DIBATTITO SU QUESTIONI INTERNAZIONALI PER UNA CITTA' INTERNAZIONALE

domenica 1 gennaio 2023

2022 L'ANNO SPARTIACQUE - Riassunto geopolitico del 2022 con, alla fine, un’ integrazione su Trieste


RIASSUNTO GEOPOLITICO DEL 2022, CHE SEGNA UN “PRIMA” E UN “DOPO” NELLA STORIA DI QUESTO SECOLO CON, ALLA FINE, UN’ INTEGRAZIONE SU TRIESTE.


1) 
IL 2022 SARÀ CONSIDERATO UN ANNO SPARTIACQUE NELLA STORIA DEL XXI SECOLO.
di
 Niccolò Locatelli   per LIMES

L’invasione russa dell’Ucraina ha avviato o accelerato dei processi che promettono di alterare l’equilibrio continentale e mondiale raggiunto dopo la fine della seconda guerra mondiale e sopravvissuto al collasso dell’Unione Sovietica (di cui proprio quest’anno è morto uno dei protagonisti, Michail Gorbačëv).

Il calcolo del presidente della Russia Vladimir Putin si è rivelato errato sotto tutti i punti di vista.
L’Ucraina si è dimostrata molto più solida del previsto. Sia dal punto di vista militare, grazie alle armi e all’addestramento forniti in questi anni e negli ultimi mesi dall’Occidente, sia dal punto di vista politico, grazie anche al coraggio del presidente Volodymyr Zelens’kyj (Zelensky), che non è fuggito e non è stato rovesciato.

La Nato, che Putin voleva allontanare, si è avvicinata: il confine terrestre tra Russia e Alleanza Atlantica è destinato a raddoppiare e Kaliningrad a essere circondata anche nel Baltico con l’imminente ingresso di Finlandia e Svezia, richiesto da Helsinki e Stoccolma subito dopo l’invasione e inimmaginabile prima. Gli Stati Uniti hanno sostenuto Kiev (cercando di limitarne le rappresaglie in Crimea e in territorio russo) e hanno sanzionato Mosca dal primo momento. I paesi dell’Unione Europea hanno promulgato le loro sanzioni e avviato in tempi record e con un certo successo la ricerca di fornitori di gas e petrolio alternativi; le faglie interne all’Ue, pur approfondite dalla guerra [e analizzate più avanti nell’articolo], non hanno intaccato la reazione compatta contro Mosca. I legami anche culturali della Russia con l’Occidente sono ai minimi storici.

Quelli con la Repubblica Popolare Cinese (Prc) – definita “amica senza limiti” nel documento congiunto firmato da Putin e Xi Jinping ma non informata dell’imminente attacco a Kiev durante l’incontro di gennaio a Pechino – hanno accusato il colpo. All’intrinseca sfiducia tra due imperi confinanti si è aggiunto il fastidio cinese per le ricadute internazionali di una guerra che la Russia non è in grado di vincere. Un fastidio emerso in un paio di votazioni alle Nazioni Unite e nel vertice di settembre a Samarcanda. Putin ha chiuso l’anno invitando Xi a Mosca in primavera.

L’invasione gioca a favore della retorica del presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che vuole le democrazie occidentali impegnate contro le dittature russa e cinese. Con il conflitto è emersa, oltre alla dimensione ideologica, quella decisiva del controllo delle materie prime e delle catene di produzione del valore. Questa dimensione agevola il perseguimento statunitense dell’agenda anticinese, che passa per la negazione della supremazia tecnologica a Pechino. Dunque ulteriori restrizioni alla penetrazione di imprese e social network cinesi negli Usa, da Huawei e Zte a TikTok, tornato in bilico come ai tempi di Trump; e ulteriori restrizioni all’esportazione verso la Cina di microchip.

Il fatto che la prima azienda di semiconduttori al mondo abbia sede a Taiwan contribuisce a spiegare l’importanza dell’arcipelago per gli Stati Uniti; nella sua storica visita di agosto, la speaker della Camera Nancy Pelosi ha anche incontrato il presidente di quell’azienda, Tsmc. Per la Cina, oltre alla spinta tecnologica, c’è quella nazionalista.
Alla base di tutto c’è naturalmente la geografia: il controllo dello Stretto di Taiwan, dunque del mare di casa, è requisito essenziale dell’ascesa internazionale della Prc o della sua negazione. Non sorprende che le sortite di aerei e navi da guerra nei cieli e nelle acque vicino la Repubblica di Cina abbiano più volte superato il record; né sorprende che l’isola si stia preparando al peggio.

Xi Jinping, il cui dominio sulla Repubblica Popolare Cinese è stato confermato al XX congresso del Partito comunista, ha indicato il centenario della fondazione della Prc come data limite entro cui ricongiungersi, pacificamente se possibile, a Formosa. Dunque, il 2049. Ma l’invasione russa dell’Ucraina potrebbe avvicinare la resa dei conti. Gli Stati Uniti continuano a rifornire di armi Kiev (oltre che Taipei) anche per segnalare alla Cina che non tollerano sovvertimenti violenti dei confini e dell’ordine internazionale basato sulle regole, di cui gli stessi Usa sono ultimi garanti e primi beneficiari. L’attacco russo e l’assertività cinese – oltre alle crescenti provocazioni della Corea del Nord – hanno dato ulteriore linfa al riarmo del Giappone, malgrado l’uccisione di uno dei suoi storici sostenitori, l’ex primo ministro Shinzo Abe.

Nell’immediato però la priorità della Cina è un’altra: le proteste senza precedenti di novembre, in cui si è arrivati a chiedere apertamente le dimissioni di Xi, hanno evidenziato l’esasperazione popolare verso la severissima politica “zero-Covid” implementata dallo scoppio dell’epidemia di coronavirus. Il successivo rilassamento delle restrizioni, indice della volontà del presidente di evitare ulteriori manifestazioni di dissenso sotto gli occhi del mondo, potrebbe scatenare una nuova ondata di contagi non facilmente gestibile.

Altre proteste stanno subendo una repressione molto più violenta senza aver avuto lo stesso successo: sono quelle che da qualche mese scuotono l’Iran e preoccupano un regime già indebolito dal mancato rinnovo dell’accordo sul nucleare con gli Stati Uniti. La pressione sulla Repubblica Islamica è destinata ad aumentare anche dal fronte israeliano, con il nuovo governo di Benjamin Netanyahu.

Chi invece ha trovato se non un accordo almeno un modus vivendi con gli Stati Uniti è la dittatura di Nicolás Maduro. Il petrolio del Venezuela è tornato prezioso agli occhi dell’amministrazione Biden prima delle elezioni di metà mandato (andate meno peggio del previsto) in un momento in cui il prezzo della benzina negli Usa era alle stelle. Continuerà ad esserlo fino a quando il greggio russo rimarrà bandito e quello saudita verrà pompato meno di quanto l’attuale inquilino della Casa Bianca vorrebbe – neanche il suo viaggio a Riyad per incontrare il principe ereditario Mohammed bin Salman ha sortito l’effetto sperato.
Rispetto agli anni di Trump, il Venezuela di Maduro potrà anche beneficiare di un quadro regionale a lui meno ostile, con il ritorno o il debutto “a sinistra” di numerosi paesi del Sudamerica: ColombiaCile, dal 1° gennaio 2023 di nuovo Brasile, di nuovo con Lula.

Tornando all’Europa: la guerra d’Ucraina ha prodotto una reazione a catena che parte da Berlino. La Germania del cancelliere Olaf Scholz sta cercando di ridurre le proprie dipendenze: energetica dalla Russia, commerciale dalla Cina. La svolta epocale (Zeitenwende) della Germania comprende un riarmo nell’ordine di cento miliardi di euro, che seppur pensato alla luce dell’invasione russa non può non preoccupare la Francia, la Polonia e gli Stati Uniti. Una modifica dei rapporti tra la principale potenza economica d’Europa e le principali potenze mondiali promette di avere ripercussioni importanti su tutto il continente.

La Francia ha vissuto un anno tra palco e realtà. Il palco è la Comunità politica europea, iniziativa (priva di cogenza e di mordente) del presidente Emmanuel Macron volta a ridare una centralità continentale a Parigi andando oltre i confini dell’Ue; il palco sono anche i ripetuti tentativi dell’Eliseo di ergersi a mediatore con Mosca.
La realtà è l’indifferenza putiniana a questi tentativi, che tra l’altro indeboliscono il legame tra Parigi e i paesi esteuropei più allarmati dalla Russia; la realtà è anche lo sfilacciamento dell’asse franco-tedesco e la conseguente esposizione della fragilità economica di Parigi di fronte ai frugali nordeuropei, in una fase in cui anche l’intesa con l’Italia post-Draghi vacilla; la realtà è infine la missione fallita e il conseguente ritiro dal Sahel, dove si moltiplicano i colpi di Stato anti-francesi (dopo il Mali, quest’anno è stato il turno del Burkina Faso) e cresce l’influenza di Mosca. In Africa si affacciano da tempo attori extra-occidentali (oltre alla stessa Russia, Turchia, Cina, Emirati Arabi Uniti), attratti dalla collocazione geografica e dalle risorse del continente e non intimoriti dalle situazioni di conflitto più o meno latente (LibiaEtiopiaRepubblica Democratica del Congo).

Stretta tra l’aggressione di Mosca e il riarmo di Berlino, la Polonia ha a sua volta avviato un rafforzamento delle proprie capacità militari che però – a differenza di quello tedesco – rientra pienamente negli interessi di Washington.

Agli Stati Uniti l’invasione russa dell’Ucraina sta portando benefici non indifferenti. Innanzitutto si sono rotti i legami energetici tra la Russia e l’Europa occidentale, in particolare la Germania, appena pochi mesi dopo la conclusione dei lavori del gasdotto Nord Stream 2 (sabotato assieme a Nord Stream 1 e mai entrato in funzione); anche i rapporti economici e culturali sono ai minimi storici. In secondo luogo la Russia si è impantanata in un conflitto che non può vincere, dando una clamorosa dimostrazione di inettitudine e debolezza militare. Così facendo Mosca rischia anche di trasformarsi in un fardello per la Cina. L’aggressività di Putin ha compattato l’Alleanza Atlantica attorno al suo azionista di maggioranza, cioè gli Stati Uniti – con l’eccezione della Turchia, che al pari dell’India cerca di massimizzare i suoi margini negoziali con Washington e con Mosca.

Infine, l’embargo europeo di fatto contro gli idrocarburi russi ha dato una bella spinta alle esportazioni di gas naturale liquefatto made in Usa. Mentre ci vende il suo gnl, Washington con l’Inflation Reduction Act (Ira) punta a dominare la transizione energetica.

L’Ira e il Chips Act sono diretti in primo luogo contro la Cina, ma segnalano un cambio di paradigma di cui anche i paesi europei dovrebbero prendere nota. Il perseguimento dell’interesse nazionale statunitense passa ora per l’aumento della produzione interna – anche con misure protezionistiche, se necessario – e non più per l’espansione del libero commercio.

L’esito della guerra in Ucraina, lo scontro Usa-Cina, la “nuova” politica industriale degli Stati Uniti e il riarmo della Germania sono questioni che non riguardano solo gli attori coinvolti, ma hanno un impatto sul futuro di tutti.

 

2)  E TRIESTE IN TUTTO QUESTO
di Paolo Deganutti.

Trieste è sempre stata un sensibile sismografo dei sommovimenti geopolitici e ne ha risentito in modo particolare perché è posta su una “faglia” geopolitica attiva che ha avuto la sua plastica evidenza con la “Cortina di Ferro da Stettino a Trieste” del famoso discorso di Churchill.

Nel quadro generale sopra delineato nel 2022 l’ Adriatico ha accresciuto la sua importanza strategica nell’ ambito di un Mediterraneo che a sua volta vede accresciuta la sua centralità internazionale.
In conseguenza della guerra in Ucraina e delle sanzioni le correnti di traffico nell’ Alto Adriatico sono aumentate e ne ha beneficiato in particolare il Porto Franco Internazionale di Trieste che è il terminal dell’ “autostrada del mare” che collega la Turchia con l’ Europa centro orientale e la Germania in particolare.

La Turchia, grazie anche a un’ abile politica estera di mediazione tra Occidente e Russia, ha aumentato la sua rilevanza sia geopolitica che commerciale.
In seguito alle sanzioni alla Russia diverse correnti di traffico hanno cominciato ad utilizzare l’ “hub” turco che si avvia a diventare anche nodo strategico di smistamento e fornitura del gas russo all’ Europa.

L’ aumento del ruolo di Ankara e il suo solido legame commerciale con l’ Europa centrale integrata nella “catena del valore” di Berlino (altrimenti detta Kerneuropa) e il suo forte antagonismo con la Francia (Macron si pone come il principale avversario di Erdogan) sta portando sempre di più la parte d’ Europa di cui facciamo parte, e che beneficia dell’ aumento dei traffici nell’ Adriatico, a sentire la crescente attrazione del centro gravitazionale tedesco.

La Turchia sta anche aumentando la sua influenza nei Balcani occidentali, oltre che in Libia: un’ area che risente di una sempre maggior instabilità come conseguenza della guerra Russo-Americana in Ucraina.
La situazione è esplosiva nel Kosovo e in Bosnia dove si stanno riaccendendo scontri con le minoranze serbe. Non sono ancora dimenticati i bombardamenti Nato del ’99 contro la Serbia alleato storico della Russia.
E quanto avviene nei Balcani vicini ha sempre avuto conseguenze dirette su Trieste.

Questa parte del mondo è portata a sperimentare un periodo di maggiore instabilità e cambiamenti.

In un’ Europa in cui si sta indebolendo l’ asse franco – tedesco e sta aumentando il protagonismo geopolitico di Berlino - che ha deciso di riarmarsi autonomamente mentre tenta di non recidere totalmente i suoi legami vitali con l’ Oriente (Russia e Cina) come vorrebbero gli USA – è inevitabile che Trieste e lo stesso Nord-Est italiano guardino sempre di più verso la Germania e la Mitteleuropa (Kerneuropa).

Per la Germania il Porto di Trieste con i suoi collegamenti ferroviari sta aumentando la sua importanza strategica non solo perché è un’ importante strumento di approvvigionamento di idrocarburi (l’ Oleodotto TAL-Siot è in incremento) ma anche per i traffici in aumento con la Turchia, importante hub per tutta l’ area.

Inoltre i sommovimenti geopolitici in atto accentuano la necessità di un accorciamento delle catene produttive e di approvvigionamento con un rientro di molte produzioni industriali delocalizzate (reshoring).
Di questa tendenza  generale può beneficare la reindustrializzazione di Trieste a partire dalle aree portuali ricche di servizi marittimi e ferroviari e che potrebbero usufruire del vantaggioso regime di extraterritorialità doganale del Porto Franco una volta completato l’ iter burocratico con la UE che prevede una comunicazione da parte del Governo Italiano.

Tuttavia il nostro porto è considerato strategico anche dalla Nato: per il servizio alle vicine basi americane e per gli eventuali trasporti militari verso l’ Europa Centro  Orientale: come la visita del console americano Needham ha rimarcato.

Questi interessi sono in conflitto latente e Trieste dovrà imparare a destreggiarsi facendo gli interessi propri che storicamente sono diversi da quelli di Roma che ha inevitabilmente scelto di adeguarsi alle indicazioni provenienti da oltreoceano.
Un esempio storico di abile destreggiamento sulla stessa faglia geopolitica è stata la prospera Repubblica di Ragusa (ora Dubrovnik), e il cui motto neutralista nelle trattative diplomatiche era “
Non siamo Turchi, non siamo Ebrei ma solo poveri Ragusei…


 

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