In seguito agli articoli pubblicati da Pluralia (clicca QUI, QUI e QUI) sul progetto strategico elaborato a Washington di trasformare il porto Franco Internazionale di Trieste nel perno della logistica militare a sostegno del fianco est della Nato, oltreché al servizio della basi americane di Aviano e Vicenza, il tema è arrivato al centro dell’attenzione d’importanti think tank in grado di influenzare i decisori politici italiani.
Ne sono prova le prese di posizione della rivista Limes e del suo direttore Lucio Caracciolo, ritenuti autorevoli anche dal “mainstream” giornalistico e dal mondo politico,
ma anche il tentativo del Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli, think tank vicinissimo agli ambienti governativi, di promuovere su questo tema un convegno internazionale a Trieste il 18 ottobre scorso con la partecipazione del governatore della Regione Massimiliano Fedriga.
Lucio Caracciolo ha evidenziato la realtà e l’importanza dell’interesse militare americano per il Porto di Trieste a fini di contenimento di Russia e Cina.
Lo ha fatto nell’intervento introduttivo alle Giornate del Mare del 9 e 10 novembre scorsi a Roma di fronte a una platea di autorità e ammiragli della Marina Militare Italiana (clicca QUI dal minuto 33), poi nel video di presentazione del nuovo volume di Limes “I signori degli oceani” del 16 novembre 2024 (clicca QUI) e infine dedicando all’argomento una gran parte dell’editoriale di quel numero di Limes, in cui mi ha citato.
Altri articoli compariranno sul prossimo numero della rivista italiana di geopolitica.
A rafforzare la fondatezza delle preoccupazioni sul coinvolgimento del porto di Trieste nella logistica militare si è aggiunta anche l’iniziativa della Chiesa Cattolica, con il convegno triestino del 19 novembre contro il traffico di armi nel porto.
Durante l’incontro promosso dai Fari di Pace c’è stato un importante intervento del Vescovo di Trieste mons.Trevisi che ha presentato la lettera, a firma sua e di numerose associazioni cattoliche, che è stata inviata all’Autorità Portuale di Trieste invitando al rispetto della legge 185/90 che prevede la pubblicità sulle operazioni di export di armi nonché dell’elenco delle banche che le finanziano e offrono servizi (in appendice all’ articolo).
Un atto forte, in stile ovviamente diplomatico, quello del Vescovo Trevisi che chiede trasparenza sui traffici di armi in porto.
La lettera del Vescovo è un atto
inconsueto di cui, incredibilmente, il quotidiano locale non ha dato nessuna
notizia, confermando così che “di certe
cose non bisogna parlare”.
Così come non parla delle
numerose segnalazioni di lavoratori e cittadini allarmati dai traffici di mezzi
militari in porto, confermati dalle stesse parole del Commissario del Porto
Torbianelli che sul Piccolo dell’11
settembre scorso affermava ”Abbiamo degli
obblighi di far passare parte di logistica militare…”.
Quali obblighi può avere un Porto
Franco Internazionale di consentire traffici di armi a favore di un solo blocco
militare a danno di altri? Non si sa, e non viene detto.
Il giornale cattolico “Città Nuova” ha riportato il 19 novembre
scorso che“il Porto di Trieste nel 2022 ha esportato armi leggere e munizioni
leggere/pesanti per 174 milioni di euro, il 12% del totale nazionale”. Una
punta di iceberg che non conteggia i mezzi pesanti e i tank visti e fotografati
anche dai lavoratori portuali.
Da segnalare anche il contributo al dibattito del filosofo Diego Fusaro, autore di numerosi libri pubblicati da autorevoli case editrici, con il denso intervento “Trieste e il suo porto franco nel tempo della quarta guerra mondiale” disponibile in video (clicca QUI).
Un certo ruolo di diffusione a livello nazionale, e non solo, lo hanno avuto anche i miei tre libri "2027 la guerra per il Porto Franco di Trieste" (QUI), " Trieste porto franco internazionale o bastione militare della Nato?" (QUI) e il seguito appena uscito "Trieste e le rotte commerciali medioerientali e per l'Istmo d' Europa" (QUI).
Entriamo ora, nel merito di quanto sostiene Lucio Caracciolo nell’editoriale di Limes riguardo il possibile futuro di Trieste, dopo aver confermato i piani statunitensi emersi dalle riviste dell’ Atlantic Council e del National Interest.
La prima ipotesi è di tipo “iperautonomista, a sfondo indipendentista, imperniata sullo sviluppo del Porto Franco Internazionale. Sognando una Singapore neutrale sull’Adriatico”.
La seconda è.il progetto americano ”che bilancia l’accento militare con la Via del Cotone. Giù le mani cinesi e russe dallo snodo adriatico dei Tre Mari, sia dirette sia indirette (tedesche, ungheresi, austriache)”.
La terza è la “non-soluzione all’italiana. Ficchiamo la testa sotto la coperta, rifiutiamo di considerare la Guerra Grande affar nostro… Ci immaginiamo sicuri sotto l’ombrello a stelle e strisce,… Accettiamo un grado di militarizzazione del porto il meno visibile possibile….”
Se l’analisi di Caracciolo è corretta, e io penso che lo sia, è evidente che la seconda ipotesi, quella americana, è una minaccia esistenziale per Trieste e il suo Porto Franco Internazionale perché implica l’interdizione non solo per Cina e Russia ma anche per quelli che sono percepiti come loro “proxy”. Cioè Germania, Austria, Ungheria citate esplicitamente. Ma anche la Turchia, alleato infido che sta espandendo la sua influenza di potenza regionale perseguendo solo i propri interessi.
Cioè tutti,
ma proprio tutti, gli stati con cui il porto giuliano commercia, storicamente e
attualmente.
Trieste è
posta in questa parte del mondo, non sull’Atlantico, e da sempre collega la
costa sud dell’Eurasia, dall’Adriatico, alla Turchia, alla Cina, e le altre realtà
che gli Stati Uniti percepiscono come avversari strategici.
Smettere di
avere rapporti, di concedere terminal e quant’altro, con questi Paesi vorrebbe
dire chiudere immediatamente il Porto e dedicarsi a fare la base militare della
Nato vivendo di quello che spendono le truppe in città: replica umiliante della semiprostituzione a
base di “cioccolata, sigarette e calze nylon” del dopoguerra.
Quindi la
strategia americana per Trieste è un’autentica minaccia esistenziale che si
tenta di occultare con contentini, investimenti marginali e soft power come i
sorprendenti ripetuti investimenti americani nelle società calcistiche, di
basket e nello stadio locale: c’è poco
da trattare per mitigarla.
Il tentativo di far passare questa
ipotesi distruttiva con investimenti marginali stile “panem et circenses “ nel
Friuli-Venezia Giulia si scontra con l’autentico Sogno
Triestino di uscire dalla decadenza economica e demografica in cui è
piombata la città da oltre un secolo. Un sogno che si nutre degli esempi di
successo dei Porti Franchi che si moltiplicano nel mondo, che ne ha molto bisogno
specialmente in tempi turbolenti come questi.
Cosa
significa concretamente per Trieste l’ ipotesi “americana”? Si fanno passare
convogli militari Nato nel Porto Franco che dovrebbe invece essere neutrale,
minandone la credibilità internazionale, si diventa centro logistico militare
di rango europeo per il fronte est dell’Alleanza Atlantica e conseguentemente bersaglio
militare legittimo, si aumentano i rischi geopolitici del territorio con calo dell’appetibilità
per gli investimenti privati (cosa già vista durante la Guerra Fredda), e
niente rapporti con i “cattivi” Russi, Cinesi, Iraniani e i loro proxy
Tedeschi, Ungheresi, Turchi, Austriaci e così via. Cioè tutti i "clienti" del
disgraziato porto di Trieste che senza di loro potrebbe chiudere il giorno
stesso.
In cambio di
cosa? Dell’immaginaria “Via del Cotone” che non esiste e che è solo un’idea
balzana americo-israeliana, già ora resa inutile dalla Development Road patrocinata
da Ankara, principale partner del porto triestino,
che stanno costruendo attraverso l’Iraq e la Turchia.
Tutto ciò nel
quadro dell’adesione al Trimarium: altra iniziativa strategica concepita a
Washington, priva di contenuto economico e finalizzata a scopi militari di
rafforzamento del fianco est della Nato.
Cioè
rinunciare all’anima e alla propria natura in cambio di nulla o al massimo del “piatto
di lenticchie” di qualche investimento marginale qua e là per la Regione
Friuli-Venezia Giulia (con trattino).
Questo
sarebbe il Make Triest Great Again proposto
dagli Stati Uniti fermamente intenzionati a scaricare le spese e i costi delle
loro strategie militari sugli europei, senza spendere i loro dollari da
destinare invece alle ostilità anticinesi nel Pacifico.
La proposta di Caracciolo è esposta
chiaramente nell’editoriale di Limes:“spiegare a
Roma che con Trieste abbiamo una risorsa mai
così strategica…Il pacchetto militar-economico elaborato dai serbatoi di
pensiero strategico a stelle e strisce merita di essere valutato con lente
nazionale. Obiettivo: ancorare Nessun Luogo
(Trieste ndr) all’Italia anche
via America.”.
Trieste è cioè
una carta preziosa da gettare sul tavolo per ottenere dei vantaggi nazionali. Città
portuale che, viste le spinte autonomiste/indipendentiste endemiche che covano
al suo interno perché è incardinata tra
Mitteleuropa e Oriente e non sullo Stivale, va ancorata all’Italia in forza
degli accordi militari con gli Stati Uniti.
Caracciolo propone uno “scambio non troppo ineguale fra interessi italiani e americani”: eventualità estremamente improbabile soprattutto ora che l’Italia è alla canna del gas mentre la sua classe politica fa a gara per ingraziarsi il presidente USA di turno.
Dov’è questa classe politica italiana ed europea in grado di trattare con schiena dritta con gli americani per affermare i propri interessi nazionali (o europei)?
Anche se, per
caso improbabile, Roma trovasse la capacità e la forza di giocarsi la carta
strategica di Trieste con gli Stati Uniti - invece di limitarsi a subirne gli
ordini come sta facendo da lunghi anni - si tratterebbe di una svendita di
Trieste e dei suoi interessi vitali per qualche piccolo vantaggio per gli
interessi italiani, che sono strutturalmente diversi da quelli della città giuliana.
Un probabile
esito dell’auspicata trattativa potrebbe essere uno sconto marginale sul 3% del
Pil di spesa militare richiesto dalla Nato, che l’Italia comunque non è in
grado di tirar fuori, in cambio del totale via libera militare Nato a Trieste.
La
negoziazione sulla Via del Cotone avverrebbe sul Nulla perché il progetto è
congelato in attesa di tempi migliori in Medio Oriente e non ha alcuna
infrastruttura. Mentre riguardo il Trimarium si tratterebbe sul “quasi nulla”
economico visto che è privo di finanziamenti adeguati, oltre che di utilità
economica, come abbiamo illustrato negli articoli precedenti.
Ancora una volta Trieste come merce di scambio geopolitica sacrificata sull’altare degli interessi altrui: un buon modo per esasperarne l’autonomismo.
Invece l’Italia dovrebbe
ricordare che ha degli obblighi internazionali nei confronti del Porto di
Trieste, derivanti dal Trattato di Pace del 1947 e confermati dai successivi
accordi internazionali (Memorandum di
Londra del ’54 e Osimo del’75): ovvero di realizzare compiutamente il Porto
Franco Internazionale di Trieste come da Allegato VIII al Trattato di Pace
vigente. Che all’articolo 1 recita” Al fine di garantire che il porto e
le vie di transito di Trieste siano accessibili in termini uguali per tutto il commercio internazionale e della
Jugoslavia, Italia e degli stati dell’Europa Centrale come consuetudine negli altri porti liberi nel mondo ”.
Questo significa con libero approdo per tutti, senza i divieti applicati alla Russia e agli altri Paesi sanzionati per compiacere sanzioni emesse unilateralmente dal blocco occidentale
contro i propri avversari geopolitici: cioè solo da 30 paesi sui 193 presenti
all’ ONU.
Porto Franco che sia neutrale e smilitarizzato non consentendo il traffico
di armamenti a favore del solo blocco Nato a trazione americana.
Non c’è dubbio giuridico alcuno, anche per numerosa giurisprudenza italiana recentissima, che l’Italia sia tenuta a rispettare gli articoli dall’ 1 al 20 all’ Allegato VIII al Trattato di Pace di Parigi.
Se non lo vuole fare, anche per la pressione americana, e non vuole rispettare lo spirito di equità e neutralità garantito dai Trattati al Porto Franco Internazionale di Trieste, oltre a perdere di credibilità, si mette in una situazione geopolitica complicata e di violazione del diritto internazionale.
Trieste come bastione militare
della Nato non trasforma in un potenziale bersaglio militare legittimo solo
questa città portuale, che si trova a soli 80 chilometri dalla base aerea nucleare
americana di Aviano, ma espone al rischio di coinvolgimento diretto in un
conflitto tutta l’Italia, che considera questa regione parte del suo territorio
nazionale.
Forse è il caso di pensarci
seriamente visto che, in questo momento di transazione egemonica, la tendenza
al caos e alla guerra si sta estendendo nel mondo.
Paolo Deganutti
La lettera del Vescovo di Trieste al Presidente dell’Autorità Portuale
Prot. 698/VDI/24
Alla cortese att.ne del
Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale dell’Alto Adriatico Commissario
Straordinario dott. Vittorio Torbianelli
Dopo essere passato in
molti dei maggiori porti italiani, l’evento dei Fari di Pace approda finalmente a Trieste-Monfalcone, promosso da
numerose associazioni della società civile ed ecclesiale insieme alla Diocesi
di Trieste, che seguendo le sollecitazioni ripetutamente formulate da Papa
Francesco per la Pace nel mondo, desidera promuovere anche in sede locale la riflessione
e la preghiera affinché cessi la voce delle armi e subentri la voce della
solidarietà e fraternità tra i popoli.
In tale contesto, appare
importante che i valori e le motivazioni che hanno portato l’Italia ad
approvare la legge 185/1990, che prevede che tutti i transiti di armi nei porti
italiani siano comunicati pubblicamente, non vengano disattesi con la proposta
di modifica presentata in Parlamento.
Chiediamo innanzi tutto
che sia comunque rispettata la lettera
della legge 185/1990, che regola l’export degli armamenti, in
particolare all’articolo 6; e che sia
rispettata la lettera del Trattato internazionale sul commercio delle armi,
in particolare agli articoli 6 e 7, nei punti dove prescrivono che le diverse
autorità che hanno, nel concreto, poteri di controllo sull’entrata e
sull’uscita delle merci e sul transito delle stesse nei porti, non devono
consentire il transito di armamenti di cui si possa presumere l’impiego in
conflitti che violino gravemente i diritti umani, o in cui si possano commettere
crimini di guerra e genocidi.
Chiediamo inoltre che il
dialogo comporti la discussione intorno
ai rischi che le navi cariche
di armi e munizioni rappresentano al loro arrivo e sosta in porto, dal punto di
vista della sicurezza dei lavoratori in
banchina e della cittadinanza residente nelle aree vicine al porto. Va
peraltro apprezzato il fatto che l’Autorità di Sistema Portuale del Mare
Adriatico Orientale, per il Porto di Trieste, disponga di un dispositivo
congiunto con la Capitaneria di Porto che impone limitazioni e specifici
controlli su imbarchi, sbarchi, trasbordi e transiti di armi nonché il divieto
di sbarco, imbarco o trasbordo di esplosivi.
Chiediamo infine che il
dialogo si svolga in una cornice di trasparenza, come peraltro previsto dalle
leggi sopra citate, e che tutte le autorità competenti per i controlli, nei
porti, sulla natura delle merci in transito, nonché per lo spostamento di
materiali militari da parte di soggetti pubblici competenti, rispondano
positivamente, per quanto di competenza, alle richieste di accesso agli atti
riguardanti gli armamenti caricati su navi in transito e la destinazione di
tali armamenti: dialogo che si auspica coinvolga la società civile e le sue
rappresentanze.
Siamo pertanto a
sostenere le esigenze di trasparenza e legalità riguardanti i transiti delle
merci e degli armamenti caricati su navi in transito e la destinazione degli
stessi, nella convinzione che tale vigilanza possa contribuire anche ad
arginare eventuali traffici illegali di armi e droghe, entrambi distruttivi per
il genere umano.
Trieste 18 novembre 2024
†
Enrico Trevisi
Vescovo
di Trieste
Pax Christi Italia -
3a Marcia mondiale per la pace e la nonviolenza -
The Weapon Watch –
Movimento dei Focolari Italia –
Azione Cattolica Trieste –
Agesci Zona di Trieste –
Caritas Diocesana Trieste –
Acli provinciali di Trieste -
UCIIM -
ACCRI –
Comunità di Sant’Egidio -
Articolo 21-
Centro di accoglienza e di promozione culturale Ernesto Balducci -
La Trilogia con tutte le informazioni e le fonti
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