Negli anni, le autorità di Barcellona hanno tessuto una rete di rapporti diplomatici in Europa e Nord America per irrobustire la causa indipendentista.
La carta inedita della settimana è sulla proiezione diplomatica della Catalogna.
Il tentativo dei separatisti di Barcellona di internazionalizzare lo scontro con Madrid e la fuga a Bruxelles di Carles Puigdemont, ex presidente della Generalitat, hanno acceso i riflettori sulla rete di 12 delegazioni all’estero fra Nord America ed Europa della comunità autonoma.
Si tratta di Parigi, Berlino, Zagabria, Varsavia, Lisbona e Bruxelles, oltre a Roma, Washington, Vienna, Londra e Copenaghen che coprono più paesi, per un totale di 24 Stati interessati. Da segnalare anche la sede della sarda Alghero, in catalano L’Alguer, compresa fra i països catalans.
Barcellona ha sfruttato tali uffici per tessere rapporti politici, promuovere attività culturali e ampliare le opportunità economiche in Catalogna e per le imprese locali. Con il recondito fine di diffondere il verbo catalanista e creare una solida base di relazioni da impiegare quando sarebbe maturata la crisi con il governo centrale spagnolo sulla questione dell’indipendenza.
Consapevoli di non disporre di sufficienti risorse per resistere a un braccio di ferro con Madrid, i vertici della Generalitat contavano di indurre l’intervento degli Stati Uniti o dell’Unione Europea, nella convinzione che quest’ultima mai si sarebbe tratta indietro di fronte alle rivendicazioni pacifiche e democratiche di propri cittadini.
Non ha funzionato. Benché prima del referendum del 1° ottobre l’amministrazione Trump avesse mantenuto una posizione ambigua, a fine settembre Washington ha chiarito di preferire una Spagna unita.
E nonostante tutti i contatti dietro le quinte con il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk e la leader di fatto dell’Ue, la cancelliera tedesca Angela Merkel, il Govern di Barcellona non è riuscito a ottenere da nessun paese una mediazione alla luce del sole con Madrid. Che avrebbe automaticamente conferito legittimazione ai separatisti, obiettivo apicale della strategia di provocazione di Puigdemont e soci.
Unico paese a fornire patenti di solidarietà: la Slovenia, la cui commissione parlamentare degli Esteri ha passato tre raccomandazioni per sostenere il diritto all’autodeterminazione dei popoli e condannare la violenza in Catalogna.
A determinare le posizioni europee è stato sicuramente il timore di accendere separatismi e autonomismi più o meno quiescenti nel Vecchio continente. Ma anche, quantomeno a Berlino, la consapevolezza che il proprio partner mediterraneo prediletto (Madrid) disponeva dei mezzi di pressione militari, polizieschi, economici, finanziari e demografici sufficienti a volgere a proprio fare questa prima fase della crisi catalana.
Testo di Federico Petroni.
Carta inedita di Laura Canali in esclusiva su Limesonline.
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