La migrazione subsahariana e in generale dal Sud del globo si presenta come un poderoso, “provvidenziale” moto di evangelizzazione del Nord secolarizzato, a opera della demografia, nei luoghi dove avevano fallito le gerarchie. Perciò sulla questione ai democristiani europei il pontefice non lascia neanche una scialuppa di salvataggio.
“Il forestiero dimorante tra voi lo tratterete come colui che è nato fra voi”: lo ius soli tremila anni prima di Paolo Gentiloni e Matteo Salvini, direttamente dal libro del Levitico, il più politico e giuridico dei testi biblici.
Comincia così, strutturale e congiunturale, dogmatico e pragmatico, dalle profondità del tempo e dalle necessità del momento, il messaggio di Francesco per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato.
Rivolgendosi all’umanità nel suo insieme ma guardando contestualmente alla duplice ravvicinata vicenda elettorale, tedesca e italica, che da qui a primavera potrebbe incrinare o comunque modificare il profilo e la postura, forse la natura stessa della Mitteleuropa. Isolando il Vaticano e privandolo dell’asse, fatidico e neodemocristiano, fra Roma e Berlino. Motivo che, dopo i distinguo agostani all’interno della Cei e dell’universo cattolico, ha indotto il pontefice a intervenire in prima persona e non delegare a nessuno in sua vece.
In un ambito che, del resto, Bergoglio ha riservato deliberatamente a sé sin dagli esordi, avocandone il portafoglio ministeriale, con un passo senza precedenti nei percorsi costituzionali della monarchia d’Oltretevere: “Nell’istituire il nuovo Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, ho voluto che una sezione speciale, posta ad tempus sotto la mia diretta guida, esprimesse la sollecitudine della Chiesa verso i migranti, gli sfollati, i rifugiati e le vittime della tratta”.
Così, mentre il parlamento italiano rinvia in autunno – e nell’intento dei più all’indomani del voto – la discussione sulla cittadinanza, il papa si sostituisce ai legislatori e scende in campo a “disciplinare”, con piglio garantista sino al dettaglio, i punti di maggiore attrito: dai ricongiungimenti familiari alla semplificazione dei visti, dai servizi di base alla libertà di movimento. Un testo e uno stile “surfistico”, lo definiremmo, da cui emerge e si erge provocatoria, di riga in riga, una volontà di sfidare l’onda montante dei sondaggi e sfiorare il point break: il punto di rottura con la pubblica opinione.
Accogliere, proteggere, promuovere, integrare: sono questi, secondo il Vicario di Cristo, i verbi che incarnano e declinano il Verbum Domini, all’inizio del Terzo Millennio. Quattro pietre angolari che, nella sua visione, dispiegano la geometria e sostengono la strategia per quadrare il cerchio, venendo a capo del tema – e problema – intorno al quale ruota – e si avvita – il pianeta.
In realtà, più che gli angoli del quadrato, le parole di Bergoglio sembrano evocare gli spigoli: quelli che i governi provano ad aggirare per non naufragare. Ma che l’autore al contrario prende di punta e non si perita di smussare.
Francesco allarga infatti una volta per tutte il concetto di “accoglienza”, senza distinzione tra i rifugiati che fuggono “dalle guerre e dalle persecuzioni” e i migranti economici che vengono spinti “dai disastri naturali e dalla povertà”. Né ammette che la “sicurezza nazionale” possa offrire pretesti alla chiusura delle frontiere, anteponendosi alla “sicurezza personale” di coloro che chiedono asilo.
Per tornare, a conclusione, allo ius soli. Slegato dai “requisiti economici e linguistici” e integrato con lo ius culturae, ossia con il diritto alla identità culturale. Fuori da tentativi o logiche di assimilazione forzosa.
Pochi testi al pari di questo hanno tracciato con altrettanta evidenza, per i posteri, le coordinate di un pontificato che individua nella deriva di masse umane l’orizzonte geopolitico, nonché il tratto caratterizzante del suo mandato storico. Identificando la barca di Pietro e i barconi dei profughi.
Dai boat people al boat Pope. Una scelta che, si badi bene – volendo laicizzare il ragionamento – qualunque amministratore delegato di una holding multinazionale opererebbe alla medesima stregua, seguendo i diagrammi statistici e riposizionando l’azienda “Chiesa” dove il mercato cresce.
L’annuario vaticano c’informa infatti che l’Africa, nell’azionariato mondiale del cattolicesimo, detiene ormai una quota d’anime del 17,3% (con un aumento dell’1,8 tra il 2010 al 2015), mentre l’Europa nello stesso periodo è calata dell’1,6 fino all’attuale 22. Proiezione che nell’arco di una decade o poco più rende prevedibile, inevitabile il sorpasso.
A leggerla in tale cornice, la migrazione subsahariana e in generale dal Sud del globo – includendovi l’emisfero americano e il confronto sul muro del Rio Grande – si presenta quindi come un poderoso, “provvidenziale” moto di evangelizzazione del Nord secolarizzato, a opera della demografia, nei luoghi dove avevano fallito le gerarchie.
Un discernimento che agli eredi del pescatore di Galilea e degli apostoli mostra tout court la rotta da intraprendere, con risolutezza, senza soste o tappe intermedie di navigazione.
Ma che ai democristiani europei, progressisti o conservatori di sorta, non lascia boe o basi di ancoraggio. Tanto meno scialuppe di salvataggio. Strattonati da Est e Ovest tra Brexit ed ex-comunismi, nazionalismi e revanscismi. Oppure sospesi fra Settentrione e Meridione. Tra il richiamo vitalista del populismo alpino e lo spasmo di morte del mulinello mediterraneo.
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