Posizionata sullo strategico Stretto di Malacca e votata al commercio, la città Stato ospita un avamposto militare americano ed è legata economicamente ed etnicamente alla Repubblica Popolare. Perciò teme le ripercussioni del duello tra Washington e Pechino.
di Giorgio Cuscito
Singapore teme il duello tra Stati Uniti
e Repubblica Popolare Cinese.
Tale assunto trova riscontro nelle
recenti affermazioni di Lee Hsien Loong, premier singaporiano e figlio del
fondatore della città Stato. In un recente articolo su Foreign Affairs,
Lee ha affermato che l’Asia “ha prosperato grazie alla Pax
Americana” iniziata all’indomani della seconda guerra mondiale, basata sul
libero commercio e sull’ombrello di sicurezza per i paesi della regione. Oggi
questi ultimi “sono preoccupati in quanto vivono all’incrocio tra gli interessi
di diverse grandi potenze, devono evitare di finire nel mezzo o di essere
trascinate in scelte spiacevoli”. Secondo Lee, è necessario che la superpotenza
e il suo sfidante trovino un modo di convivere, scindendo le aree di
cooperazione da quelle di competizione.
Le parole del primo ministro riflettono
la geopolitica di Singapore, collocata strategicamente
sullo Stretto di Malacca, in cui transitano i principali flussi
commerciali ed energetici tra Oriente e Occidente. È uno dei fulcri della
finanza globale e il secondo porto al mondo per gestione di container. Ospita
un avamposto militare americano e una corposa comunità cinese. E commercia
intensamente con la Repubblica Popolare, dalla quale riceve crescenti
investimenti nel settore tecnologico.
La guerra dei dazi e l’epidemia di
coronavirus hanno pesantemente colpito l’economia di Singapore, che ha registrato una contrazione annuale del 2,2% nel primo
trimestre del 2020 e dovrà affrontare nuove elezioni entro aprile 2021. Nel
lungo periodo, la rotta di collisione sino-statunitense potrebbe deteriorare
ulteriormente il commercio e la finanza globali e – nella peggiore delle
ipotesi – generare un conflitto in Estremo Oriente. Tali dinamiche metterebbero
in pericolo la stabilità regionale e gli interessi della città Stato, che ha
bisogno di preservare le sue connessioni globali politiche ed economiche per
proteggere la propria sovranità.
La Città del Leone
La Repubblica di Singapore, essenzialmente priva di risorse naturali, si
trova sulla punta meridionale della penisola malese, tra la Malaysia a nord e l’Indonesia a sud. Il suo territorio comprende
64 isole, di cui la più grande è quella omonima.
Nel XIV secolo, il principe malese Sang Nila Utama approda sull’allora
isola di Temasek e fonda il regno di Singapura, cioè Città
del Leone, dopo aver visto un grande animale aggirarsi nella foresta.
Probabilmente si trattava di una tigre malaysiana, ma da quel momento l’isola
conserva il nome e il leone diventa parte dell’iconografia singaporiana.
Grazie alla sua posizione geografica, l’isola assume il ruolo di
fondamentale snodo commerciale delle rotte marittime delle antiche vie della
seta; un punto di approdo dei pirati; meta della prima
ondata migratoria dalla Cina. La seconda avviene nel XIX secolo, dopo le guerre
dell’Oppio. Oggi, dei 5,7 milioni di abitanti il 74% è di etnia cinese, mentre
il resto è principalmente di origine malese e indiana.
Nel corso dei secoli diverse potenze prendono il controllo dell’isola: il sultanato di Malacca, il regno del Siam, quello di Giava, il Regno
Unito, il Giappone e la Malaysia. La moderna Singapore si forma nel 1819,
quando il britannico Thomas Stamford Raffles installa nel territorio all’epoca
malese una base commerciale per conto della Compagnia delle Indie Orientali in
cambio del sostegno allo sviluppo delle infrastrutture locali. È un passo
decisivo per Singapore, che gradualmente diventa piattaforma dei traffici
commerciali regionali, prima marittimi e poi aerei. Per questa ragione diversi
luoghi della città sono tuttora intitolati a Raffles.
Singapore diventa parte della Federazione della Malaysia nel 1963. Ma le divergenze politiche con Kuala Lumpur, legate al trattamento
privilegiato attribuito da quest’ultima ai malesi, degenerano in violenza. Al
punto che due anni dopo Singapore, espulsa dalla Federazione, diviene
indipendente sotto forma di repubblica parlamentare.
Da allora, il Partito d’azione popolare (Pap) fondato da Lee Kuan Yew guida
incontrastato Singapore tramite un forte controllo sulla vita sociale del
paese. L’opposizione, frammentata, non ha mai battuto
il Pap. Negli anni successivi, il governo si concentra sulla formazione
dell’identità nazionale, sulla protezione della sovranità singaporiana e sul
commercio. Nel 1967, Singapore contribuisce alla fondazione dell’Associazione
dei paesi del Sud-Est asiatico (Asean) con Indonesia, Malaysia, Filippine e
Thailandia per consolidare la propria statura regionale e internazionale.
Dal 1984, nella città Stato vige il concetto di “difesa totale” (militare, civile, economica,
sociale, psicologica e digitale), basato sul presupposto che la migliore difesa
dalla minacce interne ed esterne è collettiva. Il governo locale ha disposto un
sistema legale particolarmente rigoroso, intransigente nei confronti della
criminalità e della penetrazione di agenti d’influenza stranieri. E ha plasmato
Forze armate all’avanguardia; la Marina singaporiana è tra le migliori del Sud-Est
asiatico.
Singapore presta particolare attenzione alla propria identità nazionale,
per evitare che i dissidi tra gruppi etnici (ciascuno legato
alla rispettiva madrepatria) destabilizzino il piccolo paese. La Città del
Leone infatti è dotata di ben quattro lingue ufficiali (malese,
mandarino, tamil e inglese). Malgrado l’approccio autoritario, non mancano
movimenti socio-politici: gruppi di attivisti cercano di far valere le proprie idee muovendosi lungo i
confini posti dalla legge locale.
Singapore tra Usa e Cina
Singapore e Usa non sono ufficialmente alleati, ma la loro cooperazione
militare è solida. In base a un accordo stipulato lo
scorso settembre, le Forze armate americane preserveranno l’accesso alla base
navale di Changi fino al 2035. Qui transitano aerei e navi a stelle e strisce
per fare rifornimento in occasione delle operazioni attorno a Taiwan e alle
isole cinesi negli arcipelaghi Paracel e Spratly. Anche le perlustrazioni e le
esercitazioni bilaterali sono frequenti.
Il fatto che Singapore abbia ospitato lo storico summit tra il presidente Usa Donald Trump e il
dittatore nordcoreano Kim Jong-un nel 2018 conferma la
sintonia tra Washington e la città Stato. E quanto quest’ultima consideri
essenziale ospitare attività politiche di alto livello per affermare
i propri interessi nazionali.
La Marina del Regno Unito ha conservato un’installazione logistica a
Sembawang (nel Nord dell’isola), retaggio dell’esperienza
coloniale. Il personale della struttura è composto solo da otto unità, ma basta a Londra per far approdare a Singapore le
proprie navi transitanti per lo Stretto di Malacca. In più, la Città del Leone
è membro del Commonwealth e ha siglato un accordo difensivo con Regno Unito,
Australia, Nuova Zelanda e Malaysia (Five Power Defence Arrangements), il cui
scopo è il coordinamento militare.
Sin dai tempi di Deng Xiaoping, Pechino apprezza Singapore per il connubio tra approccio
autoritario e modernizzazione economica. L’élite locale, come quella cinese, ritiene che le libertà individuali
vengano dopo l’interesse della collettività. Eppure la città Stato è
profondamente diversa dalla Repubblica Popolare, per dimensioni geografiche e
demografiche. Soprattutto, il suo modello politico non è rigido e centralizzato
come quello cinese.
Singapore non disdegna l’interazione con le Forze armate cinesi. Lo confermano il “programma sostanziale” bilaterale sottoscritto nel
maggio 2019 e la successiva esercitazione congiunta, focalizzata su
attività di antiterrorismo e soccorso.
La tensione tra i due paesi è tuttavia aumentata nel 2016, quando
la Cina ha sequestrato veicoli armati singaporiani di ritorno dagli addestramenti bilaterali a Taiwan. La vicenda ha
spinto Pechino a non invitare il primo ministro Lee al primo forum sulle nuove vie della seta l’anno successivo.
Obiettivo: sottolineare che l’appoggio a Taipei è inammissibile, visto che il
governo cinese vuole riconquistarla entro il 2049. La presenza di Lee alla
seconda edizione dell’iniziativa svoltasi nel 2019 lascia intendere che le due
parti abbiano quantomeno superato l’episodio.
Del resto, il rapporto sino-singaporiano è molto intenso sul piano
economico. La Repubblica Popolare è il più importante
partner commerciale della Città del Leone e la principale meta
dei suoi investimenti. Il primato per quelli elargiti a Singapore spetta invece
agli Usa.
Negli ultimi anni, colossi e start-up cinesi hanno accresciuto le proprie
operazioni in loco. Huawei ha aperto un laboratorio
per l’intelligenza artificiale e lo sviluppo della rete 5G. Baidu ha lanciato
da poco il suo servizio cloud locale. Alibaba ha preso il
controllo del 50% dell’Axa Tower. Ant Financial, suo braccio finanziario,
potrebbe ottenere la licenza per offrire servizi bancari digitali alle imprese
nell’ex colonia britannica.
L’obiettivo di queste imprese è eguagliare i rivali americani Facebook,
Google e Amazon, già presenti nel Sud-Est asiatico.
Inoltre, Pechino vuole integrare la rete 5G made in China con
le arterie delle nuove vie della seta in fase di sviluppo in Malaysia, Indonesia, Myanmar e Thailandia. Nel lungo periodo la
Repubblica Popolare punta a ridurre la dipendenza delle proprie operazioni
marittime militari e commerciali dallo Stretto di Malacca pattugliato dagli Usa
e allo stesso tempo smorzare l’influenza americana su questo collo di
bottiglia.
Considerata la rilevanza di Singapore a livello regionale, la penetrazione cinese nei suoi gangli digitali si incardina logicamente
nella tattica di Pechino. E nei prossimi anni potrebbe acuire la rilevanza della
Città del Leone nel duello tra Usa e Cina.
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