DIBATTITO SU QUESTIONI INTERNAZIONALI PER UNA CITTA' INTERNAZIONALE

lunedì 14 maggio 2018

LA DOTTRINA PUTIN - Come intende comportarsi la Russia, punto per punto, nelle aree strategiche - Articolo di Vitalij Tret’jakov


La Federazione Russa è una grande potenza, non una superpotenza globale. Come intende comportarsi, punto per punto, nelle aree strategiche. Il Cremlino non cerca lo scontro con gli Usa. L’Ucraina si spaccherà e la Russia si riunificherà come la Germania.
di Vitalij Tret’jakov



A mio parere non c’è nulla di più semplice che descrivere quale sarà la strategia globale di Vladimir Putin durante il suo nuovo mandato come presidente della Federazione Russa. I tratti e le direzioni principali di questa strategia sono già stati o delineati in modo chiaro o dichiarati esplicitamente.
Innanzitutto, su quali premesse si fonda e si fonderà nell’immediato futuro la strategia globale di Putin? A mio avviso, le premesse sono quattro.
Prima premessa. Dal punto di vista della sua storia e della sua civiltà, la Russia è destinata a essere una grande potenza mondiale e di conseguenza non c’è possibilità di scelta: se la Russia vuole continuare a esistere come nazione, paese e Stato, non può far altro che portare avanti una politica estera indipendente, anche se questa politica non soddisfa gli altri attori sullo scacchiere mondiale.
Seconda premessa. La Russia non aspira a controllare metà, un terzo, un quarto o un’altra porzione di mondo, costituita in un modo o nell’altro da paesi indipendenti de iure, ma sottomessi de facto agli altri protagonisti mondiali (le grandi potenze). L’esperienza dell’Unione Sovietica, che ha sprecato troppe forze e mezzi spesso a danno della propria popolazione per sostenere in tutto il mondo i «regimi amici», ha portato Putin a una sola conclusione: gestire zone di influenza troppo estese e un numero troppo ampio di paesi verso i quali prendere impegni è, dal punto di vista strategico, più una zavorra che un vantaggio.
Terza premessa. Dell’Occidente non ci si può fidare. Quali che siano le ragioni, che ciò sia giustificato o no secondo il punto di vista di Mosca, l’Occidente vedrà sempre nella Russia nel migliore dei casi un concorrente e nel peggiore (e molto più spesso) un rivale o persino un nemico.
Quarta premessa. Tutto il mondo sta attraversando un periodo di trasformazioni globali e regionali i cui contorni definitivi non sono molto chiari. Il processo di trasformazione continuerà come minimo per i prossimi due-tre decenni (ma forse anche di più). È chiaro tuttavia che il risultato di queste trasformazioni non sarà la nascita di una «fratellanza di tutti i popoli del mondo» (il che è un’utopia) o di una gerarchia di Stati semidemocratici (la «democrazia totalitaria» che Washington vorrebbe) diretta da un unico centro (di fatto da un unico paese), ma solo di una nuova combinazione di grandi potenze (più indipendenti) e di semplici paesi medi e piccoli (meno indipendenti).
Di conseguenza, gli obiettivi strategici di Putin come presidente della Russia nei prossimi sei anni saranno i seguenti.
1) Preservare e rafforzare la Russia come una delle grandi potenze mondiali (non però al livello dell’Urss, poiché il suo sistema era ridondante e irrazionale).
2) Preservare e rafforzare la Russia come paese e civiltà a sé stante e autosufficiente (per quanto possibile nel mondo di oggi), il più possibile indipendente, in modo che nessuno possa osare attentare ai suoi interessi sovrani.
3) Preservare la pace globale e, se plausibile, la pace nelle regioni immediatamente vicine ai confini russi. Per garantire la prima la Russia deve mantenere un equilibrio strategico-militare con gli Usa, mentre per garantire la seconda deve intervenire, talvolta anche con l’uso delle armi, nei conflitti regionali nei territori di suo interesse strategico, senza però mai accendere questi conflitti.
4) Preservare e difendere la civiltà russa (intesa in senso politico ed etnico), anche nei paesi nei quali, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, si è venuto a trovare un numero significativo (come, per esempio, in Estonia e in alcuni nuovi Stati indipendenti dell’Asia centrale) o molto grande (come in Ucraina) di abitanti di etnia o civiltà russa (nella terminologia d’uso corrente, russofoni).
5) Bisogna notare che quest’ultimo punto, per un insieme di circostanze obiettive e soggettive, ha goduto dell’attenzione minore in tutti questi ultimi anni, compresi i primi anni della presidenza di Putin. Tuttavia l’annessione della Crimea alla Russia, che tanto ha spaventato e sconvolto l’Occidente e che è avvenuta, nonostante tutte le premesse oggettive, proprio perché a capo del Cremlino c’era Vladimir Putin e non qualche altro presidente, mostra che si è messa fine alla pessima tradizione, risalente a Gorbačëv e a El’cin, di ignorare gli interessi vitali dei russi ritrovatisi contro la loro volontà a vivere oltre i confini della Federazione Russa.

Descriverò ora, per come lo intendo e lo vedo, tutto lo spettro di elementi costitutivi della strategia globale russa sotto la guida di Vladimir Putin durante il suo nuovo mandato presidenziale. Talvolta menzionerò in questo elenco anche i metodi con cui Putin realizzerà questa strategia.
Le tendenze generali della strategia globale di Putin
Per ordine e per punti, ecco le linee strategiche della Russia secondo il suo presidente.
1) Mantenere rapporti non conflittuali, per quanto possibile, con i principali protagonisti dello scacchiere mondiale (le grandi potenze globali e regionali), a patto che la parte opposta non provochi conflitti.
2) Conservare il sistema attuale (basato sugli accordi di Jalta e Potsdam) di istituzioni internazionali con in testa l’Onu e il sistema del diritto internazionale, anche se molte cose in questo sistema non soddisfano la Russia stessa (per esempio, la predominanza di rappresentanti degli Usa e degli Stati occidentali sotto il loro controllo a capo e all’interno degli apparati di queste istituzioni).
3) Realizzare una strategia e una politica alternativa alla strategia globale speculativa americana e occidentale e alla politica di «difesa della democrazia e dei diritti dell’uomo». Si tratta di una strategia e di una politica di «non ingerenza negli affari interni degli Stati sovrani» e di «difesa per ogni membro della comunità internazionale del diritto di organizzarsi dal punto di vista politico e sociale secondo le tradizioni e le norme di civiltà di quel paese».
4) Esortare a rinunciare alla mentalità dei blocchi e a un conseguente comportamento, il cui risultato pratico è stato la creazione regolare da parte di Washington di «coalizioni» per «contenere o punire» un dato paese.
5) Promuovere e tentare di realizzare il principio della «sicurezza collettiva indivisibile», cioè un sistema in cui la sicurezza di un gruppo di paesi non deve essere realizzata a scapito di una perdita di sicurezza di un altro gruppo di paesi (ne sono un esempio le numerose proposte che Mosca ha fatto agli Usa e ai suoi alleati vassalli europei di rinunciare a posizionare sistemi di difesa militare americana vicino ai confini russi e, come alternativa, creare un sistema comune europeo di difesa militare).
6) Passare senza traumi da un mondo monopolare, in cui gli Usa sono la potenza egemone, a un mondo multipolare.
7) Ovviamente lottare insieme contro le minacce comuni e globali come, per esempio, il terrorismo internazionale.
8) Infine, a guidare Putin sarà l’idea che nei rapporti internazionali attuali (come è sempre successo anche in precedenza, durante tutta la storia mondiale) hanno peso solo gli interessi e le opinioni di chi è forte. Putin, anche solo basandosi sull’esempio di Gorbačëv e di El’cin, è pienamente consapevole del fatto che quanto più concedi all’Occidente, tanto più l’Occidente pretenderà da te nuove concessioni. Per questa ragione rafforzare il più possibile la potenza russa e la sua influenza internazionale rimarrà una delle priorità della strategia globale del Cremlino.

Stati Uniti
Nel rapporto con gli Usa valgono anzitutto i tre precetti seguenti.
1) Emanciparsi in modo graduale e, se possibile, non conflittuale dal predominio americano in campo economico e soprattutto finanziario.
2) Mantenere un equilibrio strategico-militare con gli Usa.
3) Opporsi a Washington laddove vada a toccare esplicitamente gli interessi della Russia o gli interessi dei suoi rapporti costruttivi con altri Stati.
Allo stesso tempo, rientra nella strategia di Putin il rifiuto di qualsiasi altra forma di attività antiamericana. Putin non ha intenzione di minare intenzionalmente le posizioni degli Stati Uniti nel mondo attuale. Si limita ad aspettare che queste posizioni si indeboliscano naturalmente (a seguito dello sviluppo di altri centri di forza) e a causa degli errori della politica estera condotta da Washington.
A proposito, questo è il metodo preferito da Putin per lottare contro l’egemonia occidentale in generale e quella americana in particolare. Putin rimane in attesa, perché sa e capisce che prima o poi l’Occidente farà un altro errore. E a quel punto gli resta solo da decidere, dopo aver valutato i pro e i contro, se sfruttare questo errore oppure no. È quel che è successo con la Crimea, che è l’esempio più lampante.
Inoltre Putin sa che in ogni unione economica, politica o militare inizialmente compatta prima o poi sorgono contrasti sia tra i singoli membri sia tra il suo leader (di fatto, il padrone) e gli altri membri. E se questa unione è diretta contro gli interessi della Russia basta solo aspettare che si indebolisca o si autodistrugga.

Europa (Unione Europea-Nato)
Senza dubbio Putin ha già rinunciato a credere (se mai l’ha fatto) in un’utopia come la «casa comune europea» e perciò non si lancia in promesse e in progetti velleitari relativi alla creazione di un mitologico «spazio comune europeo».
Putin non ha mai tentato neanche prima di dividere l’Unione Europea o la Nato e non lo farà certo ora. Innanzitutto perché vede con i propri occhi che questa unità in gran parte non esiste più e la sua parvenza, anche manifestata in alcune azioni comuni – in particolare la politica delle sanzioni contro la Russia – è garantita solamente dal controllo militare ed economico di Washington sulle «élite europee» e anche – cosa sempre più evidente – dal materiale compromettente raccolto ad hoc.
Putin tuttavia tenterà di sfruttare ogni nuova scissione all’interno di questa «unità». Non sempre avrà successo, poiché Washington è molto attenta a far sì che proprio sul fronte russo nell’Unione Europea e nella Nato non ci sia alcuna discordanza di pensiero e soprattutto di azione. Ma questo sistema sta già dando regolari segnali di malfunzionamento, non solo perché sia l’Unione Europea sia la Nato esistono da troppo tempo e sono invecchiate e diventate obsolete, ma anche perché si sono espanse troppo, andando oltre i propri reali confini.
Non posso affermare che Putin pensi come me – lo affermo da non meno di quindici anni – che l’Unione Europea crollerà e per le stesse ragioni per cui è crollata l’Unione Sovietica (ritengo che la data di questo crollo definitivo non si collochi oltre il 2025). Ma mi sembra evidente che Putin non creda che l’Ue e la Nato riusciranno a compattare le proprie file. Ed è chiaro che Putin userà accuratamente questa confusione e questo vacillamento per gli interessi della Russia.
Inoltre Putin non può non vedere come si stia manifestando in modo sempre più evidente una crisi di civiltà dell’«Europa classica». E si baserà sul fatto che prima o poi i paesi europei meno dipendenti dagli Usa e/o più perspicaci saranno costretti a rivolgersi alla Russia come alla vera garante della difesa della civiltà europea.
Cina
Nell’ottica della trasformazione della Cina in seconda superpotenza mondiale (almeno a livello economico), la strategia globale di Putin nei confronti di questo paese avrà come obiettivo la rinuncia a spingere Pechino verso un conflitto con gli Usa, per non acuire i contrasti già esistenti tra un’America sempre più debole e una Cina in crescita. E, traendo il massimo vantaggio dai buoni rapporti con Pechino, attendere di vedere l’esito della competizione tra le due, per ora soltanto economica e finanziaria.

Altri paesi e regioni
Come agirà Putin in un simile contesto lo ha già dimostrato formando una coalizione ad hoc tra Russia, Turchia e Iran in merito alla questione siriana.
Che cosa salta agli occhi? Prima di tutto che sulla base di una concomitanza di interessi regionali si sono uniti tre paesi molto diversi tra loro che l’Occidente ha pensato bene di inimicarsi. Incluso, ed è il fatto più sorprendente, un membro affidabile della Nato come lo è stato per molti decenni la Turchia!
E si può star certi che in qualsiasi altro conflitto regionale, provocato dagli americani o nel quale Washington si voglia intromettere con il suo sbandierato egoismo e la sua imperdonabile ipocrisia, sarà sempre possibile trovare due-tre o tre-quattro grandi paesi confinanti i cui interessi nazionali vengano realmente danneggiati dai piani e dalle azioni degli Usa e dei loro alleati vassalli. Si arriverà a un punto tale che emergeranno da soli e in modo inevitabile i motivi che spingeranno a creare simili coalizioni ad hoc in chiave antioccidentale. Basterà soltanto trovare qualcuno abbastanza risoluto e forte per mettere in piedi un’alleanza di questo tipo.
Putin non creerà simili coalizioni al di fuori del perimetro delle regioni direttamente confinanti con la Russia, come per esempio nell’America centrale o meridionale o nell’Africa australe. E la ragione è che Putin non ha intenzione di attaccare di proposito e in modo mirato le posizioni degli Usa nel resto del mondo né tantomeno di ostacolare la politica di Washington ovunque ci siano paesi e popoli insoddisfatti o danneggiati dalla politica americana. Essere estremamente razionali e affidarsi solo a ciò che si può ottenere nel concreto sono gli imperativi della politica estera di Putin. Tale posizione peraltro viene criticata da alcuni suoi oppositori interni abituati alla grandeur sovietica.

Ripeto: Putin osserva che il mondo si è stancato dell’egemonia statunitense e che in un modo o nell’altro se ne libererà. E né la Russia né il Cremlino né Putin in persona sono costretti a fare il lavoro per il mondo intero.
Lo spazio post-sovietico
Sulla linea politica di Putin nello spazio post-sovietico facente parte della sua strategia globale avrei molto da scrivere e si capisce il perché: è qui che risiedono gli interessi nazionali della Russia. Nel presente articolo mi limiterò a evidenziarne i punti essenziali.
Nessuno dei paesi dello spazio post-sovietico (le ex repubbliche alleate che facevano parte dell’Urss) ha ancora fatto la propria scelta geopolitica definitiva. I motivi sono evidenti: la maggior parte di questi paesi dovrebbe impostare la propria politica estera partendo quasi da zero. Quasi tutti (a eccezione di Lituania, Lettonia ed Estonia) continuano a tentennare e a destreggiarsi tra la Russia, gli Usa e la Cina (quest’ultima rilevante in particolare per quanto riguarda i paesi dell’Asia centrale) e persino tra questi giganti geopolitici e la Turchia o l’Arabia Saudita. Putin ha bene in mente tutto questo, ma mantenendo la massima correttezza nei confronti dei regimi stabilitisi in quei paesi, di impronta in sostanza autoritaria, preferisce aspettare pazientemente di capire come verranno rotti gli indugi che, tra l’altro, vanno di pari passo con l’oscillante equilibrio delle forzi globali. Putin ha capito che prima o poi ciascuno di questi paesi sarà chiamato a fare una scelta e l’assenza di una pressione particolare da parte di Mosca – a fronte di alcune sconfitte tattiche – darà un giorno i suoi frutti e sarà più produttiva della pressione costante degli Usa e di altri attori esterni in chiave anti-russa, interessati alla ripartizione dell’eredità sovietica.
Per me è chiaro come la luce del Sole che tale linea strategica di Putin nei confronti di quei paesi verrà continuata.
Gli Stati baltici (Lettonia, Estonia, Lituania), come ho già scritto, anche su Limes [1], sono tutt’altra questione. Intervengono di continuo come provocatori consapevoli che fanno di tutto per inasprire i rapporti tra la Russia e gli Usa, la Russia e l’Unione Europea, già di per sé profondamente compromessi.
Ritengo possibile, se non necessario, rendere più severa la politica di Mosca nei confronti di questi paesi già infettati dai virus del razzismo (verso i russi che vivono nei loro territori) e del neonazismo (fatto che la democratica Unione Europea continua con ostinazione a ignorare). Penso però che Putin non voglia spingersi nei prossimi sei anni verso un irrigidimento delle posizioni, ma che consideri il comportamento di questi paesi un frutto derivato dai rapporti generali tra Usa e Ue da una parte e Russia dall’altra.
Infine, la questione dei russi che si trovano oltre i confini della Federazione Russa, una questione legata alla situazione in Lettonia ed Estonia, oltre che in Moldova, ma soprattutto in Ucraina.
Gli oppositori interni alla politica estera di Putin lo rimproverano soprattutto di mostrare troppa pazienza verso le angherie ai danni dei russi in molti paesi dello spazio post-sovietico, verso la distruzione sistematica della cultura russa, dell’istruzione in lingua russa e della lingua russa stessa. Anche io ritengo che la Russia dovrebbe agire in maniera di gran lunga più risoluta, dal punto di vista diplomatico, politico ed economico.
In questo momento la questione si impone con maggiore forza in Ucraina. Perciò è proprio qui che si dovranno attendere i maggiori cambiamenti nell’atteggiamento di Putin circa la «questione russa» al di fuori dei confini della Russia.
Non può passare inosservato il fatto che da quando i rapporti tra Russia e Ucraina si sono deteriorati nei suoi interventi pubblici Putin ha constatato sempre più spesso ciò che prima del colpo di Stato in Ucraina (Jevromajdan, per dirla all’europea) egli preferiva non ricordare, ovvero che il popolo russo è attualmente la nazione più grande e divisa d’Europa. Ed è proprio così poiché non meno di metà della popolazione ucraina è russa. Si tratta come minimo di 20 milioni di persone. La percentuale sale fino al 75-80% se prendiamo in considerazione le persone che parlano russo come prima lingua.
Come molti russi, non gravati da incarichi governativi, ho sempre detto che se il popolo tedesco ha avuto la possibilità (tra l’altro non senza l’aiuto della Russia) di riunificarsi in un unico Stato, non ne ha meno diritto il popolo russo. E prima o poi accadrà.
Sono sicuro che Vladimir Putin in qualità di presidente della Russia non presenterà pubblicamente la questione con una simile schiettezza né tantomeno lo considererà un obiettivo geopolitico del nuovo mandato presidenziale. Ma per me è chiaro che egli percepisce sempre di più la crescente pressione di tale questione. Questo a sua volta trasformerà in qualche modo la sua politica nei confronti dell’Ucraina nel caso vi rimanga l’attuale regime politico (poco importa con quali leader a capo).

Meglio della Crimea non si può fare. Ma toccherà farlo
Non è mia intenzione giudicare entro quali termini viene visto il problema ucraino a Roma, Berlino, Bruxelles o Washington, ma per la Russia è senza dubbio una questione strategica.
L’annessione della Crimea alla Russia è un risultato di politica estera e interna di Putin che possono valutare soltanto i russi e di cui è difficile trovare analoghi nella storia russa. Perciò dico: meglio della Crimea non si può fare! Lo dico nel senso che è difficile immaginarsi che cosa avrebbe potuto fare di meglio un presidente della Russia, o Putin stesso, se non questa incredibile, seppur rischiosa, vittoria.
Credo che Putin dovrà davvero spingersi oltre e decidere nei prossimi sei mesi di presidenza il problema della Novorossija (per dirla in parole povere l’attuale Ucraina russa e russofona, di cui il Donbas costituisce soltanto una parte). Non importa quanto a Kiev i nazionalisti ucraini e i loro patroni della Nato e dell’Ue ripetano che «non esiste alcuna Novorossija»: non si può scambiare un desiderio per la realtà.
Sono già quattro anni di fila che Putin, a costo di danneggiare la propria reputazione all’interno della Russia, fa il possibile per mantenere l’Ucraina nei confini del 1991 (senza l’autoproclamata Crimea, naturalmente). Gli sforzi congiunti del regime nazionalista di Kiev, capeggiato da Porošenko, Turčinov e Avakov e sostenuto dall’Occidente, spianano senza indugi la strada per il definitivo crollo dell’Ucraina. Inoltre le forze apertamente anti-russe dell’Occidente optano chiaramente per un tentativo di pressione armata da parte di Kiev sulle repubbliche di Donec’k e Luhans’k oppure di scatenare un altro scenario in cui la Russia sarà costretta a entrare in un conflitto diretto sul suolo ucraino. Queste forze, lentamente ma senza fermarsi, stanno ottenendo qualche risultato.
A partire da questa tendenza che non è contrastata da nulla, fatta eccezione per l’autocontrollo politico del Cremlino, sono costretto a ritenere che una guerra civile a tutto campo e il crollo definitivo dell’Ucraina (nel quale, come se non bastasse, sono coinvolti anche alcuni paesi dell’Ue che confinano con l’Ucraina) appaiono inevitabili. In questo caso Putin sarà costretto, al di là delle intenzioni personali, a prendere le dovute misure. Non avrà altra scelta.
(traduzione di Giulia De Florio ed Elena Freda Piredda - Pubblicato su LimesOnLine)

Nessun commento:

Posta un commento