In anteprima, una carta a colori da Limes 1/2018 Musulmani ed europei.
“Per uno Stato a modesta legittimazione, l’integrazione non troppo soft degli immigrati, musulmani o meno, è imperativa.
Altrimenti ci ridurremo a campo di esercitazione delle influenze altrui. Non solo dei nostri alleati e partner, abituati a considerarci terra nullius. Anche degli Stati e dei regimi da cui provengono i migranti, che intendono serbare influenza nelle rispettive diaspore e/o avanzare le rispettive agende geopolitiche.
Come fanno, in competizione, Marocco e Arabia Saudita. Ovvero il paese dotato della massima diaspora islamica in Italia e il capofila del wahhabismo, con la sua tuttora considerevole potenza finanziaria – grazie alla quale compra beni materiali, decisori e comunicatori ovunque convenga – e i suoi jihadisti at large.
Che cosa fa l’Italia per proteggere i propri interessi, dunque per integrare gli stranieri di cui abbiamo necessità per ragioni demografiche e di welfare?
Lo Stato non ha strategia. Le iniziative di alcuni suoi esponenti locali (qualche sindaco), talvolta centrali (ministero dell’Interno, cui soprattutto si deve la drastica riduzione dei flussi via ex Libia, per ora ottenuta in negoziati informali con i «guardiani del deserto»), e di molti cittadini di buona volontà non sono inscritte in un piano di lungo periodo.
Assenti ingiustificati il governo nella sua collegialità e i partiti che a parole aprono all’integrazione, salvo non darvi seguito perché temono di perdere consenso a favore di chi denuncia l’«invasione».
Di qui l’accantonamento del blandissimo aggiornamento del cosiddetto ius soli, di fatto ius scholae per figli e nipoti degli immigrati che ambirebbero a diventare italiani.”
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