DIBATTITO SU QUESTIONI INTERNAZIONALI PER UNA CITTA' INTERNAZIONALE
lunedì 30 giugno 2025
LA TECHNITAL DI ZENO D’ AGOSTINO NELLA PROGETTAZIONE DI INFRASTRUTTURE DEL PORTO GEORGIANO DI ANAKLIA SUL MAR NERO, SNODO STRATEGICO DEL “MIDDLE CORRIDOR” DELLA “VIA DELLA SETA”.
La “Via della Seta” continua a svilupparsi e crescere mentre il porto di Trieste è in forte calo per il dirottamento dei traffici della compagnia Maersk su Fiume e Capodistria e la crisi industriale europea indotta dall’ aumento del costo dell’ energia. Il “Middle Corridor” connette la Cina all’Europa attraverso il Caucaso ed è a sua volta uno degli assi di terra della “Belt and Road Initiative” di Pechino.
La piena operatività del Porto di Anaklia si avrà entro il 2029 e questa infrastruttura strategica potrà collegarsi anche al porto iracheno di al- Faw sul Golfo Persico attraverso la “Development Road” fortemente voluta dalla Turchia. Anche ad al-Faw è operativa la Technital, azienda veronese di progettazione presieduta da Zeno D’Agostino che pare avere la capacità di inserisrsi nei nuovi punti nevralgici dei corridoi logistici eurasiatici.
Ovviamente i triestini sono comunque orgogliosi di vedere l’ ex-presidente dell’ Autorità Portuale di Trieste impegnato in porti strategici per l’ interconnessione dell’ Eurasia e, un po’ tutti, lo rimpiangono vedendo che la politica ha allungato le mani rapaci sul Porto Franco Internazionale di Trieste inducendo il commissario Gurrieri ad allontanare il segretario Torbianelli, che con D’ Agostino aveva collaborato, nonostante l' avesse appena nominato, .
Il controllo di Roma, e dei suoi danti causa d’ oltre oceano, sul nostro porto si fa sempre più stringente e oppressivo.
Mentre la crisi avanza constatiamo invece che la “Via della Seta”, abbandonata per le forti pressioni americane, cresce. E al suo posto ci viene proposto il bluff di una “Via del Cotone- IMEC”inesistente se non nel mondo dei sogni.
La costruzione fisica del nuovo porto di Anaklia dal 2023 è affidata alla joint venture guidata da China Communication Construction Company, braccio operativo della strategia della nuova Via della seta, cui oggi è affidata la costruzione assieme a China Harbour Investment Pte. Ltd (registrata a Singapore ma sussidiaria della stessa società statale cinese), con i subappaltatori China Road and Bridge Corporation e Qingdao Port International Co Ltd.
Le società cinesi manterranno il 49% della proprietà dello scalo, lasciando la maggioranza al governo georgiano.
“Trieste dormi, el mar se movi apena...”
venerdì 9 maggio 2025
PORTO DI TRIESTE: LA “VIA DELLA SETA” CACCIATA DALLA PORTA RIENTRA DALLA FINESTRA GRAZIE AL “MIDDLE CORRIDOR” DELL’ASIA CENTRALE.
Il corridoio commerciale, che
attraversa l’Asia Centrale, era nato come articolazione della Belt and Road –Via della Seta cinese ed ha ora individuato come terminal europeo
il Porto Franco Internazionale di Trieste, come aveva già fatto la Via della Seta, bloccata dall’intervento
americano, ed anche il progetto Via del
Cotone- Imec che invece è ancora in alto mare.
Il Middle Corridor –Titr
è già operativo e trasporterà quest’anno 5 milioni di tonnellate di merci per arrivare
a 11milioni nel 2030 mentre la Via del
Cotone-Imec è rimasta solo un’ idea astratta partorita a Washington con
intenti geopolitici di contrapposizione
alla Via della Seta cinese ed è
ancora totalmente priva di finanziamenti e progetti esecutivi, nonchè funestata
da guerre in Israele e adesso anche India .
Per quanto riguarda i finanziamenti infrastrutturali
al Middle Corridor-Titr perfino la UE ha deciso di intervenire con 10 miliardi
di euro come comunicato al vertice inaugurale dell’ Iniziativa UE-Asia Centrale, svoltosi il 3 e 4 aprile scorso a
Samarcanda, in Uzbekistan.
Il Middle Corridor –Titr attraversa in intermodalità nave/ ferrovia cinque
Paesi – Cina, Kazakhistan, Azerbaigian, Georgia e Turchia – per approdare in
Europa attraverso il Porto di Trieste in cui già arriva il petrolio kazako che
rappresenta il 30% del greggio pompato da Trieste alla Germania, Austria e repubblica
Ceca. Via ferrovia la merce arriva ai porti turchi dove trova l’ Autostrada del Mare gestita da Dfds e
Grimaldi, efficiente e operativa da decenni, per approdare infine al Porto Franco
di Trieste che lavora per il 90% con l’area centro europea e per il 60%
smistando merci inoltrate sulle rotte con la Turchia.
Ma il Middle Corridor –Titr ha
una carta in più: il raccordo con la Development
Road che unisce il porto di Al-Faw sul Golfo Persico (dove possono
approdare merci dall’Indo-Pacifico) con i porti turchi serviti dall’ Autostrada del Mare verso Trieste,
attraversando l’ Iraq in ferrovia.
Il Middle Corridor –Titr rappresenta un fattore importante di sviluppo e coesione dell’Asia Centrale che, essendo principalmente turcofona, favorisce l’affermazione della Turchia come polo centrasiatico di un nuovo ordine multipolare. Così come contrasta il “disaccoppiamento” tra Europa e il resto orientale dell’Eurasia, Cina in particolare, perseguito dagli Stati Uniti.
Inoltre con il raccordo con la Development Road, che ha un terminal sul Golfo Persico, favorisce l’ integrazione anche dell’ India in questo contesto. Quella stessa India che gli americani corteggiano intensamente sperando di staccarla da Russia e Cina per integrarla con Israele e Arabia Saudita tramite la Via del Cotone-Imec. Purtroppo per gli Stati Uniti si tratta di un progetto disfunzionale e commercialmente fallimentare destinato a restare nel mondo delle chiacchiere dei politici.
E’
economicamente assurdo, ma geopoliticamente comprensibile vista la dipendenza
dagli USA, che il Governo Meloni sia particolarmente preso dalla narrazione
americana sulla Via del Cotone Imec
facendone un tema importante della sua politica estera. Il ministro degli
esteri Tajani ha annunciato per l’autunno prossimo a Trieste un summit dei
ministri degli esteri dei paesi coinvolti, allargato ai paesi del Trimarium, baltici e polacchi in testa,
evidenziandone così la valenza geopolitico-militare per il rafforzamento del
fianco est della Nato.
Questa postura del governo italiano
contiene il grande rischio di isolamento del paese dagli indispensabili traffici con la parte orientale e centrale dell’
Eurasia e di sottovalutazione dell’ importanza del Middle Corridor –Titr concentrandosi invece sui miraggi della Via del Cotone – Imec per scelta ideologica filoamericana.
Meglio sarebbe sviluppare i rapporti
con la Cina e riprendere quelli con la Russia, visto che le loro navi non sono
attaccate dagli Houthi e possono mantenere e sviluppare la fondamentale rotta
attraverso Suez e il Mar Rosso che continua a rimanere precaria per gli altri.
Paolo Deganutti
Articolo per la rivista "Pluralia" pubblicato in Italiano, Inglese, Cinese e Russo.
sabato 19 aprile 2025
TRIESTE “CAPUT MUNDI” O BOCCONCINO PER USA E NATO? "VIA DEL COTONE": IL PRIMO ACCORDO SIGLATO E’ MILITARE, NON COMMERCIALE. - Testo degli articoli
L’Huffinghton Post Italia ci ha dedicato due articoli esaltando la” Via del Cotone” e spiegando i dettagli delle manovre in atto e informando della venuta a Trieste non solo di esponenti dell’ Atlantic Council americano ma anche del potentissimo Heritage Foundation.
Inside Over, specializzato in questioni militari, ha annunciato che il primo accordo appena siglato da Francesco Maria Talò come inviato speciale per l’ Imec “Via del Cotone” è di natura militare: la Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza e la Society of Indian Defence Manufacturers hanno firmato a Roma un memorandum d’intesa per rafforzare la cooperazione nel settore Difesa. L’obiettivo del memorandum è quello di rafforzare la collaborazione tra le industrie della difesa d’ Italia e India. Se si tratta di commercio è solo commercio di ARMI, confermando quanto sosteniamo da tempo: Via del Cotone e Trimarium sono progetti di natura strategico militare spacciati per iniziative economiche per tranquillizzare l’opinione pubblica.
Questo è l’ unico accordo concreto della fantasticata Via del Cotone, che qualcuno chiama “Via dell’ Oro” per mistificare ulteriormente, visto che NON ci sono né finanziamenti, né progetti concreti ma solo suggestioni confezionate a Washington.
L’Huffinghton
Post ha pubblicato anche un intervista a Kaush Arha che è il funzionario degli
apparati securitari americani che ha dato l’avvio al coinvolgimento triestino
venendo nella nostra città il giugno scorso. Arha, è “senior fellow” dell’ Atlantic Council, “senior advisor” per l'impegno strategico dell’USAID, l’agenzia d’influenza americana, appena
sospesa perchè balzata in questi giorni agli onori della cronaca internazionale
per le azioni di condizionamento all’estero, dove ha guidato il quadro globale
dell'agenzia per contrastare le “azioni maligne” degli avversari degli Stati
Uniti.
Sgomenta apprendere che, insieme al
suo accompagnatore Roa del National Interest, entrambi americani che non
parlano una parola d’ italiano, siede nel board del Trieste Summit, organizzazione
formata da 12 imprenditori portuali di Trieste. Arha , ha presieduto il loro convegno "Trieste
gateway of Imec (Via del Cotone)" alla Stazione Marittima di Trieste.
Riportiamo sotto
gli articoli citati che confermano in pieno quelli già pubblicati da noi fin
dall’ agosto 2024.
Per non dover ripetere i medesimi
contenuti invitiamo chi volesse approfondire la complessa tematica a consultare
i due libri di Paolo Deganutti:“Trieste porto franco
internazionale o bastione militare della Nato?” e “Trieste e la guerra per le rotte commerciali
mediorientali e per l’Istmo d’Europa” le cui tesi sono pienamente confermate dallo
sviluppo degli eventi.
1) HUFFINGTON POST
Trieste caput mundi. Trump, Cina e India: le mani
delle potenze sul porto. Una business spy story
Attorno allo scalo giuliano si gioca un
bel pezzo di leadership commerciale. Trump e i suoi lo vogliono come terminale
della via del Cotone, che porta merci da Mumbai fino alla mittel-Europa
passando per i paesi arabi. Pechino lo voleva per la sua via della Seta mentre
Orbàn se n'è preso un pezzo. La pressione dei trumpiani su FdI e Tajani.
Intrighi e cordate nella città di frontiera
18 Aprile
2025 Aggiornato alle 19:00
·
Ai tavolini del caffè degli Specchi in piazza dell’Unità a Trieste il dialetto locale, lo sloveno e il tedesco spesso si intrecciano. In questi ultimi mesi, però, un accento rumoreggia più di altri: quello americano: potreste tranquillamente inciampare in emissari di Washington impegnati a dialogare con politici locali e analisti geopolitici di fama internazionale. Siete nel punto d’arrivo della via del Cotone, il corridoio economico tra India, Medio Oriente ed Europa (IMEC), di cui anche Giorgia Meloni e Donald Trump hanno discusso ieri alla Casa Bianca. Non stupitevi dell’interesse statunitense per quella che talvolta bolliamo come città di confine: Trieste e il suo porto sono al centro non di una spy story, ma di tensioni geopolitiche tra grandi potenze. Le mire cinesi con la Belt and Road initiative, l’impegno di think tank americani come l’Heritage e l’Atlantic council, l’ingresso in città degli ungheresi, il traffico commerciale verso la Germania e i parlamentari italiani che volano in India: il via-vai triestino è incessante.
Un paio di mesi fa James Carafano era nel capoluogo giuliano. E’ il
vicepresidente dell’ Heritage Foundation, potentissimo centro studi
conservatore, nonché ispiratore del discusso Project 2025. Carafano prima è
stato a Roma nel gennaio scorso per un evento in Senato e anche lì aveva
ricordato di avere “tanti amici a Trieste”. Un interesse non isolato, che
ritroviamo nell’intervista rilasciata ad HuffPost da Kaush Arha,
in cui ha suggerito a Meloni di dire a Trump: “Presidente, voglio che lei venga
in Italia, a Trieste, e inauguri la nuova Golden Road che da qui raggiunge
l'India”.
Arha fa parte dell’Atlantic Council, ascoltatissimo think tank
repubblicano, ma è stato anche membro della prima amministrazione Trump. Il suo
riferimento a Trieste non è scontato. E’ un martellante richiamo ai movimenti
commerciali e geopolitici che si muovono sottotraccia. E che vedono una rete di
organizzazioni internazionali e italiane alla finestra. Un paio di mesi fa
Carafano e Arha hanno partecipato a un convegno del centro studi Machiavelli
sul tema dell’IMEC. Il Machiavelli orbita in area leghista; un referente
importante di quel mondo è Guglielmo Picchi, ex sottosegretario agli esteri
durante il governo Conte I. Come del Carroccio è Marco Dreosto, senatore
friulano e responsabile della Lega in regione. Non è un caso quindi che lo
stesso Dreosto nel novembre del 2024 sia volato a New Delhi per prendere
contatti con le controparti indiane.
Dreosto, Arha e altre personalità come Carlos Roa del Danube Institute di
Budapest, siedono nel board del Trieste Summit, l’organizzazione degli
imprenditori della città. Un mix di esperienze locali e internazionali, che
sotto l’ala statunitense da qualche mese stanno spingendo sul dossier IMEC e
quindi su Trieste.
La squadra, però, non sarebbe completa senza quello che molti definiscono
come il più strenuo e autorevole sostenitore dell’iniziativa all’interno del
parlamento italiano. L’ex ministro degli Esteri e ambasciatore Giulio Terzi di
Sant’Agata, tra le altre cose, è presidente del gruppo di amicizia parlamentare
Italia-India e più volte ha ribadito la centralità di Trieste nell’impianto
commerciale che partirà, nei piani, dall’harbour di Mumbai. “Il timing c’è, la
stabilità e la credibilità politica del governo Meloni possono fare la
differenza in questa partita”, ha scritto il senatore di Fratelli d'Italia sul
Messaggero, sostenendo che Trieste è “la nostra carta vincente”.
Con Terzi, la “squadra triestina” è quasi al completo. Non va infatti
dimenticata l’attenzione posta da un altro attento think tank italiano: Nazione
Futura di Francesco Giubilei. Giubilei, oltre ad aver rapporti con l’Heritage,
oggi ha scritto dell’IMEC sul Giornale e nel suo articolo, ha citato Vas
Shenoy, chief representative per l’Italia della Camera di commercio indiana:
“Le merci impiegheranno il 40% in meno e costeranno il 30% in meno”, spiega il
rappresentante. Shenoy, ci viene spiegato, ha tessuto ottimi rapporti a Roma e
a Trieste; anche lui gioca da protagonista in questo intreccio geopolitico.
La massima certificazione della rinnovata spinta al progetto, iniziato da
Joe Biden e confermato da Donald Trump, è arrivata oggi dall’amministrazione
americana. Alla Casa Bianca, Trump ha confermato di aver discusso con la
premier Giorgia Meloni dell’IMEC, come spiega la dichiarazione congiunta dei
due leader: "Gli Stati Uniti e l'Italia lavoreranno insieme per sviluppare
il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, uno dei più grandi progetti
di integrazione economica e connettività di questo secolo, che collegherà i
partner tramite porti, ferrovie e cavi sottomarini e stimolerà lo sviluppo
economico e l'integrazione dall'India, al Golfo, a Israele, all'Italia e fino
agli Stati Uniti. Seguendo l'esempio del successo dell'approccio degli Accordi
di Abramo del presidente Trump, gli Stati Uniti e l'Italia coopereranno su
progetti infrastrutturali cruciali e valuteranno la possibilità di sfruttare il
potenziale del Piano Mattei".
Non una sorpresa, visto che dopo la visita di Giorgia Meloni a Washington,
la premier ha appena incontrato a Roma il vicepresidente americano J.D. Vance.
E proprio Vance, dopo la Pasqua italiana, volerà a New Delhi per incontrare il
governo indiano. Sul tavolo, non c’è dubbio, sarà ingombrante il dossier sulla
via dell’Oro che proprio nell’India ha il suo punto d’inizio, anche e
soprattutto in funzione anti-cinese.
Per capire l’eccezionalità di tutti questi movimenti, occorre tornare
indietro di qualche anno. Il dossier IMEC è sul tavolo di Palazzo Chigi da un
po’ di tempo. Almeno dal 9 settembre 2023, quando al G20 guidato dall’India
alcuni Paesi hanno firmato un memorandum d’intesa ufficiale. Parliamo dei
governi di Francia, Germania, Stati Uniti, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita,
la Commissione europea, ovviamente l’India e l’Italia. Il contenuto dell’intesa
recupera la “Partnership for global infrastructure and investment” che già nel
2022 immaginava una spesa da 600 miliardi di dollari. Risorse per strade,
ponti, ferrovie. Un gigantesco piano che oggi prende il nome appunto di IMEC o,
nella vulgata mediatica, di via del Cotone o nuova via dell’Oro.
L’IMEC nasce per scopi commerciali ma soprattutto geopolitici. È la
risposta dell’amministrazione Biden e ora Trump alla Belt and Road Initiative,
la via della Seta cinese. Il soft (e hard) power cinese comprensibilmente
terrorizza l’Occidente: i governi africani, asiatici ed europei subiscono il
fascino (economico) del Dragone, l’America non può stare a guardare.
Il governo italiano ha accettato la complicata sfida. Così, prima della visita
di Antonio Tajani in India, dove si è discusso anche di IMEC, il ministro ha
nominato l’inviato dell’esecutivo per l’IMEC: un paio di settimane fa il Tajani
ha annunciato in Parlamento la nomina di Francesco Talo’, ambasciatore ed ex
consigliere diplomatico di Giorgia Meloni, come emissario italiano per la nuova
via del Conte. Talo’ dovrà far da spola tra l’India e gli altri partner
dell’iniziativa, tra cui gli Stati Uniti. Un compito non facile, quanto
necessario. Anche perché già la Francia, che vuole giocare un ruolo da
protagonista con il porto di Marsiglia, quanto la Grecia, che con il Pireo
sotto le mire cinese e Salonicco è alla finestra, avevano già indicato un loro
referente.
Questo il progetto: la rotta parte dai terminal di Mumbai, la megalopoli
che si affaccia sul Mar Arabico. Non sono i sacri tempi di Shiva a incuriosire
Washington, ma la capacità dell’harbour e la vicinanza con Dubai, seconda tappa
dell’IMEC. Quindi, Abu Dhabi e via ferro dritti a Riad, capitale dell’Arabia
Saudita. La ferrovia attraverserà il deserto, tagliando il Regno di Giordania,
fino a Israele: dal porto di Haifa le merci asiatiche salperanno in direzione
Europa. Senza dilungarsi sulle difficoltà infrastrutturali, come costruire
tanti chilometri di binari nel deserto saudita, l’intoppo geopolitico è
evidente: lo scoppio della guerra a Gaza dopo il 7 ottobre 2023 ha raffreddato
anche gli animi più entusiasti. Per questo è prevista anche la tratta via mare,
dal canale di Suez, bypassando Israele ma non certo gli attacchi Houthi dello
Yemen.
Il groviglio geopolitico obbliga chi lavora sul dossier a “non pensare
attraverso tracciati obbligati”. Che sia tramite Israele o via mare, la via del
Cotone passerà sicuramente nel Mediterraneo, fino ad inserirsi nell’Adriatico.
Il porto di Gioia Tauro è sempre un utile punto di sosta per il transhipping,
il trasbordo e lo smembramento dei container, ma la destinazione finale è
Trieste. Da qui, nel crocevia tra le due Europe, il trasporto delle merci è
favorito da un sistema ferroviario avanzatissimo (più di Genova, principale
porto italiano): un’eredità asburgica che permetterà ai prodotti di Mumbai di
raggiungere la Germania, fino ad Amburgo, ma soprattutto l’Est Europa. Le
economie “crescenti” di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e persino Estonia
sono così raggiungibili su ferro.
Senza nostalgie imperiali, Trieste tornerebbe così ad essere uno snodo
imprescindibile nel commercio globale. Intanto, per la struttura del suo porto:
molto profondo e con scarsa necessità di dragaggio, dispone di vari terminal,
con tanto di piattaforma multimodale inaugurata qualche anno fa con i
terminalisti di Amburgo e la partecipazione minoritaria cinese sempre in
agguato. Poi, da Trieste parte l’oleodotto transaplino SIOT, che dal porto
raggiunge l’Europa centrale. Infine, gli ungheresi hanno acquistato una zona
abbandonata dello scalo portuale nel 2019 e puntano ad aumentare la loro
presenza in Italia.
Un dettaglio non da poco visto che l’Ungheria di Viktor Orban è coinvolta
in un altro progetto commerciale di ispirazione americana, ma in ottica
anti-russa: il Trimarium. L’iniziativa dei Tre Mari è sostenuta soprattuto
dalla Polonia, ma mette insieme 12 Stati: una rete capace di collegare il mar
Baltico al Mar Nero, fino al Mediterraneo. “Inizialmente, si pensava di passare
dalla Slovenia ma ora Trieste può essere la congiuntura perfetta tra questo
progetto e l’IMEC”, spiega una fonte autorevole.
Lo scenario descritto è tanto imponente quanto ancora embrionale. Parlando
con il lato italiano, gli entusiasmi vengono sopiti: i 600 miliardi indicati
dal memorandum siglato anche dall’Italia esistono solo su carta, i progetti
infrastrutturali vanno ancora definiti e non c’è una data di inizio e fine
lavori. L’asset principale dell’Italia però rimane: la geografia, vera
benedizione di Trieste.
Anche se il progetto per ora esiste solo su carta, in città si respira già un’aria diversa. Lo confermano fonti triestine. La spinta politica è “fortissima” e gli imprenditori “sono molto attenti ai nuovi investimenti di MSC su Trieste”. Se non bastasse l’entusiasmo, un segnale politico è arrivato da Antonio Tajani. Il ministro degli Esteri, da poco tornato da una missione in India, ha annunciato un vertice ministeriale a Trieste entro l’anno. Per capire il futuro della città e del suo porto bisognerà stare lì, passeggiando sui moli del porto della città. L’India, forse, sarà più vicina.
17 Aprile 2025
La firma del documento d’intesa è
avvenuta a margine dell’11° Comitato Bilaterale Italia–India, organizzato
dalla Direzione Nazionale degli Armament presso Palazzo
Guidoni a Roma, alla presenza del Defence Secretary indiano, Rajesh Kumar Singh, e dell’Ambasciatore dell’India in Italia, S.E. Hon’ble Vani Rao. Per
l’Italia ha partecipato il Direttore Nazionale degli Armamenti vicario, la
dott.ssa Luisa Riccardi. Il documento fa seguito alla
considerazione delle “dieci priorità strategiche di
collaborazione tra Italia e India nel comparto Difesa” già definite nell’Italy-India Joint Strategic Action Plan 2025–2029,
sottoscritto in occasione del G20 di Rio de Janeiro lo
scorso novembre.
Tra i principali punti dell’accordo, come reso noto dalle fonti, vi è l’istituzione di un “gruppo di lavoro congiunto” che si riunirà annualmente per individuare le aree di cooperazione strategica su cui focalizzare l’impegno comune, avviare una stretta collaborazione tra i rispettivi Governi e contribuire a creare un ecosistema “favorevole al commercio bilaterale“, nonché facilitare il dialogo tra le imprese operanti nel settore. Questo dimostra ancora una volta come l’Italia sia un interlocutore apprezzato dal governo di New Delhi.
Le nuove opportunità
Oltre alla firma del memorandum,
i rappresentanti della Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa
e la Sicurezza hanno svolto anche il ruolo di coordinatori per una serie di
incontri Business-to-Business tra 12 aziende italiane e altrettante controparti indiane. L’obiettivo, anche in questo
caso, è stato quello di esplorare opportunità di collaborazione concrete
nei settori
più strategici del comparto Difesa.
“La firma del memorandum d’intesa con i rappresentanti della Society of
Indian Defence Manufacturers rappresenta un passo significativo nel percorso di
rafforzamento della cooperazione bilaterale nel settore della difesa e della
sicurezza“, ha dichiarato Carlo Festucci, Segretario Generale della
Federazione Aziende Italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza.
Ricordando come l’India sia per l’Italia “un partner solido e affidabile”.
La firma del memorandum
rappresenta l’ennesima tappa fondamentale per rafforzare
l’interoperabilità e la cooperazione internazionale nell’area Indo-pacifica, elementi imprescindibili per garantire pace, stabilità e prosperità.
Dopo i progressi dell’iniziativa Imec, quindi, anche in materia di Difesa, Roma
e Nuova Delhi procedono di comune intesa.
3) HUFFINGTON POST
Kaush Arha: "Meloni sia il perno della Via dell'oro
indo-mediterranea che vuole Trump"
Intervista al senior fellow dell’Atlantic Council di Washington, think tank del mondo Repubblicano, che ha lavorato nella prima amministrazione Trump: "Il presidente ha promesso insieme a Modi la creazione di una rotta commerciale dall'India a Israele, fino all'Italia. Meloni gli chieda di venire a Trieste a inaugurarla. Dazi? È la leader europea più credibile per trattare con lui"
17 Aprile 2025 alle 10:42
“Il tempismo di Meloni è ottimo, Trump vuole chiudere un accordo con tutti e anche con l’Europa”. Kaush Arha è senior fellow dell’Atlantic Council di Washington, think tank del mondo Repubblicano, e ha lavorato nella prima amministrazione Trump. Esperto di Cina, è molto attento anche all’Italia: "Usa e Ue uniscano le forze contro la minaccia più grande: la distorsione del mercato cinese". A poche ore dall’incontro tra la premier e il presidente americano, Arha, che è stato un membro della prima amministrazione Trump, parla con HuffPost: “Se fossi Meloni, rassicurerei Trump sul ruolo dell'Italia come partner indispensabile degli Usa nel Mediterraneo". Poi Arha insiste sulla "nuova via dell'Oro indo-mediterranea" che va dall'India all'Italia: "Deve chiedere a Trump di venire a inaugurarla in Italia, ma dovete spendere di più in difesa".
Oggi Giorgia Meloni sarà alla Casa
Bianca. Cosa dobbiamo aspettarci dall'incontro con il presidente americano
Donald Trump?
L'incontro tra la premier Meloni e il Presidente Trump cade nel momento giusto.
Sia gli Stati Uniti che l'Europa hanno sospeso l'aumento dei dazi per trovare
un terreno comune. Sembra esserci un forte interesse nazionale su entrambe le
sponde dell'Atlantico per arrivare a un accordo commerciale.
Crede davvero che sia così?
Stiamo parlando delle due maggiori
economie integrate. Il loro livello di integrazione è sostanzialmente superiore
a quello di entrambe le economie rispetto alla Cina. È nell'interesse nazionale
di Stati Uniti ed Europa lasciarsi alle spalle la disputa commerciale,
arrivando a un'armonizzazione tariffaria e unendo le forze per affrontare
collettivamente una minaccia molto più grande: la distorsione del mercato
cinese e il mancato rispetto delle regole.
Come può avvenire questa
armonizzazione tariffaria?
Non si parla solo di tariffe, ma anche di barriere non tariffarie che sono
intrinsecamente normative. Bisogna considerare anche questo aspetto.
Possiamo raggiungere l'accordo
"zero per zero"?
Questo è ciò che ha detto Elon Musk. Non lo so, ma credo che oggi i
segnali da entrambe le parti siano molto migliori. Per la Meloni è meglio
venire oggi che qualche mese fa. C'è molto spazio per un buon accordo prima di
arrivare a zero tariffe.
Trump vuole davvero concludere un
accordo con l'Europa?
Il presidente Trump è uno che fa affari, a cui piace chiudere accordi con
tutti. Vuole firmare un deal con la Russia, con l'Iran, con
Hamas, con tutti. Quindi gli piacerebbe molto farne uno anche con l'Europa.
Meloni è nella posizione di facilitatrice, può far sì che ciò accada. Potrebbe
trovarsi in una posizione unica: la leader nazionale europeo più adatta a
ricoprire questo ruolo.
Perché Trump ha iniziato questa
battaglia con l'Europa?
L'Ue e gli Stati Uniti rispettano le stesse regole economiche internazionali,
ma hanno opinioni diverse su come queste regole vengono interpretate e
applicate. Si tratta di un disaccordo sostanzialmente molto diverso da quello
che l'America ha con la Cina e che anche l'Europa ha con la Cina.
Quindi, ritorniamo all'obiettivo
principale: la Cina.
Gli Stati Uniti e l'Europa sono seduti alla stessa parte del tavolo quando
discutono delle differenze che hanno con la Cina sulle questioni commerciali.
Anche Ursula von der Leyen lo capisce.
Un mancato accordo con l'Ue può
aprire la strada a un avvicinamento tra Europa e Cina? C'è questo rischio?
Potrebbe trattarsi di una reazione emotiva di alcuni europei, ma qualsiasi
valutazione a sangue freddo degli interessi nazionali e dell'autonomia
strategica europea la precluderebbe. Se l'Europa non ha imparato nulla dai suoi
stretti rapporti economici con la Russia e vuole ripetere lo stesso errore con
la Cina, allora si troverà in una posizione molto peggiore.
Crede che Meloni possa essere
l'interprete giusto? Che possa trasmettere questo messaggio?
Sì, può farlo. Ha un buon rapporto di lavoro con la Commissione europea e si
spera che abbiano parlato prima che lei venisse a questo incontro. Meloni
comunicherà un messaggio credibile, pragmatico e realista per assicurarsi che
il comportamento distorsivo del mercato cinese venga fermato.
Quindi, non si tratta solo di un
incontro bilaterale tra Italia e Stati Uniti, ma uno tra Europa e Stati Uniti?
Può portare entrambe le questioni. Del messaggio europeo abbiamo detto. Per
quanto riguarda quello nazionale, dovrebbe ribadire che l'Italia è il partner
strategico indispensabile dell'America nel Mediterraneo.
Cosa intende?
Se fossi la Meloni, rassicurerei Trump sul ruolo dell'Italia come partner
strategico indispensabile degli Usa nel Mediterraneo e come ancora europea per
la nuova via dell'Oro indo-mediterranea.
Ci dica di più.
Trump ha annunciato di voler inaugurare una nuova Età dell'oro per l'America.
Ha anche promesso, insieme al premier indiano Modi, la creazione di una rotta
commerciale dall'India a Israele, fino all'Italia. Il primo ministro Meloni
potrebbe dire: “Presidente, voglio che lei venga in Italia, a Trieste, e inauguri
la nuova Golden Road che da qui raggiunge l'India”.
L'Italia dovrebbe spendere di più soldi in
America?
Gli affari dell'Italia con l'America sono già in crescita. Investite molto qui,
ma si può sempre fare di più. L’Italia dovrebbe anche sollevare la questione di
un’Europa libera. Quindi, parlare dell'apertura del Mediterraneo orientale e di
un mar Nero libero e aperto. Un accordo di pace con l'Ucraina che trasformi il
Mar Nero un lago russo sarebbe dannoso per la regione e per gli interessi
americani.
Parliamo di spese militari.
L'Italia, è ancora ferma all'1,5% della spesa per la difesa sul PIL. Il governo
ha promesso di arrivare al 2% entro il prossimo vertice NATO di giugno. Sarà
sufficiente? Dobbiamo crescere ancora di più? Forse al 3%, al 3,5% o addirittura
al 5%, come chiede Trump agli alleati europei?
L'1,5% non è sufficiente, il 2% non è più sufficiente. Deve essere di più.
L’Italia ha chiesto alla Commissione europea di allentare le regole affinché i
Paesi possano investire di più in i militari. La Commissione sembra impegnarsi
a farlo e quindi l'Italia dovrebbe agire di conseguenza. Questo anche perché
possiate svolgere il ruolo spiegato prima nel Mediterraneo e anche a sud per la
Nato.
E serviranno più investimenti
nella marina, giusto?
Esattamente. L'Italia ha bisogno di una marina molto più potente, non solo
mezzi con equipaggio ma anche senza equipaggio, per proteggere le
infrastrutture critiche nel Mediterraneo. Anche perché l'aumento della spesa in
aziende come Fincantieri avrà un impatto positivo sull'economia italiana,
sull'occupazione e sulla crescita del territorio.
Lei ha lavorato nella prima
amministrazione Trump, in USAID. Perché il presidente ha deciso di tagliare i
fondi a questa agenzia? E questa decisione apre spazi al soft power cinese?
Innanzitutto, l'USAID rappresentava il meglio dell'America. Le persone che
lavoravano per l'USAID erano patrioti straordinari e molti di loro hanno perso
la vita servendo il Paese. L'impegno degli Stati Uniti nei confronti delle
nazioni partner deve adattarsi ai tempi che viviamo. È il momento di passare
dall'assistenza allo sviluppo alle partnership economiche. I paesi in via di
sviluppo di un tempo ora sono economie emergenti e vanno trattati come tali.
USAID, in stretto coordinamento con il Dipartimento di Stato, sta attuando
questo cambiamento di paradigma. Non è molto chiaro quale sarà la nuova
versione dell'USAID, ma vedremo. Se tutto andrà bene, ci sarà meno spazio per
Cina, Russia e altre potenze avversarie.
Qual è la sua opinione su Giorgia Meloni
e il governo Meloni?
Ci sono due aspetti che saltano all'occhio quando si esamina il governo Meloni.
Uno è la stabilità politica che ha portato all’Italia, garantendo al Paese la
flessibilità e la statura per svolgere un ruolo strategico in Europa e nelle
relazioni transatlantiche.
Il secondo?
Dall'esterno vediamo che i media di sinistra ritraggono Meloni in un certo
modo, ma quando si considerano le sue politiche si scopre che è una leader
realista e molto pragmatica.
Chi volesse approfondire la complessa tematica può consultare i due libri di Paolo Deganutti:
“Trieste porto franco internazionale o bastione militare della Nato?”
e
“Trieste e la guerra per le rotte commerciali mediorientali e per l’Istmo d’Europa”
lunedì 31 marzo 2025
ODESSA E TRIESTE PORTI FRANCHI SOTTO TUTELA ONU? UNO SCENARIO PER LA PACE E LA SICUREZZA EUROPEA
Articolo di Paolo Deganutti originariamente pubblicato su Pluralia in italiano, inglese, cinese e russo
(clicca QUI)
Dalla proposta del presidente Putin di un’amministrazione temporanea ONU in Ucraina alla storia dimenticata del Porto Franco di Trieste: perché il controllo internazionale dei porti strategici potrebbe tornare d'attualità nelle trattative sulla pace in Ucraina e sull’architettura di sicurezza in Europa.
Esaminiamo un’ipotesi di scenario nel
contesto di rapidissima evoluzione (secondo alcuni di rivoluzione) geopolitica
in atto mentre si
realizzano situazioni impensabili solo pochi mesi prima: dalle rivendicazioni
territoriali americane su Groenlandia e Panama alla guerra commerciale dei dazi
interna all’ “Occidente Collettivo”,
fino alla Germania che improvvisamente toglie dalla Costituzione il dogma
totemico del “pareggio di bilancio”
per potersi riarmare a debito...
In realtà si tratta di una
posizione coerente con l’intenzione di rilanciare e valorizzare le istituzioni
di regolazione internazionale multilaterale espressa anche dalla Cina e dai
Paesi del Sud Globale, mentre gli
Stati Uniti e Israele hanno notoriamente assunto posizioni delegittimanti nei
confronti dell’ONU e di altri organismi internazionali.
La proposta del leader russo ha dei
precedenti storici non remoti: la Nuova Guinea nel 1962, la Cambogia nel 1992,
Timor Est nel 1999.
Nei Balcani Occidentali a noi molto vicini, dopo gli accordi di
Dayton e l'accordo di Erdut tra il governo croato e la minoranza serba, le
regioni di Slavonia, Baranja e Sirmia vennero poste nel 1996 sotto la sovranità
dell'ONU per poi essere reintegrate nella Croazia il 15 gennaio 1998.
Far riferimento a un ripotenziamento del ruolo dell’ONU per arrivare non solo alla pace in Ucraina ma anche a una nuova architettura della sicurezza del continente che la possa mantenere, è vista positivamente in una città portuale strategica come Trieste. Qui spesso si vedono iniziative e manifestazioni popolari dove viene sventolato il vessillo blu dell’ ONU. E’ un esito del fatto che la città è stata dal 1945 al 1954 Territorio Libero di Trieste sotto l’egida dell’ONU, mentre fin dal Trattato di Pace di Parigi del 1947 il suo porto ha lo status di “Porto Franco Internazionale” essendo snodo logistico tra l'Europa centrale e orientale e il Mediterraneo e le coste orientali dell’Eurasia.
In questa situazione particolare è nato l’auspicio che la trattativa in corso tra Stati Uniti e Russia consideri l’opportunità offerta dall’ internazionalizzazione dei porti strategici, anche per superare le difficoltà negoziali che possono presentarsi discutendo di queste infrastrutture.
L'internazionalizzazione dei porti strategici è un'opzione che
può essere considerata in contesti di conflitto e di forte riassestamento
geopolitico globale come quello attuale.
L'ONU
potrebbe svolgere un ruolo chiave nel garantire la stabilità e la libertà di
navigazione e di commercio. E nel garantire che infrastrutture indispensabili
per il commercio globale continuino a svolgere la loro funzione a favore
dell’intera comunità internazionale senza discriminazioni.
Internazionalizzazione di Odessa, porto gemello di Trieste
Il pensiero va a Odessa, essenziale per l’approvvigionamento alimentare di vaste aree del globo. La sua posizione nel Mar Nero la rende un porto strategico dal punto di vista geopolitico e militare. E’ difficile pensare che la flotta russa nel Mar Nero possa dirsi sicura nella sua storica base di Sebastopoli fintanto che Odessa resta sotto l’esclusivo controllo ucraino e occidentale.
La storia di Odessa la lega al Porto Franco di Trieste: fondata nel 1794, per volere della zarina Caterina la Grande, in un territorio sottratto dall’Impero Russo agli Ottomani due anni prima, Odessa divenne un porto franco nel 1819.
Ebbe subito intensi scambi con Trieste che era già Porto Franco da un secolo per decreto dell’Imperatore Carlo VI d’Asburgo.
Ne scriveva Karl Marx in un articolo del 1848
sul New York Tribune: “Trieste allacciava il suo destino con la stella sorgente
di Odessa, e al principio del secolo XIX, escludeva la rivale Venezia dal
commercio mediterraneo dei cereali.”
“ La prosperità di Trieste deriva dalle
energie produttive e dei trasporti in quel gran complesso di paesi che sta nel
dominio dell’Austria”.
Infatti il Porto Franco di Trieste si
sviluppò per merito di Maria Teresa d’Austria sino a divenire il Porto
dell’Impero Austroungarico che rappresentava il più grande mercato unificato
europeo dell’ epoca e cui, fin dal 1855, era collegato con un’ avanguardistica
ed efficiente rete ferroviaria.
Tanto stretti erano i rapporti tra Trieste e Odessa che la splendida scalinata monumentale della città sul Mar Nero era stata realizzata con i “masegni” di pietra arenaria provenienti dalle cave triestine.
Su queste pietre furono girate nel 1925 le scene più famose del
film "La corazzata Potëmkin" di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn: quelle dell'attacco alla folla inerme da parte dei cosacchi dello zar.
Preservare il ruolo commerciale internazionale di Trieste
Infatti il porto di Trieste lavora
al 90% con l’estero, essendo un gateway dei traffici da e per
l’Europa centrale e
orientale che utilizza largamente le ferrovie, grazie ai vecchi collegamenti
ereditati dalle ferrovie austriache.
L’Ungheria vi
sta costruendo un importante terminal che dal 2028 diventerà il suo sbocco al
mare. Il terminal utilizza lo speciale status di extraterritorialità doganale
che lo pone fuori dalla “giurisdizione” doganale dell’UE e dell’ Italia. La Guardia
di Finanza non può entrare: caratteristica unica del Porto Franco triestino. Di questo gli ungheresi
sono entusiasti e parlano di “evento
storico perché riporta l’Ungheria sul mare dopo 100 anni” (Clicca QUI).
Dal porto giuliano parte anche l’oleodotto transalpino Tal/Siot che
da cinquant’anni pompa petrolio greggio dalle petroliere fino a Ingolstadt in
Baviera, fornendo il 40% del fabbisogno petrolifero della Germania (il
100% della Baviera e del Baden-Württemberg), il 90% dell’Austria e il 100%
della Repubblica Ceca.
La strategicità anche militare di Trieste è fuori discussione ed è confermata dalla grande attenzione che una rivista di geopolitica come Limes le dedica ripetutamente (Clicca QUI1 e QUI2) insieme alle riviste americane Atlantic Council (QUI) e The National Interest (QUI)
Clicca QUI per il Video
Il suo stato giuridico attuale è molto particolare e poco noto in Italia e deriva dal Memorandum di Londra del 1954 (clicca QUI) che non aveva rango di Trattato Internazionale. Firmato da UK, USA, Jugoslavia e Italia, vi si conveniva che l’Amministrazione Civile del Territorio Libero di Trieste (TLT) venisse trasferita dal Governo Militare Alleato (GMA) al Governo Italiano. Il successivo Trattato di Osimo del 1975 (clicca QUI) era solo bilaterale, tra Italia e la defunta Jugoslavia, e serviva solo alla reciproca definizione dei confini.
Tuttavia il governo Italiano non ha mai
dimostrato interesse allo sviluppo del Porto Franco giuliano di cui anzi in 70
anni non ha implementato tutte le potenzialità, in particolare quelle
riguardanti la produzione industriale in regime di extradoganalità.
Il TLT,
demilitarizzato e neutrale sotto controllo dell’ONU, fu istituito dall’art.21 del Trattato di Pace con l'Italia, firmato a
Parigi il 10 febbraio 1947 (clicca QUI) sottoscritto da 21 potenze
tra cui Russia e Cina, che stabiliva:
-riconoscimento
del TLT da parte delle Potenze Alleate e Associate e dell'Italia;
-garanzia
dell'integrità e dell'indipendenza del TLT da parte del Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite;
- cessazione
della sovranità italiana sul territorio designato, in quanto paese sconfitto;
- istituzione
di un regime provvisorio di governo (GMA), in attesa della nomina di un Governatore da parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, dove la
questione restò nell’ Ordine del Giorno ufficiale fino all'8 gennaio 1978. (NOTA
1)
Di conseguenza, la situazione giuridica di Trieste può evolvere, nel
pieno rispetto del diritto internazionale, in una nuova internazionalizzazione
sotto l’egida ONU. Teoricamente basterebbe che la nomina del Governatore del Territorio Libero
venisse posta nuovamente all’Ordine del Giorno del Consiglio di Sicurezza per iniziativa di uno stato membro del
medesimo. Facendo così valere il fatto incontrovertibile che un Trattato di
Pace firmato da numerose potenze è fonte primaria di diritto internazionale,
prevalente su eventuali accordi successivi tra solo due parti.
Sono cose che possono succedere nell’ambito di ribaltoni geopolitici come quello in atto e di ridefinizione degli assetti mondiali. Certamente preferibili all’instabilità dovuta allo sviluppo di infrastrutture militari, gestite dalla Nato o da coalizioni di “volenterosi” velleitari, come quella che vorrebbe Trieste in funzione di sostegno logistico e operativo al fianco Est ella Nato, o Scudo Europeo per la Democrazia che dir si voglia.
Diversi paesi, per non parlare della popolazione locale, avrebbero interesse a che la situazione del Porto Franco Internazionale di Trieste fosse sottratta a rischi militari e che le prerogative anche industriali del Porto Franco venissero finalmente sviluppate: dai paesi mitteleuropei a quelli eurasiatici, alla Cina (che progettava di dotarlo di un terminal della Via della Seta poi bloccato per intervento americano), alla Turchia che utilizza i vantaggi del Porto Franco per indirizzarvi il 70% delle sue esportazioni.
In particolare ne sarebbero tutelate la funzione di Porto Franco aperto all’intera comunità internazionale, senza ingerenze militari, e la funzione storica di collegamento marittimo / ferroviario fra la parte orientale e occidentale del grande continente eurasiatico, come previsto dai Trattati internazionali.
Internazionalizzazione dei porti strategici come strumento di stabilità e
pace.
In un’architettura di sicurezza
europea volta alla pace e alla stabilità sarebbe un vantaggio porre sotto
controllo internazionale queste infrastrutture strategiche, o quantomeno
discuterne apertamente ad alto livello e senza pregiudizi.
Del resto è proprio in epoche di
dazi, guerre guerreggiate o commerciali che si manifesta la necessità di Porti
e Zone Franche, utili a tutti e dove poter continuare gli scambi per tutelare il
commercio globale.
Anche se questo scenario oggi può sembrare remoto, in un
contesto di radicale riassetto geopolitico ricco di imprevisti come quello
attuale è necessario elaborare scenari e nulla può essere escluso a priori.
Lo stesso caso di internazionalizzazione
del territorio e del porto di Trieste dopo la 2° Guerra Mondiale dimostra che durante
transizioni sistemiche simili soluzioni possono riemergere con il consenso
delle grandi potenze e diventare un utile strumento di risoluzione dei
conflitti.
Paolo Deganutti
NOTA 1)
Mentre la stampa italiana nell’ottobre 1954 aveva generalmente toni trionfalisti sul “Ritorno di Trieste all’Italia” la stampa estera era invece esplicita sul fatto che non si trattava di piena sovranità italiana su Trieste:
A) Le Monde (Parigi, 9 ottobre 1954)
Titolo: "Trieste: un règlement provisoire sous l'égide de l'ONU" -“Trieste: una soluzione provvisoria sotto l'egida dell'Onu”
Sorrotitolo:"Le Statut international de 1947 n'est pas abrogé. L'Italie administre, mais ne possède pas."
-"Il trattato internazionale del 1947 non è abrogato. L'Italia amministra ma non possiede."
B) The New York Times (6 ottobre 1954)
Titolo: "Italy Gets Trieste, But UN Role Remains"
-“L'Italia ottiene Trieste, ma il ruolo dell'ONU resta”
Sottotitolo:"The transfer of Zone A to Italy does not repeal the UN Security Council's
primary responsibility under Resolution 16. Legal ambiguities persist."
-“Il trasferimento della Zona A all'Italia non abroga la responsabilità primaria del Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite ai sensi della risoluzione 16. Persistono ambiguità giuridiche."
Qualche rara eccezione si trova anche sui giornali italiani:
C) Il Giorno (Milano, 26 ottobre 1954)
Titolo: "Trieste è italiana, ma l'ONU resta garante"
Sottotitolo:"Il Memorandum di Londra non cancella le Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza del 1947. La sovranità piena dovrà attendere un trattato di pace definitivo."
Però successivamente non ci sono stati trattati di pace definitivi ma solo un accordo confinario bilaterale con la Jugoslavia. Il Trattato di Pace del 1947 non è stato mai abrogato o sostituito da un altro del medesimo rango giuridico.
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