Oggi la Repubblica ha una pagina intera con un' intervista a Parag Khanna, l' analista geopolitico di Singapore di riferimento per la CNN e che è consulente di numerosi governi, in particolare sul suo ultimo libro: "La rinascita delle Città Stato" che fa seguito al magistrale "Connectography".
Ricordiamo che Parag Khanna sarà a Trieste
Ricordiamo che Parag Khanna sarà a Trieste
MARTEDI' 28 NOVEMBRE ORE 18 -
Aula Magna del Liceo Dante
Via Giustiniano 11 - Trieste |
Presentazione dell' edizione italiana del suo nuovo libro
"La Rinascita delle Città Stato" - con una riflessione sulle reti di connessione internazionale di Trieste -
Lectio Magistralis di PARAG KHANNA analista geopolitico (Singapore)
Introdurrà Zeno D'AGOSTINO Presidente dell' Autorità Portuale di Trieste Interventi di Stefano CASALEGGI Direttore dell' Area di Ricerca di Trieste e Stefano VISINTIN , Presidente della Associazione degli Spedizionieri di Trieste. Modererà l' incontro padre Luciano LARIVERA S.I. Direttore del Centro Veritas Presenterà gli ospiti e il libro Paolo DEGANUTTI della Libreria Luigi Einaudi di Trieste. L' evento è organizzato dalla Libreria Einaudi di Trieste con Limes Club Trieste, Centro Veritas, Associazione degli Spedizionieri di Trieste ASPT-ASTRA
Ingresso Libero - Posti Limitati -
|
“Da Amburgo a Singapore,
vivremo in un sistema di città-stato interconnesse”
Ecco l' articolo pubblicato oggi da Repubblica:
“Anche gli imperi cadono il futuro è nella
polis”
di Anna Lombardi
«Il futuro è già qui: entro trent’anni la
politica mondiale sarà dominata da macro-città, megalopoli influenti e così
connesse fra loro da non doversi più piegare al concetto di confine. Città- stato efficienti sul modello di quelle antiche:
dunque non necessariamente indipendenti ma con un’autonomia tale da potersi
impegnare in relazioni globali di cui beneficerà tutto il territorio
circostante».
No, il
geopolitologo di origine indiana Parag Khanna, 40 anni e già un curriculum
ricco di bestseller e consulenze governative internazionali, non è un
visionario distopico.
Ex
consigliere di Barack Obama, analista del Centre on Asia and Globalization di Singapore, nel suo
ultimo saggio, La rinascita delle città-stato, pubblicato in Italia da
Fazi, vede le città come
motore di progresso e governabilità.
Da
dove nasce questa sua visione della polis?
«Le
polis, le macrocittà appunto,sono da sempre il luogo dove si danno risposte
pratiche a problemi ampi:
gestione del territorio ma anche lavoro, ambiente, educazione e così via. Non è
qualcosa
di
astratto, succede già. Penso a Singapore: città e stato. Ma anche ad Amburgo
che esercita la sua
influenza sul mondo da 700 anni. A Dubai, che conta su una rete di relazioni
d’affari pur non
essendo la capitale degli Emirati Arabi. E poi Istanbul, New York, Londra,
Milano.
Senza dimenticare le province cinesi: il Guangdong, che ha uffici ovunque e
chiede voli che non passino da Pechino.
Perché questo sistema funzioni l’autonomia deve bilanciarsi con la condivisione delle rispettive migliori pratiche di governo».
Perché questo sistema funzioni l’autonomia deve bilanciarsi con la condivisione delle rispettive migliori pratiche di governo».
La
tecnocrazia diretta di cui parla nel libro? Lei fa gli esempi di Svizzera e
Singapore, ma non
teme che siano troppo diverse da noi e che importare quei modelli sia
impossibile?
«La
tecnocrazia diretta è una forma di governo efficiente, capace di dare risposte
immediate.
Non è
un’alternativa alla democrazia che è il sistema all’interno del quale ci muoviamo:
istituzioni, leggi, burocrazia sono un’altra cosa.
Certo che
non si può innestare il sistema di altri: bisogna declinarlo alle proprie esigenze.
Nelle scienze politiche si parla del “problema della Danimarca”, l’eccellenza cui tutti aspirano ma nessuno raggiunge. Bisogna guardare a ciò che funziona altrove e usarlo come un menù: imparare da Singapore, Svizzera, Canada, Giappone...».
Nelle scienze politiche si parla del “problema della Danimarca”, l’eccellenza cui tutti aspirano ma nessuno raggiunge. Bisogna guardare a ciò che funziona altrove e usarlo come un menù: imparare da Singapore, Svizzera, Canada, Giappone...».
Le
pare fattibile in un’Europa attraversata da pulsioni sempre più
indipendentiste?
«Sì, e
proprio perché i movimenti indipendentisti guardano a città di riferimento: Barcellona
per la Catalogna, Edimburgo per la Scozia e così via. Garantiscono identità e organizzazione
tecnocratica».
Quello
che sta succedendo in Spagna non dimostra che polis e stati sono in rotta di
collisione?
«La
Catalogna è una buona idea finita male. Ho simpatia per i movimenti di
autodeterminazione, ma qui ha
prevalso l’emotività.
Madrid
non può permettersi di perdere le entrate fiscali catalane: la Spagna non
reggerebbe.
Ma
bisogna trovare un accordo che dia ai catalani più autonomia fiscale in cambio
di una tassa annuale per i servizi che Madrid fornisce. Il governo spagnolo
dovrebbe però impegnarsi ad investire di più in infrastrutture come il
corridoio costale importantissimo per la Catalogna».
Tutta
questione di soldi? La gente parla di identità, di sovranismo contro
globalismo.
«Ne
parlano i politici per i loro interessi: la gente non sa nemmeno che significa.
Nei paesi che funzionano è un dibattito che non esiste, basato su una falsa dicotomia: nessuno è autarchico, tutto ha ormai dimensione globale»
Nei paesi che funzionano è un dibattito che non esiste, basato su una falsa dicotomia: nessuno è autarchico, tutto ha ormai dimensione globale»
E
dunque?
«Io la
vedo così: crescere separati per stare insieme. Nessuno sopravvive da solo, ma
stati sempre più
piccoli farebbero bene all’Europa perché vorrebbero stare al suo interno. I
catalani vogliono uscire
dalla Spagna non dall’Europa: sanno che se battessero moneta nessuno
investirebbe.
Vogliono
dividersi per ragioni fiscali. Dunque sì, è principalmente questione di soldi:
l’identità viene
dopo. E poi sanno che più i paesi sono grandi più i governi sprecano o sono
corrotti»
L’Europa
sembra perennemente in crisi, dilaniata da separatismi e populismi.
«Io vedo
invece un futuro dinamico. Le crisi fanno bene all’Europa, nata proprio dal
superamento di crisi
dopo crisi. Creano opportunità: ma poi bisogna spiegarle alla gente. Nessun
politico europeo, a parte Angela Merkel che poi ha dovuto fare marcia indietro,
ha detto che l’immigrazione
serve,
perché senza immigrati chi pagherà le pensioni, chi si occuperà degli anziani,
visto il calo delle
nascite? Si insegue l’onda emotiva, invece di guidarla».
Non ha
sentito nessun politico dire certe cose, dunque: ma c’è qualcuno che le piace
di più?
«Mi
interessa Emmanuel Macron, l’unico capace di spiegare che la situazione non è
uno scherzo e a
capire che la Francia è ormai troppo grande: bisogna alleggerirne il sistema
economico e politico. Anche Mark Rutte, il premier olandese, è bravo, ha saputo
imporre importanti tagli a dispetto
delle critiche. Ma nessuno va verso il “consenso depoliticizzato” che
sicuramente funziona: governi
con ampie coalizioni, dove i politici si mettono d’accordo su cose concrete da
fare».
Anche
sotto la spinta pressante dei populismi?
«È
proprio questo il punto. I populisti al governo sono un disastro ovunque ma
bisogna capire che di destre, populisti e di chi ha votato Brexit non ci
libereremo con belle parole.
Non sono irrazionali: pensano ai propri interessi.
Non sono irrazionali: pensano ai propri interessi.
È
sbagliato metterla in termini di valori: che siano nazi, cristiani oltranzisti,
socialisti, hanno una visione. Dobbiamo capirla e lavorare su quella.
Il problema sono i migranti? Allora dobbiamo spiegare meglio che l’immigrazione serve ma anche far leggi più restrittive perché chi entra non abusi del suo diritto a star qui».
Il problema sono i migranti? Allora dobbiamo spiegare meglio che l’immigrazione serve ma anche far leggi più restrittive perché chi entra non abusi del suo diritto a star qui».
L’Italia
andrà al voto tra qualche mese.
«Mi hanno
cercato i Cinque Stelle, ma io lavoro solo con i governi e ho rifiutato
collaborazioni.
Era
ottima l’idea delle regioni metropolitane dell’ex premier Matteo Renzi. Chi
governerà deve lavorare in quella direzione: città che mettono insieme risorse
e competenze.
Poi il
vostro credito andrebbe coperto con bond europei per permettervi di
ristrutturare il debito.
E dovete risolvere la questione immigrati.
E dovete risolvere la questione immigrati.
L’Italia
non può farcela da sola, ma i migranti vi servono per garantire un futuro al
paese. Un buon inizio
sarebbe approvare lo Ius Soli. Le politiche che avete ora non aiutano
l’inclusione ».
Nessun commento:
Posta un commento