DIBATTITO SU QUESTIONI INTERNAZIONALI PER UNA CITTA' INTERNAZIONALE

venerdì 24 marzo 2017

"L’Europa festeggia 60 anni con un Regno in meno e due fratture in più "- UN ARTICOLO DI LIMES IN ESCLUSIVA PER I NOSTRI LETTORI

L’Europa festeggia 60 anni con un Regno in meno e due fratture in più
Il sessantenario dei Trattati di Roma è segnato dal Brexit incombente e dalle proteste di Polonia e Grecia. Atene e Varsavia sollevano questioni che Bruxelles e Berlino, dopo i festeggiamenti, non potranno permettersi di ignorare.
Sabato a Roma si riuniscono i capi di Stato e di governo dell’Unione Europea (tranne il Regno Unito) per celebrare i 60 anni dai Trattati istitutivi delle comunità europee.
Formalmente, più una festa che un vero vertice anche se per l’occasione l’Europa è chiamata a dare prova di unità. Ora che Brexit ha anche una data, la dichiarazione finale dell’incontro dovrà tracciare la strada da percorrere insieme per coloro che rimarranno nell’Ue.
  1. Gli assi portanti della nuova Unione saranno quattro, secondo quanto si legge nella bozza della dichiarazione finale.
  1. La sicurezza, declinata come migliore gestione delle frontiere esterne e come lotta al terrorismo;
  2. La creazione di crescita, anche approfondendo l’Unione economica e monetaria;
  3. Il rafforzamento di una dimensione sociale, nel rispetto delle diversità dei sistemi nazionali;
  4. Una maggiore integrazione in materia di difesa (qui gli accenni sono vaghi).
Il rischio è che non tutti rispondano all’appello: Grecia e Polonia hanno minacciato lo strappo. Le loro opposizioni sono significative, perché si muovono lungo due linee di frattura all’interno dell’Unione.
Atene rappresenta la tradizionale spaccatura Nord-Sud, eredità della crisi iniziata nel 2008. Il focolaio greco non è mai stato debellato e il rischio Grexit è sempre dietro l’angolo. L’opposizione latente tra un’Europa carolingia e una mediterranea che vive al di sopra dei propri mezzi, rinvenibile nella narrazione utilizzata dal presidente olandese dell’Eurogruppo Dijsselbloem nei giorni scorsi, persiste.

Dietro la minaccia di veto, c’è però il solito copione di Tsipras: l’obiettivo è ottenere il supporto europeo alla tranche del terzo piano di salvataggio, oggi in discussione a Bruxelles con il Fondo monetario internazionale.

L’altra frattura sta emergendo tra Est e Ovest.

Chiama in causa il rapporto con la Russia (e di riflesso con gli Stati Uniti), ma in ambito Ue deriva dallo scontro sulla gestione dei migranti. Anche se al momento lotta da sola, la posizione di Varsavia è quella del blocco orientale, che si oppone al concetto di Europa a più velocità. La prospettiva per chi resta fuori è quella di allentare la presa rispetto all’integrazione del nucleo che procede più spedito, fino a far sorgere il dubbio di un’effettiva appartenenza allo stesso progetto politico.

Anche in questo caso, l’opposizione è per ora più mediatica che sostanziale: il governo di Beata Szydło deve mostrarsi rigido con Bruxelles dopo la rielezione del “nemico” Tusk a presidente del Consiglio Europeo. La Polonia ha già bloccato le dichiarazioni dell’ultimo Consiglio. L’accordo sul testo della Dichiarazione di Roma è però già stato raggiunto nei giorni scorsi dalle diplomazie di tutti i 27: gli aspetti critici sono stati stemperati e le varie istanze recepite.

Difficile che si ripeta quanto successo a Berlino per il cinquantenario dai Trattati di Roma, quando alcuni membri (tra cui la Polonia) si rifiutarono di firmare la dichiarazione finale.
Ma le fratture che finiranno sotto i tappeti del Campidoglio sono destinate a riemergere dopo il vertice.

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