Una carta a colori di Limes 1/2017 Cina-Usa, la sfida.
“La fitta rete di collegamenti terrestri e marittimi eurasiatici – estesa all’Africa, all’America Latina e potenzialmente al resto del mondo – che Xi Jinping ha proposto quale marchio della sua politica estera sarebbe astuto mascheramento della geopolitica neoimperialistica di Pechino.
Interpretazione estensiva, favorita dall’ambiguità della retorica cinese e dalla vaghezza del progetto, appena ribattezzato Bri (Belt and Road Initiative), che coinvolge oltre quaranta paesi mentre altre decine sarebbero in lista d’attesa. Tutti convocati per maggio a Pechino, dove Xi Jinping celebrerà un grandioso rito propiziatorio dell’impresa comune.
In una prospettiva di lungo periodo, questa strategia esprime l’anelito a una globalizzazione di stampo cinese, destinata a succedere a quella americana. Senza cimentarsi nello scontro militare diretto, per il quale la Repubblica Popolare non ha i mezzi. Per scommettere invece sulla proiezione economico-commerciale, con il dovuto accompagnamento propagandistico a sostegno del marchio Cina. Così allargando e radicando la sua sfera d’influenza.
In chiave geostrategica, la Bri è la contromossa di Pechino rispetto al «ribilanciamento verso l’Asia» varato da Obama. Ovvero il tentativo di costruire una cintura di contenimento regionale anti-cinese imperniata sugli Stati Uniti, estesa dall’India al Giappone e all’Australia, includendo Vietnam, Corea del Sud, Filippine più altri «amici e alleati».
Questo schieramento dovrebbe premere sulla Cina a sud e a est, ma lascia aperti enormi varchi a nord e a ovest, dalla Russia e dalle satrapie post-sovietiche in Asia centrale fin verso il mercato europeo.
È su queste direttrici terrestri che si concentrano i massicci investimenti infrastrutturali cinesi, in partnership più o meno convinta con i paesi attraversati dalla strategia reziaria.
Per chi non volesse capire, il generale Qiao Liang spiega che la Bri «è una strategia di protezione contro la mossa americana verso est».”
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