È passato un anno da quando si è svolto a Pechino il primo forum della Belt and Road Initiative (Bri, o nuove vie della seta). In quell’occasione, il presidente del Consiglio italiano Paolo Gentiloni aveva ottenuto la promessa da parte del governo cinese di investimenti nei porti di Trieste e Genova.
L’Italia e le nuove vie della seta, un anno dopo
Il lavorio della diplomazia italiana è intenso e i rappresentanti dei due scali marittimi e di quello di Venezia si recano spesso nella Repubblica Popolare.
Tuttavia, Roma non ha ancora firmato con Pechino il memorandum d’intesa per sancire la sua partecipazione alla Bri.
Inoltre, nessun accordo è stato per ora ufficializzato per rendere i porti nostrani snodi concreti dell’iniziativa.
Tuttavia, Roma non ha ancora firmato con Pechino il memorandum d’intesa per sancire la sua partecipazione alla Bri.
Inoltre, nessun accordo è stato per ora ufficializzato per rendere i porti nostrani snodi concreti dell’iniziativa.
Il progetto della piattaforma offshore di Venezia è stato congelato perché non attirava l’interesse degli investitori, l’autorità portuale vuole invece ampliare il terminal container di Marghera.
Trieste, che beneficia dello status di porto franco, potrebbe annunciare progetti di collaborazione con i cinesi entro il 2018.
La presenza cinese negli scali italiani si limita al terminal di Vado Ligure, di cui Cosco controlla il 40%. Soprattutto, tutto tace riguardo il Mezzogiorno, i cui porti (già in passato oggetto dell’interesse cinese) non rientrano in potenziali piani di sviluppo legati alla Bri.
La rotta ferroviaria tra il polo logistico di Mortara e Chengdu è stata percorsa una sola volta, a novembre. Nessun convoglio ha fatto ritorno dalla Cina, probabilmente per problemi legati ai costi di trasporto. Conferire regolarità alla rotta potrebbe accrescere l’export italiano verso la Repubblica Popolare e valorizzare la strategica posizione di Mortara all’incrocio tra il Corridoio Mediterraneo e quello Reno-Alpi della Trans european network-transport, che dovrebbe entrare in funzione nel 2030.
Le rinnovate preoccupazioni che Roma ha manifestato insieme a Berlino e Parigi per una potenziale penetrazione cinese in Ue aggiungono confusione su quale sia la percezione italiana. Come se improvvisamente l’iniziativa possa trasformarsi da grande opportunità in potenziale rischio. Le sue conseguenze dipendono dal nostro approccio (attivo o passivo) ad essa, piuttosto che da quello della Cina.
Le iniziative individuali hanno un impatto limitato senza una strategia geopolitica complessiva che definisca chiaramente il ruolo dell’Italia lungo le nuove vie della seta. Dotarsene (dando per scontata la necessaria riscoperta dell’interesse nazionale) è condizione necessaria – ma non sufficiente – per cogliere le opportunità e prevenire gli effetti collaterali derivanti dal progetto cinese.
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