DIBATTITO SU QUESTIONI INTERNAZIONALI PER UNA CITTA' INTERNAZIONALE

sabato 20 ottobre 2018

IL MONDO DI ORBAN: La visione del mondo del leader dell’Ungheria - Un articolo di Limes On Line


Carta di Laura Canali, 2018.

La carta inedita della settimana è sull’Ungheria e sulla visione del mondo del suo premier, Viktor Orbán

Il faro strategico del leader magiaro è senza dubbio il recupero dell’influenza presso le popolazioni ungheresi rimaste fuori dai confini tracciati dopo la sconfitta nella prima guerra mondiale con il trattato del Trianon del 1920, ancora un trauma psicologico nazionale.

Ciò significa tessere relazioni in Serbia, Slovacchia, Ucraina e, soprattutto, Romania, dove risiede una corposa minoranza magiara in Transilvania. Questo obiettivo genera frizioni con i vicini, in particolare negli ultimi tempi con Kiev e Bucarest. Come vettore per costruire rapporti oltre confine, Orbán punta a potenziare le infrastrutture del bacino carpatico, la piana pannonica dove sono stanziate le comunità ungheresi. Questi progetti rientrano nello spirito dell’iniziativa del Trimarium, gruppo di paesi dell’Europa centro-orientale volto proprio a migliorare le connessioni nord-sud fra i membri.

Con la gran parte degli attori a ovest dei propri confini, l’Ungheria intrattiene relazioni quantomeno complicate. Orbán percepisce l’Europa occidentale come determinata a riformare i membri orientali dell’Ue, imponendo il proprio modello di democrazia liberale. Ciò a cui i paesi del gruppo di Visegrád, in particolare la Polonia e la stessa Ungheria, si oppongono, temendo di veder diluita la propria identità e autonomia, riconquistate solo di recente con il crollo dell’Urss.

Budapest sa benissimo di non avere il peso per determinare da sola il proprio destino. Dunque non rompe con Bruxelles, simbolo dell’altrui ingerenza, ma vi rimane per esercitare influenza. Il recupero della soggettività degli attori est europei è percepito come dannoso a Parigi, poiché sposta il baricentro degli affari continentali lontano dall’asse renano con Berlino. Per la Germania questo fenomeno è un’arma a doppio taglio: le conferisce centralità assoluta nell’architettura europea, ma le complica i piani di conformare l’estero vicino alle proprie visioni.

Che la politica non sia la posta in gioco ma un vettore attraverso cui si esplica la strategia ungherese lo confermano i rapporti con Austria e Italia. Pur di orientamenti molto simili e nei mesi scorsi impegnati a ventilare possibili allineamenti, i governi di Vienna e Roma non hanno finora formato un asse conclamato con Budapest. Anzi, il cancelliere Kurz è stato tra i più attivi a opporsi alla tentata scalata di Orbán al Partito popolare europeo. E alcuni degli imperativi strategici del nostro paese collidono con quelli magiari, in particolare sulle migrazioni.

Proprio le migrazioni sono il principale motivo per cui Orbán percepisce la necessità assoluta di preservare la stabilità di Turchia, Israele ed Egitto. Il premier ha descritto questi paesi come bastioni difensivi contro l’invasione musulmana in Europa, spettro agitato a scopi di consenso. E sta agendo di conseguenza per saldare le relazioni, al netto di tutte le incongruenze di questa operazione.

Orbán esibisce anche una certa equidistanza fra Russia e Stati Uniti. Rispetto ad altri paesi limitrofi, l’Ungheria è storicamente meno portata a vedere emanare da Mosca una minaccia esistenziale e per questo il leader magiaro descrive gli interessi di potenza russi come legittimi. Più simile alle percezioni dei propri vicini è invece l’immagine degli Usa, visti come partner sensibile alle esigenze dell’Europa Centrale, in particolare (ma non soltanto) dall’elezione di Donald Trump.

Testo di Federico Petroni.

giovedì 18 ottobre 2018

INTERVISTA A MASSIMILIANO FEDRIGA, PRESIDENTE DELLA REGIONE AUTONOMA FRIULI VENEZIA GIULIA - Sul porto franco di Trieste, la Mitteleuropa, gli investimenti cinesi, i Balcani e le sanzioni alla Russia - Da Limes On Line nazionale


Visto l' interesse locale mettiamo a disposizione dei nostri lettori sprovvisti di abbonamento a Limes l' intervista a Massimiliano Fedriga pubblicata il 18 ottobre (QUI).
(Cliccando sulle parole colorate in azzurro si viene rimandati ad altri articoli e note).


“Il ruolo internazionale del Friuli Venezia Giulia è un vantaggio per l’Italia”
Conversazione con Massimiliano Fedriga, presidente della regione autonoma Friuli Venezia Giulia.

a cura di Paolo Deganutti


LIMES Presidente Fedriga, Lei governa una regione da sempre molto esposta a questo tipo di mutamenti: sente l’esigenza di un ruolo attivo in politica estera anche da parte del Friuli Venezia Giulia?

FEDRIGA Lo statuto del Friuli Venezia Giulia prevede già la possibilità di rapporti internazionali, ma sarebbe utile alla stessa Italia che la regione interloquisse con aree come Mitteleuropa e Balcani, con cui questo territorio ha avuto sempre rapporti intensi. La scorsa settimana ho incontrato il presidente serbo Vučić, che mi ha detto di essere spesso a Trieste perché è il punto privilegiato per i rapporti con l’Europa. Tutta quell’area ancora extracomunitaria guarda a Trieste e alla regione come interlocutore privilegiato verso l’Europa. E noi siamo ben disponibili a svolgere il nostro ruolo internazionale.

LIMES Ritiene auspicabile la partecipazione del Friuli Venezia Giulia a una macroregione europea che comprenda i paesi del bacino danubiano? Già ora esiste la Macroregione Danubiana e paradossalmente il porto di Trieste, che per il 90% lavora con quest’area, non ne fa parte, mentre vi sono inclusi la Slovenia con il porto di Koper-Capodistria, che dista solo 6 chilometri, e la Baviera dove arriva l’oleodotto Tal che parte da Trieste.

FEDRIGA Penso che sia interesse della Macroregione Danubiana che Trieste e la regione Friuli Venezia Giulia ne facciano parte. Noi facciamo già parte del Gruppo europeo di collaborazione territoriale “Euregio Senza Confini” assieme a Carinzia (Austria) e Veneto. È in corso un dialogo piuttosto serrato per farvi entrare prossimamente anche la Slovenia e l’Istria.
La Mitteleuropa è l’entroterra naturale del porto di Trieste e del Friuli Venezia Giulia. È interesse reciproco avere uno sbocco sul mare strategico ed economicamente competitivo. Le infrastrutture del porto franco internazionale di Trieste e gli efficienti collegamenti ferroviari, la sua collocazione geografica, l’esclusivo regime giuridico in ambito europeo permettono già ora alla città di essere competitiva con i porti del Nord Europa. Le prospettive di sviluppo dei traffici lungo le nuove vie della seta la rendono il punto di snodo naturale tra nave e ferrovia.

LIMES Sulla stampa nazionale sono state espresse preoccupazioni in relazione ai condizionamenti derivanti
dagli investimenti cinesi. Se Pechino scommette sul porto di Trieste è più un’opportunità o un rischio?


FEDRIGA Io non vedo rischi in chi vuole investire qui: ovviamente questi processi bisogna saperli gestire. È importante porsi come interlocutori sullo stesso piano e abbiamo le capacità, le competenze, la forza politica ed economica per essere partner seri e paritari nei confronti di possibili investimenti cinesi. Lo sviluppo delle connessioni del porto di Trieste grazie alla attività dell’Autorità di sistema portuale è stata notevole.
Non si deve avere paura della crescita, cui possono concorrere anche altri partner internazionali oltre alla Cina, dall’Europa Centrale fino anche agli Stati Uniti. Lo sviluppo del porto di Trieste può dare uno slancio enorme all’autonomia del nostro territorio e alle possibilità di occupazione per i nostri cittadini. Sarebbe una follia non sfruttare queste opportunità. Fra le quali peraltro c’è anche l’interesse della Russia e dell’Europa Orientale a cercare uno sbocco sul mare per i traffici in crescita con il Nordafrica, in particolare con Egitto e Algeria. Il porto franco di Trieste rappresenta una grande occasione per Mosca: a questo riguardo, auspichiamo la fine delle sanzioni, come fanno pubblicamente importanti imprenditori regionali, dal gruppo siderurgico Danieli al costruttore De Eccher.

LIMES Le potenzialità del regime speciale di porto franco di Trieste erano state molto sottovalutate nei decenni precedenti: ora invece si punta al loro utilizzo anche per la produzione di merci. Quali saranno le prossime tappe?

FEDRIGA C’è stata già un’importante evoluzione del regime di porto franco di Trieste che ha spostato il centro decisionale dalla prefettura all’autorità portuale. Questo, oltre a una notevolissima semplificazione operativa e burocratica, ha permesso una maggior promozione dei vantaggi doganali e fiscali a livello internazionale e i risultati già si vedono.
Il grande salto di qualità lo avremo quando si potranno insediare imprese in grado di utilizzare i punti franchi per produrre beni e servizi a condizioni vantaggiose. Ho un sogno: quello del terziario avanzato. Trieste è la città della scienza: non esistono altre aree in Europa con una tale presenza e vicinanza di istituzioni e centri scientifici e di ricerca. L’humus è molto favorevole all’insediamento di grandi compagnie del terziario avanzato (*vedi nota).
Se abbiniamo alle capacità tecniche e scientifiche la possibilità di far arrivare al porto franco merci e componenti da lavorare e assemblare in condizioni di extraterritorialità doganale, per poi essere commercializzati a livello europeo e mondiale, ci rendiamo conto che nemmeno negli Stati Uniti ci sono aree in grado di offrire tanto a imprese che vogliano insediarsi.

Mi auguro che anche l’area di Porto Vecchio possa essere utilizzata in tal senso. Benché non sia più adatta a fare attraccare le navi container, quella zona può essere utilizzata per centri di ricerca e di aggregazione di imprese ad alta tecnologia dove start-up e imprese di rilevanza internazionale possono incontrarsi.

LIMES Il regime di porto franco potrà godere di ulteriori
vantaggi fiscali?


FEDRIGA Penso che ci potranno essere nuovi decreti attuativi per applicare appieno le grandi potenzialità del porto franco che derivano dal Trattato di pace del 1947 e dall’annesso allegato VIII. Peraltro, essendo antecedenti all’Ue, questi documenti non possono subire alcuna limitazione o vincolo da Bruxelles, a differenza delle zone franche previste dalle normative doganali europee. Spero che non solo l’Italia ma l’Europa capisca l’enorme potenzialità di Trieste che può avere una competitività paragonabile a porti come Singapore o Hong Kong.
Una volta assicurato l’uso produttivo, industriale o per servizi del terziario avanzato, si può procedere a studiare ulteriori passi verso la fiscalità di vantaggio. Sarebbe uno sviluppo positivo anche per l’erario, perché attraendo investimenti esteri e creando sviluppo e posti di lavoro si allargherebbe la base imponibile. Con le debite differenze, è la stessa logica della flat tax: più imprese pagano meno necessità c’è di tenere alta la pressione fiscale.
Abbiamo intavolato questi discorsi con l’esecutivo. Negli scorsi giorni ho accompagnato il sottosegretario alla presidenza del consiglio Giorgetti a visitare il porto franco di Trieste, proprio per fargli conoscere le sue potenzialità. Pur essendo nei suoi primi mesi, il governo ha dimostrato una grande attenzione a Trieste, non solo con questa visita ma anche con quella in Cina del sottosegretario allo sviluppo Geraci.

LIMES Come si pone di fronte alla questione dell’autonomia territoriale?

FEDRIGA Abbiamo iniziato un percorso per arrivare a una maggior autonomia per la regione Friuli Venezia Giulia, sia di competenze che fiscale. Ad esempio abbiamo ricevuto in eredità una situazione in cui la quota di iva spettante alla regione è stata ridotta da più del 90% a meno del 60%: di questo va discusso.
Riteniamo che i centri decisionali di governo e di amministrazione debbano essere quanto più vicini e controllabili dai cittadini. Faccio l’esempio concreto delle autostrade: un caso che ha funzionato bene è Autovie Venete spa, di cui la Regione è maggior azionista tramite Friulia, che sta facendo un investimento di 2 miliardi per la terza corsia senza ricevere un euro dallo Stato. Abbiamo stanziato esclusivamente nostre risorse per un’infrastruttura di carattere europeo.
Per quanto riguarda l’assetto interno alla Regione, ritengo si debba superare il modello delle 18 unioni territoriali intercomunali istituite contemporaneamente all’abolizione delle vecchie province. Penso invece a una Regione leggera con funzione legislativa e di programmazione, con delle aree vaste dotate di funzioni di amministrazione del territorio maggiori dei poteri delle vecchie province. Logico che occorre ottenere da Roma maggiori competenze e che queste decisioni vadano prese con un approfondito confronto con il territorio.

LIMES La stampa nazionale tende a enfatizzare
problemi con l’Austria sia sul tema del respingimento dei migranti sia su quello del doppio passaporto ai sudtirolesi. Che rapporti ha il Friuli Venezia Giulia con i vicini?

FEDRIGA Abbiamo ottimi rapporti con l’Austria e la Slovenia, anche con il nuovo governo, come del resto con l’Ungheria e la Baviera.
Sulla questione delle migrazioni la pensiamo allo stesso modo: non crediamo che la soluzione del problema sia lo sparpagliamento dei migranti irregolari per l’Europa. Questa può essere solo un tampone provvisorio in caso di emergenza.
La soluzione sarebbe che l’Ue permettesse ai paesi di confine di rispettare il trattato di Schengen che non prevede solo la libera circolazione dei cittadini dei paesi aderenti, ma anche la difesa dei confini esterni dell’Unione. Quando invece l’Ungheria e la Croazia l’hanno fatto, sono stati ammoniti da Bruxelles e ora Budapest rischia pure di essere sanzionata per aver agito come prevede Schengen.
L’Ue dovrebbe inoltre impegnarsi per trattati bilaterali con i paesi di provenienza degli immigrati irregolari, utilizzando la sua forza, teoricamente superiore a quella dei singoli Stati di frontiera. Pensiamo al Pakistan: da noi pakistani e afghani sono i più numerosi, ma Islamabad vanifica di fatto l’accordo bilaterale per la riammissione dei cittadini entrati irregolarmente nell’Ue non riconoscendo i propri cittadini.
L’Ue dovrebbe far valere il proprio peso politico ed economico per imporre al Pakistan il rispetto degli accordi e valutare misure punitive – altro che le sanzioni alla Russia che danneggiano le nostre imprese! Perché non lo fa? Perché si stenta a investire nei paesi d’origine? Ho il timore è che alcune politiche europee siano state mirate a importare manodopera a basso costo.

*NOTA
Da “L’ ECOSISTEMA TRIESTE PRODUCE SVILUPPO” - IL CASO MODEFINANCE  una start-up di successo nel settore dei servizi finanziari - Corriere della Sera imprese del 8/10/2018 intervista a pag. 5:
Quanto ha contato per l’azienda essere nata e cresciuta in uno dei distretti di ricerca e tecnologia più importanti in Italia?
«È stato fondamentale. Basti pensare che Mattia e io ci siamo conosciuti all’università di Trieste, dove abbiamo cominciato avviando uno spin-off dell’ateneo.
Per trovare la sede più adatta ci siamo spostati a cinque chilometri di distanza, in Area Science Park, il parco scientifico e tecnologico dove siamo tutt’ora incubati.
La nostra prima dipendente è una ragazza di Istanbul che abbiamo intercettato appena uscita da un master alla Mib Trieste School of Management, altri sei chilometri dal parco tecnologico. Ne contiamo sette e arriviamo alla Sissa, da dove abbiamo reclutato quello che è oggi il nostro Cto…”



mercoledì 10 ottobre 2018

IL PORTO DI TRIESTE COME SNODO DELLA VIA DELLA SETA: UN INTERVENTO DI LUCIO CARACCIOLO, DIRETTORE DI LIMES, AL FORUM DEI TRASPORTI DI CERNOBBIO - Articolo del Corriere della Sera


Il Corriere della Sera di oggi 10 ottobre fa riferimento all' intervento del Direttore di Limes Lucio Caracciolo al Forum dei Trasporti di Cernobbio in cui è intervenuto anche il presidente dell' Autorità Portuale Zeno d' Agostino, come riportato dal Piccolo.
Ecco l' articolo del Corriere a pag. 33:
La via della seta?
Il porto di Trieste si candida a snodo centrale
di Rita Querzè

Per una penisola come la nostra è un paradosso: nonostante l’Italia sia protesa nel Mediterraneo, rischia l’emargizinazione dalle principali rotte del trasporto delle merci.
Come ha sottolineato al forum dei Trasporti di Cernobbio il direttore di Limes Lucio Caracciolo, se c’è un porto che ancora può giocarsi qualche carta per diventare un punto di riferimento per le merci da e per la Cina, quello è il porto dl Trieste.
D’altra parte in questi anni ci siamo già giocati (malissimo) le altre «candidature»: nell’ordine, Taranto, Gioia Tauro, Napoli e Livorno.
Il segretario generale di Conftrasporto Pasquale Russo ha usato i numeri per rappresentare la situazione: «Negli ultimi 20 anni le merci in container movimentate nel Mediterraneo sono aumentate del 500%. Mentre nei porti italiani l’incremento è stato del 5o%». «L’Italia ha agganciato solo il 10%
della crescita», ha lamentato Russo.
Nel Mediterraneo passa un quinto del traffico marittimo mondiale. L’Italia rischia l’esclusione dalle grandi vie del traffico a causa di un sistema frammentato e di una burocrazia pesante che frenano la crescita dei porti, molti dei quali hanno piani regolatori vecchi di 6o anni.
Un segnale è arrivato dal viceministro delle lnfrastrutture Edoardo Rixi. Che ha assicurato: «Stiamo lavorando per aumentare le risorse destinate al porti».


Ecco invece l' articolo del Piccolo sull' intervento di Zeno D' Agostino:

forum di Cernobbio
D’Agostino: nei porti troppa burocrazia
Più investimenti in infrastrutture

Il presidente dell’Authority Alto Adriatico fa il punto sulla nuova geopolitica degli scali italiani: il ruolo centrale di Trieste
di Daniele Lettig


Smettere di pensare ai porti «come luoghi dove si caricano e scaricano scatolette da una nave all’altra», e rilanciare il ruolo delle autorità di sistema «nello sviluppo delle infrastrutture e del territorio». È questa la via che indica al settore portuale italiano Zeno D’Agostino, presidente del porto di Trieste e dell’associazione che riunisce tutti quelli del nostro paese, parlando a margine del suo intervento di ieri al quarto Forum internazionale di Conftrasporto-Confcommercio a Cernobbio. Occasione in cui l’associazione di categoria ha fatto il punto sullo stato dei trasporti marittimi in Italia, puntando il dito contro la burocrazia e la frammentazione che frenano la crescita di un settore che vale tra i 2 e i 3 punti di Pil. La riflessione di D’Agostino comincia proprio da un dato generale: nel 2017 il traffico merci nei porti italiani si è attestato su un valore di 10,7 milioni di Teu (la misura standard dei container), una cifra rimasta grosso modo costante negli ultimi dieci anni, ma che «analizzata più da vicino» mostra una grossa differenza rispetto al 2008. La maggior parte del traffico infatti «non passa più dai tre grandi porti di tranship di Cagliari, Taranto e Gioia Tauro», tutti attualmente in crisi, ma da altre infrastrutture – come Genova o Trieste – che non si limitano a trasferire i container dalle navi intercontinentali a quelle più piccole, ma costituiscono nella maggioranza dei casi il porto di destinazione: «Un container che arriva lì genera un indotto diverso, con un valore aggiunto molto più alto. Nel frattempo, però, abbiamo tre grandi porti in difficoltà e, tanto per cambiare, abbiamo tolto valore al Sud per portarlo al Nord». Una situazione che, a giudizio di D’Agostino, chiama in causa l’assenza di una politica industriale: «Bisogna che il potere pubblico si prenda la responsabilità di sviluppare il futuro del territorio, anche attraverso gli investimenti sulle infrastrutture. C’è chi pensa che questo sia compito dei privati, io ritengo invece che in Italia non ci siano soggetti privati in grado di farlo. Deve essere il pubblico ad alimentare un certo tipo di attività, altrimenti il rischio è che le infrastrutture restino inutilizzate». Lo dimostra proprio l’esempio di Trieste, «in cui negli ultimi tre anni i container in transito sono cresciuti del 50 per cento, e i treni raddoppiati». Anche nell’ottica del progetto cinese di una nuova “Via della Seta”, di cui proprio Trieste è considerato lo sbocco naturale nel nostro paese. —