1 - «NON
POSSIAMO CONTARE SULL' AMERICA» MERKEL LANCIA IL SUO PIANO PER L' EUROPA
Danilo Taino per il “Corriere della Sera”
Dopo il G7 di
Taormina e il confronto con Donald Trump, Angela Merkel ha annunciato ieri la
svolta. Sua ma che interessa tutta la Ue e oltre. L' Europa è da sola e deve
prendere in mano il proprio futuro, ha detto. E ha messo Stati Uniti e Gran
Bretagna sullo stesso piano di altri vicini, precisamente la Russia. Non ci si
può affidare a essi.
presa di distanza da quell' atlantismo che ha caratterizzato la
Germania praticamente per tutto il Dopoguerra. Un cambio di paradigma che non è
improvviso: anzi, è pronto dal giorno dell' elezione di Emmanuel Macron in
Francia.
E ha già un
programma che prenderà corpo nei prossimi mesi.
La cancelliera
parlava a Monaco, in campagna elettorale, sotto un tendone tra boccali di
birra. «I tempi in cui potevamo contare pienamente su altri sono in una certa
misura finiti, come ho sperimentato nei giorni scorsi - ha detto -. Noi europei
dobbiamo veramente prendere il nostro destino nelle nostre mani». Di più:
«Naturalmente dobbiamo avere relazioni amichevoli con gli Stati Uniti e il
Regno Unito e con altri vicini, inclusa la Russia». Ciò nonostante, «dobbiamo essere
noi stessi a combattere per il nostro futuro». Poi ha definito l' Unione
Europea «un tesoro» e ha citato Macron.
In questi
termini, Merkel non si era mai espressa. L' irritazione nei confronti di Trump
a Taormina e per l' attacco del presidente americano alla Germania e alle sue
esportazioni di auto sono state le occasioni che probabilmente aspettava per
mettere in pubblico la svolta, che non è ancora una piena dottrina dell' Europa
nel mondo disordinato ma è un primo passo.
Succede che
dopo le elezioni francesi - evitata la vittoria di Marine Le Pen - la
cancelliera ha valutato che si potevano e si dovevano affrontare Trump e la
Brexit in modo netto. Ha indurito parole e atti con Londra. Ha accolto a
braccia aperte Macron per rafforzare la relazione tra Berlino e Parigi. Ha
esplicitato una serie di nuovi obiettivi europei, su migranti, difesa ed
economia, nuovi per il suo governo. E ieri ha annunciato la presa di distanza
dagli anglosassoni: una constatazione della nuova realtà che però mette l'
intera Ue di fronte alle sue forze e alle sue debolezze, probabilmente convinta
che Trump sia incapace di dividere gli europei e che Theresa May possa essere
controllata.
Le linee di
programma sulle quali Merkel intende condurre il rilancio di Ue ed eurozona,
anticipate a puntate nei giorni precedenti, sono state riassunte ieri dalla
Frankfurter Al lgemeine am Sontag (Fas) . Sui migranti, stabilizzare la Libia,
perché per fare un accordo tipo quello firmato dalla Ue con la Turchia
occorrono uno Stato e un governo a Tripoli. Sulla Difesa, più investimenti;
integrazione tra pezzi di eserciti, come sta già succedendo con la Bundeswehr
che ha incorporato due brigate olandesi e ne sta incorporando una rumena e una
ceca, e aperture a Francia e a Polonia.
Sull'
economia, un bilancio comune e un ministro delle Finanze dell' eurozona; da
finanziare o con tasse (sulle transazioni finanziarie e con prelievi sulle Iva
nazionali) o con la possibilità di emettere bond dell' eurozona, qualcosa di
diverso dagli Eurobond ma non si sa ancora in che senso.
Il tutto da
raggiungere o con accordi tra Paesi o addirittura modificando i trattati
europei, strada non breve e non facile. Le misure economiche saranno presentate
dai ministri delle Finanze tedesco e francese, Wolfgang Schäuble e Bruno Le
Maire, in luglio a un vertice tra i governi di Berlino e Parigi. La Fas
sostiene che saranno meglio accettate in Germania se prenderà piede l' idea che
il prossimo presidente della Bce, al posto di Mario Draghi dal novembre 2019,
sia il tedesco Jens Weidmann. Merkel all' attacco, un cambio di stagione di
grande portata.
2 - TUTTI I NUMERI DI UNO SCONTRO (CHE CI RIGUARDA)
Federico Fubini per il “Corriere della Sera”
Su un punto
Donald Trump e Angela Merkel si sono trovati d' accordo alla fine del vertice
delle sette grandi economie avanzate a Taormina: non era il caso di parlare
oltre. Per la prima volta da quando esiste il G7, un presidente Usa e un
cancelliere tedesco se ne sono andati entrambi senza accettare domande in
pubblico.
Ciò che avevano già detto era già abbastanza. Durante la cena
dell' Alleanza atlantica a Bruxelles giovedì sera Trump aveva descritto «i
tedeschi» così: «Sono pessimi. Guardate quanti milioni di auto ci vendono negli
Stati Uniti. È tremendo. Fermeremo questa storia».
A Taormina
Merkel ha definito la polemica «fuori luogo» e si è limitata a sottolineare
come la qualità dei prodotti tedeschi li renda ricercati all' estero.
Poi però ieri,
rientrata in Germania, ha avuto qualcosa da aggiungere: «I tempi in cui
potevamo contare pienamente su altri sono finiti, come ho potuto toccare con
mano negli ultimi giorni - ha detto -. Noi europei dobbiamo davvero prendere il
destino nelle nostre mani».
Merkel dunque
non dimenticherà. E il fatto stesso che la polemica si sia consumata a Taormina
rimanda simbolicamente agli italiani una verità scomoda: comunque vada a
finire, sarà decisiva anche per noi. Lo sarà sia che prevalga lo status quo,
sia che davvero Trump riesca a gettare sabbia negli ingranaggi degli scambi fra
le economie avanzate.
Chiunque
governi in Italia nei prossimi mesi, dovrà chiedersi da che parte sta. E se non
è possibile farlo sulla base dei valori, in Paese profondamente diviso, allora
diventa inevitabile scegliere una posizione sulla base dei fatturati e degli
interessi. Questi dicono che l' Italia oggi sta con la Germania, quali che
siano i giudizi dei singoli su Merkel e le idee diverse di Roma e Berlino sul
futuro dell' euro. Sulla base delle realtà commerciali di questa fase, l'
interesse italiano nei confronti degli Stati Uniti è molto simile all'
interesse tedesco.
E ogni passo indietro del made in Germany nel primo mercato del
mondo rischierebbe di diventare presto un passo indietro anche per il made in
Italy .
La dinamica
dell' export di beni verso gli Stati Uniti segnala che la seconda economia
manifatturiera d' Europa potrebbe addirittura avere qualcosa in più da perdere
della prima, se gli scambi internazionali rallentassero. Dal 2010 al 2016 l'
export di beni italiani in America è cresciuto del 59% in dollari correnti,
secondo lo US Census Bureau: un' accelerazione superiore a quella della
Germania (39%) e di altre grandi economie manifatturiere. Anche il surplus
commerciale bilaterale dell' Italia con gli Stati Uniti è simile a quello
tedesco, proporzione alle dimensioni dei due Paesi: arriva all' 1,8% del
reddito nazionale tedesco a all' 1,5% di quello italiano.
Naturalmente i
volumi restano diversi. L' anno scorso il made in Germany ha fatturato negli
Stati Uniti beni per 114 miliardi di dollari, contro acquisti tedeschi di
prodotti industriali americani per soli 49 miliardi. Il made in Italy ha
venduto per 45 miliardi, mentre gli italiani hanno comprato beni manufatti statunitensi
per appena 16. Si tratta in ogni caso di dimensioni sistemiche: l' America
ormai è il secondo mercato per l' export italiano dopo la Germania e la sua
quota di mercato in quel Paese è molto simile a quelle di Francia e Gran
Bretagna.
In altri termini,
il governo di Roma potenzialmente è esposto alle stesse accuse di Donald Trump
che hanno già coinvolto Angela Merkel. Lo è a maggior ragione perché l' Italia
e la Germania sono le due sole grandi economie a non aver aumentato gli ordini
di beni americani dopo la Grande recessione. Con un dettaglio in più: l' export
di componenti auto made in Italy vale oggi oltre dieci miliardi di euro l' anno
ed è diretto soprattutto ai grandi marchi di Stoccarda e della Baviera, che poi
rivendono molto negli Usa.
Dunque è
inutile chiedersi per chi suona la campana, se e quando davvero Trump riuscirà
a intralciare il commercio tedesco: essa suona (anche) per noi.
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