DIBATTITO SU QUESTIONI INTERNAZIONALI PER UNA CITTA' INTERNAZIONALE

martedì 31 gennaio 2017

L' INTERVENTO DI STEFANO VISINTIN AL CONVEGNO SUL PORTO DI TRIESTE E LE VIE DELLA SETA - SINTESI





Stefano Visintin, presidente degli Spedizionieri di Trieste, al convegno di ieri, dopo gli interventi degli altri relatori, ha deciso di fare un intervento "a braccio" sulle caratteristiche  del Punto Franco, e ci ha fatto pervenire una sintesi molto utile per la conoscenza del nostro porto, che qui sotto vi proponiamo.

Italia, porto di Trieste e sogno cinese. Le nuove vie della seta”
30.01.2017 Stazione Marittima Trieste
Intervento di Stefano Visintin

Quando posso permettermi una mezz’ora di rigenerazione mi piace andare sulla balconata del Castello di Miramare, meglio se il borino ha reso l’aria tersa. Da lì ho la sensazione del fluire. Fluire del mare che sempre diverso bagna l’estremo nord del Mediterraneo; fluire della storia, che drammaticamente nel secolo scorso ha scavato solchi invalicabili in questa città, il fluire delle civiltà, che da lì si abbracciano in uno sguardo: quella latina dalla laguna di Grado, quella germanica dalle Alpi e quella slava dal Carso, che tutte sembrano confluire nel nostro golfo.
Così come la nostra città è una città di flusso, a volte anche sferzante come la bora, anche il nostro porto è un porto di flusso, così diverso da altri porti adriatici, riparati nei canali o protetti nelle loro lagune.
Un porto ideato come flusso, banchine costruite come unghie della ferrovia sul mare.
Nell’analizzare il progetto globale “belt and road” direttamente sul sito del governo cinese, sfrondato dalla retorica di regime, mi ha colpito soprattutto la mappa. Una mappa che prevede basilarmente due strade, una terrestre e una marittima, dalle quali si diramano strade secondarie e terziarie, in una sorta di rete. Non mi è sfuggita la tecnica reziaria di avvolgimento dell’avversario, che il regno di mezzo intende attuare per catturare la vecchia Europa, camuffata dal concetto “embracing a brighter future together”. Mi ha però soprattutto impressionato la circolarità del flusso, che provocatoriamente non appare nella slide proiettata stasera.
Se i cinesi avessero voluto realizzare solamente una nuova via della seta, avrebbero puntato esclusivamente sulla via terrestre, soprattutto ferroviaria, sicuramente politicamente più stabile e non vincolata dalle sorti del canale di Suez. Ma il progetto non è chiamato “One road”, bensì “one belt one road”. Il concetto di cintura è addirittura al primo posto e prevale anche nella nuova formulazione “belt and road initiative”.
E non a caso! Attualmente le esportazioni dalla Cina all’Europa sopravanzano notevolmente le esportazioni dall’Europa alla Cina. Il flusso di merci che parte dai grandi centri di produzione della Cina interna e raggiunge l’Europa centrale con i treni, non è bilanciato da un flusso di ritorno dall’Europa alla Cina stessa. Ecco perché, pur essendo la performance ferroviaria molto buona in termini di tempo, i costi rimangono ancora molto più elevati in confronto con la spedizione via mare. La mancanza di bilanciamento è un fattore drammatico nel trasporto ferroviario. E’ un fattore che viene in qualche modo mitigato nel trasporto via mare, dal momento che le navi seguono delle rotte che toccano numerosi paesi e quindi possono trovare carico per questi e ridurre quindi le diseconomie di un trasporto vuoto per pieno.
A mio avviso la cintura si chiude idealmente con la congiunzione fra la via della seta terrestre e la via della seta marittima. Le merci che arriveranno in Europa via mare, serviranno a bilanciare almeno parzialmente il rientro dei treni vuoti dall’Europa all’Asia. E la congiunzione fra la via marittima e la via terrestre non può che essere a sua volta il tratto ferroviario più veloce e più capace fra il capolinea marittimo ed il capolinea ferroviario.
I cospicui investimenti previsti dal memorandum d’intesa fra le ferrovie russe e quelle austriache per la realizzazione di un tratto a scartamento misto fra Kosice,Bratislava e Vienna, sembrano far convergere proprio sulla capitale austriaca uno dei buchi della cintura. Il collegamento fra Vienna e Trieste è già ora in grado di sopportare incrementi di traffico e diventerà anche il più veloce con la realizzazione del traforo del Semmering.
Unghie protese verso il mare che grattano via le merci e le portano in flusso.
Il porto di Trieste
Ma basterà questo per rimettere il nostro porto fra i fori di questa cintura ?
Gli auspici della belt and road initiative sono quelli di una riduzione delle barriere doganali fra gli Stati, ma la tendenza sembra proprio quella opposta. Anche senza scomodare il neoimperialismo di Trump, già la vecchia e divisa Europa fa fronte comune contro le importazioni delle materie prime cinesi, attuando delle politiche protezionistiche pesanti (basti pensare all’acciaio per esempio). Il governo cinese chiede che anche in campo doganale ci sia una cooperazione bilaterale e multilaterale per la standardizzazione delle regole doganali e dei controlli, sotto l’egida del WTO. Che vengano promosse le “single windows” doganali al fine di ridurre i costi delle operazioni di importazione ed esportazione. Ma alla fine conclude con la richiesta di creare zone franche di libero scambio, che rimangono ancora una buona soluzione per mitigare le politiche di protezione doganale.
Ecco allora che il regime di porto franco internazionale, assegnato a Trieste dal Trattato di Pace di Parigi ed ereditato dallo Stato italiano quasi come obbligo, può diventare un fattore di vantaggio per noi, essendo unico nell’Unione Europea. Secondo noi così dovrebbe essere valutato dal nostro Paese ed il suo governo dovrebbe approvare immediatamente il decreto interministeriale previsto dalla legge di amministrazione dei porti, che stiamo attendendo ormai da 23 anni !
Valutiamo lo strumento per quello che attualmente è: In sinesi estrema si può dire che il Porto Franco di Trieste è territorio politico dello Stato italiano e dell’Unione Europea, ma è esterno rispetto al territorio doganale dell’Unione Europea. Il porto franco di Trieste è superiore alla zona franca, così come concepita ed ammessa dal codice doganale europeo, ed è quindi fondamentale non confonderlo e non accettare di ridurlo a una zona franca.
Le peculiarità del Porto Franco di Trieste riguardano due regimi:
regime della massima libertà di accesso e transito
regime doganale, derivante dalla sua extraterritorialità
L’Allegato VIII al Trattato di Pace di Parigi configura un regime di libero accesso e di transito a condizioni non discriminatorie
Ne consegue che:
·         navi di qualsiasi bandiera e proprietà possono attraccare al Porto di Trieste, senza discriminazione e senza preferenze.
·         treni di qualsiasi nazionalità, di qualunque vettore ferroviario devono poter accedere al Porto Franco di Trieste ed hanno diritto di essere introdotti senza ritardi e senza preferenzialità in base alla loro nazionalità, provenienza o destinazione. Ne consegue tra l’altro che la manovra ferroviaria debba essere eseguita in modo da non creare tariffe discriminatorie
·         similmente i camion di qualsiasi nazionalità diretti al Porto di Trieste o in partenza dal Porto di Trieste devono poter accedere senza limitazioni. In base a questo principio, i camion di nazionalità non comunitaria in arrivo ed in partenza con le navi traghetto, possono transitare dal Porto di Trieste per gli altri paesi comunitari e viceversa senza bisogno di utilizzare il permesso di transito bilaterale emesso in base agli accordi fra l’Italia e gli altri Stati non comunitari. I camion transitano sul territorio italiano in base ad un permesso particolare emesso dall’Autorità Portuale di Trieste fino al più vicino valico confinario austriaco o sloveno lungo il loro percorso.
Regime doganale del Porto Franco
Trieste è un Porto Franco doganale e questi sono i suoi vantaggi:
Merci in deposito presso magazzini del Porto Franco
Un primo ed immediato beneficio deriva al fatto che le merci possono essere mantenute nel Porto Franco come merci estere:
a) per un tempo indeterminato, fino a quando vengono destinate;
b) senza pagamento di dazi o accise fino al momento dell’eventuale importazione;
c) senza necessità di garantire la Dogana per pari importo del dazio e dell’IVA all’importazione. Questa differenza fondamentale lo caratterizza e lo distingue da qualsiasi altra zona franca o magazzino doganale, non è necessario presentare alla Dogana alcuna dichiarazione fino a quando la merce rimane dentro il Porto Franco e non si devono emettere documenti di transito per il trasferimento dal porto al magazzino doganale.
Il vantaggio è immediato per le merci che sono provenienti da un paese non comunitario e sono destinate ad un altro paese non comunitario o senza una precisa destinazione per le quali non è necessario emettere alcun documento doganale, pagare alcun dazio o diritto d’importazione, né presentare alla Dogana alcuna fidejussione a garanzia del controvalore del dazio e IVA. Nel caso in cui la proprietà delle merci sia ancora del venditore non comunitario, questo mantiene a tutti gli effetti la possibilità di disporne liberamente, fino a poter rispedire la merce senza necessità di alcuna autorizzazione da parte delle autorità doganali. Questo regime doganale è particolarmente favorevole per:
·         Merci in transito da un paese non comunitario ad un altro paese non comunitario
·         Stock di merci a lunga/lunghissima giacenza con elevato valore e per le quali la Comunità Europea ha fissato un dazio all’importazione (per es. borsa metalli, borsa caffè, etc.etc.)
·         Merci in conto vendita di origine non comunitaria, che non hanno ancora una precisa destinazione e che quindi possono essere vendute liberamente in Italia, in un altro paese comunitario o in un paese non comunitario. In quest’ambito si pensi per esempio a merci fatte pervenire per l’esposizione e si compari le norme speciali previste per l’Expo 2015 con le norme vigenti sempre per il porto franco di Trieste.
Anche le merci non comunitarie destinate all’importazione godono di un secondo beneficio del Porto Franco, che dà la possibilità di pagare il dazio e l’IVA all’importazione dopo 180 giorni dalla data dell’importazione ad un tasso passivo d’interesse pari al 50% dell’Euribor a 6 mesi. Questo vantaggio può essere utilizzato anche dagli importatori europei non italiani, che desiderino importare la merce presso il porto di Trieste anziché presso la dogana del proprio Paese. Purtroppo la nostra legge nazionale sull’IVA non ci permette di offrire questo servizio ad importatori comunitari. E’ necessario un intervento politico sul governo italiano per rendere agevole la procedura.
Lavorazioni sulle merci depositate in porto franco
Uno dei principali vantaggi del Porto Franco consiste nella fiscalità delle lavorazioni effettuate sulle merci depositate in porto franco. Un beneficio ben noto ai nostri padri, ma praticamente non utilizzato negli ultimi 30 anni. Ora. Con le nuove disposizioni di servizio introdotte dall’Agenzia delle Dogane si ha finalmente un quadro normativo certo.
Le disposizione di servizio distinguono le lavorazioni industriali in base alla destinazione delle merci:
·         Lavorazioni di prodotti destinati a paesi comunitari (art.52)
·         Lavorazioni di prodotti destinati a paesi non comunitari (art.53)
Se i beni sono destinati a paesi comunitari, la lavorazione viene effettuata sotto vigilanza doganale. Una volta che si sono ottenuti i prodotti finiti questi vengono importati ed il dazio e l’IVA all’importazione vengono calcolati sulle materie prime immesse, in base alla loro origine. Il regime quindi non può essere utilizzato per evitare le politiche di protezione daziaria imposte dall’Unione Europea.
Se i beni sono destinati a paesi non comunitari, le merci lavorate non vengono sottoposte ad alcuna vigilanza doganale e quindi, di fatto, perdono l’origine. Il prodotto ottenuto può essere quindi liberamente rispedito, senza sottostare alle politiche daziarie unionali.
Immaginiamo quale formidabile strumento questo potrebbe nel malaugurato caso in cui ci dovessero essere altre brexit ed i paesi non unionali si dovessero moltiplicare.
Nella corrente situazione possiamo immaginare un’immediata utilità soprattutto per le merci in arrivo dall’Estremo Oriente e destinate in Russia e nei paesi non unionali dell’area.
Ed ecco che la cintura nuovamente si chiude, con la ferrovia tra Vienna e Trieste a fungere da cerniera e le merci che arriverano via mare in flusso dalla Cina verso l’Europa Centrale e Danubiana, ma anche verso la Russia europea, a riequilibrare in modo armonioso il tumultuoso flusso che percorre la via terrestre.

lunedì 30 gennaio 2017

PORTO DI TRIESTE E VIA DELLA SETA: " I PUNTI FRANCHI HANNO GRANDE INTERESSE STRATEGICO" - IL "PORTO FRANCO INTERNAZIONALE" CHIAVE DI VOLTA PER RILANCIARE LO SVILUPPO ECONOMICO E INDUSTRIALE DI TRIESTE E PER CREARE LAVORO VERO - STRAORDINARIO SUCCESSO DELL' INCONTRO DEL LIMES CLUB -

Piccolo e Primorski:


Ha avuto un successo superiore alle migliori aspettative l' incontro di ieri sul Porto di Trieste e le Nuove vie della seta. Grande sala strapiena e moltissime persone in piedi, buona presenza di giovani.
Come ha notato lo stesso Piccolo il punto centrale è stato il vantaggio competitivo che offre a Trieste il "Porto Franco Internazionale" stabilito dall' allegato VIII al trattato di pace del 1947, con i suoi Punti Franchi dove è possibile, in un regime doganale vantaggioso, non solo fare logistica ma ogni tipo di attività produttiva e trasformazione industriale.

E' una svolta dopo che per decenni il Porto Franco era stato non solo messo in ombra ma addirittura denigrato.
Dopo che il Presidente dell' Autorità Portuale D' Agostino aveva sottolineato il vantaggio competitivo offerto dai punti franchi per l' insediamento di attività produttive e la creazione di valore aggiunto e posti di lavoro, Stefano Visintin, presidente degli Spedizionieri, ha citato il caso limite dei Decreti Attuativi per i Punti Franchi di Trieste previsti dalla legge 84 del 1994 e non ancora emanati a 22 anni di distanza, così come l' oscuramento della utilità dello strumento del Punto Franco conseguente ai progetti di urbanizzazione in chiave turistica di Porto Vecchio.


Ma lasciamo parlare il resoconto che ne ha fatto il Piccolo:


Porto di Trieste sulla Via della Seta Caracciolo al convegno di Limes: «La svolta dopo l’ampliamento di Suez. Una sfida da cogliere»‘‘I punti franchi hanno un grande interesse strategico"-
Trieste è in possesso degli strumenti sufficienti per diventare il principale capolinea mediterraneo della nuova Via della seta aperta dal Governo cinese, a incominciare dai suoi Punti franchi che non hanno eguali all’interno dell’Unione europea. È la sostanza dell’incontro “Italia, porto di Trieste e sogno cinese” che si è svolto ieri alla Stazione marittina dinanzi a un pubblico strabocchevole, organizzato da Limes club Trieste in collaborazione con il Centro Veritas e la Libreria Einaudi. L’inquadramento generale è stato fatto da Lucio Caracciolo, direttore di Limes. «Il nuovo piano infrastrutturale e la decisione di aprire nuove Vie della seta - ha spiegato Caracciolo - sono dettati da necessità interne alla Cina e da un’economia in crisi (il Pil cresce di “solo” il 6,5% rispetto al 10% di qualche anno fa) a causa della corruzione presente nelle aziende di Stato e della sovraproduzione. Da qui la necessità di aprire nuovi mercati anche per ridurre la distanze con la Cina più povera collocata soprattutto nella parte a Nord-Ovest, nel tentativo di aprire una globalizzazione mondiale alla cinese. Allo scopo è stata già aperta una Banca dotata di 100 miliardi di dollari assieme a 56 Paesi». Ora Pechino punta al Mediterraneo dopo l’ampliamento di Suez. «Qualche tempo fa i cinesi hanno sondato Taranto - ha riferito Caracciolo - ma il sindaco non li ha nemmeno ricevuti e quando hanno visto lo stato delle infrastrutture hanno corretto il tiro. Le prime carte indicavano Venezia come punto di approdo, ma anche in questo caso si sono resi conti che i progetti di rafforzamento (presumibilmente la piattaforma off shore, ndr,) sono ancora troppo indietro. Dunque anche Venezia è scomparsa dalle carte sulle quali ora appare soltanto il Pireo, porto che i cinesi hanno già acquistato. Sta ora all’Italia - ha concluso il direttore di Limes - decidere cosa offrire loro». A Trieste interessa la sfida? «Se si tratta di diventare un semplice punto di passaggio dei traffici la questione non è molto affascinante - ha risposto Zeno D’Agostino, presidente dell’Autorità di sistema portuale - ma se entra in gioco forte valore aggiunto per il territorio ritengo - ha proseguito - che abbiamo qualche arma in più rispetto agli altri porti dell’Adriatico e italiani in genere perché nei nostri Punti franchi si possono svolgere con una serie di vantaggi attività logistiche, ma anche manifatturiere e industriali in genere». Trattative in questo senso, ha accennato D’Agostino sono in corso non soltanto con player cinesi, ma anche americani, tedeschi, austriaci e altri ancora. «Ai cinesi stiamo spiegando e loro lo stanno comprendendo forse già meglio di noi - ha specificato - che venire a produrre merci a Trieste può portare non solo vantaggi doganali, ma anche l’opportunità di “brandizzare” in modo qualificante i prodotti dei settori in cui l’Italia ha un ruolo importante». «È lo stesso governo cinese - ha aggiunto Roberto Visintin, presidente degli spedizionieri del porto - a invocare una standardizzazione delle procedure doganali lungo tutte le Vie della seta e in attesa che ciò avvenga la costituzione di free zone all’interno dei principali porti. A Trieste oltre alle varie agevolazioni che già esistono nei nostri Punti franchi sono ora possibili anche le lavorazioni industriali». E il nuovo modo di considerare i dati del porto è insito anche nelle ultime note di Trieste marine terminal che gestisce il terminal container: i teu, 449.481, crescono solo dell’1,6%, ma quelli pieni aumentano dell’8,9% e il traffico in import, dopo anni di segno avverso, ha superato le esportazioni. I servizi ferroviari sono aumentati del 26,5% relativamente ai volumi trasportati

domenica 29 gennaio 2017

LUCIO CARACCIOLO A TRIESTE - LUNEDI ORE 18 STAZIONE MARITTIMA - L' INTERVISTA

Sotto il testo dell' intervista pubblicata sul Piccolo di oggi.


Lunedì 30, alle 18 alla Stazione Marittima di Trieste
"Italia, Porto di Trieste e sogno cinese: le nuove vie della seta"
Relatori:
LUCIO CARACCIOLO direttore della rivista di geopolitica Limes
ZENO D’AGOSTINO presidente dell’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale
Interviene:
STEFANO VISINTIN presidente dell’Associazione Spedizionieri del Porto di Trieste.
Modera:
LUCIANO LARIVERA S.I. direttore del Centro Culturale Veritas
In collaborazione con la Libreria Einaudi di Trieste.
INGRESSO LIBERO

L' intervista a Lucio Caracciolo (Piccolo 29/1/17):
«Cina, Usa e Russia nella partita dei Balcani L’Ue tema se stessa» Il direttore di Limes Caracciolo: «Lo scontro tra sistemi economici passa sul piano geopolitico. L’Europa e le nuove “Vie della seta”»
di Mauro Manzin
A Trieste per discutere domani delle “Vie della seta”, alle 18, alla Stazione Marittima, ospite del Limes Club assieme al presidente dell’Autorità portuale, Zeno D’Agostino e al presidente degli spedizionieri, Stefano Visintin, il direttore di Limes, Lucio Caracciolo, traccia il futuro geopolitico e commerciale dell’Europa centro orientale alla luce del bipolarismo Usa-Cina. Tante opportunità, nuovi assetti ma, purtroppo, un’Europa e un’Italia assolutamente impreparate.
Stati Uniti e Cina, la sfida economica e finanziaria del futuro passa anche attraverso l’Europa centro orientale? 
Certamente, in particolare il progetto delle cosiddette “Vie della seta” lanciato dal premier Xi Jinping è un progetto quasi di globalizzazione altrenativa a quella americana.
Una globalizzazione alla cinese dunque? 
Sì, che passa attraverso grandiosi progetti infrastrutturali e non solo che dovrebbero collegare sempre più la Cina, quindi l’Estremo oriente, al mercato europeo. 
Quali sono i parametri europei di questi nuovi tragitti? 
I riferimenti europei di questi tragitti, che sono in parte terrestri, ferroviari essenzialmente, e marittimi sono l’Europa centro orientale e l’Europa sud orientale, in particolare il porto del Pireo.
E per quanto riguarda l’Europa centro orientale?
Per ora si parla solo di vie ferroviarie. Resta però aperta la partita degli sbocchi mediterranei settentrionali, quindi adriatici nel caso specifico e mi pare che ci sia una discreta confusione tra Venezia, Trieste e i porti sloveni e croati. 
Qual è il rischio di questa confusione?
È quello di una riconferma, dal punto di vista italiano, della centralità degli scali del Nord Europa anche se i cinesi preferirebbero trovare uno sbocco qui da noi. 
Tra i due litiganti sulla globalizzazione, ossia Cina e Usa, soprattutto sul quadrante dell’Europa balcanica c’è il terzo incomodo che si chiama Russia... 
La Russia è sicuramente un protagonista sul fronte balcanico e anche su quello adriatico, ma non ha ancora la stazza cinese o americana, quindi in qualche modo giocherà di sponda. Certamente la partita russa dal punto di vista energetico sarà, soprattutto per il futuro, quella di costruire un qualche canale meridionale del commercio di gas verso l’Europa, il famoso South Stream rivisitato. Sembrerebbe che Mosca stia trovando un accordo con la Turchia che porterebbe poi una notevole quantità di gas dalla Russia in Turchia e dalla Turchia all’Europa. 
E questo che cosa significa? 
Significa di fatto riaprire la partita delle rotte balcaniche dove il ruolo della Serbia sarà piuttosto centrale. 
La Cina è molto interessata al mercato europeo. Alibaba, il colosso della vendita on-line, punta su Zara in Croazia per costruire il suo centro di smistamento europeo, potrebbe essere un primo passo di penetrazione? Un segnale importante?
Certo, Alibaba è un colosso ormai all’altezza, se non oltre, i suoi concorrenti americani e, tra l’altro, il capo di Alibaba è in ottimi rapporti con Trump, quindi giocano un po’ su tutti i tavoli. Ho l’impressione che questi progetti di espansione cinese siano una parte rilevante dell’iniziativa delle “Vie della seta” anche perché riguardano le nuove industrie strategiche con anche delle ricadute di tipo culturale. La Cina ha un estremo bisogno di migliorare il suo marchio in Europa e in Occidente e certamente queste sono iniziative che dovrebbero pesare favorevolmente verso il marchio Cina. 
L’Europa deve temere di più la Cina o gli Stati Uniti? 
Dovrebbe avere paura più che altro di se stessa. Quando l’Europa, come in questa fase, è sostanzialmente abbandonata ai suoi istinti primordiali rischia di farsi del male da sola, tende a ritornare a quella che è la sua configurazione classica ovvero quella di scaricare i problemi dei tedeschi sugli italiani e viceversa, ciascuno impegnato a difendere il proprio particolare, quindi per tornare alle “Vie della seta” penso che siano una grande opportunità per l’Europa, non dovrebbero essere viste, almeno in linea di principio, con grande timore da parte americana, se gli americani vi partecipassero sarebbe una cosa più che positiva, dobbiamo però essere all’altezza della sfida. 
Lasciando stare l’Europa noi italiani come siamo messi? 
Siamo molto indietro, non abbiamo spesso nemmeno gli strumenti informativi e quando li abbiamo evidentemente non siamo in grado di attivarli. Sono anni che i cinesi stanno cercando un porto italiano che sia utile alle vie marittime ma noi ancora siamo fermi e nel frattempo è arrivato il Pireo. 
Il sistema portuale italiano, quello sloveno e croato nell’Alto Adriatico, al di là dei proclami di maniera, conserva un altissima litigiosità e quand’anche si riuscisse a operare unito non riuscirebbe a scalfire la preminenza dei porti del Nord Europa... 
Sì, ma dato che da un punto di vista economico se uno si risparmia otto giorni di viaggio, se trovasse uno sbocco ottimale sull’Adriatico non per sostituire Rotterdam o Amburgo ma semplicemente per avere un’alternativa. Come si raddoppia Panama o Suez non vede perché noi dobbiamo auto escluderci. 
Perché ci siamo autoesclusi? 
Perché non siamo un sistema. Dallo sbocco di Suez, per esempio, il porto di Taranto sarebbe l’ideale, ma evidentemente per chi lo amministra e amministra le ferrovie in Italia questo non viene ritenuta una possibilità da concretizzare. 


giovedì 26 gennaio 2017

CINA - USA: LA SFIDA - Nuovo numero di LIMES rivista di geopolitica

CINA - USA: LA SFIDA - Nuovo numero di LIMES rivista di geopolitica - € 15 - 
L’avvento di Donald Trump alla Casa Bianca ha mutato radicalmente i termini del confronto tra i due grandi paesi che si contendono la guida del futuro ordine mondiale.
A Washington siede un presidente la cui retorica incendiaria segnala, almeno a parole, un drastico cambio di paradigma: dal “contenimento soft” di Obama al muro contro muro sulle questioni di primario interesse nazionale, a cominciare dal commercio.
L’Europa – infragilita dalle divisioni interne, orfana delle rassicurazioni americane e oggetto della nuova politica di potenza cinese per tramite delle “nuove vie della seta” – rischia di pagare, più di altri, il prezzo di questa competizione.
L’ampia prima parte – Che cosa vuole Pechino e perché non piace a Washington – analizza forze e debolezze della nuova grandeur cinese perseguita da Xi Jinping e la conseguente reazione statunitense.
Si segnalano qui i contributi di Mu Chunshan (“Geopolitica di Xi Jinping”), You Ji (“Un esercito a misura di Xi”), Zhang Jian e Dong Yifan (“Aiib e vie della seta, due facce della stessa medaglia”), Michele Geraci (“Se vuoi capire la Cina non guardare al pil”), Jacob L. Shapiro (“Gli Stati Uniti controllano già le vie della seta”) e Francesco Sisci (“Perché cinesi e americani non si capiscono”).
La seconda parte – Le vie della seta e noi – si concentra sul grandioso progetto cinese volto a creare stabili assi di collegamento terrestri e marittimi tra Cina ed Europa.
Segnaliamo qui gli articoli di Cobus Van Staden (“Pechino avanza perché noi non sappiamo più osare”), Giorgio Grappi (“Il confucianesimo logistico che cambia il mondo”), He Wenping (“Rotta per Suez”), Giorgio Cuscito (“C’è ancora posto per l’Italia nella Bri?”) e un’intervista all’amministratore delegato di Ferrovie dello Stato Italiane, Renato Mazzoncini (“Corridoi Ten-T e rilancio del Mezzogiorno: l’Italia può cambiare marcia”).
La terza parte – Le vie della seta e l’Asia – valuta l’impatto attuale e potenziale del progetto cinese sul continente asiatico. In questa sede si evidenziano i saggi di Raffaello Pantucci (“Cina e Asia centrale, la dipendenza è reciproca”), Nungyễn Vũ Tùng (“Asean e vie della seta tra dubbi ed entusiasmi”) e Lucio Blanco Pitlo III (“Manila e le sirene cinesi”).
In appendice, La storia in carte a cura di Edoardo Boria.

DISPONIBILE alla LIBRERIA EINAUDI, via Coroneo 1 che collabora alla realizzazione del convegno del 30 GENNAIO.

sabato 21 gennaio 2017

Le alleanze possibili dell’America First di Trump

 Nel discorso inaugurale, il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti conferma il nuovo paradigma: l’interesse nazionale non coincide necessariamente con quello degli alleati storici. Il mutamento strategico lascia aperta la porta a intese tattiche su cui si possono costruire eccellenti fortune politiche.
La cifra cromatica della cerimonia che ha posto Donald J. Trump nel pieno delle sue funzioni presidenziali è il bianco.

Bianchi gli abiti delle sue figlie, ma soprattutto bianca la stragrande maggioranza della platea accorsa a Washington per assistere all'”incoronazione”.

Il contrasto con il caleidoscopico pubblico che il 20 gennaio 2009, e ancora il 20 gennaio 2013, osannava Obama è stridente. E ricorda forse più delle parole quale sia il segmento sociale ed elettorale di riferimento del 45° presidente degli Stati Uniti.

A questa America, al di là della retorica presidenziale, Trump si è esplicitamente rivolto, ricordando le “fabbriche arrugginite” di quella Rust Belt che gli ha consegnato voti e speranze di rinascita.

L’orizzonte di grandi programmi infrastrutturali, l’impegno a “riportare il governo al popolo” giacché da ora “Washington non vi ignorerà più”, la promessa di “farla finita con le parole e tornare a fare” perché “se l’America è unita è praticamente inarrestabile”, erano rivolte soprattutto all’America post-industriale e sfiduciata. Che a questa crasi di New Deal roosveltiano, conservatorismo compassionevole neocon e “Yes we can” obamiano ha risposto con cori da stadio.

Molto più teso il clima in tribuna. Al disprezzo reciproco e malamente dissimulato tra il nuovo presidente e i suoi tre predecessori (Obama, Bush e Clinton), facevano riscontro i ripetuti appelli all’unità nazionale degli interventi istituzionali che hanno preceduto il discorso d’insediamento, abbondanti di richiami ai mali di una “politica divisa”, al “miracolo” del passaggio indolore di potere che l’America rinnova da oltre due secoli, ai grandi precedenti storici di presidenti che, pur su sponde politicamente opposte, hanno saputo agire nel supremo interesse della nazione. Un mantra motivante, più che un’autocelebrazione.

Il discorso di Trump è stato generico nei contenuti (come quasi tutti i discorsi d’insediamento), ma preciso nei destinatari ultimi (la “sua” America) e collaudato nel messaggio.

Il martellante richiamo alla “dottrina” dell’America First e alla necessità di tornare a “governare nell’interesse primario del popolo americano” ha fatto da premessa e contorno al cuore programmatico: protezionismo commerciale, revisione delle alleanze internazionali (qualora il rapporto costi/benefici sia reputato svantaggioso) e ricostruzione materiale delle “decrepite infrastrutture nazionali”.

Si conferma il nuovo paradigma profilatosi all’indomani dal verdetto elettorale.

Non già il perseguimento dell’interesse nazionale, connaturato a ogni amministrazione. Bensì l’idea che oggi tale interesse non coincida più necessariamente con quello degli alleati storici (Europa in testa). Nulla vieta, dunque, che le rispettive priorità collidano.

Il mutamento strategico è radicale, ma non offusca la tattica. Nella lista dei pericoli esterni da cui proteggere l’America, Trump non dimentica di inserire “il terrorismo islamico, che dev’essere cancellato dalla faccia della Terra”. La War on terror, che per la sua vaghezza strategico-concettuale ha dimostrato di prestarsi a interpretazioni assai estensive, non è dunque archiviata.

Anche perché, in un mondo di nazionalismi risorgenti e interessi confliggenti, può essere un utile terreno d’incontro.

Dalla Cina alla Russia, dalla Turchia al Golfo, dall’Africa a un’Europa impaurita e smarrita, sul male assoluto si possono costruire alleanze decenti, per quanto transitorie.

Nonché eccellenti fortune politiche.

venerdì 20 gennaio 2017

EMERGENZA AMBIENTE IN CINA


La pressione sulle risorse naturali della Cina nella carta inedita della settimana.
carta di 
La carta inedita della settimana è sull’emergenza ambientale in Cina.

Insieme al problema dell’inquinamento, di stretta attualità con la cosiddetta airpocalypse di fine dicembre 2016, l’enorme pressione ecologica sul territorio del (poco) Celeste Impero segnala lo squilibrio dello sviluppo economico e mette a rischio la pace sociale, dunque la tenuta del regime.

Ne scrive Fabrizio Maronta sul prossimo numero di Limes, di cui qui anticipiamo un passaggio:

La scala dello sviluppo industriale cinese non ha precedenti. A gennaio 2013 Pechino ha conosciuto il suo primo great smog […] per diversi giorni gli inquinanti nell’aria hanno superato di 40 volte la soglia massima di tollerabilità fissata dall’Organizzazione mondiale della sanità.

Ma le emissioni cinesi sono anche affar nostro: il paese brucia quasi il 45% del carbone consumato nel mondo e dal 1990 la COche emette ogni anno è passata da 2 a 9 miliardi di tonnellate, quasi un terzo del totale globale e circa il doppio degli Stati Uniti. […]

L’acqua è l’altra grande emergenza. La Cina ospita circa il 20% della popolazione mondiale, ma solo il 7% dell’acqua dolce. Siccome il 90% delle riserve se ne va per l’agricoltura (70%) e l’industria (20%, soprattutto quella mineraria), non stupisce che due terzi delle circa 660 città cinesi (compresa la capitale) soffrano di gravi carenze idriche.

L’ex premier Wen Jiabao si è spinto a dire che «la scarsità d’acqua minaccia la sopravvivenza stessa della nazione». Oltre che scarsa, l’acqua è inquinata: un’indagine a tappeto del 2014 ha rilevato che in oltre 60 grandi città l’acqua è «da cattiva a molto cattiva» e oltre il 25% dei grandi fiumi cinesi è giudicato «inadatto al contatto umano».

Come conseguenza, la desertificazione. Secondo il ministero dell’Agricoltura, circa 1,6 milioni di chilometri quadrati di terre cinesi (molte di quelle arabili) sono soggetti a inaridimento, con un impatto diretto su 400 milioni di persone e crescenti problemi di approvvigionamento alimentare.

Il land grabbing, l’accaparramento di terre fertili (soprattutto) in America Latina e Africa, scaturisce anche da qui. […]

Le conseguenze sulla salute pubblica sono pesanti: si stima che l’inquinamento atmosferico provochi 1,2 milioni di morti premature all’anno.”

Inedito a colori di Laura Canali in esclusiva per Limesonline.

mercoledì 18 gennaio 2017

Il documento segreto dell’intelligence europea sul golpe in Turchia


Un rapporto segreto dell’Intcen (centro di analisi dell’intelligence europea) sul fallito colpo di Stato contro Erdoğan è stato mostrato al quotidiano britannico The Times.
Contenuto non rivoluzionario, tempismo del leak non casuale, conseguenze non imprevedibili.
Secondo un documento segreto dell’intelligence europea (Intcen) filtrato alla stampa, il colpo di Stato fallito in Turchia il 15 luglio non è stato organizzato da Fethullah Gülen in persona, per quanto tra i putschisti ci fossero “gulenisti, kemalisti, avversari dell’Akp e opportunisti”.

La consapevolezza di un’imminente purga – poi concretizzatasi – organizzata da Erdoğan per disfarsi del maggiore ostacolo tra lui e la riforma in senso presidenziale della Costituzione (approvata in prima lettura dal parlamento lunedì) avrebbe motivato il tentativo di golpe.

Parte delle Forze armate turche non condivideva l’intervento in Siria e la tolleranza verso i guerriglieri curdi del Pkk, risalente al periodo in cui il processo di pace tra Ankara e il partito di Öcalan era ripreso (2013-15).

L’Intcen è comunque critico verso Gülen (accusato di propagandare dietro un velo di tolleranza un messaggio anti-semita e anti-cristiano), oltre che verso Erdoğan.

Il leak può creare imbarazzo nei rapporti di Bruxelles con la Turchia e in misura minore con gli Usa, che hanno dato rifugio all’imam un tempo sodale del presidente turco.

Il documento è di agosto, ma è arrivato al giornale britannico The Times nel momento in cui Londra (principale sostenitore dell’ingresso di Ankara nell’Ue) è impegnata nel Brexit e nel negoziato sull’unificazione di Cipro – cui partecipa, oltre alla Grecia, anche la Turchia.

IL BREXIT DI MAY La premier britannica Theresa May ha annunciato una "hard Brexit"


La premier britannica Theresa May
 ha spiegato in cosa consiste il suo piano per un clean Brexit, un’uscita “pulita” di Londra dall’Unione Europea: fuori dal mercato unico e dalla giurisdizione della Corte europea di Giustizia (forse anche dall’Unione doganale), stop all’immigrazione illimitata dai paesi comunitari. Il parlamento voterà l’accordo con Bruxelles prima che questo entri in vigore.
Il Brexit immaginato dall’erede di David Cameron è tanto pulito e netto nella teoria quanto vago nei dettagli pratici; inevitabile, dato l’inedito processo almeno biennale di trattative che inizierà con l’invocazione dell’art.50 del Trattato di Lisbona, che Londra ha in programma per marzo.
Particolarmente degno di attenzione/preoccupazione è il futuro dei rapporti economici con i paesi dell’Ue, che da soli assorbono circa la metà del commercio mondiale britannico. Si annuncia una maratona negoziale verso un accordo di libero commercio Uk-Ue dalla quale Londra ha molto più da perdere rispetto alla sua variegata controparte.
I tentativi di coinvolgere i governi di Galles, Irlanda del Nord e Scozia nel processo potrebbero non bastare a tenere unito il Regno Disunito.