DIBATTITO SU QUESTIONI INTERNAZIONALI PER UNA CITTA' INTERNAZIONALE

lunedì 26 marzo 2018

L' ARRESTO DI PUIGDEMONT E IL MESSAGGIO DI ANGELA - LA CATALONIA E L' EUROPA - DUE ARTICOLI ESCLUSIVI DI LIMESONLINE

Oggi sono usciti sull' edizione on-line di Limes due brevi articoli sull' arresto dell' ex presidente catalano Puigdemont in Germania. Sono interessanti per capire la situazione ed il ruolo della Germania su queste vicende e sull' assetto in divenire dell' Europa (QUI)
Mentre scriviamo è arrivata la notizia che il giudice tedesco ha stabilito di trattenerlo in carcere in attesa della decisione sull' estradizione (QUI), fatto assai duro che conferma le tesi del primo articolo.   
Eccoli in esclusiva per i nostri lettori.

1) IL MESSAGGIO DI ANGELA [di Niccolò Locatelli]
L’arresto di Carles Puigdemont segna il debutto del nuovo governo della Germania sulla scena internazionale.
L’iter che seguirà la richiesta di estradizione del leader indipendentista catalano a Madrid è nelle mani della magistratura tedesca, indipendente dall’esecutivo, ma la rapidità con cui le forze di polizia di Berlino hanno saputo agire un giorno e mezzo dopo la riattivazione del mandato di cattura internazionale da parte di Madrid non è ascrivibile solo all’efficienza teutonica, altrimenti i ritardi finlandesi e l’inconsapevolezza danese resterebbero inspiegabili.
Angela Merkel voleva lanciare un messaggio dopo il lungo e travagliato negoziato per la formazione del suo quarto governo: i ministri possono cambiare e i socialdemocratici possono aver strappato a Schäuble il dicastero delle Finanze, ma l’agenda continuerà a dettarla la cancelliera.
Arrestando Puigdemont, la Germania fa un favore a Mariano Rajoy, con cui Merkel condivide non solo la famiglia politica continentale (il Partito popolare europeo) ma soprattutto la ricetta di austerità che Berlino ha ideato e il premier spagnolo ha doviziosamente eseguito fino a fare di Madrid l’esempio “di successo” delle riforme post-Grecia – almeno per quanto riguarda la tenuta del sistema bancario e l’uscita dalla recessione; la disoccupazione è la seconda peggiore dell’Ue.
Il messaggio di Merkel è tanto economico quanto geopolitico: il sostegno a Rajoy mal si concilia con gli ambiziosi piani di Macron (eurobond, ministro delle Finanze europeo), già contestati da un fronte guidato da un paese completamente integrato nella sfera d’influenza tedesca come l’Olanda. Al contempo, l’opposizione all’indipendenza della Catalogna riflette la preoccupazione per la solidità dell’Unione Europea, già messa in discussione da Brexit. Berlino non ha intenzione di assistere inerte alla disgregazione del suo pseudoimpero.

2) IL TRIANGOLO BARCELLONA-MADRID-BERLINO [di Steven Forti]
L’arresto in Germania dell’ex presidente catalano Carles Puigdemont – al rientro in Belgio (dove si è rifugiato a fine ottobreda una conferenza in Finlandia – e la decisione della magistratura spagnola di incarcerare altri cinque dirigenti indipendentisti, tra cui il candidato presidente Jordi Turull, hanno riacceso la crisi in Catalogna riportandola al centro dell’attenzione internazionale.
Dopo le elezioni dello scorso 21 dicembre, l’indipendentismo si trovava in un’impasse: incapace di formare un governo e diviso al suo interno tra un settore più pragmatico (Esquerra Republicana de Catalunya e il Partit Demòcrata Europeu Català) che vorrebbe abbandonare la via unilaterale e uno favorevole a continuare lo scontro con Madrid (il nucleo di Puigdemont e la Cup).
Ora si apre una nuova, incerta fase. Molto dipenderà dalla decisione dei giudici tedeschi riguardo l’estradizione dell’ex presidente catalano. Vedremo quanto pesano le buone relazioni tra Angela Merkel e il premier Mariano Rajoy e tra le forze di polizia dei due paesi, che hanno permesso l’arresto di Puigdemont.
Per formare un governo a Barcellona c’è tempo fino al 22 maggio, altrimenti si celebreranno nuove elezioni. Due gli scenari possibili: una radicalizzazione dell’indipendentismo – gli scontri in strada di domenica sono sintomatici in questo senso – che porterebbe a un’ulteriore dura risposta di Madrid; oppure la creazione di un fronte più ampio, aperto anche ai Comuns di Ada Colau e forse ai socialisti, con l’obiettivo di recuperare l’autonomia regionale e aprire un vero dialogo politico con lo Stato spagnolo.
È questo il nodo gordiano di tutta la vicenda: nell’ultimo lustro, la politica ha abdicato al proprio ruolo, delegando ai tribunali la risoluzione di un problema che è essenzialmente politico.
Le responsabilità del premier Mariano Rajoy sono enormi. Ora si raccolgono i frutti di queste decisioni che avranno conseguenze importanti sulle istituzioni democratiche del paese. Ma le responsabilità sono condivise dalla classe dirigente indipendentista, che ha scelto la via unilaterale senza avere con sé la maggioranza della popolazione. Ciò ha portato a tre conseguenze principali: la frattura della società catalana, il risorgere del nazionalismo spagnolo e la perdita dell’autonomia della Catalogna, riconquistata a fatica dopo la fine del franchismo.
La spirale catalana è espressione non solo della crisi del sistema spagnolo, nato dalla transizione democratica alla fine degli anni Settanta, ma di quella più generale delle classi dirigenti e delle forme di rappresentanza politica che stiamo vivendo in Europa negli ultimi anni.

DAGLI ASBURGO AI CINESI: Trieste si scopre capolinea della Nuova Via della Seta - Un articolo di Paolo Rumiz su La Repubblica di oggi



Oggi è uscito su Repubblica un articolo di Paolo Rumiz estremamente ottimista, quasi entusiasta, su Trieste come terminal della Nuova Via della Seta e sul nuovo clima che si respira in città. Ogni tanto, e dopo decenni di cupo pessimismo sulle sorti di Trieste, un' iniezione di ottimismo fa bene e aiuta a raggiungere risultati concreti.
Dagli Asburgo ai cinesi -
Trieste si scopre capolinea della Nuova Via della Seta
di Paolo Rumiz
Traffici commerciali via ferrovia quintuplicati in un anno.
Delegazioni cinesi a spasso con valigette 24ore.  Ristoranti affollati da tedeschi, austriaci, canadesi, americani.
Porto in forte ripresa, sindaco sommerso da proposte d’investimento in denaro sonante. E, ancora, russi con
borse piene di dollari e caviale, ungheresi disposti a tutto pur di avere uno sbocco al mare, mega-navi da crociera in cerca
di un terminai alternativo a Venezia.
Questo mentre la città incamera i 600mila metri quadrati del semideserto porto vecchio appena sdemanializzato, e nei bar
discute di se stessa come capolinea della nuova Via della Seta. Ritrovandosi, con un pizzico d’orgoglio, un po’ al centro del mondo dopo decenni di letargo.
Con America, Russia, Cina e persino Turchia incompetizione per Trieste, la città si trova davanti alla seconda grande occasione della sua storia dopo la creazione delporto franco, due secoli fa, su decisione imperial-regia di Vienna.
«Viviamo una serie di fortunate coincidenze», spiega l’ex senatore del Pd Francesco Russoclie, in un blitz memorabile, ha fatto passare qualche tempo fa la legge sullo sblocco dei punti franchi, aggirando un fronte maggioritario di gelosie e immobilismi, e da mesi — in un clima ecumenico inusuale per l’Italia , lavora in tandem con il sindaco di Forza Italia, Roberto
Dipiazza, e l’autorità portuale-
La Bella Addormentata si risveglia. C’è un porto che ha chiuso coi favoritismi gestiti da una cricca e fa fruttare i suoi vantaggi doganali, superiori a quelli di Amburgo in ambito Ue.
C’è l’interesse dei cinesi, che hanno subito reagito all’apertura”triestina” di Gentiloni sulla Via della Seta, e oggi trattano per avere un terminal europeo più centrale di quello — già acquisito  del Pireo.
C’è infine il porto antico restituito alla città, tutto da reinventare: operazione che, se messa a frutto, comporterebbe un investimento fino a cinque miliardi di euro. Al momento, lo spazio più appetibile del Mediterraneo.
Torna il brivido degli anni grandi. Il mercato immobiliare è in ripresa dopo la grande depressione: stranieri danarosi
fanno la fila in Comune per le pratiche di allacciamento utenze. Sandro Beltrame, impresario del settore:«Arrivano tante aziende qualificate con manager che devono sistemami in città. Broker, specie da Vienna, acquistano appartamenti, e puntano sulla bellezza e civiltà del luogo. Gente che non batte ciglio di fronte a nessuna cifra».
Anche le assicurazioni fiutano l’affare. Allianz lavora alla nuova sede, che sarà il palazzo più tecnologico di Trieste, e le
Generali (primo esportatore italiano di vino in Cina) scoprono nel porto franco una nuova frontiera, in campo
logistico, dopo anni di strisciante smobilitazione decisionale in favore del Lombardo-veneto.
Trieste avrà la capacità di sfruttare l’occasione senza farsi travolgere? I cinesi non sono l’impero asburgico. Hanno
colonizzato il porto di Atene reclutando manodopera greca con paghe da terzo mondo, e qui si vorrebbe instaurare con loro
un rapporto più equlibrato. Poi ci sono i russi che hanno pochi scrupoli (vedi l’allarmante caso inglese) a inifitrarsi ovunque e
hanno capito che oggi, per avere uno sbocco al mare, non è più necessaria una guerra e basta affittare un terminal. I turchi,
che hanno già scelto Trieste come capolinea del loro traffico ro-ro con il Centro Europa, ora si riprendono la Bosnia come per ricostruire l’impero ottomano mentre Mosca si è già comprata mezza Dalmazia. Pare il “Grande Gioco” ottocentesco per il
controllo dell’Afghanistan. L’Adriatico scotta. Non è un caso che da un anno l’ex consulente della Casa Bianca Robert Kaplan
lavori sul tema battendo i porti della zona. I risvolti politici non sono secondari.
L’improvvisa effervescenza di Trieste ha spiazzato un po’ tutti, a partire dal vicino porto sloveno di Capodistria, evidenziandone; limiti (nessuna concessione di aree a privati) e le lentezze, soprattutto nel raddoppio dell’unico binario di
collegamento con la Mitteleuropa. Un’onda di proteste si è levata contro il premier di Lubiana, Miro Cerar, portandolo alle dimissioni, con conseguenti nuove elezioni. Unafrenata che rischia di far perdere alla Slovenia il treno dei finanziamenti europei a vantaggio del concorrente italiano.
Nella sua tana con affaccio sulla piazza più bella d’Italia, il sindaco piana come un falchetto su un tavolone in noce dove è
sempre aperta la planimetria di una città in effervescenza. «Sono come drogato — scherza —vivo un bel sogno e ho paura di
sveglianrmi. Ogni minuto si aprono opportunità, sono assediato di proposte». E giù col dito sulla mappa, a indicare un
mondo possibile a filo di mare. Da una marina a un terminai traghetti, da un magazzino a un polo scientifico, da un polo
fieristico a un centro congressi.
«Ora è importante che la burocrazia non blocchi tutto con le sue lentezze, e semmai ci aiuti a non rallentare questa
magnifica rincorsa verso il futuro».
Intanto la città è come se di sindaci ne avesse due. L’altro è il presidente del porto, Zeno D’Agostino, veronese, scelta
indovinata del pd Roberto Cosolini, predecessore di Dipiazza. Il raggio d’azione del,nuovo manager è quasi totale,
allargato al controllo dei punti franchi. Attorno a lui, un pacchetto di mischia trasversale che lavora per Trieste, formato
dalla pd Debora Serracchiani, ex presidente regionale ora in Parlamento, dallo stesso Russo, dal primo cittadino di centro-destra, dal segretario  generale del Comune Santi Terranova e dal direttore del porto Mario Sommariva. «Ci chiamiamo anche all’una di notte per risolvere subito le cose», gioisce il sindaco in preda a frenesia immobiliare.
La gestione precedente del porto, sponsorizzata da una lobby di centrodestra, era stata disastrosa. Congelamento del
piano regolatore, magazzini affittati ad “amici” per cifre irrisorie, cooperative a gestione bulgara, grandi compagnie
marittime tenute a distanza per proteggere i pesci piccoli. «Le cose sono cambiate», spiega Sergio Bologna, consulente
ministeriale per la logistica.
«Con la benedizione del ministro Delrio e della governatrice Serracchiani, è nata un’agenzia che ha regolarizzato il lavoro e si sono abbattuti i costi di manovra per le ferrovie all’interno del porto. Questo ha attirato compagnie e  fatto fruttare i vantaggi della franchigia con operazioni immobifiari intelligenti».
Risultato: aumento esponenziale dei traffici, e il presidente del porto stabilmente in Cina a fare affari.
Il timore, ora, è che la nuova centralità di Trieste ingelosisca i concorrenti italiani e soprattutto la maggioranza
“etnica” friulana della regione che non perdona all’ex governatrice, udinese, di essersi tanto spesa per una città di lingua veneta, minoritaria.
Àttraverso il candidato presidente regionale Max Fedriga, la Lega si è dichiarata a favore della continuità nella gestione portuale, ma una parte di Forza Italia non ha fatto mistero di voler silurare — dopo il voto alle imminenti regionali, —
un presidente del porto che ha avuto il torto dimettersi di traverso rispetto a certe lobby e di far decollare il capoluogo regionale.
Ma c’è un rischio ulteriore: una “gestione spezzatino” del rilancio del porto vecchio e la difficoltà a valutare certe offerte
sapendo che le mafie pagherebbero denaro sonante per fare del porto di Maria Teresa la più grande “lavatrice” del Mediterraneo. Da qui la necessità di non lasciare la partita nelle mani di pochi e avviare al più presto una società
di mgestione di solida competenza tecnica: il sindaco lo sa: la partita non può giocarla da solo.
Ma intanto si lavora, e una vivificante aria nuova è scesa sulla città. La stazione austroungarica di Campo Marzio — collegamento più breve con la Germania — sarà riaperta al traffico turistico dopo mezzo secolo di letargo. Il collegamento ferroviario diretto con l’aeroporto regionale è stato appena inaugurato e un pool di teste pensanti sta già lavorando
al grande appuntamento del 2020, Trieste capitale europea della scienza. E c’è la regata Barcolana, la più grande del
Mediterraneo, che celebra il suo cinquantenario come un nuovo sposalizio di Trieste col mare.




sabato 24 marzo 2018

TRIESTE SULLE NUOVE VIE DELLA SETA: IMPORTANTE INCONTRO ISTITUZIONALE IL 26 MARZO AL PALAZZO DELLA REGIONE CON LA PARTECIPAZIONE DI DIPLOMATICI E IMPRENDITORI CINESI.


E' con grande soddisfazione che verifichiamo il moltiplicarsi delle iniziative volte a inserire Trieste nel grande progetto delle "Nuove Vie della Seta".
A pochi giorni dal nostro incontro sulle "Vie della Seta e la Cultura" cui ha partecipato il dott. Bi Jiangshan Primo Segretario, Capo dell' Ufficio Politico dell' Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese, lunedì 26 saranno nuovamente a Trieste importanti rappresentanti sia dello stato che delle imprese cinesi.
Ecco il comunicato stampa della Regione:



Fvg-Cina: 26/3 a Trieste forum Belt&Road con firma accordo.

Sarà firmato lunedì 26 marzo a Trieste un accordo finalizzato a coinvolgere importanti investimenti cinesi in un progetto di valorizzazione del made in Italy a partire dalle imprese nel settore dell'arredo e sistema casa del Friuli Venezia Giulia. 

La sottoscrizione del documento, da parte di rappresentanti della Repubblica Popolare Cinese e della Regione, avverrà nel corso del Belt and road Forum, meeting inteso a consolidare il ruolo di partner strategico del Friuli Venezia Giulia nelle relazioni economiche Europa-Cina. 

Al forum, organizzato dalla Regione Friuli Venezia Giulia con il Council for the Promotion of International Trade (Ccpit) e la China Chamber of International Commerce (Ccoic), i due enti governativi cinesi per la promozione del commercio e degli scambi internazionali, sono attesi numerosi e importanti soggetti economici italiani e cinesi che saranno impegnati in tavoli di confronto su arredo design ma anche su logistica, agroalimentare, ricerca e innovazione, biomedicale. 
L'evento, realizzato in collaborazione con il Silk Road Business Council, la Fondazione Italia Cina e la Camera di commercio italo-cinese, è uno dei risultati della missione istituzionale della Regione Friuli Venezia Giulia in Cina del dicembre dello scorso anno e sarà un'ulteriore occasione per le imprese del Friuli Venezia Giulia per promuovere e consolidare le relazioni commerciali e gli investimenti con la Cina. 
In un incontro a Pechino la Regione aveva illustrato al vicepresidente del Ccpit e della Ccoic, Yin Zonghua, la proposta di identificare il Friuli Venezia Giulia come sede dell'importante Forum per la collaborazione commerciale, scientifica e culturale nell'ambito della nuova Via della Seta e il progetto era stato subito accolto dai vertici cinesi. 
Lunedì 26, a partire dalle 9.30 nel Salone di rappresentanza del palazzo della Regione, ad introdurre i relatori della sessione plenaria del mattino sono previsti gli interventi istituzionali della Regione Fvg e del Comune di Trieste, del consigliere economico del Sottosegretario di Stato allo sviluppo economico e del ministro consigliere dell'Ambasciata della Repubblica popolare cinese in Italia, Xu Xiaofeng. 
Interverranno anche Gong Wixi, senior coordinator for South-South and Triangular Industrial Cooperation dell'Unido, l'agenzia delle Nazioni Unite per la promozione industriale; Antal Nikoletti, vice segretario generale dell'Iniziativa Centro Europea; Zhang Gang, direttore generale del China Council for the Promotion of International Trade-Italia e il presidente dell'Autorità di Sistema portuale del Mare Adriatico Orientale Zeno D'Agostino. 
Tra le relazioni tematiche sulle nuove opportunità di crescita del commercio, due interventi molto attesi sono quelli di He Yi, presidente del China Council for the promotion of international trade di Chongqing, hub strategico e considerato tra quelli in maggiore espansione in Cina e quello di Tian Feng, general manager della China State Construction Holdings, che approfondirà il tema di possibili sinergie su progetti infrastrutturali. 
Nel pomeriggio, dalle 14, sono previsti un workshop sulle strategie di approccio al mercato cinese e un importante seminario sulle "città intelligenti" organizzato in cooperazione con Unido e l'austriaca Rail Cargo Group. 


Il nostro convegno dell' 8 marzo "Le Vie della Seta e la Cultura": intervento del dott. Bi Jiangshan Primo Segretario, Capo dell' Ufficio Politico dell' Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese a Roma.


sabato 3 marzo 2018

Il discorso di Putin, l’annuncio di Trump, il piano di Xi: il mondo questa settimana


THE WEEKLY TRUMP
Questa settimana lo Stato profondo Usa e il presidente Trump sono tornati a dominare il ciclo delle notizie.
Il primo (inteso come assortimento di Pentagono, Dipartimento di Stato, Cia, Nsa e resto della comunità dell’intelligence) si è ripreso la scena dopo esser stato messo in secondo piano dal dialogo olimpico intercoreano e dalle guerre di Siria.

La notizia di un rapporto dell’Onu sulla collaborazione tra il regime di Assad e quello di Kim Jong-un, ancora inedito ma già recapitato da una mano amica alla redazione del New York Times, non serve tanto ad accusare Damasco e Pyongyang quanto a mettere in guardia i loro rispettivi tutori. Russia e Cina sono considerati avversari ed è il caso che loro – e lo stesso Trump, che su Putin aveva idee diverse – non lo dimentichino.
Come in passato, The Donald ha scelto di avere l’ultima parola prima che il circo mediatico andasse in ferie per il fine settimana. Così, dopo giorni turbolenti per la retrocessione del nullaosta di sicurezza al genero Jared Kushner e le dimissioni della direttrice delle comunicazioni della Casa Bianca Hope Hicks, il presidente giovedì si è superato: ha annunciato un annuncio, che dovrebbe esserci la settimana prossima e dovrebbe riguardare l’innalzamento di dazi sull’importazione di acciaio e alluminio. Il condizionale è d’obbligo visto la contrarietà quasi unanime che la mossa ha già suscitato.
Critica la misura protezionista non solo la Cina, che ne è il principale bersaglio simbolico, visto che l’annuncio è arrivato mentre il principale consigliere economico di Xi Jinping era a Washington. Anche i soci del Nafta, il Giappone, il Brasile e l’Unione Europea sono pronti alla rappresaglia. Soprattutto, si oppongono parlamentari e aziende statunitensi.
La settimana prossima vedremo fino a dove è disposto a spingersi Trump pur di poter rivendicare l’ennesima promessa elettorale mantenuta.

IL DISCORSO DI PUTIN [di Orietta Moscatelli]
Monito e sfida agli Usa e alla Nato, il discorso con cui Vladimir Putin si è lanciato nell’ultimo miglio della campagna verso le imminenti presidenziali è ancora di più un messaggio alla ‘sua nazione’. Una chiamata alle armi e alle urne: i russi devono votarlo il 18 marzo come se fosse una vera gara elettorale e non una scontata vittoria a fronte di altri sette candidati irrilevanti.
La parola chiave dell’intervento davanti alle camere parlamentari riunite è “invincibile”. Vale per i nuovi missili balistici e i vari nuovi prodotti dell’arsenale nucleare russo presentati come la garanzia che “ora ci ascolteranno” in Occidente. E vale per lo stesso Putin, imbattibile leader dopo quasi un ventennio al potere, deciso a restare per almeno altri sei anni – poi si vedrà.
Oltre alla dose di patriottico orgoglio che resta il piatto forte dell’offerta elettorale putiniana, il capo del Cremlino ha promesso di dimezzare la povertà nei prossimi sei anni, di raddoppiare i fondi per le strade regionali, aumentare le risorse per le infrastrutture, costruire nuovi aeroporti e molto altro. Un carrello elettorale per tutte le esigenze, che solo lui può offrire.
Lui, presidente che entra nel suo quarto mandato da “invincibile”, ma cosciente che dal 19 marzo la vera sfida sarà tenere assieme una macchina del potere inevitabilmente proiettata nel “dopo-Putin”. Con il concreto pericolo che le lotte per la successione (già ampiamente in corso) e la voglia di cambiamento che serpeggia nella sconfinata Federazione russa sfocino in turbolenze dall’esito imprevedibile.

È quasi certo che Xi Jinping sarà presidente della Repubblica Popolare anche dopo il 2022. Uno degli emendamenti proposti dal comitato centrale del Partito comunista cinese (Pcc) prevede infatti l’eliminazione del limite di due mandati. Questo cambiamento sarà probabilmente ratificato al Congresso nazionale del popolo, che inizierà il prossimo 5 marzo.
Da tempo si ipotizzava che Xi avrebbe guidato la Cina anche dopo il suo secondo mandato, preservando magari il ruolo di segretario di Partito o di capo delle Forze armate. Del resto, queste due cariche implicano maggiori poteri decisionali rispetto a quella di presidente. Quest’ultima potrebbe subire un rafforzamento in futuro.
Xi potrebbe aver scelto di svolgere almeno un terzo mandato per due ragioni. In primo luogo, preservare i tre ruoli complicherebbe ulteriormente eventuali tentativi di estromissione da parte degli avversari interni al Pcc. In secondo luogo, il cambiamento potrebbe essere dipeso dalla convinzione interna al Partito che solo una leadership solida e guidata da Xi sia in grado di gestire le sfide economiche, sociali e geopolitiche che la Cina deve affrontare per perseguire il cosiddetto “risorgimento della nazione” entro il 2050.

GEOPOLITICA DEL BREXIT [di Federico Petroni]
La settimana del Brexit ha riportato la geopolitica (finalmente) al centro dei negoziati sull’uscita del Regno Unito dall’Ue.
Bruxelles ha pubblicato la propria versione della bozza di accordo sul Brexit per costringere il primo ministro britannico Theresa May ad articolare proposte concrete nel suo discorso di venerdì.
La premier ha risposto sostenendo che Londra non riconoscerà più la giurisdizione della Corte di giustizia europea; vuole un trattato di libero scambio selettivo come quello fra Ue Corea del Sud, non soluzioni onnicomprensive come quelle con Canada e Norvegia; è aperta a discutere, una volta cessata la libera circolazione delle persone, nuove facilitazioni a specifici flussi migratori; vuole restare nelle agenzie continentali per l’aviazione, i medicinali e i prodotti chimici.
Il discorso più spinoso riguarda l’Irlanda del Nord. Nella bozza unilaterale, Bruxelles era giunta alla conclusione che se Londra vuole mantenere poroso il confine fra Eire e Ulster, quest’ultimo resterà nell’unione doganale europea. Di fatto completando, almeno dal punto di vista commerciale, il processo d’unificazione dell’isola d’Irlanda.
May si è barcamenata. Non poteva sottoscrivere la sottrazione di parte del territorio nazionale. Ma non poteva nemmeno ventilare la permanenza del Regno Unito nell’unione doganale, perché ciò tradirebbe uno degli slogan preferiti dei sostenitori del Brexit (“riprendiamo il controllo dei nostri confini”). Invece, sostenendo che l’80% degli scambi fra le due Irlande coinvolgono piccole-medie imprese, ha di fatto suggerito di lasciare il confine così com’è, solo potenziando soluzioni tecnologiche e introducendo procedure semplificate per attori commerciali registrati.
Per capire se la questione nordirlandese si surriscalderà ulteriormente, occorre monitorare la reazione dell’Ue e di Dublino. Qualora la burocrazia brussellese insista sulla lettera dell’unione doganale vorrebbe dire che esiste in alcune cancellerie europee l’intenzione strategica di indebolire il Regno Unito, sottraendo l’Ulster alla sua sfera d’influenza.