa, perennemente bisognosa di energia. Energia sicura non come quella che arriva attraverso l’Ucraina e che gli sconvolgimenti politici e le guerre degli ultimi anni hanno reso troppo precario. Il documento sottoscritto da Mosca e Ankara regola la progettazione, la costruzione e il funzionamento delle due sezioni off-shore e delle due onshore del gasdotto. Il volume totale di investimenti rivolti ai due segmenti del tratto offshore del gasdotto Turkish Stream è stato stimato in circa sette miliardi di euro, inclusivi dei costi già sostenuti in precedenza per la rete del segmento offshore del South Stream. Secondo i termini dell’accordo, una compagnia completamente controllata dal governo russo si occuperà delle attività di progettazione, costruzione e attivazione del segmento offshore, mentre una compagnia turca si occuperà di collegare il primo tratto alla rete di trasmissione metanifera della Turchia. Annunciato in un primo momento nel dicembre del 2014, in occasione di una visita del presidente russo Vladimir Putin ad Ankara, il Turkish Stream, nell’ottica di Mosca, doveva rimpiazzare, come detto, il South Stream, il progetto voluto da Gazprom e da Eni per trasportare il gas russo sulle coste italiane. Dopo l’abbattimento di un caccia Sukhoi-24 russo da parte dell’aviazione militare turca al confine con la Siria nel novembre del 2015, però, c’è stato un raffreddamento dei rapporti bilaterali, e l’iniziativa era stata abbandonata. Il progetto Turkish Stream, come scrive l’Agenzia Nova, prevede la costruzione di un gasdotto attraverso il Mar Nero fino alla regione turca della Tracia. La sezione off-shore, a lavoro ultimato, dovrebbe estendersi per 910 chilometri. Di questi, 180 passeranno attraverso il territorio turco. L’opera, nel suo complesso, dovrebbe costare attorno agli 11,4 miliardi di euro. Le forniture di gas naturale che verranno effettuate mediante il primo tratto del gasdotto saranno destinate esclusivamente al fabbisogno energetico della Turchia, in costante aumento. Il gas che arriverà lungo l’infrastruttura in Turchia coprirà complessivamente il 10 per cento del fabbisogno energetico del Paese
Il Piccolo 25/4/16
Sistema antinquinamento firmato Cartubi
Commessa milionaria dalla Saipem per realizzare un maxitappo capace di bloccare la fuoriuscita di petrolio da pozzidi Massimo Greco
Un grande tappo capace di bloccare la fuoriuscita di greggio da un pozzo sottomarino. Le nove maggiori compagnie petrolifere al mondo, ammaestrate dal disastro verificatosi nel Golfo del Messico, hanno lanciato, attraverso il “Subsea Well Response Project” (Swrp) e in collaborazione con “Oil spill response Ltd” (Osrl), una gara d’appalto per la realizzazione di quello che nel gergo tecnico viene definito “Offset installation equipment” riassumibile nell’acronimo Oie. Tradotto: un sistema di tappatura in grado di resistere agli ambienti inquinati da idrocarburi pesanti, al fuoco, alla visibilità “zero”, agli alti livelli di rumorosità. Scomponibile, trasportabile, ricomponibile. A vincere l’appalto per ingegneria, acquisti, fabbricazione è stata la Saipem, una delle punte di diamante del gruppo Eni, che ha “girato” un’importante parte della commessa alla triestina Cartubi. «Nei prossimi mesi - racconta Marco Maranzana, dal maggio 2015 amministratore delegato dell’azienda insediata nell’ex Arsenale San Marco - le componenti del “supertappo” saranno spedite a Trieste, noi le completeremo e le assembleremo per il trasporto finale su chiatta, prevedibile entro la fine dell’anno». Un bel colpo, che lancia Cartubi nel gran mondo dell’oil& gas. «Un progetto di respiro mondiale - precisa Maranzana - Ne verranno costruiti a livello mondiale 6 prototipi. Sono richiesti alti requisiti di qualità, tant’è che nello stabilimento lavoreremo con 27 ispettori internazionali, cui si aggiungeranno una decina di controllori Saipem». Il manager di Cartubi preferisce non sbilanciarsi sull’entità finanziaria della commessa, che è organizzata su più lotti e sulla quale è ancora in corso la trattativa: è lecito comunque ritenere che il valore dell’ordine possa superare i 5 milioni di euro. E’il risultato finora più eclatante della strategia di diversificazione industriale, che Cartubi, fondata nel 1972 da Giovanni Franco e oggi presieduta dal figlio Mauro, ha impostato a partire dall’estate dello scorso anno. Sviluppo del “chiavi in mano”, riqualificazione della carpenteria, attenzione all’oil& gas e allo yachting sono i tre cardini attorno ai quali il vertice Cartubi vuole far ruotare il futuro aziendale. Per assecondare queste ambizioni il piano di investimenti 2015-18 ha programmato interventi per 6 milioni di euro, finalizzati all’ammodernamento del cantiere domiciliato in via von Bruck: sistema alaggio/varo, nuova macchina per pre-fabbricazione navale, due nuove chiatte, due gru semoventi rimessate, carro-ponte, sistemazione della banchina davanti alla tubisteria. Insomma, un bell’impegno necessario al salto di qualità da azienda “terzista” a fabbrica in grado di produrre valore aggiunto progettuale. Il lavoro non manca, grazie anche - ci tiene a precisare Maranzana - alla collaudata collaborazione con Fincantieri: quaranta persone sono schierate tra i siti di Monfalcone e Marghera, a supporto delle costruzioni crocieristiche. Un’ottantina di addetti ha recentemente operato nello stabilimento di Palermo. La trasformazione di Cartubi implica anche aspetti socialmente significativi che l’azienda vuole governare evitando contenziosi. Venerdì scorso, nello studio Ergon, ha definito un’ipotesi di accordo con la Fiom, unico sindacato rappresentato in azienda, per gestire 9 esuberi correlati a rami d’attività ormai dismessi, come la tubisteria e la nautica da diporto: uscite volontarie incentivate e mobilità sono gli strumenti pianificati, con una previsione di riassunzione per coloro che seguiranno un iter di riqualificazione professionale. «Ma intanto abbiamo inserito nuovi profili professionali - chiarisce Maranzana - tra cui 6 ingegneri». Domani 26 aprile l’assemblea degli 81 lavoratori è chiamata a ratificare l’intesa: venerdì scorso, una volta conosciuto l’esito della trattativa, lo sciopero in corso è stato sospeso e le maestranze hanno ripreso il lavoro.
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