La Bri è una strategia senza precedenti, che molto deve alla personalità di Xi Jinping, il Cesare dei nostri tempi. Gli stranieri devono abituarsi alla nostra estroversione economica e geopolitica. La cautela della propaganda di Pechino e i rischi delle imprese cinesi.
di Mu Chunshan
Se fossi un europeo e vedessi un paese presentare un programma di sviluppo economico che unisse l’Europa, il Medio Oriente, l’Asia, l’Africa e addirittura l’America del Sud, ne sarei anch’io enormemente sorpreso. Un progetto economico di tale portata, incentrato su uno specifico paese e che annuncia di voler portare beneficio a tutto il mondo, non si è mai visto nella storia. Un programma di questo genere non può essere realizzato solo grazie alle idee e al coraggio, ma necessita anche di un’ingente quantità di denaro. Nulla del genere è mai stato concepito dagli americani e nemmeno dai sovietici. Non è stato proposto neppure dalla Cina di Mao Zedong o di Deng Xiaoping. Solo dopo l’ascesa al potere di Xi Jinping, nel 2013, questo piano, oggi chiamato Belt and Road Initiative (Bri), è entrato in scena.
Diventare il Numero Uno al mondo entro il 2049
Nel maggio 2013, appena due mesi dopo essersi insediato alla presidenza della Repubblica Popolare, Xi Jinping ha proposto in Kazakistan la costruzione della cintura economica della nuova via della seta. A settembre, mentre partecipava alla conferenza dell’Asean in Indonesia, Xi ha poi suggerito l’istituzione della via della seta marittima del XXI secolo. Nel dicembre 2014 ha istituito il Fondo Via della seta, mentre a marzo 2015 il governo cinese ha formalmente pubblicato la guida operativa per la Bri. Da quel momento il programma Bri brilla come la stella più luminosa e il parametro distintivo della strategia internazionale della Cina.
Chi ha familiarità con la storia europea dovrebbe conoscere i precedenti della nuova via della seta. Oltre duemila anni fa, la Cina di epoca Han raggiungeva l’impero romano attraverso questa strada, che passava per il Xinjiang, l’Asia centrale, l’Iran e il Medio Oriente, sviluppando i commerci di seta, porcellana e foglie da tè con gli europei dell’epoca. Narra una leggenda cinese che Giulio Cesare apparve un giorno a teatro indossando uno splendido abito di seta. La sua veste divenne oggetto degli sguardi ammirati dei presenti, che arrivarono perfino a dimenticarsi dello spettacolo. Il termine latino Seres potrebbe inoltre avere a che fare con il nome stesso della Cina. Anche la via della seta marittima cominciò a delinearsi per la prima volta oltre duemila anni fa, sempre durante la dinastia Han, conoscendo ulteriori sviluppi subito dopo, in epoca Tang. La rotta seguita dalle navi mercantili cinesi solcava il Mar Cinese Meridionale, per raggiungere l’India; di lì i mercanti indiani trasportavano la seta e le porcellane cinesi fino all’Europa, passando per l’Egitto. Si può pertanto affermare che la Cina sia stata il punto di partenza di entrambe le vie della seta, l’antica e l’attuale, con l’Europa come punto d’arrivo. Questa è almeno la concezione coltivata da noi cinesi.
La proposta della Bri lanciata da Xi Jinping rappresenta un ampliamento di tale concezione bimillenaria del popolo cinese, in quanto non si focalizza solo sulla Cina e sull’Europa, ma pone particolare attenzione sulle zone intermedie della via. Ciò si evince ad esempio dalla scelta dei due paesi dove è stata presentata la Bri, carica di significato simbolico: il Kazakistan, grande nazione dell’Asia centrale, e l’Indonesia, grande nazione dell’Asia sud-orientale. Questo significa che l’idea fondamentale della Bri è di collegarsi tramite robusti rapporti economici con queste due macroregioni e altre zone limitrofe alla Cina.
Forse gli studiosi di relazioni internazionali avranno notato che un mese dopo il lancio della Bri il Partito comunista cinese ha convocato un forum di dialogo diplomatico con i paesi limitrofi, il primo di questo genere. Oltre a sette membri del Comitato permanente del Partito comunista cinese, hanno partecipato al forum inviati speciali provenienti da ogni provincia, esponenti dell’esercito, delle aziende di Stato, della finanza, insieme ad ambasciatori ed esperti. Questa è la migliore testimonianza della stretta connessione tra Bri e strategia geopolitica della Cina verso i vicini.
Tra le ragioni per cui la Cina attribuisce tanta importanza alla Bri, una riguarda sicuramente la previsione di un futuro di sempre maggiore tensione nelle aree circostanti: lo testimoniano i mutamenti politici in corso in Myanmar, le dispute sul Mar Cinese Meridionale e sul Mar Cinese Orientale, la questione della bomba atomica nordcoreana, il contenzioso indo-pakistano, la minaccia terroristica in Asia centrale e in Occidente eccetera. Attraverso la Bri, la Cina rafforzerà la collaborazione economica con i paesi limitrofi, occupando allo stesso tempo una posizione vantaggiosa in ambito geopolitico e in termini di sicurezza.
Inoltre, il governo cinese è convinto che i prossimi trent’anni rappresenteranno un periodo di opportunità strategiche per lo sviluppo economico del paese. Al termine di tale ciclo la Cina sarà la prima potenza economica e geopolitica al mondo. A patto che non sia afflitta da disordini interni e che le aree circostanti non siano interessate da conflitti particolarmente rilevanti. Questa visione è implicita nel concetto di «sogno cinese» proposto da Xi Jinping, che prevede di portare a compimento la «grande rinascita del popolo cinese» in concomitanza con il centesimo anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese (2049). «Rinascita» significa ripristinare il rango internazionale della Cina nelle epoche Han e Tang. Proprio come quelle due dinastie rappresentarono il periodo di maggiore prosperità della via della seta, così la Bri è destinata a diventare uno dei vettori di realizzazione del «sogno cinese».
Come realizzare la Bri?
Xi Jinping è una personalità simile a Giulio Cesare, il condottiero dell’antica Roma: possiede sia idealismo che senso pratico, è aperto di vedute, ma è anche risoluto. Solo un politico di questo genere, animato da grande ambizione, può avere il coraggio di ideare una strategia che nessuno prima di lui aveva proposto, difficile già solo da immaginare. Per questo motivo la Bri diventerà il marchio distintivo dell’èra Xi, la sua eredità geopolitica e diplomatica.
Gli stranieri non possono comprendere l’insistenza con cui Xi Jinping e il suo gruppo dirigente puntano sulla Bri. Se consideriamo le sfide geopolitiche e diplomatiche che la Cina deve affrontare, le diverse opinioni, anche critiche, che il mondo esterno nutre nei confronti della nuova via della seta appaiono abbastanza naturali. Pechino ne è consapevole e agisce con cautela nel processo di attuazione.
Molti analisti stranieri si concentrano sulla componente geopolitica della Bri. In realtà, il punto di partenza della nostra strategia è principalmente economico. Ciò significa che i soggetti principali deputati a realizzarla sono le aziende e non il governo, ancor meno i diplomatici. Decisivi sono gli imprenditori. Le aziende si faranno carico di ogni concreto progetto, che dovrà poi essere dichiarato dall’autorità nazionale specifica nell’ambito Bri e ricevere quindi dal governo l’assistenza diplomatica necessaria. Ad esempio, il corridoio economico sino-pakistano, costruito dalla Cina in Pakistan, può essere ritenuto il primo progetto Bri. Gli enti che lo hanno realizzato sono la China Communications & Construction Company e la China Railway Group. Tale corridoio, basato su autostrade, ferrovie e altre infrastrutture fondamentali, coinvolge la collaborazione tra i due paesi. Motivo per cui Pechino e Islamabad stanno cooperando strettamente nell’ambito economico, politico e per l’acquisizione dei territori eccetera. Per questa ragione i cinesi considerano la Bri reciprocamente vantaggiosa, utile sia al business estero delle aziende cinesi sia al miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni dei paesi interessati, dei quali promuoverà lo sviluppo economico. Per questo la propaganda cinese insiste sul fatto che la Bri non è un progetto neocolonialista, come lo furono quelli praticati dalle potenze occidentali nei paesi in via di sviluppo.
Al fine di prevenire le critiche dei media occidentali, lanciando la Bri nel 2013-14 la Cina ha scelto di utilizzare il termine «proposta» per descriverlo, evitando di usare la parola «strategia». Alcuni esperti cinesi avevano ritenuto che battezzare la Bri come «strategia» le avrebbe conferito un aspetto eccessivamente geopolitico, provocando problemi non necessari. «Proposta» è termine più facilmente accettabile, in quanto implica lo scambio e il dialogo con altri soggetti. Tuttavia, con il tempo anche i media cinesi hanno iniziato a utilizzare il termine «strategia» per riferirsi al progetto. Questa definizione è stata universalmente accettata sul piano internazionale, anche se in vari paesi persistono dubbi sul reale intento della Cina.
La nuova via della seta viene denominata «strategia» perché essa non riguarda solo una proiezione verso l’estero, ma anche uno sviluppo interno, assumendo così dimensioni colossali. La Bri punta ad esempio ad accelerare lo sviluppo della Cina occidentale e a promuovere la trasformazione economica della costa orientale, arrivando a includere le remote zone della Cina nord-orientale a ridosso della Russia. È evidente che si tratta di una grande strategia di sviluppo economico che coinvolge tutto il paese. Tramite la Bri, l’economia cinese potrà scrollarsi di dosso i problemi arrecati da trent’anni di crescita accelerata. Per esempio esportando la sua capacità produttiva in eccesso grazie ai progetti infrastrutturali sviluppati all’estero – questo aspetto probabilmente è stato poco osservato dagli studiosi stranieri. È stato inoltre istituito dal governo cinese l’Ufficio Bri, subordinato al Comitato per le riforme e lo sviluppo, al fine di guidare l’approccio di ogni provincia al progetto comune. Ciascuna provincia della Cina dispone quindi di una sua struttura di competenza incaricata di coordinare e attuare il progetto Bri a livello locale.
Rischi e sfide
Naturalmente ciò cui gli stranieri, europei inclusi, sono più interessati è lo sviluppo esterno della Bri, che comporta rischi e sfide non irrilevanti. Il problema principale è che gli stranieri non capiscono il progetto, sollevano dubbi e talvolta esprimono addirittura ostilità. Per almeno un secolo la società internazionale si è abituata a una Cina introversa. Ciò ha prodotto una sorta di inerzia cognitiva. Si è stabilita nel tempo l’idea che la Cina dovesse agire esclusivamente entro i limiti prestabiliti del suo spazio geografico. Così limitandosi a nascondere il proprio potenziale e a stare a guardare, mantenendo alto il morale. Questo non è più accettabile.
In molti paesi, sia nelle élite che fra la gente comune si stenta a comprendere che la Cina sta cambiando perché sempre più estroversa e che la Bri rappresenta il marchio di questo mutamento. È chiaro che un tale cambiamento, uno sviluppo così rapido della potenza cinese, è difficile da accettare. E che quindi sorgano dubbi e critiche sul senso della Bri.
Prendiamo ad esempio l’India. Nonostante sia un fondamentale paese obiettivo della Bri, quando la Cina ha proposto il corridoio economico Cina-Myanmar-Bangladesh-India, durante i numerosi incontri tra la parte cinese e il premier Modi quest’ultimo si è mostrato molto cauto nei confronti di tale progetto. Atteggiamento ben diverso dall’entusiasmo dimostrato dal Pakistan nel sostenere il corridoio economico sino-pakistano. Modi ha invece sostenuto che anche l’India possiede una propria strategia per il rafforzamento dei contatti e degli scambi nell’Asia meridionale. Dichiarazione che è stata letta dai media indiani come rifiuto ad acconsentire che la Cina influenzi le iniziative dell’India in Asia meridionale. Se l’India, importante vicino della Cina, cova ancora queste diffidenze nei confronti della Bri, si possono immaginare quali e quante preoccupazioni e ostilità nutrano alcuni paesi occidentali al riguardo.
La seconda sfida alla Bri proviene dal fatto che essa attraversa paesi e zone difficili, in preda ai disordini o al caos. La Bri, come un tempo la storica via della seta, deve percorrere ripidi sentieri, entrando in contatto con paesi piccoli, paesi poveri o in rivolta. Questo comporta la necessità di non sottovalutare i rischi che la nuova via della seta potrebbe affrontare inoltrandosi in aree instabili.
Ad esempio, per poter giungere in Europa la Bri dovrà attraversare il Medio Oriente. Regione cruciale, indipendentemente dal fatto di essere stata parte dell’antica via della seta o di trovarsi al centro dell’attuale strategia della Bri. Iran, Arabia Saudita, Israele sono tutti importanti paesi obiettivo. Tuttavia le loro relazioni sono estremamente complesse, in continua contesa per l’egemonia nella regione. Tutto ciò implica serie difficoltà sia per gli investimenti cinesi che seguiranno la strategia della Bri sia per la sicurezza degli stessi cittadini cinesi che lavoreranno a quei progetti. Certo, anche la costruzione da parte cinese del porto pakistano di Gwadar, affacciato sull’Oceano Indiano, comportava molte incognite. Ma nel Medio Oriente i rischi per la sicurezza dei lavoratori cinesi sono particolarmente intensi e meritano quindi una revisione dettagliata delle strategie in corso.
La terza sfida alla realizzazione della Bri proviene dalla Cina stessa. L’essenza di questa strategia è la globalizzazione delle imprese cinesi. Questo richiede uno sforzo di adattamento da parte delle aziende partecipanti. Indubbiamente le imprese cinesi che operano all’estero, oltre alle funzioni economiche contribuiscono anche a modellare l’immagine della Cina nel mondo e a estenderne gli interessi Oltreoceano. Se tali aziende, per qualsiasi ragione, producessero contraccolpi negativi nei paesi dove operano, la strategia della Bri ne risulterebbe danneggiata. E si fornirebbero pretesti ai media e alle istituzioni straniere, comprese le ong, che fin dall’inizio hanno nutrito sospetti sul carattere e sul senso dello sviluppo della potenza cinese.
Anche il popolo cinese pone le sue domande. La Bri è una strategia di grande respiro internazionale, che non coinvolge solo il continente eurasiatico, ma arriva anche a comprendere l’Africa e il Sudamerica, dunque comporta la fuoriuscita di ingenti capitali cinesi. Di qui alcuni interrogativi decisivi. Come spendere questi soldi? La Bri peserà sulle spalle dei contribuenti? I progetti sono stati sottoposti a una rigorosa indagine e a uno studio pratico? Una volta realizzati i progetti è plausibile aspettarsi un ritorno rapido e vantaggioso? Come evitare i rischi calcolabili e incalcolabili? Tutti punti che necessitano ulteriori riflessioni.
Infine, l’ultimo rischio, non per ordine di importanza. La Cina non dispone di una forza capace di tutelare i suoi concittadini che operano all’estero. Nel momento in cui un grande progetto ingegneristico finisse nel mirino dei terroristi o di altri soggetti minacciosi, le vite dei cittadini cinesi e gli interessi del paese si troverebbero in grave pericolo. È chiaro che tale questione sollecita senz’altro nuove valutazioni circa la tutela della sicurezza dei cinesi all’estero e lo sviluppo delle nostre Forze armate.
Nonostante le numerose sfide, il carattere di Xi Jinping e le strategie della Cina impongono alla Bri di andare avanti, senza retrocedere. Già due anni dopo il lancio di questa strategia l’ammontare degli investimenti cinesi all’estero aveva superato quello degli investimenti stranieri in Cina. Nel 2015 la Cina è divenuta per la prima volta esportatrice netta di capitale. Un grande punto di svolta nello sviluppo nazionale, nonché un risultato inevitabile della Bri. In futuro gli stranieri avranno modo di scorgere la sagoma di molte più imprese e aziende cinesi di quante ne vedano adesso. E magari diverranno i nostri vicini.
(traduzione di Giulia Falato)
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