DIBATTITO SU QUESTIONI INTERNAZIONALI PER UNA CITTA' INTERNAZIONALE

martedì 30 maggio 2017

La Cina investe in Italia e a Trieste (e in Gibuti) - Un mese sulle nuove vie della seta - la rassegna di LIMES sulle iniziative intorno alla BRI


BOLLETTINO IMPERIALE La rassegna mensile delle notizie geopolitiche più importanti nella cornice della Belt and road initiative.
Il Bollettino Imperiale è l’osservatorio di Limes dedicato all’analisi geopolitica della Cina e alle nuove vie della seta. Grazie al sostegno di TELT. 


GLI INVESTIMENTI CINESI NEI PORTI ITALIANI E IN AUTOSTRADE
Al summit della Belt and road initiative (Bri, su cui vedi la notizia successiva) svoltosi a Pechino il 14 e il 15 maggio ha preso parte il primo ministro italiano Paolo Gentiloni. A margine dell’evento, questi (unico leader del G7 presente all’evento) ha incontrato l’omologo cinese Li Keqiang e Xi, che gli hanno confermato l’interesse a potenziare i porti di Trieste e Genova, ma non è stato specificato quando ciò avverrà. Inoltre, Roma e Pechino hanno concordato la creazione del Sino-Italian co-investment fund, fondo da 100 milioni di euro per sostenere le piccole e medie imprese.
Collocata strategicamente nel cuore del Mar Mediterraneo, l’Italia può svolgere il ruolo di hub di collegamento tra rotta terrestre e marittima, consolidare i rapporti economici con la Cina (l’export italiano in Cina ha registrato un +33,7% nei primi due mesi del 2017) e cogliere le opportunità che emergeranno in altri paesi coinvolti nella Bri (per esempio in Africa e nei Balcani). Gentiloni ha detto che gli scali italiani non sono alternativi al greco Pireo (controllato dai cinesi) e che in ogni caso il traffico delle merci sbarcate lì è un affare anche per l’Italia, poiché Ferrovie dello Stato controlla Trainose, primo operatore ferroviario greco.
Nell’ambito delle relazioni sino-italiane si rilevano altre due novità. La prima è che il Silk road fund ha acquisito il 5% del capitale di Autostrade per l’Italia da Atlantia. L’ennesimo investimento cinese in settori d’interesse strategico italiani è probabilmente volto all’acquisizione del know-how nostrano al fine di migliorare le infrastrutture cinesi lungo la Bri.
La seconda novità è che gli agrumi italiani saranno venduti sul mercato cinese. L’interesse di Pechino per l’agroalimentare dipende da tre fattori interni alla Repubblica popolare: l’aumento del consumo di cibo, la scarsità di terre coltivabili in proporzione alla popolazione e il cambio della dieta cinese.

IL PORTO DI DORALEH IN GIBUTI APRE I BATTENTI
Nel paese africano sul Corno d’Africa è stato inaugurato il porto multiuso di Doraleh, costato 590 milioni di dollari e costruito dalla China state construction engineering corporation. Il nuovo scalo marittimo, estensione nordoccidentale del porto di Gibuti, è grande 690 ettari e potrà gestire 7,08 milioni di tonnellate di merci all’anno.
La repubblica di Gibuti è parte integrante della rotta marittima delle nuove vie della seta. Non solo qui i cinesi hanno di recente costruito la ferrovia lunga 752 chilometri che collega l’omonima capitale del paese ad Addis Abeba in Etiopia, ma stanno anche lavorando alla prima struttura logistica militare cinese all’estero, la quale sarà adiacente al porto di Doraleh. Questa svolgerà il ruolo di supporto alle operazioni cinesi antipirateria nello Stretto di Bab el-Mandeb ma non avrà ruoli operativi. L’accordo con Gibuti (dove sono già presenti le basi di Usa, Giappone e Francia) prevede la presenza militare di al massimo 10 mila unità cinesi fino al 2026 ed evidenzia la necessità percepita da Pechino di proteggere le infrastrutture e i flussi commerciali lungo le nuove vie della seta.

FORUM BRI, LA CELEBRAZIONE DELL’INIZIATIVA A GUIDA CINESE

Il Forum delle nuove vie della seta ha consacrato l’iniziativa infrastrutturale e commerciale a guida cinese, marchio di fabbrica della politica estera del presidente Xi Jinping. Xi ha annunciato che il Silk road fund, creato per finanziare i progetti lungo la Bri, sarà dotato di 14,5 miliardi di dollari in aggiunta ai 40 già a disposizione. La China development bank e la China exim bank svilupperanno invece uno schema di prestito rispettivamente del valore di circa 36 e 19 miliardi di dollari per sostenere la cooperazione nella cornice Bri. Secondo il ministero del Commercio cinese, durante l’evento sono stati firmati più di 80 accordi economici.

Pechino e Islamabad hanno firmato un memorandum d’intesa del valore di 500 milioni di dollari che si aggiungeranno ai 57 miliardi già stanziati per lo sviluppo del corridoio economico Cina-Pakistan. Questo collegherà Kashgar, nell’instabile regione cinese del Xinjiang, al porto pakistano di Gwadar. I ribelli baluci hanno individuato in questo progetto un bersaglio ideale per danneggiare Islamabad. Perciò truppe pakistane e cinesi pattugliano lo scalo marittimo. Il 24 maggio a Quetta, nel Balucistan, due insegnanti cinesi sono stati rapiti.
Dalla prospettiva cinese, il corridoio contribuirebbe a ridurre la dipendenza dalla rotta commerciale passante per lo Stretto di Malacca e il conteso Mar Cinese Meridionale. Pechino rivendica il controllo sul 90% di questo bacino d’acqua, attraverso cui passano la maggior parte delle merci da e per la Repubblica Popolare. Questa strategia è considerata una minaccia dai paesi vicini e dagli Stati Uniti, che fanno del dominio dei mari uno dei loro pilastri geopolitici.

LO SRI LANKA TRA CINA E INDIA
Il governo cingalese ha negato l’attracco a un sottomarino della Repubblica popolare pochi giorni prima di partecipare al forum delle nuove vie della seta. Lo Sri Lanka, situato a pochi chilometri a sud dell’India e al centro dell’Oceano Indiano, è pienamente coinvolto nei progetti infrastrutturali cinesi ma fatica a implementarli. Negli ultimi mesi, unioni mercantili, proprietari terrieri, politici guidati dall’ex presidente Mahinda Rajapaksa e alcuni ministri del governo di coalizione hanno protestato contro la concessione alla Repubblica Popolare di 15 mila acri vicino al porto strategico di Hambantota, in cui cinesi stanno già investendo.
Per allentare la tensione, Colombo vuole che Pechino riduca la sua fetta nel progetto, che prevede anche la costruzione di un parco industriale. Gli investimenti cinesi sono fondamentali per permettere all’economia cingalese di crescere. Lo Sri Lanka deve alla Cina circa 8 miliardi di dollari, più del 12% del suo debito totale. Pechino ha anche offerto al governo cingalese aiuti umanitari per un valore di 2,2 milioni di dollari per fronteggiare le conseguenze dell’alluvione che ha da poco colpito il paese e in cui sono morte ad oggi 180 persone.
Il coinvolgimento di Colombo nella Bri non è gradita dall’India che considera l’iniziativa di Pechino – e la presenza cinese ai suoi confini (Pakistan incluso) – una minaccia alla sua sovranità. La decisione di Colombo di negare l’attracco al sottomarino cinese potrebbe essere dipeso proprio dalla volontà di non complicare i rapporti con Delhi.

lunedì 29 maggio 2017

MERKEL CONTRO TRUMP - Nuovo impulso all' egemonia tedesca in Europa - un articolo di Limes


MERKEL CONTRO TRUMP da LimesOnLine del 29/5/17
Le parole della cancelliera tedesca sulla necessità degli europei di farsi carico del proprio destino.

“I tempi in cui potevamo contare completamente su altri sono in certo senso finiti. L’ho sperimentato negli ultimi giorni. Ora posso solo dire che noi europei dobbiamo davvero prendere il nostro destino nelle nostre mani, ovviamente in amicizia con gli Stati Uniti, con la Gran Bretagna e intrattenendo i migliori rapporti possibili con i vicini, anche con la Russia. Ma dobbiamo realizzare l’obbligo di combattere da soli per il nostro futuro, per il nostro destino di europei”.
Non è tanto Donald Trump il destinatario delle parole di Angela Merkel a Monaco di Baviera. O di quelle del ministro degli Esteri Sigmar Gabriel, secondo cui The Donald ha “indebolito l’Occidente” e mette a rischio la pace in Europa.
Gli attacchi del presidente Usa al libero scambio, agli accordi sul clima di Parigi, alla Nato e alla Germania stessa hanno certo fornito il casus belli alla cancelliera cristianodemocratica tedesca e al suo ministro degli esteri socialdemocratico (entrambi in campagna elettorale in vista del voto di settembre). Tuttavia, le ragioni che la spingono a ufficializzare l’esortazione agli europei a stringersi – implicitamente attorno a Berlino – prescindono dall’ascesa di Trump alla Casa Bianca.
La Germania ha necessità di tenere ancorata a sé una parte dell’Ue per provare a salvare l’Europa di cui è guida involontaria e da cui trae ampi benefici. Il punto è quale. Quella che più le è affine (fra austerità e dintorni), quella che fa parte della propria filiera produttiva o dell’Eurozona o quella con cui sta rafforzando la cooperazione militare? A definire questo progetto geopolitico si dedicherà Berlino nei prossimi tempi, provando a smorzare l’impatto del Brexit e a trovare un modus vivendi con la Russia.
Tale obiettivo cozza però con l’imperativo strategico degli Stati Uniti di impedire il consolidamento di un blocco egemonico sul Vecchio continente, come ha scritto Dario Fabbri nel numero del mese di Limes:
Alle prese con un’area di netta impronta germanica al centro del continente, gli Stati Uniti interverrebbero direttamente e surrettiziamente per insidiare il progetto berlinese. Colpendo l’export teutonico e quello dei territori associati (Italia del Nord compresa), attraverso dazi e misure contro la manipolazione di moneta e riducendo la cooperazione militare con la Kerneuropa. Con il sostegno soprattutto di baltici, polacchi e romeni, che avversano ogni compromesso tra Mosca e Berlino.
Le avvisaglie di una campagna antitedesca sono già palesi. Nelle scorse settimane l’amministrazione Trump si è scagliata contro la politica monetaria perseguita da Francoforte, accusando la Bce di indebolire scientificamente l’euro, e contro le esportazioni tedesche e italiane. […] Proposito ampiamente condiviso dagli apparati Usa che ne apprezzano la dimensione strumentale […].
Viceversa Berlino prova a ergersi a paladina del libero commercio e della società aperta in funzione antiamericana, dotandosi della narrazione necessaria a una battaglia di lungo periodo. Con Volker Kauder, capogruppo dei cristiano-democratici al Bundestag, che promette di rispondere con misure analoghe alle tariffe proposte da Trump e la Merkel che difende la globalizzazione «contro ogni volontà di chiuderci in noi stessi».

DOPO IL G7 E LO SCONTRO CON TRUMP LA MERKEL PUNTA A PRENDERSI L' EUROPA - Due articoli del Corriere della Sera

Due articoli dal Corriere della Sera del 29 maggio 2017

1 - «NON POSSIAMO CONTARE SULL' AMERICA» MERKEL LANCIA IL SUO PIANO PER L' EUROPA
Danilo Taino per il “Corriere della Sera

Dopo il G7 di Taormina e il confronto con Donald Trump, Angela Merkel ha annunciato ieri la svolta. Sua ma che interessa tutta la Ue e oltre. L' Europa è da sola e deve prendere in mano il proprio futuro, ha detto. E ha messo Stati Uniti e Gran Bretagna sullo stesso piano di altri vicini, precisamente la Russia. Non ci si può affidare a essi.
presa di distanza da quell' atlantismo che ha caratterizzato la Germania praticamente per tutto il Dopoguerra. Un cambio di paradigma che non è improvviso: anzi, è pronto dal giorno dell' elezione di Emmanuel Macron in Francia.

E ha già un programma che prenderà corpo nei prossimi mesi.
La cancelliera parlava a Monaco, in campagna elettorale, sotto un tendone tra boccali di birra. «I tempi in cui potevamo contare pienamente su altri sono in una certa misura finiti, come ho sperimentato nei giorni scorsi - ha detto -. Noi europei dobbiamo veramente prendere il nostro destino nelle nostre mani». Di più: «Naturalmente dobbiamo avere relazioni amichevoli con gli Stati Uniti e il Regno Unito e con altri vicini, inclusa la Russia». Ciò nonostante, «dobbiamo essere noi stessi a combattere per il nostro futuro». Poi ha definito l' Unione Europea «un tesoro» e ha citato Macron.

In questi termini, Merkel non si era mai espressa. L' irritazione nei confronti di Trump a Taormina e per l' attacco del presidente americano alla Germania e alle sue esportazioni di auto sono state le occasioni che probabilmente aspettava per mettere in pubblico la svolta, che non è ancora una piena dottrina dell' Europa nel mondo disordinato ma è un primo passo.

Succede che dopo le elezioni francesi - evitata la vittoria di Marine Le Pen - la cancelliera ha valutato che si potevano e si dovevano affrontare Trump e la Brexit in modo netto. Ha indurito parole e atti con Londra. Ha accolto a braccia aperte Macron per rafforzare la relazione tra Berlino e Parigi. Ha esplicitato una serie di nuovi obiettivi europei, su migranti, difesa ed economia, nuovi per il suo governo. E ieri ha annunciato la presa di distanza dagli anglosassoni: una constatazione della nuova realtà che però mette l' intera Ue di fronte alle sue forze e alle sue debolezze, probabilmente convinta che Trump sia incapace di dividere gli europei e che Theresa May possa essere controllata.

Le linee di programma sulle quali Merkel intende condurre il rilancio di Ue ed eurozona, anticipate a puntate nei giorni precedenti, sono state riassunte ieri dalla Frankfurter Al lgemeine am Sontag (Fas) . Sui migranti, stabilizzare la Libia, perché per fare un accordo tipo quello firmato dalla Ue con la Turchia occorrono uno Stato e un governo a Tripoli. Sulla Difesa, più investimenti; integrazione tra pezzi di eserciti, come sta già succedendo con la Bundeswehr che ha incorporato due brigate olandesi e ne sta incorporando una rumena e una ceca, e aperture a Francia e a Polonia.

Sull' economia, un bilancio comune e un ministro delle Finanze dell' eurozona; da finanziare o con tasse (sulle transazioni finanziarie e con prelievi sulle Iva nazionali) o con la possibilità di emettere bond dell' eurozona, qualcosa di diverso dagli Eurobond ma non si sa ancora in che senso.

Il tutto da raggiungere o con accordi tra Paesi o addirittura modificando i trattati europei, strada non breve e non facile. Le misure economiche saranno presentate dai ministri delle Finanze tedesco e francese, Wolfgang Schäuble e Bruno Le Maire, in luglio a un vertice tra i governi di Berlino e Parigi. La Fas sostiene che saranno meglio accettate in Germania se prenderà piede l' idea che il prossimo presidente della Bce, al posto di Mario Draghi dal novembre 2019, sia il tedesco Jens Weidmann. Merkel all' attacco, un cambio di stagione di grande portata.


2 - TUTTI I NUMERI DI UNO SCONTRO (CHE CI RIGUARDA)
Federico Fubini per il “Corriere della Sera

Su un punto Donald Trump e Angela Merkel si sono trovati d' accordo alla fine del vertice delle sette grandi economie avanzate a Taormina: non era il caso di parlare oltre. Per la prima volta da quando esiste il G7, un presidente Usa e un cancelliere tedesco se ne sono andati entrambi senza accettare domande in pubblico.

Ciò che avevano già detto era già abbastanza. Durante la cena dell' Alleanza atlantica a Bruxelles giovedì sera Trump aveva descritto «i tedeschi» così: «Sono pessimi. Guardate quanti milioni di auto ci vendono negli Stati Uniti. È tremendo. Fermeremo questa storia».
A Taormina Merkel ha definito la polemica «fuori luogo» e si è limitata a sottolineare come la qualità dei prodotti tedeschi li renda ricercati all' estero.

Poi però ieri, rientrata in Germania, ha avuto qualcosa da aggiungere: «I tempi in cui potevamo contare pienamente su altri sono finiti, come ho potuto toccare con mano negli ultimi giorni - ha detto -. Noi europei dobbiamo davvero prendere il destino nelle nostre mani».

Merkel dunque non dimenticherà. E il fatto stesso che la polemica si sia consumata a Taormina rimanda simbolicamente agli italiani una verità scomoda: comunque vada a finire, sarà decisiva anche per noi. Lo sarà sia che prevalga lo status quo, sia che davvero Trump riesca a gettare sabbia negli ingranaggi degli scambi fra le economie avanzate.


Chiunque governi in Italia nei prossimi mesi, dovrà chiedersi da che parte sta. E se non è possibile farlo sulla base dei valori, in Paese profondamente diviso, allora diventa inevitabile scegliere una posizione sulla base dei fatturati e degli interessi. Questi dicono che l' Italia oggi sta con la Germania, quali che siano i giudizi dei singoli su Merkel e le idee diverse di Roma e Berlino sul futuro dell' euro. Sulla base delle realtà commerciali di questa fase, l' interesse italiano nei confronti degli Stati Uniti è molto simile all' interesse tedesco.

E ogni passo indietro del made in Germany nel primo mercato del mondo rischierebbe di diventare presto un passo indietro anche per il made in Italy .
La dinamica dell' export di beni verso gli Stati Uniti segnala che la seconda economia manifatturiera d' Europa potrebbe addirittura avere qualcosa in più da perdere della prima, se gli scambi internazionali rallentassero. Dal 2010 al 2016 l' export di beni italiani in America è cresciuto del 59% in dollari correnti, secondo lo US Census Bureau: un' accelerazione superiore a quella della Germania (39%) e di altre grandi economie manifatturiere. Anche il surplus commerciale bilaterale dell' Italia con gli Stati Uniti è simile a quello tedesco, proporzione alle dimensioni dei due Paesi: arriva all' 1,8% del reddito nazionale tedesco a all' 1,5% di quello italiano.
Naturalmente i volumi restano diversi. L' anno scorso il made in Germany ha fatturato negli Stati Uniti beni per 114 miliardi di dollari, contro acquisti tedeschi di prodotti industriali americani per soli 49 miliardi. Il made in Italy ha venduto per 45 miliardi, mentre gli italiani hanno comprato beni manufatti statunitensi per appena 16. Si tratta in ogni caso di dimensioni sistemiche: l' America ormai è il secondo mercato per l' export italiano dopo la Germania e la sua quota di mercato in quel Paese è molto simile a quelle di Francia e Gran Bretagna.

In altri termini, il governo di Roma potenzialmente è esposto alle stesse accuse di Donald Trump che hanno già coinvolto Angela Merkel. Lo è a maggior ragione perché l' Italia e la Germania sono le due sole grandi economie a non aver aumentato gli ordini di beni americani dopo la Grande recessione. Con un dettaglio in più: l' export di componenti auto made in Italy vale oggi oltre dieci miliardi di euro l' anno ed è diretto soprattutto ai grandi marchi di Stoccarda e della Baviera, che poi rivendono molto negli Usa.

Dunque è inutile chiedersi per chi suona la campana, se e quando davvero Trump riuscirà a intralciare il commercio tedesco: essa suona (anche) per noi.

sabato 27 maggio 2017

LE REGISTRAZIONI VIDEO DELL' INCONTRO "IL FUTURO ECONOMICO DI TRIESTE" organizzato dal Limes Club Trieste al Centro Veritas il 25 maggio 2017



Ringraziamo FAQ TRIESTE, il blog specializzato in portualità, che ha effettuato e messo in rete le registrazioni del nostro incontro del 25 maggio sul "Futuro Economico di Trieste" che qui riproponiamo per i nostri lettori.

INTRODUZIONE DI LUCIANO LARIVERA,direttore del Ventro Veritas, moderatore



MARIO SOMMARIVA, Segretario Generale dell' Autorità Portuale di Trieste



STEFANO VISINTIN Presidente Associazione Spedizionieri




DIEGO BRAVAR Vicepresidente Confindustra Venezia Giulia



PAOLO DEGANUTTI autore dei due articoli su Trieste sull' ultimo numero di Limes



GLI INTERVENTI DEL MODERATORE, I SECONDI INTERVENTI DEI RELATORI E QUELLI DAL PUBBLICO:
















INTERVENTO FINALE DEL MODERATORE








venerdì 26 maggio 2017

LA FORMAZIONE DI UN EUROPA A GUIDA TEDESCA - Carta inedita su un tema presentato al nostro incontro sul FUTURO ECONOMICO DI TRIESTE


La Carta inedita presentata questa settimana da Limes On Line illustra un tema introdotto al  nostro convegno sul FUTURO ECONOMICO DI TRIESTE  dall' ultimo relatore (clicca QUI).

E' evidente come l' inserimento di Trieste e del suo Porto Franco Internazionale, che lavora al 90% con l' Europa centrale e orientale, all' interno della catena di valore tedesca abbia conseguenze sia economiche che geopolitiche.


Presentiamo ai nostri lettori l' articolo e la carta che sono disponibili in rete solo agli abbonati.



Geuropa divide l’Italia?
carta di 


La carta inedita della settimana è dedicata alla formazione di un’Europa a guida tedesca e alle sue conseguenze sul destino dell’Italia.



Nei prossimi anni la Germania potrebbe formalizzare nel cuore dell’Europa la propria sfera d’influenza ristretta a quei satelliti regionali che partecipano alla sua catena del valore. Questa sfera, qui indicata con il nome di Geuropa, potrebbe avvalersi di una nuova moneta, il Neuro (inteso come “euro del Nord”), e preparare Berlino alla sfida con gli Stati Uniti.

Il puntellamento dell’Europa germanizzata è per Berlino, in continua oscillazione tra il ruolo di perno continentale e la chiusura nello Stato nazionale, un dilemma più vivo che mai.

La realizzazione di un’Europa a più velocità per rinsaldare la casa comunitaria, nonostante le falle strutturali, diverrebbe in concreto l’accorpamento in un organo geopolitico di quei paesi che compongono il sistema produttivo tedesco e l’area culturale della mitteleuropa.

Parafrasando le parole dello scrittore boemo Milan Kundera, quella mitteleuropa che non è Stato, ma che da cultura si fa destino, i cui confini immaginari mutano e vengono ridisegnati, a seconda della necessità storica, in soggetto geopolitico.

Geuropa come evoluzione di quella Kerneuropa esplicitata già nel 1994 dai cristiano-democratici Wolfgang Schäuble e Karl Lamers.

Austria, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo, Danimarca, Repubblica Ceca e Slovacchia verrebbero tutti integrati in Geuropa.

Integrazione che provocherebbe conseguenze anche lungo i confini esterni. Sul fronte sud-orientale si creerebbe, infatti, una faglia in funzione antiturca, il cui principale obiettivo sarà quello di impedire l’influenza di Ankara sui Balcani e tra le comunità di immigrati anatolici.

A beneficiare di ciò sarà il rapporto con la Russia, direzionato verso un duplice obiettivo: da una parte rendere mansueta la Polonia, dall’altra impedire una possibile intesa tra Mosca e Parigi.

La Francia resta l’unica incognita in questa divaricazione dello spazio teutonico. Parigi sarà costretta a decidere se fungere da gregario di Berlino in Geuropa o se porsi a capo della restante Europa, che rimarrebbe comunque a forte influenza tedesca.

A uscirne spaccata sarebbe invece l’Italia. L’Italia del Nord, caratterizzata da un alto livello di sviluppo manifatturiero, tende infatti alla mitteleuropa per inerzia economica e risulta industrialmente inserita nella filiera produttiva tedesca. L’integrazione a Geuropa ridurrebbe inoltre il rischio che la nostra economia possa destabilizzare fino a far implodere l’intero sistema comunitario.

L’adesione a Geuropa di quella porzione di territorio a nord dell’ex linea gotica rischierebbe di divaricare ancor di più la forbice tra Nord e Sud del paese (in qualche modo specchio di quella tra Italia e resto d’Europa).

Sancendo una spaccatura a quel punto sia formale che sostanziale: il Settentrione produttivo a definire il limes germanico e il Meridione “cicala” aggregato a una macroregione mediterranea.

Testo di Lorenzo Noto.


L' intervento al convegno sul futuro dell' economia che propone verso la fine alcune tematiche geopolitiche



giovedì 25 maggio 2017

L' INCONTRO DEL LIMES CLUB SUL FUTURO ECONOMICO DI TRIESTE: LE PRIME REAZIONI SUI MEDIA - Fondamentale l' industria compatibile con la tutela dell' ambiente e della salute di cittadini e lavoratori -


C' è stata una numerosa e vivace partecipazione all' incontro di ieri sul futuro dell' economia triestina.
Appena possibile metteremo in rete la registrazione integrale.
Il Piccolo ha pubblicato oggi in apertura della cronaca locale l' articolo che riportiamo sotto.
E' evidente ed è stato più volte ribadito da tutti gli interventi che l' attività industriale deve essere compatibile con la tutela dell' ambiente e della salute dei cittadini e dei lavoratori.


«La città non può fare a meno dell’industria»
Convegno al Centro Veritas sul futuro economico della città. Gli altri pilastri: porto, ricerca e turismo
di Silvio Maranzana

La crescita consistente del porto e del turismo non basta: il futuro economico di Trieste non può prescindere dall’industria.
È il dato concorde uscito dal convegno organizzato ieri sera dal Centro Veritas e condotto dal suo direttore Luciano Larivera.
Fin dall’inizio ha incanalato il dibattito su questa strada il segretario dell’Autorità di sistema portuale Mario Sommariva, che dopo aver identificato in industria, porto, ricerca e turismo i quattro pilastri della città, stavolta ha acceso un piccolo faro su quello che è uno dei pochissimi dati in negativo dello scalo: le rinfuse solide. «Calano - ha spiegato - perché sono in calo i trasporti alla banchina della Ferriera. Ma i grandi territori non possono vivere senza industria. La prima scommessa della città in questo settore è coniugare l’industria con forti investimenti migliorativi sul fronte ambientale. È questo che si sta facendo, eppure la Ferriera ha di fronte una politica di forte ostilità e non ci si rende conto che uno scenario diverso ci metterebbe di fronte a un’altra Aquila».
«Nuove lavorazioni industriali - ha sottolineato Stefano Visintin, presidente dell’Associazione degli spedizionieri del porto - potranno avvenire in aree di Punto franco anche distanti dal mare, appunto in zona industriale. Il nostro regime di aree franche ci consente già le agevolazioni doganali, dobbiamo puntare ora su quelle fiscali: nessuna regione può averne diritto più del Friuli Venezia Giulia che confina con Slovenia e Austria, dove la tassazione estremamente più bassa che in Italia». Ma altre imprese possono trovare spazio anche in Porto vecchio, nella fattispecie quelle più innovative. Lo ha rilevato Diego Bravar, vicepresidente Confindustria Fvg. «Lo stesso traffico delle merci potrà essere incrementato - ha spiegato - grazie allo sviluppo delle tecnologie favorito da imprese innovative. Trieste è già ben attrezzata, ma manca l’ultimo miglio - ha ammonito - quello dove ricercatori e imprenditori si mettono assieme e procedono uniti». Si può chiudere il cerchio, secondo Bravar, costituendo un comitato che si impegni a far diventare Trieste capitale europea della scienza 2020.
 «C’è qualcosa che non va se a Trieste l’industria porta solo il 9% del Pil» ha chiuso gli interventi Paolo Deganutti, collaboratore di Limes dai cui articoli ha preso spunto l’incontro. E sottolineando come sia finita l’epoca in cui parlare di Porto franco a Trieste era ritenuto sconveniente, ha affermato che «la stessa Bers (Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo) che la governatrice Serracchiani vedrebbe bene in Porto vecchio è una sorta di riedizione dell’offshore di cui si parlava negli anni Novanta». Ha infine sintetizzato la ricetta per il definitivo rilancio di Trieste: «portualità, collegamenti ferroviari, Punto franco per insediare industrie 4.0, no tax area, Autorità di sistema portuale nel ruolo di catalizzatore e regolatore del territorio, turismo congressuale e culturale». 



mercoledì 24 maggio 2017

TRUMP DAL PAPA - Una nota di Limes On Line


Ecco la nota odierna di LimesOnLine:

TRUMP DAL PAPA [di Dario Fabbri]
Trump considera l’incontro avuto con papa Francesco un successo.
Al di là del prestigio che un tale vertice bilaterale conferisce, il presidente statunitense ha voluto fortemente incontrare il pontefice per due ragioni principali.
Anzitutto, per corroborare le proprie credenziali di difensore dei cristiani nel mondo, nel tentativo di dotarsi di una narrazione universalistica diversa da quella tipicamente imperiale degli Stati Uniti, incentrata sulla tutela dei diritti umani e sull’esportazione della democrazia. Quindi, tuttora convinto della necessità di un’apertura alla Russia, Trump ha insistito per conoscere un pontefice che nel corso degli anni s’è mostrato ben disposto nei confronti di Putin e che, a differenza dei suoi ultimi predecessori, intende allontanare la Chiesa da posizioni puramente occidentalistiche.
Francesco ha certamente ricordato la distanza che lo separa dal suo interlocutore in materia di migranti e ambiente, peraltro scegliendo di esprimersi esclusivamente in castigliano. Ma l’obiettivo di Trump era il summit in sé, non il suo contenuto. Per questo è ripartito da Roma alquanto soddisfatto.

mercoledì 17 maggio 2017

Incontro IL FUTURO ECONOMICO DI TRIESTE in occasione dell' uscita del nuovo numero di Limes - GIOVEDI' 25 MAGGIO ORE 18 , CENTRO VERITAS, via Monte Cengio 2/1 Trieste


L' ultimo numero di Limes, il 4 del 2017, contiene due articoli che riguardano il Porto di Trieste come volano economico del territorio, di cui uno è un’intervista a Zeno D’Agostino, Presidente dell' Autorità Portuale.
Questa circostanza ci offre l' opportunità di organizzare un incontro su
IL FUTURO ECONOMICO DI TRIESTE
GIOVEDI’ 25 maggio, ore 18 
presso il CENTRO VERITAS via Monte Cengio 2/1a 

una conversazione allargata con
MARIO SOMMARIVA segretario generale Autorità Sistema Portuale Mare Adriatico Orientale
STEFANO VISINTIN presidente Associazione Spedizionieri ASPT -ASTRA
DIEGO BRAVAR vicepresidente Confindustria Friuli Venezia Giulia
PAOLO DEGANUTTI autore degli articoli di Limes sul Porto di Trieste
introduce LUCIANO LARIVERA S.I. direttore Centro Culturale Veritas

L' ULTIMO NUMERO DI LIMES E' DISPONIBILE ALLA
LIBRERIA EINAUDI, VIA CORONEO 1, TRIESTE

lunedì 15 maggio 2017

LA "NUOVA VIA DELLA SETA" (BRI) VISTA DALLA CINA - LA VIA PER TORNARE AD ESSERE IL NUMERO UNO AL MONDO - Articolo di Mu Chunshan pubblicato su LimesOnLine


La Bri è una strategia senza precedenti, che molto deve alla personalità di Xi Jinping, il Cesare dei nostri tempi. Gli stranieri devono abituarsi alla nostra estroversione economica e geopolitica. La cautela della propaganda di Pechino e i rischi delle imprese cinesi.
di Mu Chunshan

Se fossi un europeo e vedessi un paese presentare un programma di sviluppo economico che unisse l’Europa, il Medio Oriente, l’Asia, l’Africa e addirittura l’America del Sud, ne sarei anch’io enormemente sorpreso. Un progetto economico di tale portata, incentrato su uno specifico paese e che annuncia di voler portare beneficio a tutto il mondo, non si è mai visto nella storia. Un programma di questo genere non può essere realizzato solo grazie alle idee e al coraggio, ma necessita anche di un’ingente quantità di denaro. Nulla del genere è mai stato concepito dagli americani e nemmeno dai sovietici. Non è stato proposto neppure dalla Cina di Mao Zedong o di Deng Xiaoping. Solo dopo l’ascesa al potere di Xi Jinping, nel 2013, questo piano, oggi chiamato Belt and Road Initiative (Bri), è entrato in scena.

Diventare il Numero Uno al mondo entro il 2049
Nel maggio 2013, appena due mesi dopo essersi insediato alla presidenza della Repubblica Popolare, Xi Jinping ha proposto in Kazakistan la costruzione della cintura economica della nuova via della seta. A settembre, mentre partecipava alla conferenza dell’Asean in Indonesia, Xi ha poi suggerito l’istituzione della via della seta marittima del XXI secolo. Nel dicembre 2014 ha istituito il Fondo Via della seta, mentre a marzo 2015 il governo cinese ha formalmente pubblicato la guida operativa per la Bri. Da quel momento il programma Bri brilla come la stella più luminosa e il parametro distintivo della strategia internazionale della Cina.
Chi ha familiarità con la storia europea dovrebbe conoscere i precedenti della nuova via della seta. Oltre duemila anni fa, la Cina di epoca Han raggiungeva l’impero romano attraverso questa strada, che passava per il Xinjiang, l’Asia centrale, l’Iran e il Medio Oriente, sviluppando i commerci di seta, porcellana e foglie da tè con gli europei dell’epoca. Narra una leggenda cinese che Giulio Cesare apparve un giorno a teatro indossando uno splendido abito di seta. La sua veste divenne oggetto degli sguardi ammirati dei presenti, che arrivarono perfino a dimenticarsi dello spettacolo. Il termine latino Seres potrebbe inoltre avere a che fare con il nome stesso della Cina. Anche la via della seta marittima cominciò a delinearsi per la prima volta oltre duemila anni fa, sempre durante la dinastia Han, conoscendo ulteriori sviluppi subito dopo, in epoca Tang. La rotta seguita dalle navi mercantili cinesi solcava il Mar Cinese Meridionale, per raggiungere l’India; di lì i mercanti indiani trasportavano la seta e le porcellane cinesi fino all’Europa, passando per l’Egitto. Si può pertanto affermare che la Cina sia stata il punto di partenza di entrambe le vie della seta, l’antica e l’attuale, con l’Europa come punto d’arrivo. Questa è almeno la concezione coltivata da noi cinesi.
La proposta della Bri lanciata da Xi Jinping rappresenta un ampliamento di tale concezione bimillenaria del popolo cinese, in quanto non si focalizza solo sulla Cina e sull’Europa, ma pone particolare attenzione sulle zone intermedie della via. Ciò si evince ad esempio dalla scelta dei due paesi dove è stata presentata la Bri, carica di significato simbolico: il Kazakistan, grande nazione dell’Asia centrale, e l’Indonesia, grande nazione dell’Asia sud-orientale. Questo significa che l’idea fondamentale della Bri è di collegarsi tramite robusti rapporti economici con queste due macroregioni e altre zone limitrofe alla Cina.
Forse gli studiosi di relazioni internazionali avranno notato che un mese dopo il lancio della Bri il Partito comunista cinese ha convocato un forum di dialogo diplomatico con i paesi limitrofi, il primo di questo genere. Oltre a sette membri del Comitato permanente del Partito comunista cinese, hanno partecipato al forum inviati speciali provenienti da ogni provincia, esponenti dell’esercito, delle aziende di Stato, della finanza, insieme ad ambasciatori ed esperti. Questa è la migliore testimonianza della stretta connessione tra Bri e strategia geopolitica della Cina verso i vicini.
Tra le ragioni per cui la Cina attribuisce tanta importanza alla Bri, una riguarda sicuramente la previsione di un futuro di sempre maggiore tensione nelle aree circostanti: lo testimoniano i mutamenti politici in corso in Myanmar, le dispute sul Mar Cinese Meridionale e sul Mar Cinese Orientale, la questione della bomba atomica nordcoreanail contenzioso indo-pakistanola minaccia terroristica in Asia centrale e in Occidente eccetera. Attraverso la Bri, la Cina rafforzerà la collaborazione economica con i paesi limitrofi, occupando allo stesso tempo una posizione vantaggiosa in ambito geopolitico e in termini di sicurezza.
Inoltre, il governo cinese è convinto che i prossimi trent’anni rappresenteranno un periodo di opportunità strategiche per lo sviluppo economico del paese. Al termine di tale ciclo la Cina sarà la prima potenza economica e geopolitica al mondo. A patto che non sia afflitta da disordini interni e che le aree circostanti non siano interessate da conflitti particolarmente rilevanti. Questa visione è implicita nel concetto di «sogno cinese» proposto da Xi Jinping, che prevede di portare a compimento la «grande rinascita del popolo cinese» in concomitanza con il centesimo anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese (2049). «Rinascita» significa ripristinare il rango internazionale della Cina nelle epoche Han e Tang. Proprio come quelle due dinastie rappresentarono il periodo di maggiore prosperità della via della seta, così la Bri è destinata a diventare uno dei vettori di realizzazione del «sogno cinese».

Come realizzare la Bri?
Xi Jinping è una personalità simile a Giulio Cesare, il condottiero dell’antica Roma: possiede sia idealismo che senso pratico, è aperto di vedute, ma è anche risoluto. Solo un politico di questo genere, animato da grande ambizione, può avere il coraggio di ideare una strategia che nessuno prima di lui aveva proposto, difficile già solo da immaginare. Per questo motivo la Bri diventerà il marchio distintivo dell’èra Xi, la sua eredità geopolitica e diplomatica.
Gli stranieri non possono comprendere l’insistenza con cui Xi Jinping e il suo gruppo dirigente puntano sulla Bri. Se consideriamo le sfide geopolitiche e diplomatiche che la Cina deve affrontare, le diverse opinioni, anche critiche, che il mondo esterno nutre nei confronti della nuova via della seta appaiono abbastanza naturali. Pechino ne è consapevole e agisce con cautela nel processo di attuazione.
Molti analisti stranieri si concentrano sulla componente geopolitica della Bri. In realtà, il punto di partenza della nostra strategia è principalmente economico. Ciò significa che i soggetti principali deputati a realizzarla sono le aziende e non il governo, ancor meno i diplomatici. Decisivi sono gli imprenditori. Le aziende si faranno carico di ogni concreto progetto, che dovrà poi essere dichiarato dall’autorità nazionale specifica nell’ambito Bri e ricevere quindi dal governo l’assistenza diplomatica necessaria. Ad esempio, il corridoio economico sino-pakistano, costruito dalla Cina in Pakistan, può essere ritenuto il primo progetto Bri. Gli enti che lo hanno realizzato sono la China Communications & Construction Company e la China Railway Group. Tale corridoio, basato su autostrade, ferrovie e altre infrastrutture fondamentali, coinvolge la collaborazione tra i due paesi. Motivo per cui Pechino e Islamabad stanno cooperando strettamente nell’ambito economico, politico e per l’acquisizione dei territori eccetera. Per questa ragione i cinesi considerano la Bri reciprocamente vantaggiosa, utile sia al business estero delle aziende cinesi sia al miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni dei paesi interessati, dei quali promuoverà lo sviluppo economico. Per questo la propaganda cinese insiste sul fatto che la Bri non è un progetto neocolonialista, come lo furono quelli praticati dalle potenze occidentali nei paesi in via di sviluppo.
Al fine di prevenire le critiche dei media occidentali, lanciando la Bri nel 2013-14 la Cina ha scelto di utilizzare il termine «proposta» per descriverlo, evitando di usare la parola «strategia». Alcuni esperti cinesi avevano ritenuto che battezzare la Bri come «strategia» le avrebbe conferito un aspetto eccessivamente geopolitico, provocando problemi non necessari. «Proposta» è termine più facilmente accettabile, in quanto implica lo scambio e il dialogo con altri soggetti. Tuttavia, con il tempo anche i media cinesi hanno iniziato a utilizzare il termine «strategia» per riferirsi al progetto. Questa definizione è stata universalmente accettata sul piano internazionale, anche se in vari paesi persistono dubbi sul reale intento della Cina.
La nuova via della seta viene denominata «strategia» perché essa non riguarda solo una proiezione verso l’estero, ma anche uno sviluppo interno, assumendo così dimensioni colossali. La Bri punta ad esempio ad accelerare lo sviluppo della Cina occidentale e a promuovere la trasformazione economica della costa orientale, arrivando a includere le remote zone della Cina nord-orientale a ridosso della Russia. È evidente che si tratta di una grande strategia di sviluppo economico che coinvolge tutto il paese. Tramite la Bri, l’economia cinese potrà scrollarsi di dosso i problemi arrecati da trent’anni di crescita accelerata. Per esempio esportando la sua capacità produttiva in eccesso grazie ai progetti infrastrutturali sviluppati all’estero – questo aspetto probabilmente è stato poco osservato dagli studiosi stranieri. È stato inoltre istituito dal governo cinese l’Ufficio Bri, subordinato al Comitato per le riforme e lo sviluppo, al fine di guidare l’approccio di ogni provincia al progetto comune. Ciascuna provincia della Cina dispone quindi di una sua struttura di competenza incaricata di coordinare e attuare il progetto Bri a livello locale.

Rischi e sfide
Naturalmente ciò cui gli stranieri, europei inclusi, sono più interessati è lo sviluppo esterno della Bri, che comporta rischi e sfide non irrilevanti. Il problema principale è che gli stranieri non capiscono il progetto, sollevano dubbi e talvolta esprimono addirittura ostilità. Per almeno un secolo la società internazionale si è abituata a una Cina introversa. Ciò ha prodotto una sorta di inerzia cognitiva. Si è stabilita nel tempo l’idea che la Cina dovesse agire esclusivamente entro i limiti prestabiliti del suo spazio geografico. Così limitandosi a nascondere il proprio potenziale e a stare a guardare, mantenendo alto il morale. Questo non è più accettabile.
In molti paesi, sia nelle élite che fra la gente comune si stenta a comprendere che la Cina sta cambiando perché sempre più estroversa e che la Bri rappresenta il marchio di questo mutamento. È chiaro che un tale cambiamento, uno sviluppo così rapido della potenza cinese, è difficile da accettare. E che quindi sorgano dubbi e critiche sul senso della Bri.
Prendiamo ad esempio l’India. Nonostante sia un fondamentale paese obiettivo della Bri, quando la Cina ha proposto il corridoio economico Cina-Myanmar-Bangladesh-India, durante i numerosi incontri tra la parte cinese e il premier Modi quest’ultimo si è mostrato molto cauto nei confronti di tale progetto. Atteggiamento ben diverso dall’entusiasmo dimostrato dal Pakistan nel sostenere il corridoio economico sino-pakistano. Modi ha invece sostenuto che anche l’India possiede una propria strategia per il rafforzamento dei contatti e degli scambi nell’Asia meridionale. Dichiarazione che è stata letta dai media indiani come rifiuto ad acconsentire che la Cina influenzi le iniziative dell’India in Asia meridionale. Se l’India, importante vicino della Cina, cova ancora queste diffidenze nei confronti della Bri, si possono immaginare quali e quante preoccupazioni e ostilità nutrano alcuni paesi occidentali al riguardo.
La seconda sfida alla Bri proviene dal fatto che essa attraversa paesi e zone difficili, in preda ai disordini o al caos. La Bri, come un tempo la storica via della seta, deve percorrere ripidi sentieri, entrando in contatto con paesi piccoli, paesi poveri o in rivolta. Questo comporta la necessità di non sottovalutare i rischi che la nuova via della seta potrebbe affrontare inoltrandosi in aree instabili.
Ad esempio, per poter giungere in Europa la Bri dovrà attraversare il Medio Oriente. Regione cruciale, indipendentemente dal fatto di essere stata parte dell’antica via della seta o di trovarsi al centro dell’attuale strategia della Bri. Iran, Arabia Saudita, Israele sono tutti importanti paesi obiettivo. Tuttavia le loro relazioni sono estremamente complesse, in continua contesa per l’egemonia nella regione. Tutto ciò implica serie difficoltà sia per gli investimenti cinesi che seguiranno la strategia della Bri sia per la sicurezza degli stessi cittadini cinesi che lavoreranno a quei progetti. Certo, anche la costruzione da parte cinese del porto pakistano di Gwadar, affacciato sull’Oceano Indiano, comportava molte incognite. Ma nel Medio Oriente i rischi per la sicurezza dei lavoratori cinesi sono particolarmente intensi e meritano quindi una revisione dettagliata delle strategie in corso.
La terza sfida alla realizzazione della Bri proviene dalla Cina stessa. L’essenza di questa strategia è la globalizzazione delle imprese cinesi. Questo richiede uno sforzo di adattamento da parte delle aziende partecipanti. Indubbiamente le imprese cinesi che operano all’estero, oltre alle funzioni economiche contribuiscono anche a modellare l’immagine della Cina nel mondo e a estenderne gli interessi Oltreoceano. Se tali aziende, per qualsiasi ragione, producessero contraccolpi negativi nei paesi dove operano, la strategia della Bri ne risulterebbe danneggiata. E si fornirebbero pretesti ai media e alle istituzioni straniere, comprese le ong, che fin dall’inizio hanno nutrito sospetti sul carattere e sul senso dello sviluppo della potenza cinese.
Anche il popolo cinese pone le sue domande. La Bri è una strategia di grande respiro internazionale, che non coinvolge solo il continente eurasiatico, ma arriva anche a comprendere l’Africa e il Sudamerica, dunque comporta la fuoriuscita di ingenti capitali cinesi. Di qui alcuni interrogativi decisivi. Come spendere questi soldi? La Bri peserà sulle spalle dei contribuenti? I progetti sono stati sottoposti a una rigorosa indagine e a uno studio pratico? Una volta realizzati i progetti è plausibile aspettarsi un ritorno rapido e vantaggioso? Come evitare i rischi calcolabili e incalcolabili? Tutti punti che necessitano ulteriori riflessioni.
Infine, l’ultimo rischio, non per ordine di importanza. La Cina non dispone di una forza capace di tutelare i suoi concittadini che operano all’estero. Nel momento in cui un grande progetto ingegneristico finisse nel mirino dei terroristi o di altri soggetti minacciosi, le vite dei cittadini cinesi e gli interessi del paese si troverebbero in grave pericolo. È chiaro che tale questione sollecita senz’altro nuove valutazioni circa la tutela della sicurezza dei cinesi all’estero e lo sviluppo delle nostre Forze armate.
Nonostante le numerose sfide, il carattere di Xi Jinping e le strategie della Cina impongono alla Bri di andare avanti, senza retrocedere. Già due anni dopo il lancio di questa strategia l’ammontare degli investimenti cinesi all’estero aveva superato quello degli investimenti stranieri in Cina. Nel 2015 la Cina è divenuta per la prima volta esportatrice netta di capitale. Un grande punto di svolta nello sviluppo nazionale, nonché un risultato inevitabile della Bri. In futuro gli stranieri avranno modo di scorgere la sagoma di molte più imprese e aziende cinesi di quante ne vedano adesso. E magari diverranno i nostri vicini.
(traduzione di Giulia Falato)