Sulla crisi Italia -Francia su Limes-On Line è uscito l’
altro ieri l’ articolo di Lucio Caracciolo che riportiamo sotto.
L’ articolo prevedeva, oltre al richiamo dell’ ambasciatore, delle rappresaglie da parte francese alle mosse avventate del Vicepresidente del Consiglio Di Maio che ha incontrato proprio in Francia alcuni esponenti di un’ ala particolarmente dura e di destra dei “gilet gialli” : “I colpi saranno visibili a chi deve vederli, ma sparati con il silenziatore”.
Poche ore dopo sembra che da parte francese non si voglia usare nemmeno il silenziatore: non viene rispettato l’ accordo per l’ accoglienza di una parte dei migranti della Sea Watch (il che riguarda Salvini) e salta la trattativa per l’ acquisizione di Alitalia su cui puntava Di Maio.
Speriamo non sia coinvolto anche l’ accordo con Fincantieri per l’ acquisizione dei cantieri navali francesi STX.
Lo sapremo forse dopo il Consiglio d’ amministrazione di Fincantieri appena convocato proprio per la data in cui l’ amministratore delegato Bono dovrebbe partecipare al nostro convegno del 14 a Trieste.
ORA LE ALPI SONO PIU' ALTE
Data l’intrinsechezza geopolitica, economica e commerciale fra i due paesi, abbondano i dossier su cui i francesi cercheranno di farci pagare pedaggio.
L’ articolo prevedeva, oltre al richiamo dell’ ambasciatore, delle rappresaglie da parte francese alle mosse avventate del Vicepresidente del Consiglio Di Maio che ha incontrato proprio in Francia alcuni esponenti di un’ ala particolarmente dura e di destra dei “gilet gialli” : “I colpi saranno visibili a chi deve vederli, ma sparati con il silenziatore”.
Poche ore dopo sembra che da parte francese non si voglia usare nemmeno il silenziatore: non viene rispettato l’ accordo per l’ accoglienza di una parte dei migranti della Sea Watch (il che riguarda Salvini) e salta la trattativa per l’ acquisizione di Alitalia su cui puntava Di Maio.
Speriamo non sia coinvolto anche l’ accordo con Fincantieri per l’ acquisizione dei cantieri navali francesi STX.
Lo sapremo forse dopo il Consiglio d’ amministrazione di Fincantieri appena convocato proprio per la data in cui l’ amministratore delegato Bono dovrebbe partecipare al nostro convegno del 14 a Trieste.
ORA LE ALPI SONO PIU' ALTE
Data l’intrinsechezza geopolitica, economica e commerciale fra i due paesi, abbondano i dossier su cui i francesi cercheranno di farci pagare pedaggio.
di Lucio Caracciolo
Da oggi le Alpi sono più alte. Il richiamo per consultazioni
dell’ambasciatore di Francia a Roma, Christian Masset, sigilla una crisi senza
precedenti nei rapporti italo-francesi. Almeno dal famigerato “colpo di pugnale
alle spalle” del giugno 1940, quando Mussolini ordinò alle nostre truppe di
invadere la Grande Nation già sopraffatta dalla Wehrmacht, nell’illusione di
presto partecipare al banchetto in cui se ne sarebbe spartito le spoglie
insieme a Hitler.
Eppure il gesto volutamente clamoroso di Macron non giunge
inaspettato. Quasi inevitabile replica alla missione lampo di Luigi Di Maio in
terra francese, per incontrare una presunta rappresentanza dei gilet gialli,
dai loro stessi capi sconfessata. A guidarla l’islamofobo Christophe Chalençon,
estremista di destra che vorrebbe un uomo forte – il generale Pierre de
Villiers – all’Eliseo. Insomma, il nostro numero due s’è intrattenuto
fraternamente con un aspirante golpista che vorrebbe i militari al posto del
numero uno del paese dove si trovava informale e indesiderato ospite. Solo
l’ultimo, farsesco episodio di una tragicommedia persino esilarante (culminata
nella “polemica” sul franco Cfa) se non fosse seria. Almeno per noi italiani. E
adesso, pare, un poco anche per i francesi.
È fuorviante valutare il vertice Chalençon-Di Maio sotto
specie politico-elettorale, in vista del voto cosiddetto europeo di maggio, cui
ogni paese partecipa con liste proprie, scrutandosi rigorosamente l’ombelico,
preoccupato delle ripercussioni domestiche del risultato. Certo, per i
movimentisti a cinque stelle l’attrazione dei gilet gialli è formidabile, posto
che ne conoscano l’indirizzo. Sentimento non reciprocato dalla grandissima
parte di costoro, fosse solo perché dei presunti fratelli italiani gliene
importa poco o nulla. Quello che impressiona, semmai, è l’incoscienza con cui un
vicepresidente del Consiglio dei ministri fa uso del suo ruolo istituzionale.
Non entriamo qui nel merito tattico della sua mossa, che si
risolverà forse in un boomerang, o forse no – vedremo il 26 maggio. Ciò che
impressiona è l’allegra indifferenza ai due princìpi fondamentali di qualsiasi
strategia, non importa il colore: valutare i rapporti di forza e volere le
conseguenze di ciò che si vuole. Dogmi che un tempo i dirigenti politici
succhiavano con il latte, anche perché formati in autentici partiti e non nei
correnti facsimile.
Nella fattispecie, assumendo che la gita a Parigi sia stata
progettata in sobria coscienza, è consapevole il nostro vicepresidente del
Consiglio delle conseguenze che il suo gesto provocherà per il suo e nostro
paese? Oppure immagina che lo Stato francese, cui non difettano una certa idea
di sé e una vena di irritabilità, possa contentarsi della gesticolazione
diplomatica, destinata a rientrare? Data l’intrinsechezza geopolitica,
economica e commerciale fra i due paesi, abbondano i dossier su cui i francesi
cercheranno di farci pagare pedaggio. Dalla Libia a Ventimiglia, dalla
cantieristica civile e militare all’Alitalia, fino allo scambio di informazioni
segrete necessarie alla sicurezza nazionale, Parigi avrà di che sbizzarrirsi.
Pur in una congiuntura assai critica, con un presidente infragilito, incapace
di leggere il suo stesso paese e perciò inutilmente arrogante – di qui il
modesto tasso di popolarità e la pallida credibilità sulla scena internazionale
– la Francia ce la farà pagare. Senza esagerare, perché la considerazione di
Parigi per Roma non è mai stata alta ed è ora ai minimi.
I colpi saranno visibili a chi deve vederli, ma sparati con
il silenziatore. I fuochi d’artificio darebbero importanza a chi non ne deve
avere. Giacché quando si violano le regole di base della competizione fra
nazioni, con un responsabile di governo straniero che sostiene gli avversari
del tuo monarchico presidente in casa sua, la reazione istintiva è di
rappresaglia. In tal caso le burocrazie si muovono in automatico. Alla vendetta
fredda in salsa gallicana non potremo opporre granché. Essendo, fra l’altro,
più soli che mai in ambito euroatlantico.
Italia e Francia sono vicini che non hanno mai cercato di
capirsi. Forse presumendo di non averne bisogno. Roma e Parigi hanno preferito
coltivare piattezze retoriche, dalla “latinità” alla “cuginanza”, evocate con
velenosa eleganza nello stesso comunicato del ministero degli Esteri che
annunciava il richiamo di Masset. Dove si discetta nientemeno che di “comune
destino”. Finora, il destino di Italia e Francia è stato di affettare una
reciproca amicizia che non ha mai avuto radici profonde. Con il risultato di
scoprirsi spesso avversari, talvolta nemici, quando si arrivava al dunque e la
storia ti chiedeva il conto.
Circola tuttora in quel che resta della classe dirigente
nostrana la massima di Machiavelli nel De Natura Gallorum, per cui i cugini
d’Oltralpe quando non possono farti del bene, te lo promettono, e quando
possono fartelo, difficilmente lo fanno, o non lo fanno. Negli omologhi
francesi, prevale l’opinione che dell’Italia non sia necessario avere
un’opinione.
Se questo è un destino, urge cambiarlo.
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