Limes “rivista
italiana di geopolitica” sta seguendo con attenzione la situazione di
Trieste oggetto di interesse degli USA e della Nato.
L’ultimo numero,"Musk o Trump, America al bivio", contiene altri articoli dedicati al ruolo strategico della città portuale giuliana che pensatoi di analisi strategica americani vorrebbero Terminal sia della Imec- Via del Cotone, sia del Trimarium con evidente scopo di farne un hub logistico militare di rafforzamento del fronte est della Nato, sotto un tenue velo commerciale. (Per approfondire clicca QUI e QUI)
Il
primo articolo è un’apologia della Via
del Cotone – IMEC che viene
ribattezzata addirittura Via dell’Oro anche
se non dispone né di un dollaro di finanziamenti, né di infrastrutture e
nemmeno delle merci vista l’inadeguatezza dell’ apparato produttivo indiano. Le
presunte merci indiane dovrebbero transitare per un immaginifico corridoio
commerciale dall’India a Trieste attraversando, su un’ipotetica ferrovia di
3.000 chilometri, i deserti dell’Arabia Saudita per sboccare nel porto
israeliano di Haifa. Per poi inoltrarsi da Trieste verso Costanza e Danzica
sulle ipotizzate, ma altrettanto non finanziate, infrastrutture commerciali del
Trimarium che invece ha una valenza
strategico militare per la Nato.
L’articolo, pomposamente intitolato "Trieste, porta europea della nuova Via dell’Oro", è firmato da Kaush Arha e Carlos Roa membri dell’Atlantic Council e del National Interest, contigui agli apparati securitari americani, che da quest’estate frequentano Trieste per coinvolgere imprenditori e politici triestini nel progetto strategico militare mascherato da corridoio commerciale. (Clicca QUI)
E’ vero che durante il G20 del settembre 2023 è stato firmato un accordo sulla Via del Cotone (ora promosso a oro) tra India, Stati Uniti, Israele, Arabia Saudita e Italia; è vero che il controverso premier israeliano Netanyahu durante l’infuocato discorso, pieno di contumelie all’Assemblea, del settembre scorso all’ONU ha mostrato una mappa con la «benedizione» di un nuovo Medio Oriente attraversato dalla linea rossa della Via del Cotone- IMEC, ma tutto è ufficialmente congelato sia per l’evidente problematicità della situazione geopolitica e bellica, sia per fondati dubbi sulla realizzabilità e convenienza delle infrastrutture necessarie.
Netanyahu e
la Via del Cotone all’ ONU
Nulla
contano oggidì le immaginifiche rievocazioni di antichi traffici di spezie,
gemme luccicanti e sesterzi romani d’oro nella cui incantata descrizione si
attardano i due autori.
L’idea dell’IMEC-Via del Cotone è
nata a Washington con motivazioni geopolitiche e securitarie, e non economiche:
cioè per contrastare la Via della Seta
cinese e per normalizzare i rapporti tra Arabia Saudita e Israele
consolidando il ponte di dominio americano tra Mediterraneo e Indopacifico,
sempre più cruciale.
Sempre
più si parla di Indo-Mediterraneo e think tank americani come il Foreign
Policy Research Institute propongono l’IndoMed Quad, organizzazione che coinvolgerebbe Stati
Uniti, Italia, India ed Emirati con funzioni securitarie sul modello del Quad - Quadrilateral
Security Dialogue tra Stati Uniti, India, Giappone
e Australia creato per contenere la Cina nella regione
dell'IndoPacifico. (Clicca QUI)
Come non notare che il governatore Fedriga, che già andava negli USA con il NIAF legato all’Atlantic Council, si è subito recato, a fine novembre, in Giappone definito “partner strategico del FVG”?
Ma
il progetto IMEC prevede di tagliar fuori dai traffici fra Europa e
Oriente la troppo autonoma e intraprendente Turchia a favore di Israele.
Ipotesi inaccettabile per Ankara, attore sempre più dominante nel Levante e non
solo, che da sempre rivendica il ruolo di snodo centrale dell’ Eurasia.
Pertanto Erdogan si è scagliato contro l’ IMEC non solo a parole ma
promuovendo un corridoio logistico alternativo. Infatti in accordo con l’ Iraq,
il Quatar e gli Emirati ha lanciato l’alternativa IDR Iraq Development
Road, che è già finanziata con 17 miliardi ed è in fase di realizzazione.
Questo corridoio logistico entro il 2028 collegherà, attraverso l’Iraq, il Golfo Persico con la Turchia dai cui porti le merci proseguiranno verso Trieste e l’Europa attraverso l’Autostrada del Mare che già esiste, ben consolidata da decenni di attività in costante crescita e su cui già transita il 70% delle esportazioni turche.
Da notare che la
(Continua dopo le immagini)
IDR Iraq Development Road
Autostrada del Mare Trieste-Turchia
E’
evidente che ormai non c’è più partita fra la Development Road turca, in
forte sviluppo e cui Trieste è già ben collegata con l’ Autostrada del mare, e l’antagonista Imec - Via del Cotone israelo-americana, che è invece congelata.
E’
chiaro che proporre a Trieste la Via del
Cotone, promossa con un espediente propagandistico addirittura a Via dell’Oro, sia uno specchietto per le
allodole ideato dall’Atlantic Council
per creare consenso sull’utilizzo del Porto Franco Internazionale di Trieste
come centro logistico militare del Trimarium
il cui scopo è palesemente il
rafforzamento militare del fronte est della Nato.
Il secondo articolo “L’America riscopre Trieste, Trieste riscoprirà l’America?” firmato dal giornalista triestino Diego D’Amelio, fa un’analisi più realistica della situazione iniziando così “L’Imec è espressione economica della competizione geopolitica Stati Uniti-Cina,” e concludendo così: “ È da vedere se la prospettiva economica dell’Imec potrà mai concretizzarsi o se si rivelerà solo un argomento strumentale a sostegno della strategia americana in Europa, magari col rischio di incidere negativamente sui traffici dall’Estremo Oriente, parte fondamentale della prosperità di Trieste.” (Clicca QUI)
Infatti Trieste ha interesse ad avere buoni rapporti con la Turchia, suo
attuale principale partner nel porto dove rappresenta il 60% delle merci, e con
l’Oriente vicino e lontano che è il cuore della sua attività portuale.
L’articolo
porta un nuovo elemento molto interessante: la penetrazione del capitale finanziario
americano, segnatamente BlackRock,
nei porti italiani e nella italo-svizzera MSC,
la più grande compagnia di navigazione del mondo che ha anche una presenza
preponderante nel porto di Trieste e si sta espandendo in tutti i settori della
logistica e del trasporto terrestre e aereo.
Dell’interesse
di BlackRock per la privatizzazione
delle autorità portuali italiane si sapeva fin dalla riunione del 30
settembre scorso a Palazzo Chigi tra Giorgia Meloni e Larry Fink, il numero uno del più grande
fondo finanziario americano e del mondo.
Ma quello
che documenta D’Amelio è l’entrata del colosso americano in un intimo intreccio
con MSC tramite il fondo GIP acquisito lo scorso anno dal fondo
guidato da Larry Fink.
GIP gestisce un
portafoglio da oltre 100 miliardi e controlla l’aeroporto di Londra-Gatwick, il porto di Melbourne e la società ferroviaria Italo, che ha rilevato al 100%, cedendo
poi la maggioranza a MSC. Il fondo
americano acquisito da BlackRock
detiene un terzo delle quote di Terminal
Investment Limited (Til), società creata da MSC per gestire le proprie infrastrutture portuali: oltre 70
terminali in 31 paesi. Inoltre MSC è
entrata con il 49,9% in HHLA, che
controlla l’importantissimo porto di Amburgo e la compagnia ferroviaria tedesca
Metrans.
HHLA ha in concessione la Piattaforma logistica di Trieste, banchina da cui comincerà la costruzione del nuovo grande terminal
container del Molo VIII che coinvolgerà ora anche MSC, che a Trieste già controlla il Molo VII: una posizione dominante
nei container. Ma MSC a Trieste ha
anche acquisito quella che fu la principale fabbrica navalmeccanica, la Wärtsilä , che sarà riconvertita dalla
produzione di motori navali a quella di carri ferroviari merci.
In cinque anni, dunque, dalla paventata ipotesi
di sviluppo del porto triestino con capitali cinesi, si è passati a quella basata su investimenti pubblici e
grandi players della logistica europea come MSC e HHLA. Con sullo sfondo l’influenza politica e i capitali
americani.
In un
altro articolo della rivista, intitolato “Come
negoziare con Trump” interloquendo con l’ambasciatore Benassi già
consigliere diplomatico del Presidente del Consiglio, il direttore Lucio
Caracciolo esprime la preoccupazione che “senza un
nostro impegno strategico Trieste finisca marginalizzata o diventi una sorta di
exclave.” Ottenendo la seguente risposta:
“Non solo. Noi siamo
infatti fuori dal Trimarium, ovvero
l’Iniziativa dei Tre Mari (Baltico, Nero, Adriatico) d’impronta
polacco-americana che punta a strutturare il fronte orientale della Nato lungo
la verticale Danzica-Trieste-Costanza. C’è il rischio che il ruolo della città
giuliana venga dirottato sul porto croato (sloveno, ndr.) di Capodistria, a soli 20 chilometri”. (Clicca QUI)
Viceversa il rischio percepito
a Trieste è quello di diventare un bastione militare della Nato con l’annessa
perdita della terzietà e neutralità caratteristica imprescindibile dei Porti Franchi.
Tanto più necessaria a un porto che storicamente connette le coste meridionali
dell’intera Eurasia, compresa la Russia e la Cina dichiarata “avversario strategico” dagli USA e anche
dalla Nato dal 2021.
Trieste porto franco dell’Eurasia
La
preoccupazione del direttore di Limes
è coerente a quanto auspicava nell’editoriale del numero precedente della
rivista dove dedicava molto spazio al nuovo forte interesse strategico
americano per Trieste. Proponeva di arrivare a “uno scambio non troppo ineguale fra interessi italiani e
americani” in linea con quanto sostenuto da tempo su Limes riguardo l’ opportunità di
trattative e mediazioni con gli Stati Uniti su aree di potenziale interesse
geopolitico comune. (Clicca QUI)
Questo auspicio, legittimo dal punto di vista degli interessi italiani ma preoccupante per Trieste che diverrebbe certamente merce di scambio, si scontra con l’attuale incapacità non solo dell’Italia ma dell’intera UE di affermare, se non addirittura di riconoscere, i propri reali interessi su qualsivoglia questione internazionale. E di conseguenza di impostare qualsiasi trattativa che non sia accettazione supina fino all’autolesionismo della volontà dell’egemone americano: la questione del gas russo ne è preclaro esempio.
Oggi il prezzo del gas in Europa ha superato gli € 50 al megawattora, con tendenza al rialzo fino agli € 84 secondo Goldman Sachs, mentre negli Stati Uniti costa 7 dollari (fonte Nomisma).
La palese tragica inconsistenza europea e italiana su temi centrali del terremoto geopolitico in corso, dall’Ucraina al Medioriente, dalla Siria alla Libia, testimoniano di una classe politica priva di visione strategica e capacità di azione autonoma. Ansiosa solo di accreditarsi con il presidente americano di turno del cui sostegno ha bisogno per restare in sella in questi tempi turbolenti. L' improvvisa visita di Giorgia Meloni alla residenza di Trump a inizio gennaio ne è un esempio.
Nel
marzo del 2024 Limes pubblicava un
numero sul ruolo internazionale dell’ Italia che conteneva la seguente carta sulla possibile
cooperazione politico-militare tra Italia e Stati Uniti. Vi si
individuavano tre aree a forma di mezzaluna: Medio Oriente, Libia e Balcani
Occidentali.(Clicca QUI)
Mappa di Laura Canali per Limes
Medio Oriente:
la “mezzaluna” di collaborazione con gli USA è di fatto evaporata. L’Italia e
l’UE hanno contato meno di niente nella guerra israelo-palestinese a Gaza,
nell’estensione del conflitto al sud del Libano, nella caduta di Assad e nell’estensione dell’influenza turca in
Siria dove Ankara è diventata l’ egemone di fatto.
Libia: la
“mezzaluna” di collaborazione italo-americana è in procinto di completa evaporazione
visto che l’Italia, dopo aver compromesso i suoi storici interessi nell’area
partecipando all’eliminazione di Gheddafi nel 2011, assiste attonita e
impotente all’espansione della presenza turca a Tripoli, mentre nella Cirenaica,
a Tobruk e altre basi, la Russia sta ora trasferendo asset militari già presenti
nelle basi siriane di Tartus e Latakia. E non si tratta di un ripiegamento ma
di una precisa strategia di proiezione di potenza su Mediterraneo e Africa
settentrionale, che vede assenti gli Stati Uniti.
Quanto ai
Balcani Occidentali, dove in Kosovo e Bosnia il fuoco cova sotto la cenere, è
legittimo scommettere sulla replica dell’inerzia italiana e della UE e sull’
iniziativa turca, oltreché sull'influenza russa sulle popolazioni serbe in Kosovo e Bosnia.
L’ottimismo della volontà di proporre aree di
collaborazione “non troppo
ineguale” con gli americani, e perfino di agire per conto loro se
assenti o distratti come in Libia, pare debba cedere il passo al pessimismo della ragione e all’evidenza
dei fatti.
Perciò dall’osservatorio sul campanile della "cattedrale di San Giusto che troneggia sul golfo di Trieste" che lo
stesso Caracciolo nel suo editoriale definisce “la migliore prospettiva italiana sul mondo” non si vede altra
strada che quella di opporsi, senza alcuna possibilità di scambio accettabile,
al tentativo di trasformare il Porto Franco Internazionale, stabilito dal Trattato
di Pace del 1947, in un hub logistico militare di una Nato dichiaratamente ostile
alla maggior parte dell’Eurasia, con tutti i gravi rischi economici e militari connessi.
Confidando nella
dinamica geopolitica, già avviata, che sta portando alla ridefinizione degli
spazi sulla base degli attuali interessi reali e non di ideologie tanto astratte
quanto superate dai tempi cui Trieste ha già sacrificato troppo.
Gli interessi di
Trieste coincidono con quelli delle aree eurasiatiche cui è rivolto il 90% dell’attività
di un “porto libero” (vedi art.1 All.VIII TdP 1947) cerniera tra l’Europa centro orientale e l’Oriente
vicino, medio ed estremo, dove si stanno affermando nuove polarità geopolitiche.
Aree che hanno
tutto l’interesse ad una postura di sostanziale neutralità mantenendo la
funzione di ponte nello scontro tra Occidente e Oriente, come il successo
geopolitico della Turchia insegna.
Molti interessi
in comune vi sono, semmai, con una potenza emergente come la Turchia, e il vasto
mondo centroasiatico che le gravita intorno, che ha dimostrato un’invidiabile
capacità di visione strategica ed azione autonoma che la candidano ad essere
uno dei principali poli di un ordine mondiale multipolare in gestazione nella
crisi egemonica americana.
Quanto alla
Germania, l’altro centro gravitazionale del porto triestino, è prevedibile che
la pesante crisi provocata dall’attuale
situazione, imposta da Washington, che ha portato alla fine delle forniture
energetiche russe a basso costo e al tentativo di “decoupling” dalla Cina, porti a dei rilevanti cambiamenti degli assetti
politici interni e della politica estera. Con esiti che potremo valutare a
partire dalle prossime elezioni di febbraio.
Mappa dei collegamenti ferroviari
del Porto Franco Internazionale di Triste (Laura Canali per Limes)
Per approfondire:
P. Deganutti,
“Trieste porto franco internazionale o
bastione militare della Nato?” - Trieste Ellet agosto 2024
P. Deganutti, “Trieste e la guerra per le rotte commerciali
mediorientali e per l’Istmo d’Europa” - Trieste Ellet novembre 2024
NOTE:
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