DIBATTITO SU QUESTIONI INTERNAZIONALI PER UNA CITTA' INTERNAZIONALE

lunedì 24 aprile 2017

Macron-Le Pen: al ballottaggio la Francia voterà sull’Europa e sulla propria sopravvivenza - Ancora non è successo niente - un articolo di Limes On Line


Il primo turno delle presidenziali si chiude senza sorprese. Il ballottaggio, l’annientamento del Partito socialista e la sconfitta della destra gollista potrebbero portare la politica transalpina a ricomporsi attorno alla vera posta in gioco.

È noto che, alla data del 14 luglio 1789, il re di Francia Luigi XVI scrisse sul suo diario: rien (nulla). La rivoluzione era scoppiata e il sovrano non se n’era accorto perché né lui, né i suoi sudditi, né il resto del mondo se l’aspettavano.

Il risultato del primo turno delle presidenziali del 23 aprile non è una rivoluzione francese. Non solo perché non giunge inaspettato, ma soprattutto perché in una certa misura è dipeso dal caso.

Se François Fillon non avesse cocciutamente e contro ogni logica mantenuto la propria candidatura e avesse ceduto il timone della destra perbene a Alain Juppé, probabilmente le cose sarebbero andate diversamente e nessun commentatore parlerebbe oggi di rivoluzione. Il caso ha svolto il ruolo di “levatrice della storia”.

Il successo di Macron e Le Pen, l’annientamento del Partito socialista (Ps) e la sconfitta della destra perbene (Les Républicains) potrebbero portare all’ormai da tempo matura ricomposizione del panorama politico francese attorno alla vera posta in gioco: l’Europa.

Per la Francia come per la Germania, l’Europa è questione di sopravvivenza. La prima senza l’Europa finisce nell’insignificanza, la seconda finisce per essere di nuovo ossessionata dal cauchemar des coalitions che turbava i sonni del cancelliere Bismarck.

La Germania ha mostrato la via dal 2005, cioè da quando il referendum francese ha ufficialmente aperto la crisi del progetto europeo: la Große Koalition è certo un espediente per permettere al governo tedesco di avere una confortevole maggioranza parlamentare, ma è anche e soprattutto una maggioranza europea, cui partecipano i partiti che hanno fatto dell’Ue il loro orizzonte strategico. Poco per volta e spesso senza premeditazione, altri paesi si sono messi al passo; compresa l’Italia, dopo l’ignominiosa cacciata di Berlusconi nell’autunno 2011 e la nascita del governo Napolitano-Monti-Alfano.

In Francia invece le cose sono andate avanti come se nulla fosse, con la stanca contrapposizione tra una “destra” (gollista) e una “sinistra” (socialista) tenute insieme dai loro apparati e dalle loro reti di potere, ciascuna albergando al proprio interno una maggioranza europeista e una minoranza anti-Bruxelles.

A destra, alcuni (Bayrou, Raffarin, Juppé) hanno provato a lanciare dei segnali in vista di una coalizione europea che non hanno avuto seguito; altri se ne sono andati in direzione opposta (Dupont-Aignan, Asselineau). A sinistra invece la coabitazione di due partiti opposti all’interno dello stesso partito ha finito per portare all’implosione.

Il Partito socialista è in stato di morte clinica proprio dal referendum del 2005, quando l’allora segretario François Hollande accettò la convivenza dei due partiti. Ufficialmente in nome di un ecumenismo socialista che in fondo era stata l’intuizione geniale di François Mitterrand, in realtà per tenere insieme un apparato di potere che esisteva proprio grazie all’incrocio delle reti di potenti rais, schierati chi di qui e chi di là della scelta europea.

La pretesa di governare la Francia con lo stesso spirito di bamboccismo buonista che gli aveva permesso di mantenere il Ps in vita con il polmone artificiale ha provocato la catastrofe del peggior quinquennato della storia francese e la definitiva implosione del partito stesso. Che è avvenuta prima delle elezioni, visto che i candidati socialisti erano tre: uno dell’ala anti-europea (Mélenchon), uno dell’ala filo-europea (Macron) e uno della palude (Hamon), che nella palude è rimasto.

Così la Francia è entrata in una nuova fase della propria storia politica, dove la scelta diventa chiara come nel referendum britannico su Brexit: o con l’Europa o fuori dall’Europa.

Le reazioni dei candidati sconfitti si sono immediatamente allineate a questo nuovo dato di fatto (segno che i tempi erano maturi). Fillon e Juppé si sono affrettati a portare il loro sostegno a Macron. La loro strategia è chiara: fare dei Républicains l’unico partito storico in grado di presentarsi unito (e quindi vincere) le elezioni legislative di giugno. Ma entrambi hanno una motivazione supplementare: Fillon deve salvare la pelle e rimandare il più possibile un regolamento di conti che potrebbe essere sanguinoso; Juppé si candida a primo ministro di un’eventuale cohabitation. Ma quest’ultima formula ha adesso un sapore di passato.

Mitterrand e Chirac si detestavano, come pure Chirac e Jospin. Oggi la situazione è completamente diversa. Quando Juppé era il favorito delle primarie a destra e Macron non era ancora candidato, c’era chi parlava di un futuro governo Macron sotto la presidenza Juppé. Nessuno evocava la cohabitation. Oggi le parti si sono semplicemente invertite.

Uno degli effetti più sorprendenti del primo turno è l’immediata conversione di Juppé e dei suoi luogotenenti al vangelo macroniano: una rapida menzione – obbligata e neanche troppo velatamente sarcastica – al “lodevole sforzo” di Fillon, e poi di corsa a proclamare il superamento di destra e sinistra, la centralità dell’Europa e del libero mercato e così via macronizzando.

Per Macron, un Juppé primo ministro non sarebbe certo l’immagine ideale della rottura col passato. Ma un’eventuale vittoria dei Républicains a giugno potrebbe cavarlo d’impaccio, “obbligandolo” a scegliere uno di loro (ovviamente quello più vicino a lui); Juppé dal canto suo potrebbe fare una scelta à la Cincinnato e passare la mano a uno (o una) dei suoi più fedeli discepoli, divenuti nel frattempo i più fedeli discepoli di Macron.

Mentre la scelta di Hamon di appoggiare Macron è il cane che morde il padrone, la scelta di Mélenchon di non dare indicazioni di voto al secondo turno è il padrone che morde il cane. Ma c’è una certa coerenza, visto che sulla questione centrale – l’Europa – e sulle questioni sociali – protezionismo e statalismo – i programmi di Mélenchon e di Le Pen erano sovrapponibili.

Se il programma economico di Le Pen rischia di trasformare la Francia in un altro Venezuela, il supertifoso di Maduro, Chávez, Morales e Castro non può che esserne soddisfatto e la possibilità che Parigi abbandoni l’Ue e la Nato per entrare nell’Alleanza bolivariana dei popoli della nostra America si avvicina.

Ciò non vuol dire che gli elettori di Fillon voteranno compattamente per Macron e che quelli di Mélenchon voteranno per Le Pen. Molti dei seguaci di Fillon – la cathosphère – hanno fatto capire durante la campagna che Le Pen era la loro seconda scelta, che automaticamente diventa la prima. Molti degli elettori di Mélenchon si asterranno oppure obbediranno al richiamo della foresta antifascista, o presunta tale.

Ma il referendum sull’Europa non ha ancora avuto luogo. Per questo, bisogna aspettare il 7 maggio.

Nessun commento:

Posta un commento