Mentre scriviamo è arrivata la notizia che il giudice tedesco ha stabilito di trattenerlo in carcere in attesa della decisione sull' estradizione (QUI), fatto assai duro che conferma le tesi del primo articolo. Eccoli in esclusiva per i nostri lettori.
1) IL MESSAGGIO DI ANGELA [di Niccolò Locatelli]
L’arresto di Carles Puigdemont segna il debutto del nuovo governo della Germania sulla scena internazionale.
L’iter che seguirà la richiesta di estradizione del leader indipendentista catalano a Madrid è nelle mani della magistratura tedesca, indipendente dall’esecutivo, ma la rapidità con cui le forze di polizia di Berlino hanno saputo agire un giorno e mezzo dopo la riattivazione del mandato di cattura internazionale da parte di Madrid non è ascrivibile solo all’efficienza teutonica, altrimenti i ritardi finlandesi e l’inconsapevolezza danese resterebbero inspiegabili.
Angela Merkel voleva lanciare un messaggio dopo il lungo e travagliato negoziato per la formazione del suo quarto governo: i ministri possono cambiare e i socialdemocratici possono aver strappato a Schäuble il dicastero delle Finanze, ma l’agenda continuerà a dettarla la cancelliera.
Arrestando Puigdemont, la Germania fa un favore a Mariano Rajoy, con cui Merkel condivide non solo la famiglia politica continentale (il Partito popolare europeo) ma soprattutto la ricetta di austerità che Berlino ha ideato e il premier spagnolo ha doviziosamente eseguito fino a fare di Madrid l’esempio “di successo” delle riforme post-Grecia – almeno per quanto riguarda la tenuta del sistema bancario e l’uscita dalla recessione; la disoccupazione è la seconda peggiore dell’Ue.
Il messaggio di Merkel è tanto economico quanto geopolitico: il sostegno a Rajoy mal si concilia con gli ambiziosi piani di Macron (eurobond, ministro delle Finanze europeo), già contestati da un fronte guidato da un paese completamente integrato nella sfera d’influenza tedesca come l’Olanda. Al contempo, l’opposizione all’indipendenza della Catalogna riflette la preoccupazione per la solidità dell’Unione Europea, già messa in discussione da Brexit. Berlino non ha intenzione di assistere inerte alla disgregazione del suo pseudoimpero.
L’iter che seguirà la richiesta di estradizione del leader indipendentista catalano a Madrid è nelle mani della magistratura tedesca, indipendente dall’esecutivo, ma la rapidità con cui le forze di polizia di Berlino hanno saputo agire un giorno e mezzo dopo la riattivazione del mandato di cattura internazionale da parte di Madrid non è ascrivibile solo all’efficienza teutonica, altrimenti i ritardi finlandesi e l’inconsapevolezza danese resterebbero inspiegabili.
Angela Merkel voleva lanciare un messaggio dopo il lungo e travagliato negoziato per la formazione del suo quarto governo: i ministri possono cambiare e i socialdemocratici possono aver strappato a Schäuble il dicastero delle Finanze, ma l’agenda continuerà a dettarla la cancelliera.
Arrestando Puigdemont, la Germania fa un favore a Mariano Rajoy, con cui Merkel condivide non solo la famiglia politica continentale (il Partito popolare europeo) ma soprattutto la ricetta di austerità che Berlino ha ideato e il premier spagnolo ha doviziosamente eseguito fino a fare di Madrid l’esempio “di successo” delle riforme post-Grecia – almeno per quanto riguarda la tenuta del sistema bancario e l’uscita dalla recessione; la disoccupazione è la seconda peggiore dell’Ue.
Il messaggio di Merkel è tanto economico quanto geopolitico: il sostegno a Rajoy mal si concilia con gli ambiziosi piani di Macron (eurobond, ministro delle Finanze europeo), già contestati da un fronte guidato da un paese completamente integrato nella sfera d’influenza tedesca come l’Olanda. Al contempo, l’opposizione all’indipendenza della Catalogna riflette la preoccupazione per la solidità dell’Unione Europea, già messa in discussione da Brexit. Berlino non ha intenzione di assistere inerte alla disgregazione del suo pseudoimpero.
2) IL TRIANGOLO BARCELLONA-MADRID-BERLINO [di Steven Forti]
Dopo le elezioni dello scorso 21 dicembre, l’indipendentismo si trovava in un’impasse: incapace di formare un governo e diviso al suo interno tra un settore più pragmatico (Esquerra Republicana de Catalunya e il Partit Demòcrata Europeu Català) che vorrebbe abbandonare la via unilaterale e uno favorevole a continuare lo scontro con Madrid (il nucleo di Puigdemont e la Cup).
Ora si apre una nuova, incerta fase. Molto dipenderà dalla decisione dei giudici tedeschi riguardo l’estradizione dell’ex presidente catalano. Vedremo quanto pesano le buone relazioni tra Angela Merkel e il premier Mariano Rajoy e tra le forze di polizia dei due paesi, che hanno permesso l’arresto di Puigdemont.
Per formare un governo a Barcellona c’è tempo fino al 22 maggio, altrimenti si celebreranno nuove elezioni. Due gli scenari possibili: una radicalizzazione dell’indipendentismo – gli scontri in strada di domenica sono sintomatici in questo senso – che porterebbe a un’ulteriore dura risposta di Madrid; oppure la creazione di un fronte più ampio, aperto anche ai Comuns di Ada Colau e forse ai socialisti, con l’obiettivo di recuperare l’autonomia regionale e aprire un vero dialogo politico con lo Stato spagnolo.
È questo il nodo gordiano di tutta la vicenda: nell’ultimo lustro, la politica ha abdicato al proprio ruolo, delegando ai tribunali la risoluzione di un problema che è essenzialmente politico.
Le responsabilità del premier Mariano Rajoy sono enormi. Ora si raccolgono i frutti di queste decisioni che avranno conseguenze importanti sulle istituzioni democratiche del paese. Ma le responsabilità sono condivise dalla classe dirigente indipendentista, che ha scelto la via unilaterale senza avere con sé la maggioranza della popolazione. Ciò ha portato a tre conseguenze principali: la frattura della società catalana, il risorgere del nazionalismo spagnolo e la perdita dell’autonomia della Catalogna, riconquistata a fatica dopo la fine del franchismo.
La spirale catalana è espressione non solo della crisi del sistema spagnolo, nato dalla transizione democratica alla fine degli anni Settanta, ma di quella più generale delle classi dirigenti e delle forme di rappresentanza politica che stiamo vivendo in Europa negli ultimi anni.