Ultima ora: domenica 29, 300.000 unionisti - stima della polizia- hanno manifestato a Barcellona contro la proclamazione della Repubblica indipendente (clicca QUI).
Elezioni o resistenza: il delicato calcolo dei separatisti di Catalogna
28/10/2017
Dichiarata l’indipendenza subito prima di essere estromesse da Madrid, i rivoluzionari devono decidere se stare al gioco dello Stato centrale o rifiutarne l’autorità. E non è scontato che al voto del 21 dicembre ottengano la maggioranza.
di Federico Petroni
Il Parlament di Barcellona ha approvato (70 a favore, 10 contro, 2 astenuti) la mozione per conferire al governo di Carles Puigdemont il mandato di costituire una Repubblica di Catalogna indipendente. Subito dopo, il primo ministro della Spagna Mariano Rajoy ha destituito Puigdemont e i membri del suo esecutivo, convocando le elezioni regionali per il 21 dicembre.
La settimana ha fatto naufragare ogni spiraglio per le trattative con il governo centrale. Giovedì Puigdemont si è rifiutato di indire nuove elezioni in Catalogna – che il Psoe giudicava sufficienti a evitare il commissariamento della comunità autonoma. Così, venerdì, dopo una seduta di sei ore, il Senato ha autorizzato le misure pensate dall’esecutivo madrileno per applicare l’art. 155 della Costituzione e reprimere le autorità rivoluzionarie catalane, che hanno “disconosciuto e ignorato le leggi senza alcuna legittimità per farlo”.
La proclamazione dell’indipendenza è certo un gesto simbolico, ma le autorità ora decadute devono decidere come giocare le proprie carte ed eventualmente resistere – in modo pacifico, dicono – alle ingerenze dello Stato centrale.
Non è scontato che alle elezioni del 21 dicembre i separatisti ricevano la maggioranza dei voti dei catalani. Al voto regionale del 2015, la coalizione Junts pel Sì ottenne infatti il 47% circa dei suffragi. E al contestato referendum del 1° ottobre ha partecipato solo il 42% degli aventi diritto.
La violenta reazione di Madrid – culmine di un decennio di netto rifiuto ad ascoltare le istanze autonomiste – ha sicuramente contribuito a indurire le percezioni di molti abitanti della comunità autonoma, facendoli propendere per l’indipendenza come unica alternativa.
Tuttavia, la popolazione non catalana è piuttosto corposa nella regione e ha fatto sentire la propria voce. Inoltre, l’alta borghesia catalana non è affatto compatta dietro gli indipendentisti e, anzi, sta operando una discreta pressione con il trasferimento della sede di oltre un migliaio di aziende in altre località di Spagna.
Incerta anche la posizione dei numerosi elettori delle branche locali di Podemos, che controllano il comune di Barcellona. La formazione guidata da Pablo Iglesias aveva mantenuto un’ambigua posizione contraria alla secessione ma favorevole al “diritto di decidere” del popolo catalano. Alle elezioni del 21 dicembre potrebbe decidere di sostenere la coalizione che si schiera per un secondo – stavolta legale – referendum oppure considerare il voto come una consultazione di fatto per l’indipendenza, togliendo così suffragi ai separatisti.
In ogni caso, tale incertezza sposta i riflettori sulle forze che potrebbero aiutare i rivoluzionari a deviare il corso degli eventi, per il momento incanalato nella direzione ambita da Madrid. Prima fra tutte la polizia catalana, i Mossos d’Esquadra, teoricamente alle dipendenze della Generalitat appena dichiaratasi indipendente. Gli almeno 14 mila poliziotti si sono schierati il 1° ottobre dalla parte delle autorità di Barcellona. Ora la loro fedeltà potrebbe essere l’ago della bilancia. Non è un caso che Rajoy abbia subito decretato la rimozione del capo della polizia Josep Lluís Trapero, già in stato d’accusa per sedizione, oltre all’allontanamento del segretario generale dell’Interno catalano César Puig e del direttore generale dei Mossos Pere Soler.
Saranno decisive le settimane che conducono al 21 dicembre, per valutare se e come Rajoy e il suo governo riusciranno a esercitare in Catalogna l’autorità che si sono arrogati assumendosi le funzioni dei vertici della Generalitat.
I separatisti – o alcuni di loro, vista l’eterogeneità della coalizione – potrebbero essere tentati di resistere e radicalizzare lo scontro con Madrid per provocarne una reazione sproporzionata che ne intacchi la superiorità e la costringa a sedersi a un tavolo negoziale. Magari promosso dall’Ue (o da uno Stato membro), la quale tuttavia continua a fare orecchie da mercante.
Lo scenario basco è dietro l’angolo. A meno che Puigdemont e soci non s’affidino al testa o croce elettorale. Un salto nel buio, ma almeno non nel buio pesto.
Dichiarata l’indipendenza subito prima di essere estromesse da Madrid, i rivoluzionari devono decidere se stare al gioco dello Stato centrale o rifiutarne l’autorità. E non è scontato che al voto del 21 dicembre ottengano la maggioranza.
Il Parlament di Barcellona ha approvato (70 a favore, 10 contro, 2 astenuti) la mozione per conferire al governo di Carles Puigdemont il mandato di costituire una Repubblica di Catalogna indipendente. Subito dopo, il primo ministro della Spagna Mariano Rajoy ha destituito Puigdemont e i membri del suo esecutivo, convocando le elezioni regionali per il 21 dicembre.
La settimana ha fatto naufragare ogni spiraglio per le trattative con il governo centrale. Giovedì Puigdemont si è rifiutato di indire nuove elezioni in Catalogna – che il Psoe giudicava sufficienti a evitare il commissariamento della comunità autonoma. Così, venerdì, dopo una seduta di sei ore, il Senato ha autorizzato le misure pensate dall’esecutivo madrileno per applicare l’art. 155 della Costituzione e reprimere le autorità rivoluzionarie catalane, che hanno “disconosciuto e ignorato le leggi senza alcuna legittimità per farlo”.
La proclamazione dell’indipendenza è certo un gesto simbolico, ma le autorità ora decadute devono decidere come giocare le proprie carte ed eventualmente resistere – in modo pacifico, dicono – alle ingerenze dello Stato centrale.
Non è scontato che alle elezioni del 21 dicembre i separatisti ricevano la maggioranza dei voti dei catalani. Al voto regionale del 2015, la coalizione Junts pel Sì ottenne infatti il 47% circa dei suffragi. E al contestato referendum del 1° ottobre ha partecipato solo il 42% degli aventi diritto.
La violenta reazione di Madrid – culmine di un decennio di netto rifiuto ad ascoltare le istanze autonomiste – ha sicuramente contribuito a indurire le percezioni di molti abitanti della comunità autonoma, facendoli propendere per l’indipendenza come unica alternativa.
Tuttavia, la popolazione non catalana è piuttosto corposa nella regione e ha fatto sentire la propria voce. Inoltre, l’alta borghesia catalana non è affatto compatta dietro gli indipendentisti e, anzi, sta operando una discreta pressione con il trasferimento della sede di oltre un migliaio di aziende in altre località di Spagna.
Incerta anche la posizione dei numerosi elettori delle branche locali di Podemos, che controllano il comune di Barcellona. La formazione guidata da Pablo Iglesias aveva mantenuto un’ambigua posizione contraria alla secessione ma favorevole al “diritto di decidere” del popolo catalano. Alle elezioni del 21 dicembre potrebbe decidere di sostenere la coalizione che si schiera per un secondo – stavolta legale – referendum oppure considerare il voto come una consultazione di fatto per l’indipendenza, togliendo così suffragi ai separatisti.
In ogni caso, tale incertezza sposta i riflettori sulle forze che potrebbero aiutare i rivoluzionari a deviare il corso degli eventi, per il momento incanalato nella direzione ambita da Madrid. Prima fra tutte la polizia catalana, i Mossos d’Esquadra, teoricamente alle dipendenze della Generalitat appena dichiaratasi indipendente. Gli almeno 14 mila poliziotti si sono schierati il 1° ottobre dalla parte delle autorità di Barcellona. Ora la loro fedeltà potrebbe essere l’ago della bilancia. Non è un caso che Rajoy abbia subito decretato la rimozione del capo della polizia Josep Lluís Trapero, già in stato d’accusa per sedizione, oltre all’allontanamento del segretario generale dell’Interno catalano César Puig e del direttore generale dei Mossos Pere Soler.
Saranno decisive le settimane che conducono al 21 dicembre, per valutare se e come Rajoy e il suo governo riusciranno a esercitare in Catalogna l’autorità che si sono arrogati assumendosi le funzioni dei vertici della Generalitat.
I separatisti – o alcuni di loro, vista l’eterogeneità della coalizione – potrebbero essere tentati di resistere e radicalizzare lo scontro con Madrid per provocarne una reazione sproporzionata che ne intacchi la superiorità e la costringa a sedersi a un tavolo negoziale. Magari promosso dall’Ue (o da uno Stato membro), la quale tuttavia continua a fare orecchie da mercante.
Lo scenario basco è dietro l’angolo. A meno che Puigdemont e soci non s’affidino al testa o croce elettorale. Un salto nel buio, ma almeno non nel buio pesto.
Nessun commento:
Posta un commento