DIBATTITO SU QUESTIONI INTERNAZIONALI PER UNA CITTA' INTERNAZIONALE

venerdì 30 giugno 2017

Balcani e Ue uniti tra diversità e sostenibilità - Il 12 luglio si svolgerà a Trieste il summit sui Balcani Occidentali, nell' ambito del cosiddetto "Processo di Berlino" - Pubblichiamo un articolo di Jens Woelk tratto da Affari Internazionali -


 di Jens Woelk


All’inizio del suo mandato, il Presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, ha messo in chiaro che per i prossimi cinque anni non ci sarebbero stati nuovi allargamenti dell’Unione europea, Ue. Di conseguenza, nell’attuale Commissione non c’è più un dicastero che si occupa esclusivamente di allargamento (la nuova DG NEAR è infatti la fusione con la Politica di Vicinato).

Alla “fatica di allargamento” dell’Ue - dopo i due allargamenti del 2004 e del 2007 l’adesione della Croazia nel luglio 2013 è passata quasi inosservata -, nei Balcani sembra corrispondere una dilagante “fatica di pre-adesione” che ha fatto rallentare di molto le attività di riforma in prospettiva della piena integrazione europea.

Da anni ormai, le relazioni annuali di monitoraggio della Commissione si potrebbero intitolare “no-progress reports”, almeno per alcuni paesi. Inoltre, i Balcani sembrano spariti dai radar dei governi e dall’interesse dei media europei, lasciando i Paesi della regione galleggiare nel processo di stabilità e adesione, nei vari stadi tra “candidato potenziale” (Kosovo), “candidato” senza inizio dei negoziati (Bosnia ed Erzegovina, Macedonia) e quello più avanzato di “candidato” entrato nei negoziati (Albania, Montenegro e Serbia). Una certa stabilizzazione dell’area sembra quindi riuscita, ma al prezzo dell’immobilità e del mantenimento di uno status quo comunque fragile.

No progress report
Infatti, i problemi della transizione multipla, democratica, economica e sociale, non sono risolti e in alcuni Paesi della regione sono da registrarsi nuove tensioni, fra cui la profonda crisi politica degli ultimi due anni in Macedonia, i referendum contro la Corte costituzionale e la comunità internazionale nonché la richiesta di una terza entità (croata) in Bosnia, la controversia intorno all’associazione dei Comuni serbi in Kosovo e altro ancora. Tutti questi rivelano la fragilità degli Stati e delle loro istituzioni.

Se da una parte Federica Mogherini ha intensificato, negli ultimi due anni, la sua attività diplomatica con varie visite nella regione, dall’altra c’è chi, nel dibattito accademico, dichiara il venir meno del “potere di trasformazione” dell’Ue, impotente di fronte allo stallo, e pertanto offre come unica soluzione alla “disfunzionalità multi-etnica” quella di ri-disegnare i confini lungo le linee etniche per ottenere anche nei Balcani degli Stati-nazione.

Solo l’omogeneità etnica, che secondo questa visione corrisponde ad uno ‘stato naturale’ delle cose, tradotta in uniformità delle istituzioni, può produrre maggiore efficienza di queste ultime. Tale equazione offre una spiegazione semplicistica che ricorda la formula propagata da Samuel Huntington all’inizio degli anni 1990, secondo la quale lo scontro fra culture è inevitabile.

Essa non solo ha portato alle pulizie etniche, ma sta anche in netto contrasto con la situazione in tante aree dei Balcani, dove una netta separazione di aree di insediamento di gruppi diversi semplicemente non esiste (si pensi ai croati nella Bosnia centrale oppure ai serbi nel Kosovo), e con il lavoro paziente dell’Ue, Stati donatori e società civile che cercano da anni di promuovere una convivenza nella diversità - molto simile a quanto caratterizza, come approccio, la stessa Ue (“uniti nella diversità”).

Il processo di Berlino cerca di rianimare questa politica paziente con qualche accento nuovo. Iniziato con un vertice nel 2014 a Berlino, seguito da altri due a Vienna (2015) e a Parigi (2016), esso ha come obiettivo dichiarato il consolidamento e il mantenimento di una dinamica positiva del processo di pre-adesione nei Balcani occidentali, nonostante l’euroscettiscismo e il moratorium espresso dal Presidente Juncker.

L’iniziativa intergovernativa che coinvolge gli Stati della regione e alcuni Stati membri dell’Ue mira soprattutto a intensificare i rapporti multilaterali e a migliorare la cooperazione regionale in ambito infrastrutturale e di sviluppo economico. Ciononostante, le sfide più importanti per la regione sono (e rimangono) l’instabilità, le democrazie ancora deboli, le difficoltà nel garantire l’attuazione del principio dello Stato di diritto, nonché i tentativi di potenze esterne di destabilizzare gli Stati della regione (infatti, si discute molto sul rispettivo ruolo di Arabia Saudita, Turchia, Cina e soprattutto Russia).

Alla ricerca della sostenibilità che necessita di uno stato di diritto funzionante
Lo Stato di diritto funzionante non è soltanto fondamentale per la libertà e per il funzionamento di un sistema democratico: una giustizia funzionante e una libera stampa sono presupposti necessari per i diritti dei cittadini ma anche per lo sviluppo economico. Allo stesso tempo sono indispensabili per una futura adesione all’Ue (come si è vista con l’istituzione del meccanismo di verifica post-adesione nei confronti della Romania e della Bulgaria, proprio per dubbi sulla sostenibilità, efficienza e indipendenza dei loro sistemi giudiziari).

Il concetto di “EuMember State-Building”, da tempo discusso, sottolinea la necessità di processi endogeni di riforma per arrivare alla maturità ed efficienza di istituzioni capaci di permettere l’apertura della statualità e la cooperazione con istituzioni di altri Stati, necessarie per uno Stato membro nell’integrazione europea.

La situazione nei Balcani è pertanto molto diversa rispetto alla situazione dell’Europa centro-orientale di 20 anni fa, dove gli Stati nella loro transizione democratica intendevano comunque realizzare un ampio programma di riforme, con (o senza) l’aiuto dell’Ue come attrice esterna. L’aiuto esterno era sempre considerato come un supporto di un processo interno, la prospettiva dell’integrazione europea era allo stesso tempo obiettivo e strumento.

Nei Balcani, invece, lo stesso momentum positivo non è stato ancora raggiunto nonostante l’articolata condizionalità e l’importante assistenza tecnica e finanziaria; anzi, attualmente sembra che gli Stati della regione siano fermi o stiano perfino regredendo con il rischio di scivolare verso dei sistemi semi-autoritari. Naturalmente non aiuta la situazione in cui si trovala stessa Ue: crisi economica-finanziaria, il dibattito sulla Brexit, la fatica di allargamento e il moratorium sull’allargamento espresso da Juncker; tutto ciò rende certamente meno attraente la prospettiva di adesione e pertanto meno incisivo il potere di trasformazione dell’Ue.

Infatti, determinante per la situazione di stallo attuale è la mancanza di volontà da parte degli stessi Stati della Regione di impegnarsi e di mantenere in corso un processo endogeno di riforma: l’obiettivo non può essere soltanto l’adesione all’Ue, ma deve essere quello di sostenibilità e stabilità come sistemi democratici per i propri cittadini e per favorire lo sviluppo economico e sociale. Invece sembra proprio che per tanti gruppi al potere l’attuale status quo sia più attraente di qualsiasi riforma.

Società civile contrappeso al leaderismo
L‘Ue dovrà risolvere tale dilemma fra una stabilità nel breve termine, accettando che i governi degli Stati nei Balcani non rispettano i loro obblighi di rendere funzionante la giustizia e di riconoscere i risultati di elezioni democratiche, e una stabilità a medio-lungo termine che potrà essere garantita soltanto attraverso il rispetto di una democrazia pluralistica e dello Stato di diritto.

Per raggiungere tale stabilità a lungo termine, l’Ue deve insistere nel completamento della transizione democratica rafforzando la società civile come contrappeso al leaderismo e aiutando gli Stati ad evitare la tentazione di seguire il modello russo di un sistema autoritario.

Gli ultimi sviluppi nella Macedonia, uscita da due anni di crisi politica profonda, sono promettenti e incoraggianti. L’auspicio è quello dell’instaurazione di una dinamica positiva nei Balcani che sia ulteriormente rafforzata al prossimo vertice multilaterale di Trieste, tappa del processo di Berlino che, alla fine, possa portare la regione a Bruxelles.

Jens Woelk è Professore associato di diritto costituzionale comparato presso la Facoltà di Giurisprudenza e la Scuola di Studi internazionale dell’Università degli Studi di Trento nonché vice-direttore dell'istituto per gli studi federali comparati presso l'Eurac Research a Bolzano.

giovedì 29 giugno 2017

Il decreto del porto di Trieste, i binari verso l’Italia e la rotta per l’Artico. Giugno lungo le nuove vie della seta - Articolo di LimesOnLine nazionale.


Il sito Nazionale LimesOnLIne ha rilevato la promulgazione dei decreti attuativi per il Porto Franco Internazionale di Trieste (QUI).
Noi aggiungiamo l' accordo strategico tra il Porto di Trieste e lo snodo intermodale di Duisburg, attuale caplinea della Via della Seta Ferroviaria.
Ecco l' articolo con le notizie sulla Nuova Via della Seta:


IL DECRETO ATTUATIVO DI TRIESTE, I BINARI TRA CINA E ITALIA, FINCANTIERI A SHANGHAI

Trieste. Ci sono nuovi sviluppi riguardo il ruolo dell’Italia lungo Bri. In una conferenza stampa congiunta, il ministro dei Trasporti Graziano Delrio, la presidente del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani e il presidente dell’Autorità portuale dell’Adriatico orientale Zeno D’Agostino hanno annunciato il decreto attuativo per il Porto franco internazionale di Trieste.
Il decreto, che mancava dal dopoguerra ed è il primo di questo tipo in Europa, stabilisce l’organizzazione amministrativa della gestione dei punti franchi, rendendoli più efficienti davanti alle sfide globali. Trieste e Genova sono tra i due scali marittimi in cui la Cina intende investire nell’ambito delle nuove vie della seta. Pechino è interessata al primo proprio perché si tratta dell’unico porto europeo che gode di extraterritorialità doganale ed è collegato via treno all’Europa centrale e orientale
Mortara. Il polo logistico integrato di Mortara (Pavia) sarà collegato via treno alla città di Chengdu lungo la prima rotta Cina-Italia, che prevede un trasbordo dei container a Varsavia (Polonia). Il partner cinese in questa operazione è Changjiu Group (oltre 20 miliardi di fatturato) tramite Changjiu Logistics. I treni merci arriveranno in circa 18 giorni e torneranno indietro carichi di prodotti made in Italy. Entro il 2018 sono previsti fino a tre viaggi a settimana e il collegamento con Shanghai e Pechino. La struttura di Mortara è all’incrocio del Corridoio Mediterraneo e del Corridoio Reno-Alpi della Trans european network-transport (Ten-t), che dovrebbe entrare in funzione nel 2030.
Shanghai. Fincantieri invece ha firmato una lettera d’intenti con la China state shipbuilding corporation (Cssc) per la creazione di un parco crocieristico nel distretto di Baoshan, a Shanghai. Lo scorso febbraio, durante il viaggio del presidente Mattarella in Cina, l’azienda italiana aveva sottoscritto un accordo vincolante con Cssc e Carnival corporation per costruire due navi da crociera (più quattro in opzione) nel cantiere di Waigaoqiao Shipbuilding (Shanghai). Si tratta delle prime unità di questo genere realizzate in loco appositamente per il mercato cinese. Baoshan ospita il più grande porto commerciale e croceristico della Cina.

ROTTA PER IL POLO NORD
Anche l’Artico un giorno potrebbe essere attraversato dalle nuove vie della seta. Questo emerge dal documento divulgato da Pechino e intitolato “Visione per la cooperazione marittima nella Belt and road initiative” (Bri). Il testo sottolinea che la cooperazione negli oceani “si focalizzerà sulla costruzione di un passaggio economico marittimo Cina-Oceano Indiano-Africa-Mar Mediterraeno”, attraverso il collegamento del corridoio Cina-Penisola indocinese e allacciando il corridoio economico Cina-Pakistan e quello Bangladesh-Cina-India-Myanmar. Sforzi saranno compiuti per realizzare anche la rotta Cina-Oceania-Pacifico del Sud. Infine, il documento menziona esplicitamente la rotta artica tra quelle “immaginate” per raggiungere l’Europa.
La Repubblica Popolare si considera uno Stato “vicino all’Artico” (jin beiji guojia), malgrado sia distante da esso circa 1.600 chilometri. L’interesse di Pechino per questa regione dipende da diversi fattori: la presenza di risorse energetiche e minerarie, il commercio ittico, la ricerca scientifica e, naturalmente, lo sviluppo di nuove rotte commerciali. Alcune navi di Cosco, gigante della logistica marittima cinese, già percorrono la Rotta marittima del Nord per raggiungere l’Europa. Grazie ad essa, per andare da Shanghai a Rotterdam queste impiegano circa 15 giorni in meno rispetto a quella passante per il Canale di Suez. Tale via è oggi percorribile solo tra luglio e novembre, quando la temperatura è più alta.
La strategia artica di Pechino è la ragione principale delle visite di Xi Jinping in Finlandia e in Alaska e dell’incontro con il primo ministro della Norvegia Erna Solberg dello scorso aprile. Questi vertici sono avvenuti in concomitanza con il viaggio del presidente cinese negli Usa per incontrare il suo omologo Donald Trump.

(S)NODO HONG KONG
L’1 luglio il presidente cinese Xi Jinping parteciperà alla celebrazione del ventesimo anniversario della restituzione di Hong Kong alla Repubblica Popolare. La visita di Xi dovrebbe essere seguita da quella della portaerei Liaoning il 7 luglio, che approderebbe nell’ex colonia britannica al termine di due settimane di esercitazioni navali.
A metà giugno la regione ad amministrazione speciale di Hong Kong (grazie al suo alto livello di autonomia) è entrata a far parte della Asian infrastrutcure investment bank (Aiib), la banca per le infrastrutture che finanzia i progetti lungo le nuove vie della seta. Inoltre, a fine mese i media cinesi (123) hanno sottolineato il ruolo dell’ex colonia lungo la Bri come snodo legale internazionale e piattaforma onnicomprensiva per servizi, finanziamenti, investimenti e risoluzione delle dispute in Asia-Pacifico.
In tale contesto, è rilevante la costruzione del ponte Hong Kong-Zhuhai-Macao, che integrerà ulteriormente l’ex colonia e la madrepatria e che sarà completato entro fine anno. L’infrastruttura, lunga 55 chilometri, unirà le tre città sul delta del Fiume delle Perle riducendo il tempo di percorrenza da tre ore a trenta minuti. L’anniversario dell’1 luglio, considerate le storiche rivendicazioni democratiche di una parte della popolazione, innescherà probabilmente nuove manifestazioni locali. Il livello di sicurezza nella regione è elevato e nel mese precedente sono state condotte esercitazioni antiterrorismo su larga scala.

IS IN PAKISTAN, UNA MINACCIA ANCHE PER LA CINA
Secondo Islamabad, due insegnanti cinesi rapiti a Quetta lo scorso mese sono stati uccisi. Lo Stato islamico (Is) ha rivendicato il fatto, ma Pechino non ha confermato definitivamente la loro morte. Potrebbe trattarsi della seconda e terza uccisione di un cinese per mano dell’Is dopo quella di un ostaggio in Siria nel 2015. Il quotidiano Huanqiu Shibao afferma che le due vittime lavoravano per un gruppo missionario a guida sudcoreana e che quindi la loro sorte sia dipesa dall’attività di proselitismo in Pakistan, non dal loro impiego nei progetti della Bri. Lo scorso anno, Islamabad ha dislocato una divisione speciale di sicurezza di 15 mila unità per tutelare le circa 5 mila aziende che operano nel paese, di cui 4 mila nello sviluppo del corridoio economico Cina-Pakistan, ramificazione delle nuove vie della seta. Nella provincia di Sindh, nel sud del paese, si aggiungeranno 2.600 funzionari di polizia.
Un rapporto della Difesa Usa pubblicato di recente afferma che Pechino potrebbe costruire in Pakistan una nuova base navale, la seconda dopo quella di Gibuti. La notizia non è confermata. In ogni caso non si tratterebbe di una sorpresa per chi segue i progressi navali cinesi. Il porto di Karachi è tra quelli che ha ricevuto più visite dalla Marina cinese insieme a Salalah in Oman, Gedda in Arabia Saudita e Aden in Yemen. Intanto, il Pakistan e l’India sono diventati membri a pieno titolo dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco, di cui fa parte anche la Cina) durante il diciassettesimo summit svoltosi ad Astana (Kazakistan) a inizio giugno. La Sco ha tra i suoi scopi proprio combattere i “tre mali”: terrorismo, separatismo e estremismo.

IL GIAPPONE NELLA BRI?
Il primo ministro Shinzo Abe ha detto che il Giappone “è pronto a estendere la cooperazione” nell’ambito delle nuove vie della seta sotto certe condizioni, inclusa “l’armonia con una zona economica transpacifica libera ed equa”. Il Giappone, storico antagonista della Cina, vede la Bri come uno strumento di espansione nelle mani di Pechino. Inoltre, Tokyo non vede di buon occhio la Asian infrastructure investment bank (Aiib) e la Free trade area of Asia-Pacific (Ftaap). La prima è il braccio finanziario della Bri, considerato in competizione con la Banca mondiale a guida Usa e con l’Asian development bank a guida nipponica. La seconda era l’antagonista della Trans pacific partnership, area di libero scambio promossa dagli Usa di Barack Obama (sotenuta dal Giappone) e da cui Donald Trump ha deciso il ritiro. A luglio Xi e Abe potrebbero incontrarsi a margine del vertice del G20 di Amburgo.

SOGNANDO LA CALIFORNIA
Durante un forum sull’energia pulita a Pechino a inizio giugno, il governatore della California Jerry Brown ha suggerito un ruolo per il proprio Stato nell’ambito della lotta all’inquinamento lungo la Bri. Brown ha anche incontrato Xi, che lo ha invitato a promuovere la cooperazione sino-statunitense nel campo tecnologico e dello sviluppo green.
La California sta riscuotendo notevoli risultati sul piano dell’utilizzo delle rinnovabili e l’incontro tra il governatore californiano e il leader cinese stride con la decisione di Trump di ritirare gli Usa dall’accordo sul clima di Parigi. Con questo provvedimento, The Donald lascia spazio alla Cina come potenziale polo di riferimento nella lotta all’inquinamento, i cui altissimi livelli stanno danneggiando la qualità della vita dei cinesi e rappresentano quindi una questione d’interesse nazionale per Pechino.

SPAGNA: COSCO SHIPPING A VALENCIA E BILBAO
L’acquisizione del 51% della spagnola Noatum port holdings permetterà al gigante della logistica cinese Cosco di controllare il più grande terminal container del porto di Valencia e l’unico dello scalo di Bilbao, rispettivamente nel nordovest e nell’est della Spagna. Il costo dell’operazione è stato circa 228 milioni di dollari. Cosco è tra i principali attori impegnati a consolidare la presenza della Repubblica Popolare in snodi fondamentali per lo sviluppo della rotta marittima della Bri, anche nel Mar Mediterraneo. Tra questi primeggia il porto del Pireo in Grecia.

domenica 25 giugno 2017

L’asse è franco-tedesco, ma il baricentro è a Berlino - Articolo di Limes On Line

L’elezione di Macron e la sintonia tra il nuovo presidente francese e Angela Merkel al Consiglio Europeo di giugno non alterano l’equilibrio di potenza nel Vecchio Continente.
Si è concluso venerdì 23 giugno un Consiglio europeo particolarmente ricco di spunti, nonostante a conti fatti non si sia deciso molto.

Il bilancio resta positivo, considerando anche la conferma dell’impegno Ue sul clima alla vigilia del G20 di Amburgo e il passo in avanti sulla difesa comune. Quello della cooperazione rafforzata in materia di difesa (Pesco) è un meccanismo dormiente ma già previsto dal Trattato di Lisbona, che sostanzialmente permette a chi lo voglia di assumere impegni più ambiziosi nel settore. L’accordo rappresenta dunque la prima applicazione pratica del nuovo metodo a più velocità che i paesi membri si sono dati nella dichiarazione di Roma.

L’attivazione della Pesco rende possibili ipotesi suggestive come quella del dispiegamento di una forza multinazionale in particolari scenari di crisi che interessano l’Unione – ad esempio i Balcani.

La conferenza stampa congiunta di Francia e Germania ha chiuso il summit. Una tradizione che Merkel ha iniziato con Sarkozy, sospeso con Hollande e ripresa adesso con Macron proprio per rilanciare l’asse franco-tedesco.

Resta però la sensazione che il rafforzamento di questo legame non sposti il baricentro, ma renda Berlino sempre più il cuore pulsante della volontà politica europea. Non è detto che questo idillio non possa concludersi in un nulla di fatto, come ai tempi della luna di miele tra Merkel e Sarkozy. Certamente potrebbe contribuire alla formazione di un’unica voce in Europa.

Una voce che, a scanso di equivoci, continuerà a parlare tedesco. Lo dimostra il capitolo delle conclusioni dedicato al commercio. La Francia ha spinto per, e in parte ottenuto, il riconoscimento di una limitazione agli investimenti diretti esteri e all’accesso agli appalti pubblici per Stati terzi che non assicurano forme di reciprocità (Cina su tutte). La Germania ha fatto assumere al Consiglio una posizione più cauta: ha accettato l’iniziativa francese, ma ne ha modificato la traiettoria.

L’Italia ha provato a giocarsi le proprie carte sul tema delle migrazioni. Roma sta provando ad avviare un discorso di regionalizzazione dei salvataggi, una sorta di condivisione degli sbarchi che permetta di portare migranti e rifugiati anche sulle coste di altri paesi Ue rivieraschi.

Italia e Grecia incassano il mea culpa di Germania e Francia, che hanno ammesso di non aver fatto abbastanza di fronte alle prime richieste di aiuto.

Tuttavia l’intesa sulla dimensione interna della gestione migratoria, vale a dire la riforma del sistema di Dublino, non solo non c’è stata, ma non si vede neanche all’orizzonte.

venerdì 23 giugno 2017

Ambizioni e realtà del piano Ue per un esercito congiunto - Mappa dell' Europa oggi - articolo da Limesonline


UE ALLE ARMI
di Lorenzo Di Muro
Il Consiglio Europeo ha approvato la realizzazione della Cooperazione strutturata in materia di Difesa (Pesco), un accordo definito “storico” dal presidente Donald Tusk. Bruxelles ha quindi auspicato la rapida implementazione del Fondo per la Difesa, lanciato dalla Commissione il 7 giugno, e la creazione di un programma industriale difensivo comune.
Fattori contingenti, più che una vera strategia di lungo periodo, sembrano favorire l’integrazione dei paesi membri dell’Ue nei settori della difesa e della sicurezza. Prima le incomprensioni Nato-Usa e i dissidi Trump-Merkel, che nascondono la diffidenza strategica tra Washington e Berlino. Poi l’insediamento dell’europeista Macron all’Eliseo, che prelude al possibile rafforzamento dell’asse franco-tedesco, corollario del Brexit e delle affermazioni della cancelliera tedesca sulla necessità degli europei di “riprendere in mano il proprio destino”.
Il piano è ancora del tutto potenziale. Non c’è accordo su chi vi debba partecipare (la Germania preme per inserire più membri possibile, la Francia preferirebbe un nucleo più compatto) né su cosa esso preveda (Berlino lo vede come modo per sviluppare capacità, altri paesi gradirebbero già immaginare impieghi operativi).
Se Bruxelles sta dunque ponendo le basi per una reale cooperazione militare che spinga l’unione fuori dal letargo strategico-militare, gli Stati Uniti e la Nato rimangono fondamentali per la difesa dei paesi membri. Come si legge nel comunicato del Consiglio, che ha anche stretto per l’implementazione del sistema (Etias) del controllo delle frontiere, la relazione transatlantica e il rapporto con la Nato continueranno a rivestire un “ruolo chiave per la sicurezza europea”. Non a caso l’Ue, mentre Washington sta per fare altrettanto, ha appena rinnovato le sanzioni contro Mosca e ha approvato un pacchetto normativo contro i ciberattacchi, di cui il neopresidente francese e lo Stato profondo Usa accusano hacker russi.

"SIAMO TORNATI AGLI SPLENDORI ASBURGICI" - Conversazione con Zeno D’Agostino, presidente dell’Autorità Portuale di Trieste pubblicata su LIMES di maggio -


Pubblichiamo la conversazione con Zeno D' Agostino, Presidente dell' Autorità Portuale di Trieste e di Assoporti, che completava l' articolo sul Porto Franco Internazionale che abbiamo proposto ieri (clicca QUI). L' intervista era stata pubblicata da LIMES 4/2017 a pag.208 e gli abbonati possono trovarla in rete QUI.

Conversazione con Zeno D’Agostino, presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico Orientale (Trieste).
a cura di Paolo Deganutti


LIMES In un’intervista alla Rai lei ha detto: «Il porto di Trieste sta rivivendo una fase florida come quella che aveva durante l’impero austroungarico». Che cosa intende?
D’AGOSTINO L’impero austroungarico aveva unificato il mercato di più nazioni: le merci potevano andare da Trieste a Praga senza incontrare confini. Con l’unione doganale europea è successo qualcosa di analogo, ripristinando le condizioni che avevano permesso la nascita e lo sviluppo del porto di Trieste.
Per quanto riguarda la situazione attuale: se andiamo a vedere i dati del Trieste Marine Terminal notiamo che negli ultimi mesi c’è stato un incremento significativo del traffico di container, settore meno performante nel periodo precedente. Questo risultato è dovuto in massima parte allo sviluppo dei collegamenti ferroviari verso l’Europa centrorientale, in particolare verso la Baviera e l’Ungheria.
LIMES Quale è l’attuale estensione della rete di collegamenti ferroviari del porto di Trieste con l’entroterra europeo?
D’AGOSTINO I collegamenti adesso vanno dal Lussemburgo fino a Budapest, con allacciamenti giornalieri dall’Europa centroccidentale a quella orientale. E ora anche fino a Kiel sul Baltico, con la possibilità di raggiungere la Scandinavia, aprendo di fatto il Corridoio Baltico-Adriatico.
Questo è stato possibile grazie alla riattivazione della dotazione infrastrutturale esistente, che consente a Trieste possibilità di sviluppo ferroviario maggiori rispetto ad altri porti, potenziando le infrastrutture già presenti nel porto ed eliminando inefficienze, costi e tempi della manovra ferroviaria. È stata importante la collaborazione con operatori a forte vocazione ferroviaria come i turchi della Ekol e della Un Ro-Ro, che hanno portato a Trieste il capolinea dell’autostrada del mare utilizzando i vantaggi del porto franco.
Inoltre la nostra posizione di confine ci consente di usufruire di imprese ferroviarie alternative a Mercitalia (Ferrovie Italiane), come Rail Cargo Austria. Abbiamo un’offerta di operatori europei che altri porti italiani non possono avere.
LIMES Sono possibili e previsti ampliamenti delle banchine del porto?
D’AGOSTINO Il porto di Trieste è fra i pochissimi dotati di un piano regolatore già approvato. Pertanto sono eseguibili tutte le opere previste, tra cui anche il nuovo grande Molo VIII, che insieme alle altre opere previste, come il terminal traghetti Teseco, può essere messo sul mercato degli operatori dello shipping. Ognuna di queste opere a mare deve avere un’efficiente infrastrutturazione ferroviaria perché l’interesse internazionale per il nostro porto deriva dal suo status di gateway ferroviario per i traffici con l’Europa.
Secondo la nostra logica, l’infrastrutturazione ferroviaria e stradale è compito del pubblico, mentre la parte a mare (banchine, moli) deve essere a carico dei privati, che così garantiscono l’arrivo di traffici e l’efficiente impiego delle infrastrutture marittime a rischio altrimenti, se realizzate con soli finanziamenti pubblici, di restare inutilizzate in parte o in tutto. Altri possono pensare, o aver pensato, diversamente. Ma si corre il rischio concreto di costruire cattedrali nel deserto. È necessario rapportarsi al mercato e alla domanda reale.
LIMES Pensa che il porto franco internazionale di Trieste possa aspirare a diventare un terminal marittimo della Bri (Belt and Road Initiative), ovvero delle nuove vie della seta proposta da Pechino?
D’AGOSTINO Sicuramente sì. Come ho detto recentemente, anche in Cina, tentare di entrare in Europa per via terrestre dal Pireo è impresa ardua non solo per le difficoltà di infrastrutturazione ma anche per l’instabilità geopolitica dell’area balcanica, investita da diversi problemi tra cui la crisi dei profughi, con l’aumento dei controlli alle frontiere e i conseguenti rallentamenti dei traffici.
La Cina ha bisogno di un avamposto nell’Alto Adriatico e Trieste è il porto più adatto non solo per gli alti fondali e la posizione geografica ma anche per le infrastrutture ferroviarie che consentono un’importante espansione dei traffici. Ciò è impossibile attualmente a Capodistria, che ha le linee sature, e anche a Venezia, la quale oltre ai fondali bassi, cui si pensava di ovviare con il costosissimo porto offshore di cui non si sente più parlare, deve fare i conti con il trafficatissimo snodo ferroviario di Mestre, che rappresenta un collo di bottiglia.
Il porto di Venezia lavora con il mercato interno italiano, specialmente con l’export del Nord-Est, mentre Trieste è un porto gateway che lavora al 90% con l’Europa centrorientale e del Nord sulle linee verso l’Estremo Oriente, e che ha alle spalle ampie possibilità di sviluppo di traffico ferroviario.
LIMESE con Capodistria, che ha lo stesso retroterra, quali possono essere gli sviluppi?
D’AGOSTINO In questo momento le tattiche di alleanza o concorrenza le detta soprattutto un mercato sempre più oligopolistico gestito dalle grandi compagnie armatoriali. Se due grandi compagnie, e di conseguenza i loro terminalisti, decidono che non vanno d’accordo, gli atti politici come i protocolli d’intesa tra autorità pubbliche restano purtroppo lettera morta, al di là della logica dettata dal bene comune. Inoltre mentre a Trieste l’autorità portuale non gestisce i terminal, in concessione ai privati, a Capodistria autorità e terminalisti coincidono nella società pubblica Luka Koper.
LIMES Come pensa possano essere sfruttati appieno i traffici portuali per creare valore aggiunto e occupazione sul territorio?
D’AGOSTINOI traffici portuali sono uno strumento per creare valore, sviluppo economico e occupazione sul territorio. Non sono fini a se stessi. Avere incremento di traffico ma calo di posti di lavoro e scioperi per il peggioramento delle condizioni di lavoro, come sta avvenendo in molti porti del Nord, vuol dire aver perso la bussola. Il bilancio di questa Autorità portuale, che deve comunque restare in attivo, non può essere solo interno ma considerare anche la ricaduta economica e occupazionale e la creazione di valore sul territorio grazie alle attività portuali. In questo Trieste parte avvantaggiata perché ha lo strumento del porto franco, usufruibile per favorire insediamenti industriali e produttivi in genere, che a loro volta alimentano e attirano traffici portuali in un circolo virtuoso. Creare nei punti franchi attività industriali, alta tecnologia e servizi rende anche più competitivo il porto stesso e ne aumenta l’attività logistica, come stanno capendo gli stessi terminalisti.
LIMES Come possono essere utilizzati i punti franchi per attività industriali?
D’AGOSTINO I nostri punti franchi sono extraterritoriali doganalmente rispetto sia all’Italia sia all’Ue. Pertanto le merci in approdo possono essere lavorate in esenzione di Iva, dazi e accise e i prodotti inviati a destinazione è come se fossero sempre stati all’estero. Se l’esportazione dei prodotti avviene verso l’Ue acquistano lo status di merci prodotte nell’Ue, o made in Italy, con vantaggi nel caso di dazi elevati per le materie prime. Vi è anche il «differito doganale», per cui se c’è qualcosa da pagare alla dogana lo si paga dopo sei mesi, con notevole vantaggio finanziario: è l’unico caso in Europa. Inoltre, nell’ambito di merci contingentate rappresenta un vantaggio immetterle nei punti franchi, che sono extradoganali ma fisicamente collocati in Europa.
Per quanto riguarda le attività ad alta tecnologia e di ricerca, purché pulite, oppure finanziarie o di servizi, possono essere localizzate anche nel Porto Vecchio contiguo al centro della città. Infatti è rimasto il punto franco all’Adriaterminal ed è estensibile quello sulla fascia costiera. Ad esempio nel Porto Vecchio c’è già la base della Saipem che si occupa di robotica subacquea.
Il recente accordo tra Area di ricerca e Autorità portuale mira a facilitare insediamenti di imprese ad alta tecnologia intenzionati a espandersi o ad avviare un’attività industriale utilizzando tra l’altro i vantaggi offerti dai punti franchi presenti sul territorio provinciale e in particolare nella Zona industriale. I primi insediamenti sono previsti in tempi brevi.
LIMES Come pensa di superare le difficoltà di coordinamento tra enti e amministrazioni territoriali diverse, che a Trieste hanno sempre rappresentato una fonte di paralisi?
D’AGOSTINO Quando ci presentiamo agli operatori internazionali non possiamo limitarci a offrire banchine e null’altro. Dobbiamo offrire collegamenti ferroviari, aree di insediamento, punti franchi e tante altre cose. Per questo è necessario accentrare sull’Autorità portuale competenze e poteri autorizzativi e regolativi che riguardano il territorio e non solo strettamente il porto. Si sta procedendo in tal senso ad esempio con gli attesi decreti attuativi per i punti franchi e con la legge regionale che affida di fatto la gestione della Zona industriale all’Autorità portuale.
LIMES Quali sono le sue previsioni sul ruolo del porto franco internazionale di Trieste alla luce dei rivolgimenti geopolitici in corso?
D’AGOSTINO L’importanza geopolitica del porto di Trieste è destinata ad aumentare non solo come conseguenza della crescente importanza del Mediterraneo, grazie anche alle nuove vie della seta, al recente raddoppio del Canale di Suez e alla scoperta di importantissimi giacimenti di gas, ma perché il legame con gli operatori logistici turchi ci permette di non perdere di vista quello che avviene sul lato islamico del Mediterraneo. Gli operatori turchi hanno una grande maturità imprenditoriale e la loro posizione gli consente di mantenere una proiezione geopolitica sul Medio Oriente che gli operatori occidentali da tempo trascurano. Quando queste aree del mondo si riprenderanno, Trieste sarà avvantaggiata anche perché già ora ne è cerniera con l’Europa. Grazie ai turchi.

Pochi giorni dopo è stato annunciato l' accordo di collaborazione tra Porto di Trieste e il porto fluviale e hub intermodale strategico di Duisburg. Duisburg è attualmente il terminale della Nuova Via della Seta Ferroviaria, Trieste si candida così ad essere il terminale intermodale della Via della Seta Marittima chiudendo la "cintura" 




giovedì 22 giugno 2017

IL PORTO FRANCO DI TRIESTE PIACE A MITTELEUROPA E CINA. L’ITALIA È ALTROVE - Proponiamo l' articolo pubblicato sul n° 4 del 2017 di Limes


L' articolo è uscito sul numero 4 di LIMES del maggio 2017  a pag. 203 e gli abbonati possono consultarlo in rete cliccando QUI.
L' articolo era corredato da un' intervista al Presidente dell' Autorità Portuale D' Agostino che pubblicheremo domani.




Lo scalo gode, unico in Europa, di completa extraterritorialità doganale. Lavora al 90% con l’estero ed è collegato via treno all’Europa centrale. Smista il 40% del fabbisogno petrolifero della Germania e il 90% dell’Austria. E interessa a Pechino. Roma latita.
di Paolo Deganutti


1. Lo status di porto franco internazionale dello scalo marittimo di Trieste è più noto all’estero che in Italia. Fondato dall’imperatore Carlo VI nel 1719, il porto di Trieste si è sviluppato, per merito della figlia Maria Teresa d’Austria, sino a divenire il porto dell’impero austroungarico, che all’epoca rappresentava il più grande mercato unificato europeo.
A seguito del Trattato di pace del 1947, il porto di Trieste ha conservato le sue peculiarità e i vantaggi dell’impianto normativo derivanti dalla legislazione speciale sia doganale sia fiscale.
Il porto franco si articola in più punti franchi, alcuni di nuova istituzione, come quello all’autoporto di Fernetti. Tali punti franchi sono extraterritoriali doganalmente rispetto sia all’Italia sia all’Unione Europea.
Il funzionamento del porto franco internazionale di Trieste, un unicum in Europa, è regolato dall’allegato VIII al Trattato di pace 1. Il Memorandum di Londra del 1954, con cui venne affidata al governo italiano l’amministrazione della Zona A del Territorio Libero di Trieste istituito dall’articolo 21 del Trattato di pace, sancisce l’obbligo di mantenere il porto franco a Trieste «in general accordance» con le disposizioni degli articoli da 1 a 20 dell’allegato VIII 2.
Tale situazione non fu modificata dal Trattato di Osimo del 1975, che prevedeva inoltre l’istituzione di una zona franca a cavallo dei confini, mai realizzata ma tuttora esistente come possibilità giuridica. L’attuale efficacia degli articoli dall’1 al 20 dell’allegato VIII è stata ribadita da numerose sentenze, come quella recente del Tar del Friuli-Venezia Giulia n. 400 del 15/7/2013.
Anche la legge sulla portualità n. 84 del 1994, all’articolo 6, comma 12, fa salve le prerogative del porto franco di Trieste e impegna il governo a emettere un decreto per stabilire «l’organizzazione amministrativa per la gestione di detti punti franchi», che a 23 anni di distanza non si è ancora materializzato, lasciando l’operatività alla consuetudine. Solo lo scorso dicembre è stata annunciata la ripresa dell’iter di promulgazione.
Un’altra legge non attuata è stata la 19 del 1991, che con l’articolo 3 istituiva il Centro finanziario offshore insediato nel punto franco Nord di Porto Vecchio, evidenziando la possibilità di utilizzo dell’extraterritorialità doganale per attività finanziarie e di servizi. Non può sfuggire l’importanza che avrebbe un centro di questo genere ora, in tempi di Brexit e di interesse delle istituzioni finanziarie ad avere sedi nell’Ue a condizioni agevolate.
Il porto di Trieste lavora al 90% con l’estero, essendo un gateway dei traffici da e per l’Europa centrale e orientale che utilizza largamente le ferrovie, grazie anche ai vecchi collegamenti ereditati dalle ferrovie austriache e ai vettori europei che vi operano. Confrontato con i porti italiani, nel 2016 è al primo posto con 59,2 milioni di tonnellate, di cui circa il 70% è costituito da petrolio. E ha anche il primato del traffico ferroviario, con 7.631 treni standard, avendo movimentato 1,2 milioni di teu fra container e semirimorchi. A paragone degli altri porti europei, nel 2016 è al 13° posto 3.

2. Dopo il 1918 Trieste si è trovata isolata dal suo hinterland storico e dopo il 1945 era a ridosso della cortina di ferro: malgrado ciò il suo porto ha mantenuto la caratteristica di scalo prevalentemente europeo.
In un secolo la sua integrazione col mercato italiano non è mai avvenuta: solo il 10% delle merci in transito è per l’Italia. Le speciali caratteristiche del porto franco di Trieste sono descritte sul sito dell’Autorità portuale di Trieste 4. Oltre a essere utilizzate da operatori logistici e dello shipping, se ne avvalgono anche grandi aziende come la Saipem, che gestisce una base in procinto di diventare polo per la robotica subacquea di rango mondiale, dove si assemblano e testano i macchinari ad alta tecnologia per le perforazioni e le manutenzioni sottomarine del settore oil&gas. Trieste, dove Josef Ressel ha inventato e sperimentato l’elica marina nel 1829, rivoluzionando la navigazione di superficie e rendendo possibile quella subacquea, sta così diventando nuovamente un polo di riferimento mondiale per l’innovazione tecnologica legata al mare.
Il porto franco serve anche per la «Borsa commodities» e per le attività finanziarie legate ai metalli e alle materie prime, tra cui il caffè – ad esempio dalla Genoa Metal Terminal, situata accanto alla Saipem nel Porto Vecchio.
Il regime di porto franco è utilizzato inoltre dall’oleodotto transalpino Tal/Siot che da cinquant’anni pompa petrolio greggio dal punto franco oli minerali fino a Ingolstadt, sulle rive del Danubio, fornendo il 40% del fabbisogno petrolifero della Germania (il 100% della Baviera e del Baden-Württemberg), il 90% dell’Austria e oltre il 30% della Repubblica Ceca.
Recentemente è emersa l’intenzione di utilizzare nuovamente e massicciamente il porto franco anche per attività produttive di trasformazione industriale delle merci, di servizi e finanziarie.
Infatti l’allegato VIII prevede esplicitamente la possibilità di sfruttare l’extraterritorialità doganale a fini manifatturieri (art. 7), così come stabilisce l’impossibilità di esigere tasse sganciate dal reale valore dei servizi offerti (art. 9) – di questo ha dovuto tener conto, almeno in parte, il nuovo «disciplinare doganale» emanato lo scorso dicembre. Va notata poi la convenienza di far arrivare pellami, trasformarli in scarpe o accessori che possono godere del marchio made in Italy e inviarli a destinazione, tutto in regime di extraterritorialità doganale e quindi di esenzione Iva, dazi eccetera.
È inoltre possibile far arrivare nei punti franchi extradoganali materie prime altrimenti gravate da pesanti dazi, trasformarle in oggetti made in Europe e quindi importabili sui mercati europei a prezzi competitivi, creando occupazione qualificata nell’ambito del porto franco.
In marzo è stato raggiunto un accordo strategico tra Area di ricerca di Trieste 5 e Autorità portuale allo scopo di utilizzare i punti franchi per insediamenti produttivi ad alta tecnologia. È già operativa Freeway Trieste che, grazie al coinvolgimento della Samer & Co Shipping, prevede entro l’anno il primo insediamento industriale.
Questo modo di utilizzare il porto franco può risolvere il problema della grave deindustrializzazione che ha subìto Trieste, dove solo il 9% del pil deriva da attività manifatturiere, e rappresenta un forte incentivo al ritorno di imprese che avevano delocalizzato.

3. Tali potenzialità del porto franco di Trieste ben si sposano con i rapidi cambiamenti geopolitici in corso, che stanno esaltando l’importanza del Mediterraneo e di cui le nuove vie della seta promosse da Pechino sono un elemento particolarmente evidente. La Cina ha mostrato il suo interesse per il mercato europeo che auspica unito e con regole doganali e fiscali semplici e omogenee: in attesa che questo ideale si realizzi, ha più volte indicato la sua preferenza per zone franche di libero scambio, dove poter anche produrre merce etichettata Ue. Il porto franco di Trieste consentirebbe tutto questo. Inoltre gode di una grande accessibilità nautica, con i fondali naturali più profondi del Mediterraneo (18 metri), che consentono l’attracco a ogni tipo di nave, compresi i giganti che, grazie al raddoppio del Canale di Suez, possono raggiungere l’Alto Adriatico. Invece il progetto di porto offshore a 8 miglia al largo di Venezia, per ovviare ai bassi fondali, sembra ormai abbandonato per i costi stratosferici. 
Gli operatori cinesi avevano pensato anche al Porto di Taranto come hub mediterraneo, ma le carenze infrastrutturali e ferroviarie insieme all’inerzia dei decisori politici li hanno indotti a puntare sul Pireo (Atene), da cui hanno progettato un collegamento ferroviario veloce con Budapest già in realizzazione ma esposto all’instabilità balcanica – e ora anche oggetto di contestazioni da parte dell’Ue. L’ambasciatore tedesco a Pechino, Michael Clauss, poco diplomaticamente ha ammesso che Berlino vede l’espansione cinese nell’Europa orientale, ferrovia inclusa, come «incompatibile con l’impegno a creare un’Ue forte e unita». Un segnale che i Balcani sono zona di influenza tedesca, come presumibilmente verrà ribadito nel summit del prossimo 12 luglio a Trieste dedicato ai Balcani occidentali coinvolti nel cosiddetto «processo di Berlino», che ne riguarda l’infrastrutturazione.
Trieste, al contrario di Taranto e anche del Pireo, ha già una buona rete di collegamenti ferroviari con l’entroterra europeo grazie a treni diretti e frequenti su percorrenza internazionale (Austria, Germania, Lussemburgo, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia), oltre alla storia e alla tradizione di rapporti con la Mitteleuropa. Recentemente questa rete è stata estesa fino a Kiel, porto sul Baltico all’estremo Nord della Germania. Questo grazie alla collaborazione con gli armatori turchi, che hanno puntato sul porto franco di Trieste per superare problemi di contingentamento, facendone il capolinea europeo dell’autostrada del mare con la Turchia.
Vi è poi un progetto ferroviario internazionale che pone Trieste, insieme a Vienna, in una posizione strategica: la Breitspur Planungsgesellschaft 6, con l’accordo fra ferrovie statali austriache, russe, slovacche e ucraine per superare la differenza di scartamento tra ferrovie russe ed europee e costruire un corridoio ferroviario continuo e integrato dall’Europa centrale alla Russia fino alla Cina. Il progetto prevede l’affiancamento di binari a scartamento diverso da Bratislava a Vienna, dotata di un grande porto fluviale e così destinata a diventare uno strategico perno logistico intermodale. Perno collegato già ora, e in un futuro prossimo in modo ancor più efficiente attraverso il tunnel di Semmering in costruzione, a Trieste via Tarvisio.
Trieste è collegata a Vienna anche via Lubiana con lo storico percorso della Ferrovia Meridionale (Südbahn). È naturale pensare a Trieste, nata come porto di Vienna, come sbocco sul Mediterraneo di questi collegamenti ferroviari che chiudono il circuito della Belt and Road Initiative (Bri), le vie della seta promosse da Pechino.
La Bri è una «cintura» e va notato che il traffico ferroviario è conveniente solo se bilanciato, ovvero se i treni ritornano con un nuovo carico, mentre questo bilanciamento è più facile da ottenere nel traffico marittimo. A tal fine la Bri ha bisogno di integrare il traffico terrestre con quello marittimo. Trieste può legittimamente candidarsi a svolgere il ruolo di interfaccia fra navi e treni.
Non va sottovalutato però il ruolo di Capodistria che, unico porto della Slovenia, pur con periodiche tensioni con il governo di Lubiana, cerca di snellire le operazioni contenendo i costi, portandosi a operatività di «quasi porto franco». Insieme al minor costo del lavoro e alla minore tassazione, ciò ne aumenta la competitività. Questo ha portato Capodistria, praticamente inesistente nel 1954, a superare ampiamente il porto di Trieste quanto a container e convogli ferroviari, tanto da saturare la linea ferroviaria di cui è in progetto il potenziamento anche con investimenti esteri.
È singolare che due porti distanti solo 6 km di ferrovia e le cui dimensioni sommate non arrivano nemmeno a quelle di un singolo porto del Nord Europa siano in aspra concorrenza perché gestiti da due Stati nazionali ambedue aderenti all’Ue e all’Eurozona. Perciò ha destato interesse la notizia pubblicata dalla rivista di settore Meditelegraph secondo cui durante la recente visita istituzionale italiana a Pechino si sarebbe parlato di unificazione dei due porti sotto la comune governance di una speciale Agenzia indipendente europea con l’effetto di creare sinergie per la costituzione di un grande terminal portuale europeo sul Mediterraneo 7.
Tuttavia Trieste possiede una carta di cui né Capodistria né altri porti europei dispongono: il porto franco, con totale extraterritorialità doganale riconosciuta anche dall’Ue, impiegabile anche per attività produttive che coinvolgono l’intero territorio. Infatti il mero transito di container produce effetti economici relativamente limitati. Il valore aggiunto e i posti di lavoro si creano soprattutto nel retroporto, con attività logistiche e con la trasformazione industriale delle merci.
La recente scelta di utilizzo produttivo dei punti franchi, che vanno completati con l’istituzione di una no tax area, è il fortunato risultato della convergenza della spinta di nuovi assetti geopolitici che pongono il porto franco internazionale di Trieste in una posizione privilegiata, dell’impegno dei nuovi dirigenti portuali che ne sono consapevoli 8e di un’opinione cittadina da sempre convinta della centralità di questo scalo per l’economia del territorio.
Con l’affermarsi di un’Europa a più velocità si accentuerà l’attrazione del baricentro mitteleuropeo su un porto franco internazionale che lavora solo in minima parte col mercato interno ed è situato sulla linea di faglia tra Nord e Sud Europa.
La lentezza burocratica e l’inefficienza del contesto statuale e amministrativo italiano pongono il problema di una gestione dinamica e integrata di porto e territorio, in grado di rispondere tempestivamente alle esigenze dei mercati globali, come avviene per i porti concorrenti di Brema e Amburgo – città-Stato nella Repubblica Federale Germania – che ricordano lo status di Trieste, Land autonomo del Litorale austriaco come Libera Città Imperiale (Reichsunmittelbare Stadt Triest) dal 1382. Autonomia che piacerebbe anche a Capodistria (Koper), visti i forti attriti con il governo nazionale 9.

Note
1. Il testo del Trattato di Pace del 1947 e degli allegati, goo.gl/dPgsU2
2. Il testo originale del Memorandum di Londra, goo.gl/7iYBT6
3. Altri dati recenti e slide sul Porto di Trieste, goo.gl/hnfaaz
4. «Vantaggi operativi, commerciali e fiscali del regime di punto franco del porto di Trieste», Autorità portuale, dépliant, goo.gl/KO305t
5. L’Area di ricerca ha per missione di fornire un collegamento tra la comunità imprenditoriale e le numerose istituzioni scientifiche di Trieste. Ospita inoltre molte imprese ad alta tecnologia, goo.gl/zMjYUl
6. Vedi goo.gl/gDoZWD
7. Vedi goo.gl/Etq6WL
8. Intervento del presidente dell’Autorità portuale Zeno D’Agostino su Rai 3, 21/3/2017, goo.gl/qLc3KW
9. Vedi «Luka Koper sfida il governo sulla ferrovia», Il Piccolo, 31/3/2017, goo.gl/uyDdVX