DALLA CARTA EMERGE SORPRENDENTEMENTE CHE L' ITALIA HA UNA PERCENTUALE DI LAVORATORI STRANIERI SUPERIORE ALA GERMANIA
L’Europa che lavora è anche un’Europa che migra.
La libera circolazione di persone, merci e servizi, tra i pilastri dell’Unione Europea e ispirazione del trattato di Schengen ora sotto scacco, ha negli anni costruito economie e mercati del lavoro fortemente integrati e dipendenti dall’afflusso di manodopera più o meno qualificata dall’estero.
Quattro delle cinque principali forze motrici dell’economia europea (Germania, Regno Unito, Italia, Spagna) dipendono per circa un decimo della loro forza lavoro da stranieri, comunitari ed extracomunitari. Fa eccezione la Francia, in cui gli occupati stranieri superano di poco il 5%.
La carta mette in evidenza come i paesi esteuropei maggiormente contrari alla solidarizzazione dell’accoglienza dei migranti – Polonia, Slovacchia e Ungheria – abbiano un tasso di forza lavoro straniera inferiore all’1%.
In quest’area, solo la Repubblica Ceca vanta una forza lavoro straniera superiore al punto percentuale (2,1%). Ciò non è dovuto alla disoccupazione dei non autoctoni, ma alla loro scarsa presenza: in base a dati Eurostat, in Polonia, i residenti nati all’estero sono 411 mila (l’1,6% della popolazione totale), in Repubblica Ceca 416 mila (3,9%), in Ungheria 475 mila (4.8%) e in Slovacchia 177 mila (3,2%). Per fare un paragone, in Italia sono 5,8 milioni, il 9.5% del totale.
L’assenza di lavoro non è un problema nemmeno degli autoctoni: Slovacchia a parte (10,3%), negli altri paesi menzionati il tasso è inferiore al 7%; la Repubblica Ceca è seconda solo alla Germania per disoccupazione (4,5%, contro il 4,3% di Berlino).
Delle frontiere aperte l’Europa ex-sovietica ha peraltro approfittato, sia pur in senso inverso. Secondo i dati del Regulated Professions Database della Commissione Europea, fra 2003 e 2013 nei primi 10 paesi dell’Ue da cui sono partiti più professionisti per trovare lavoro in un altro Stato membro, ben 4 appartengono a questa regione: Polonia (1° con 33 mila “professionisti in fuga”), Romania (3° con 26 mila), Slovacchia (7° con quasi 13 mila) e Ungheria (10° con 10 mila). Il fenomeno ha coinvolto anche economie sviluppate come quelle di Germania (2° con 29 mila) e Regno Unito (5° con 21 mila).
Dall’Italia, 12.374 professionisti sono partiti nel decennio 2003-13 per lavorare in un altro paese dell’Ue. Mete preferite: Regno Unito (4974), Germania (1687) e Grecia (1367). Nel nostro paese, i lavoratori stranieri sono 2 milioni e 366 mila, pari al 10,6% della forza lavoro.
La carta raffigura anche gli incidenti sul lavoro (a eccezione di quelli fatali) verificatisi nel 2013. Svetta la Germania con oltre 721 mila infortuni in un anno, mentre l’Italia è al 4° posto con 269 mila. Colpisce la frequenza di questi casi in Paesi Bassi (6° con 108 mila) e Portogallo (7° con 107 mila), vista la relativamente esigua forza lavoro nazionale, rispettivamente 8,1 e 4,3 milioni di lavoratori.
Nella classifica dei morti sul lavoro, invece, la Francia con 492 decessi precede l’Italia con 463. In tutta l’Ue nel 2013 si sono verificate 3281 morti bianche, quasi 10 al giorno.
Testo ed elaborazione dati di Federico Petroni.
Carta inedita di Laura Canali in esclusiva per gli abbonati a Limesonline.
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