lunedì 27 novembre 2017

La condanna di Ratko Mladić e il senso di colpa della Serbia - Articolo di Limes on Line


MLADIĆ [di Luca Susic]

A 22 anni da Srebrenica, con la condanna al carcere a vita di Ratko Mladić per genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra si conclude una delle pagine più buie della storia del conflitto nei Balcani degli anni Novanta. Il verdetto del Tribunale penale internazionale sulla ex Jugoslavia è stato atteso e sognato per anni dalle famiglie delle vittime della guerra, mentre rappresenta un motivo di divisione all’interno del popolo serbo.
Ancora oggi c’è chi ritiene Mladić un eroe (basti pensare ai “duri” della Republika Srpska o al Partito radicale di Šešelj) e pertanto si oppone con decisione alle accuse avanzate dalla comunità internazionale.
Dall’altro lato ci sono numerosi cittadini e personalità che lo reputano un criminale di guerra che ha solo avuto ciò che gli spetta.
Nel mezzo fluttua la maggioranza silenziosa della popolazione, interessata forse più a chiudere questa dolorosa vicenda che al verdetto della corte.
Proprio questo aspetto costituisce uno degli elementi su cui riflettere maggiormente. Tra i serbi è diffusa la convinzione che a loro sia stata non solo addossata l’intera responsabilità della guerra civile, ma anche imposto l’obbligo di accettare una versione della storia che non riconoscono come propria. Soprattutto per quanto riguarda la tesi che ai loro danni non siano stati commessi crimini particolarmente gravi (si pensi alle azioni di Naser Orić o all’operazione Oluja).
Questa opinione non può essere contestata in pieno, perché in una certa misura è vero che l’Europa e gli Usa hanno prestato grande attenzione al contenimento del nazionalismo dalla Serbia, lasciando che questo crescesse in altre realtà locali, come Croazia, Bosnia-Erzegovina, Kosovo e Macedonia. Ecco perché aver condannato Mladić al carcere a vita non è altro che un semplice passo avanti nella difficile strada verso la rappacificazione.

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