DIBATTITO SU QUESTIONI INTERNAZIONALI PER UNA CITTA' INTERNAZIONALE

mercoledì 27 giugno 2018

DALLA NAVE "LIFELINE" AL BRENNERO E TARVISIO, SUI MIGRANTI L'ITALIA È SOLA - Il 28 e 29 giugno sapremo se la UE entrerà in crisi per la questione dei migranti, troppo sottovalutata, e se l' Italia vedrà ufficializzato il proprio status di ghetto migratorio.


Articolo di Federico Petroni pubblicato su Limes On Line del 27 giugno


Come di consueto, basta qualche centinaio di persone a gettare nel caos l’Unione Europea e a conferire al fenomeno migratorio una dimensione di crisi che altrimenti non avrebbe.

Attorno alla vicenda della nave Lifeline – che carica 234 migranti e attende di entrare in un porto di Malta – emergono ipocrisie, debolezze e strategie dei paesi europei coinvolti nella faticosa ricerca di un compromesso sulla gestione dei flussi migratori.

All’imbarcazione è stato negato il permesso di attraccare in Italia e in Spagna, la quale ha fatto retromarcia rispetto alla mossa puramente d’immagine effettuata con la Aquarius, non accettando nemmeno di ospitare una parte dei 234. Malta ha concesso l’autorizzazione alla nave solo quando altri 7 membri dell’Ue non hanno accettato di suddividersi fra loro le persone a bordo. Si tratta di Italia, Francia, Portogallo, Irlanda, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi. Stranamente, a essersi presi più tempo sono proprio questi ultimi, essendo lo Stato di cui la Lifeline batte bandiera. Inoltre, la Germania, paese di origine della ong che ha svolto l’operazione di trasbordo, non ha dato la propria disponibilità.

Il rallentamento del processo decisionale – al di là della presunta violazione delle norme internazionali da parte della Lifeline – è stato funzionale alla strategia di Roma. Il governo italiano esige un superamento del regolamento di Dublino che obbliga i paesi di primo approdo a registrare le richieste di asilo e nuove regole per distribuire tutti i migranti sbarcati sulle coste europee, poiché solo una parte di essi fa domanda per lo status di rifugiato.

Tuttavia, lo scenario in cui quasi ogni nave manda in cortocircuito i governi europei rischia di diventare norma se al vertice dell’Ue di domani e dopodomani i membri – o una parte di essi – non riusciranno a trovare un accordo. Eventualità assai improbabile se si auspicano ripartizioni interne, meno invece in tema di rafforzamento dei confini esterni. Ma senza un’intesa colerebbe a picco anche l’esecutivo tedesco, spaccato fra la cancelliera Merkel e il ministro dell’Interno Seehofer sulla questione del rimpatrio dei richiedenti asilo che hanno fatto domanda in un altro paese.

Una crisi di governo a Berlino avrebbe immediati effetti sulle periferie tedesche. L’Austria ne ha dato prova con un’esercitazione al confine di Spielfeld con la Slovenia, al grido che Vienna non permetterà una riedizione del transito del milione di persone avvenuto nel 2015. Le autorità austriache peraltro minacciano apertamente Roma di sigillare il Brennero e le altre frontiere e di rispedire nel nostro paese i profughi respinti dalla Germania.

L’Italia vedrebbe così ufficializzato il proprio status di ghetto migratorio. Condannata a occuparsi dell’integrazione degli allogeni cui nessun recente governo ha voluto dare la priorità. A quel punto, aver evitato che Vienna si riprenda informalmente l’Alto Adige - SudTirol sarebbe davvero magra consolazione.


martedì 19 giugno 2018

IL COMPROMESSO DI MERKEL E CONTE SUI MIGRANTI, CON UN OCCHIO ALLA BAVIERA - Ma terrà dopo l' accordo odierno Merkel-Macron sui respingimenti dei migranti al paese di prima registrazione (Italia e Grecia)? Un articolo di Limes On Line -


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Incontrando Angela Merkel a Berlino, il premier italiano Giuseppe Conte non era al cospetto della Germania, ma di una parte, sia pure la più importante, di essa.

Nel governo tedesco si sta consumando un duro scontro fra la cancelliera e il ministro dell’Interno Horst Seehofer. Una sfida politica e soprattutto geopolitica. Seehofer è di fatto il leader della Baviera, essendo principale esponente del partito locale CSU che dispone della maggioranza assoluta nel secondo Stato della Repubblica Federale per pil e popolazione. Il Land è profondamente conservatore, nonché primo approdo tedesco dei flussi migratori provenienti da sud: tanto basta a far temere alla classe dirigente bavarese di perdere terreno nei confronti dell’estrema destra di Alternative für Deutschland alle elezioni del 14 ottobre.

Le istanze della Baviera sono arrivate al governo a Berlino. Seehofer ha presentato un piano in 63 punti per affrontare la questione dell’immigrazione, fra cui ce n’è uno su cui Merkel ha messo il veto: il conferimento ai singoli Länder dell’autorità necessaria a respingere al confine i rifugiati la cui domanda è stata registrata in un altro paese, ossia quello di arrivo nell’Ue (è l’obbligo del regolamento di Dublino contro cui si batte Roma, essendo in prima linea nel Mediterraneo). Il ministro dell’Interno ha minacciato di far cadere il governo, ma la cancelliera ha ottenuto 14 giorni per negoziare accordi bilaterali con i membri periferici dell’Ue, tra cui appunto Grecia e Italia.

In questo contesto si è svolto l’incontro con Conte. Merkel vi è arrivata con l’esigenza di salvare il proprio governo e di proteggere lo Stato da faglie territoriali in espansione. Imperativi interni che spingeranno Berlino, al netto della retorica, a smorzare le richieste di solidarietà fra i paesi Ue sulla gestione dei migranti e a rafforzare invece le frontiere esterne dell’Unione. Per ripristinare una qualche forma di normalità in uno spazio europeo in cui Schengen esiste ormai più sulla carta che sul campo.

In questo senso vanno lette le aperture della cancelliera a una “guardia costiera europea”, a un potenziamento di Frontex, a centri d’accoglienza dei migranti nei paesi di transito, a un maggiore impegno per stabilizzare la Libia. Provare a tamponare i flussi prima che tocchino il suolo d’Europa, invece di smistarli proporzionalmente nel continente. Allineando la Germania alle posizioni dell’Austria, che la settimana scorsa ha invocato un asse con Roma e Berlino proprio in tema di migrazioni. E cercando un compromesso con la Francia: oggi stesso Merkel parla con Macron delle proposte transalpine sulla “sovranità” europea.

Nota della redazione triestina:

Tuttavia oggi alcuni giornali come l' Huffington Post sottolineano che "Il governo gialloverde italiano che doveva farsi valere in Europa rischia di rimanere 'stritolato' nel solito asse franco-tedesco, perenne e inscalfibile, oggi rinvigorito dall'intesa tra Angela Merkel ed Emmanuel Macron sui respingimenti dei migranti già registrati nei paesi di primo approdo. Come l'Italia o la Grecia, i due Stati Ue dove si riversa la maggioranza degli arrivi nel continente."

Per leggere l' articolo intero  del Huffington cliccare QUI.

mercoledì 13 giugno 2018

LA QUESTIONE MIGRANTI RISVEGLIA I SEPARATISMI D'EUROPA - GLI EFFETTI DEL CASO DELLA NAVE "AQUARIUS" - L' ASSE SALVINI - SEEHOFER, IL BAVARESE MINISTRO DELL' INTERNO TEDESCO - Articolo di Federico Petroni su LimesOnLine


Il permesso negato alla nave Aquarius, concesso poi dalla Spagna, è valso al ministro dell’Interno Salvini una “lunga e cordiale telefonata” con il suo omologo tedesco Horst Seehofer. Il quale ha invitato a Berlino il leader della Lega per discutere una proposta comune sull’immigrazione in Europa.

Sarebbe però errato pensare che sia in costruzione un asse Roma-Berlino attorno al dossier migratorio. Seehofer è espressione della CSU, principale partito della Baviera, Land così orgoglioso della propria alterità da far preoccupare gli strateghi tedeschi di ulteriori velleità autonomiste. Peraltro, storicamente le autorità bavaresi coltivano particolari ed esclusive relazioni con l’Europa centrale (e con il Nord-Est italiano) e già in passato hanno stretto rapporti con la Lega Nord.

L’intesa Salvini-Seehofer va semmai letta come ulteriore avvicinamento alle posizioni (alcune, non tutte) del variegato blocco mitteleuropeo, un caleidoscopio in cui entrano fra le altre Polonia, Austria e Ungheria particolarmente critico verso l’Ue, non solo sull’immigrazione.

Seehofer ha infatti portato al governo in Germania il punto di vista, molto conservatore e protezionista, del proprio Stato sul tema dell’accoglienza. E sta cercando di imporlo ad Angela Merkel in una battaglia per un piano in 63 punti di riforma dell’immigrazione. In particolare, i due divergono sulla proposta di respingere ai confini tedeschi richiedenti asilo la cui domanda è stata inoltrata o respinta altrove. L’idea ha subito allarmato anche il cancelliere austriaco Kurz, che proprio oggi a Berlino incontrerà Seehofer per convincerlo a ritrattare e appoggiare invece l’agenda di Vienna, volta a indurire i confini dell’Ue con i Balcani extracomunitari, l’Africa e la Turchia.

L’immigrazione non allarga soltanto la faglia fra Baviera e resto della Germania. Ma viene impiegata da altri autonomismi in Europa per avanzare una propria soggettività e legittimità. Lo dimostra la stessa vicenda dell’Aquarius: fra i territori che si sono offerti di far attraccare nei propri porti l’imbarcazione c’erano anche Corsica, Paesi Baschi e Catalogna. Gli innegabili nobili intenti delle due comunità autonome spagnole celano non solo gli stessi obiettivi di immagine che ha perseguito il governo Sánchez, ma anche la volontà di riaffermare la propria identità rispetto al governo centrale di Madrid.

Ancor più esplicito è stato Gilles Simeoni, presidente del Consiglio esecutivo corso. Dichiaratamente intervenuto nella faccenda per rivendicare la Corsica come “attore autonomo” in grado di prendere decisioni sovrane. Simeoni ha esteso l’offerta prima di consultarsi con lo Stato francese, tanto da spingere la prefettura – organo che incarna l’autorità di Parigi – a esortarlo alla cautela, ricordandogli che la sua carica non aveva la competenza per un simile gesto.

Non è difficile annoverare questa mossa tra i fattori che hanno spinto il presidente Macron a denunciare il “cinismo” dell’Italia nella vicenda – oltre ovviamente alla necessità del capo di Stato transalpino di difendere le proposte in tema di immigrazione che presenterà al Consiglio Europeo il 28-29 giugno assieme alla Germania.



lunedì 11 giugno 2018

IL G7 DI TRUMP E LO "SCO" DI PUTIN E XI - due articoli di Limes On Line



1) IL G7 DI TRUMP
Descritto come ennesima riprova dell’irrazionalità di Donald Trump, il mancato sostegno degli Usa al comunicato finale del vertice del G7 in Canada ha una sua lucidità strategica.

L’attuale presidente degli Stati Uniti è impegnato nella battaglia che definirà – assieme a quella assai più ardua sul nucleare nordcoreano in scena in queste ore a Singapore – il suo mandato: riequilibrare il deficit commerciale, su cui verrà giudicato dall’elettorato più prostrato dai costi della globalizzazione.

Benché funzionale a farsi rieleggere, la campagna di Trump non incontra l’aperto sfavore della burocrazia federale – depositaria del compito di mantenere l’impero – poiché complementare a due obiettivi di Washington: arginare i rivali e rimarcare la subalternità degli alleati.

Così i dazi alla Cina servono a rallentare la strategia di quest’ultima di colmare il divario tecnologicoche la separa dalla superpotenza (e sono comunque subordinati all’andamento del dossier nordcoreano). Così le sferzate alla Germania ricordano a Berlino dell’impossibilità di rafforzare la sovranità tedesca sullo spazio europeo. E così quelle al Messico sono spia, non causa, di un allargamento della faglia del Rio Grande dalle radici demografico-strategiche. Nella certezza che con una nazione sorella come il Canadaniente possa essere davvero compromesso nello spazio di una presidenza.

Gli altri partecipanti al G7 della discordia – Angela Merkel su tutti – hanno ormai preso coscienza del fatto che Trump non recita, ma spinge le proprie intemperanze fin nelle discussioni private. Difficile però per gli europei immaginare grosse alternative a rispondere per le rime (contro-dazi), lanciare iniziative cosmetiche (quelle sulla Difesa comune), quando non proprio sottostare alla volontà di Washington per inferiorità di mezzi e incapacità di stabilire il tono del dibattito (vedi il confronto con l’Iran).

La disillusione degli alleati alimenta tuttavia un processo già in corso prima dell’avvento di Trump ma che l’ascesa di quest’ultimo ha accelerato: la decrescente capacità di Washington di porsi naturalmente alla guida di un consistente blocco di nazioni, con l’aspirazione a esserlo del mondo intero.

A rifletterlo è un passaggio del comunicato finale del G7. In cui si parla di “un sistema internazionale basato sulle regole”, non “il sistema” usato di consueto. Tentativo estremo di tedeschi e giapponesi di ottenere la firma degli Stati Uniti, la mutazione linguistica (parziale: l’articolo indeterminativo ricorre due volte nel testo, al pari di quello determinativo) ne riflette una strategica.

L’America non aspira più a essere il sistema, proposito da realizzare con il mero soft power (Clinton) o da imporre con la forza (Bush junior). Gli ultimi – e assai peculiari per la tradizione statunitense – esemplari passati per la Casa Bianca hanno proposto un’America normale, che fa parte del sistema (Obama) o ne ammette una pluralità, con cui negoziare in base ai rapporti di forza (Trump).

Con ciò palesando che se l’impero degli Stati Uniti ha ancora lunga vita, soprattutto per mancanza di autentici concorrenti, la stessa diagnosi non può esser data per certa per l’egemonia americana.

LA CINA DELLA SCO 
di Giorgio Cuscito
Durante il summit dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Qingdao, 9-10 giugno), Xi Jinping ha rinvigorito solo parzialmente il soft power della Cina in Eurasia.
Durante l’evento svoltosi in contemporanea con il G7 canadese, Xi ha enfatizzato la sintonia con la Russia di Vladimir Putin, cui ha consegnato la prima medaglia dell’amicizia della Repubblica Popolare. Il loro viaggio in treno da Pechino a Tianjin è servito a sottolineare l’efficienza dell’alta velocità cinese. Le relazioni politiche ed energetiche sino-russe sono solide (vedi nuovo accordo sul nucleare). Ad ogni modo i proclami sulle sinergie tra nuove vie della seta e unione euroasiatica non devono ingannare: Mosca non sottovaluta il “risorgimento” della confinante Cina e la sua crescente presenza nelle ex repubbliche sovietiche.
Xi ha incontrato il presidente iraniano Hassan Rohani per la prima volta dopo il ritiro degli Usa dall’accordo sul nucleare. Pechino sostiene il patto di Vienna perché spera non solo di mettere in cattiva luce le azioni unilaterali di Washington, ma di consolidare i rapporti con l’Iran quale fondamentale partner energetico e snodo infrastrutturale delle nuove vie della seta.
Il tasto dolente del summit è il rapporto con l’India, unico degli Stati membri della Sco a non aver manifestato ufficialmente il suo appoggio all’iniziativa infrastrutturale a guida cinese nella dichiarazione finale dell’evento. Ciò conferma che la sintonia tra le due potenze annunciata poco tempo fa è solo cosmetica.
Delhi resta contraria alle attività economiche cinesi in Asia, in particolare nei paesi limitrofi quali Pakistan, Nepal, Sri Lanka, Myanmar e Maldive. L’India teme che questi possano un giorno ospitare delle strutture militari della Repubblica Popolare.


Avvenimenti dell' 11 giugno



venerdì 8 giugno 2018

TRIESTE, PORTO DELL' EUROPA DI MEZZO, SI PRESENTA A PRAGA - SOLO IL 10% DELLE MERCI MOVIMENTATE DESTINATO AL MERCATO ITALIANO - IL RUOLO DELLA FERROVIA -


Riportiamo sotto l' articolo del Piccolo dell' 8 maggio che ben descrive la realtà del Porto Franco Internazionale di Trieste: solo il 10% delle merci movimentate è destinato al mercato italiano, il 90% è per l' Europa centrale cui arriva principalmente con la ferrovia tramite operatori esteri e non Trenitalia.

Su questi temi c'è un nuovo interessante articolo sul nuovo numero di Limes che riprenderemo nei prossimi giorni.

Il Porto di Trieste è stato presentato a Praga grazie all' instancabile opera di promozione internazionale del Presidente D'Agostino: un attività di marketing concreta e di ri-connessione di Trieste a livello mondiale ed europeo che da anni in tanti auspicavamo.



Il porto di Trieste in missione a Praga 
Oltre 150 operatori e investitori in una piazza storica per i traffici dello scalo: il record della Siot
il Piccolo 8 giugno 2016 pag. 17 

Il porto di Trieste promuove la sua anima mitteleuropea. Dopo i road-show a Monaco, Vienna e Budapest, lo scalo giuliano si è presentato a Praga ad una platea di 150 operatori del settore e investitori, con l'idea di rafforzare ulteriormente i rapporti commerciali e aumentare le connessioni ferroviarie con la Repubblica Ceca. Organizzato al centro Manes, in un palazzo storico degli anni '30 affacciato sul fiume Moldava, l'evento di presentazione del porto e delle sue prospettive di sviluppo, è stato promosso ed organizzato dall'Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale, in collaborazione con l'Ambasciata d'Italia a Praga e la Camera di Commercio Italo-Ceca. L'ambasciatore Aldo Amati ha sottolineato il ruolo strategico del porto di Trieste per il Centro-Est Europa, ma soprattutto le relazioni che il presidente dell’Authority giuliana, Zeno D'Agostino sta portando avanti su scala internazionale, specialmente con la Cina. A seguire gli interventi di Alessandro Pasquale, vice presidente della Camera di Commercio Italo-Ceca, e di Mario Carini delle Assicurazioni Generali che ha rimarcato il legame storico che unisce la compagnia assicurativa al suo porto, fin dalla fondazione.
Sul ruolo di Trieste quale gateway per tutto il bacino mitteleuropeo, si è soffermato il presidente D'Agostino: «Siamo un porto in controtendenza rispetto agli altri scali italiani. La nostra vocazione è internazionale: il 90% dei nostri traffici è diretto all'estero, mentre il 10% serve il mercato interno». E continua: «Tutto quello che facciamo è collegato alla ferrovia. Lo sviluppo ferroviario del porto sta conoscendo una crescita senza precedenti, dai 5980 treni del 2015, siamo passati a 8681 nel 2017 e puntiamo a toccare quota 10.000 a chiusura 2018». Dal porto di Trieste, i terminal che offrono connessioni settimanali verso la Repubblica Ceca, sono il molo VII e VI. Dal terminal container di Trieste Marine Terminal, partono 3 coppie di treni alla settimana per Paskov. Si tratta di un company train, gestito da MSC, a cui si aggiunge anche il collegamento con 4 partenze alla settimana verso il terminal slovacco di Dunajská Streda, situato a sud di Bratislava. Questi due servizi, come ha sottolineato Michaela Svrckova, responsabile di Msc Praga per la Repubblica Ceca e la Slovacchia, hanno un utilizzo in import/export che raggiunge quasi il 100%, segno che il collegamento funziona e ha ampi margini di crescita sulle frequenze. Numeri importanti anche per Emt, che storicamente ha sempre avuto una forte vocazione ferroviaria. Dal molo VI, ha spiegato Murat Boğ, manager di Ekol, il gruppo turco che controlla il terminal intermodale, partono invece 4 coppie di treni settimanali verso Ostrava, su cui vengono trasportati prevalentemente mobili, pneumatici, collettame e componentistica di automobili. Ottima la performance di Tal Siot, che partendo dal porto di Trieste, rifornisce il 50% del fabbisogno energetico della Repubblica Ceca. Sono 3.775.722 le tonnellate esportate in questo paese nel 2017 (+93% sul 2016). La serata ha offerto ampie prospettive di business anche agli altri operatori triestini presenti alla missione, tra cui l'Associazione degli spedizionieri, l'interporto di Trieste, il gruppo Samer e la Trimar.


 I collegamenti ferroviari attivi del Porto di Trieste




venerdì 1 giugno 2018

REBUS SIC (NON) STANTIBUS - LA FUNZIONE STRATEGICA DELL' ITALIA E DEL PORTO FRANCO DI TRIESTE IN UN ARTICOLO CHE ANTICIPA IL NUOVO NUMERO DI LIMES - da Limes On Line -


Su Limes On Line è uscita una carta inedita corredata da un breve articolo riservato agli abbonati che proponiamo ai nostri lettori per l' importanza del capoverso che riguarda il Porto Franco di Trieste (QUI il link all' articolo).

La carta inedita della settimana è sull’Italia e anticipa il prossimo numero di Limes “Quanto vale l’Italia”, in uscita il 7 giugno.
La mappa descrive l’ambiente strategico con cui il nostro paese si trova a fare i conti e le sfide che da esso derivano.

Da nord, un’Unione Europea sempre meno coesa ma sempre più sbilanciata sulla Germania restringe il margine decisionale di Roma. Per esempio attraverso l’esternalizzazione del controllo sui nostri conti e sulla nostra capacità di spesa, giostrato nel quadrilatero Bruxelles-Berlino-Francoforte-Parigi, cui è appesa l’estrema fragilità finanziaria italiana.

Ma anche attraverso l’asse del nuovo dell’Est, fieramente anti-immigrati, che contribuisce a tenere tappati nello Stivale i flussi di persone provenienti dall’Africa. Benché eterogeneo, questo fronte trova importanti perni nella Baviera e nell’Austria, che ambiscono a includere nella propria sfera il germanofono Alto Adige e l’utile piattaforma portuale Trieste (clicca). 

Da sud e da est, invece, la scomposizione dei territori circostanti – cui l’Italia ha spesso partecipato, dai Balcani alla Libia – avvicina pericolosamente ai confini nostrani i limiti del disordine, fatto di paesi a bassa se non nulla statualità e regno di attori non statali, dalle mafie ai jihadisti.

Il tutto peggiorato dal nostro stesso deficit di statualità e dalla scarsa propensione a esercitare influenza. Proprio mentre si sbiadisce agli occhi degli Stati Uniti la centralità strategica dell’Italia, non fosse per le basi utili a condurre le comunque astrategiche guerre fra Nordafrica e Medio Oriente. E mentre la Russia, impelagata tra Siria e Donbas, si dimostra indisponibile a esercitare un ruolo più vicino alle italiche coste.

Tuttavia, questo disegno strategico attribuisce all’Italia una non trascurabile centralità, che emerge soprattutto nei momenti di crisi. E come è evidente nel mai del tutto accantonato progetto della Cina di far approdare anche nella nostra penisola le nuove vie della seta.

Per questo, è nell’interesse nazionale che Roma sfrutti questa centralità agganciando i progetti infrastrutturali di Pechino e negoziando nell’Unione Europea riforme per allentare le regole economiche e migratorie che aumentano la pressione interna al nostro paese.

Testo di Federico Petroni.
Carta inedita di Laura Canali.


Collegamenti ferroviari attivi del porto di Trieste