martedì 21 novembre 2017

"LA REPUBBLICA" INTERVISTA PARAG KHANNA, CHE SARA' A TRIESTE IL 28 NOVEMBRE ALLE 18, AULA MAGNA LICEO DANTE a presentare il suo nuovo libro - “Da Amburgo a Singapore, vivremo in un sistema di città-stato interconnesse” -

Oggi la Repubblica ha una pagina intera con un' intervista a Parag Khanna, l' analista geopolitico di Singapore di riferimento per la CNN e che è consulente di numerosi governi, in particolare sul suo ultimo libro: "La rinascita delle Città Stato" che fa seguito al magistrale "Connectography".
Ricordiamo che Parag Khanna sarà a Trieste 

MARTEDI' 28 NOVEMBRE ORE 18 -

Aula Magna del Liceo Dante
Via Giustiniano 11  - Trieste
“Da Amburgo a Singapore, vivremo in un sistema di città-stato interconnesse”

Ecco l' articolo pubblicato oggi  da Repubblica:

“Anche gli imperi cadono il futuro è nella polis”
di Anna Lombardi

«Il futuro è già qui: entro trent’anni la politica mondiale sarà dominata da macro-città, megalopoli influenti e così connesse fra loro da non doversi più piegare al concetto di confine. Città- stato efficienti sul modello di quelle antiche: dunque non necessariamente indipendenti ma con un’autonomia tale da potersi impegnare in relazioni globali di cui beneficerà tutto il territorio circostante».
No, il geopolitologo di origine indiana Parag Khanna, 40 anni e già un curriculum ricco di bestseller e consulenze governative internazionali, non è un visionario distopico.
Ex consigliere di Barack Obama, analista del Centre on Asia and Globalization di Singapore, nel suo ultimo saggio, La rinascita delle città-stato, pubblicato in Italia da Fazi, vede le città come motore di progresso e governabilità.

Da dove nasce questa sua visione della polis?

«Le polis, le macrocittà appunto,sono da sempre il luogo dove si danno risposte pratiche a problemi ampi: gestione del territorio ma anche lavoro, ambiente, educazione e così via. Non è qualcosa
di astratto, succede già. Penso a Singapore: città e stato. Ma anche ad Amburgo che esercita la sua influenza sul mondo da 700 anni. A Dubai, che conta su una rete di relazioni d’affari pur non essendo la capitale degli Emirati Arabi. E poi Istanbul, New York, Londra, Milano. 
Senza dimenticare le province cinesi: il Guangdong, che ha uffici ovunque e chiede voli che non passino da Pechino.
Perché questo sistema funzioni l’autonomia deve bilanciarsi con la condivisione delle rispettive migliori pratiche di governo».

La tecnocrazia diretta di cui parla nel libro? Lei fa gli esempi di Svizzera e Singapore, ma non teme che siano troppo diverse da noi e che importare quei modelli sia impossibile?

«La tecnocrazia diretta è una forma di governo efficiente, capace di dare risposte immediate.
Non è un’alternativa alla democrazia che è il sistema all’interno del quale ci muoviamo: istituzioni, leggi, burocrazia sono un’altra cosa.
Certo che non si può innestare il sistema di altri: bisogna declinarlo alle proprie esigenze.
Nelle scienze politiche si parla del “problema della Danimarca”, l’eccellenza cui tutti aspirano ma nessuno raggiunge. Bisogna guardare a ciò che funziona altrove e usarlo come un menù: imparare 
da Singapore, Svizzera, Canada, Giappone...».

Le pare fattibile in un’Europa attraversata da pulsioni sempre più indipendentiste?

«Sì, e proprio perché i movimenti indipendentisti guardano a città di riferimento: Barcellona per la Catalogna, Edimburgo per la Scozia e così via. Garantiscono identità e organizzazione tecnocratica».

Quello che sta succedendo in Spagna non dimostra che polis e stati sono in rotta di collisione?

«La Catalogna è una buona idea finita male. Ho simpatia per i movimenti di autodeterminazione, ma qui ha prevalso l’emotività.
Madrid non può permettersi di perdere le entrate fiscali catalane: la Spagna non reggerebbe.
Ma bisogna trovare un accordo che dia ai catalani più autonomia fiscale in cambio di una tassa annuale per i servizi che Madrid fornisce. Il governo spagnolo dovrebbe però impegnarsi ad investire di più in infrastrutture come il corridoio costale importantissimo per la Catalogna».

Tutta questione di soldi? La gente parla di identità, di sovranismo contro globalismo.

«Ne parlano i politici per i loro interessi: la gente non sa nemmeno che significa.
Nei paesi che funzionano è un dibattito che non esiste, basato su una falsa dicotomia: nessuno è autarchico, tutto ha ormai dimensione globale»

E dunque?

«Io la vedo così: crescere separati per stare insieme. Nessuno sopravvive da solo, ma stati sempre più piccoli farebbero bene all’Europa perché vorrebbero stare al suo interno. I catalani vogliono uscire dalla Spagna non dall’Europa: sanno che se battessero moneta nessuno investirebbe.
Vogliono dividersi per ragioni fiscali. Dunque sì, è principalmente questione di soldi: l’identità viene dopo. E poi sanno che più i paesi sono grandi più i governi sprecano o sono corrotti»

L’Europa sembra perennemente in crisi, dilaniata da separatismi e populismi.

«Io vedo invece un futuro dinamico. Le crisi fanno bene all’Europa, nata proprio dal superamento di crisi dopo crisi. Creano opportunità: ma poi bisogna spiegarle alla gente. Nessun politico europeo, a parte Angela Merkel che poi ha dovuto fare marcia indietro, ha detto che l’immigrazione
serve, perché senza immigrati chi pagherà le pensioni, chi si occuperà degli anziani, visto il calo delle nascite? Si insegue l’onda emotiva, invece di guidarla».

Non ha sentito nessun politico dire certe cose, dunque: ma c’è qualcuno che le piace di più?

«Mi interessa Emmanuel Macron, l’unico capace di spiegare che la situazione non è uno scherzo e a capire che la Francia è ormai troppo grande: bisogna alleggerirne il sistema economico e politico. Anche Mark Rutte, il premier olandese, è bravo, ha saputo imporre importanti tagli a dispetto delle critiche. Ma nessuno va verso il “consenso depoliticizzato” che sicuramente funziona: governi con ampie coalizioni, dove i politici si mettono d’accordo su cose concrete da fare».

Anche sotto la spinta pressante dei populismi?

«È proprio questo il punto. I populisti al governo sono un disastro ovunque ma bisogna capire che di destre, populisti e di chi ha votato Brexit non ci libereremo con belle parole.
Non sono irrazionali: pensano ai propri interessi.
È sbagliato metterla in termini di valori: che siano nazi, cristiani oltranzisti, socialisti, hanno una visione. Dobbiamo capirla e lavorare su quella.
Il problema sono i migranti? Allora dobbiamo spiegare meglio che l’immigrazione serve ma anche 
far leggi più restrittive perché chi entra non abusi del suo diritto a star qui».

L’Italia andrà al voto tra qualche mese.

«Mi hanno cercato i Cinque Stelle, ma io lavoro solo con i governi e ho rifiutato collaborazioni.
Era ottima l’idea delle regioni metropolitane dell’ex premier Matteo Renzi. Chi governerà deve lavorare in quella direzione: città che mettono insieme risorse e competenze.
Poi il vostro credito andrebbe coperto con bond europei per permettervi di ristrutturare il debito.
E dovete risolvere la questione immigrati.
L’Italia non può farcela da sola, ma i migranti vi servono per garantire un futuro al paese. Un buon inizio sarebbe approvare lo Ius Soli. Le politiche che avete ora non aiutano l’inclusione ».



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