Conversazione con Michele Geraci, sottosegretario presso il ministero dello Sviluppo economico e coordinatore della Task Force Cina.
a cura di Giorgio Cuscito
LIMES Quali sono le opportunità per l’Italia derivanti dal rafforzamento dei rapporti con la Cina?
GERACI Tra Italia e Cina ci sono potenzialmente grandi sinergie. La più grande deriva dallo sviluppo della Belt and Road Initiative (Bri, o nuove vie della seta, n.d.r.). Potremmo firmare il memorandum d’intesa di adesione all’iniziativa infrastrutturale nei prossimi mesi.Le nuove vie della seta si basano su due rotte fisiche, rispettivamente terrestre e marittima. Il trasporto via acqua è il più conveniente in termini di costi. Il nostro paese ha il vantaggio di trovarsi nel cuore del Mar Mediterraneo, a metà strada tra Africa e Nordeuropa. Possiamo e dobbiamo diventare uno dei terminali della Bri in questo bacino d’acqua. La Cina è già fortemente presente nel Continente Nero, ma è alla ricerca di un paese europeo di riferimento prospiciente a esso con cui collaborare. Questa per l’Italia è un’occasione.
Il porto di Trieste, che beneficia della prossimità al Nordeuropa, potrebbe trovare un accordo con la Repubblica Popolare a breve.
Roma ha proposto a Pechino di includere nelle nuove vie della seta tre nuove rotte: aerea, spaziale e culturale. In ciascuna, l’Italia può dare il suo contributo. Nel primo ambito rientra la possibile partecipazione cinese in Alitalia. Pechino cerca anche uno snodo logistico da cui far operare le proprie compagnie aeree che volano in Africa. Questo ruolo potrebbe essere benissimo svolto dall’aeroporto di Fiumicino a Roma. Nel secondo ambito, rileva il ruolo dell’Agenzia spaziale italiana, quale unica agenzia straniera autorizzata a costruire una componente della stazione aerospaziale cinese. Infine, Cina e Italia hanno molto da condividere nell’ambito culturale. Del resto, abbiamo usi e costumi molto simili. Basti pensare all’importanza che riveste il legame familiare in entrambi i paesi. L’affinità culturale è per noi un vantaggio che incide su tutti gli altri ambiti della collaborazione economica con la Cina, tra cui il settore agroalimentare, quello infrastrutturale e il turismo. Non bisogna dimenticare poi le opportunità che in quel paese offrono rispettivamente il sistema assicurativo, sanitario e pensionistico. La Repubblica Popolare sta invecchiando rapidamente e fra vent’anni avrà problemi demografici simili a quelli dell’Italia di oggi. Possiamo far tesoro della nostra esperienza per fare nuovi affari in Cina.
LIMES Che ruolo può avere il Mezzogiorno nelle nuove vie della seta?
GERACI Al momento il Sud non è dotato delle infrastrutture necessarie per essere integrato nell’iniziativa cinese. Per coinvolgerlo è necessario un approccio diverso rispetto a quello adottato nel Nord Italia: bisogna puntare prima sul software anziché sull’hardware, poiché le attività legate al mondo digitale possono essere avviate più rapidamente e con meno costi rispetto alla costruzione delle infrastrutture. I livelli di questo processo sono tre. Primo, favorire la digitalizzazione delle aziende, per mostrare al mondo cosa vendono. Tutte le imprese italiane che hanno una propensione all’internazionalizzazione devono essere digitalizzate, per rendere il contesto del Meridione appetibile alla Cina. Un imprenditore cinese è più invogliato a investire se trova sul territorio un sistema di e-commerce sviluppato e la rete Internet 5G. A tal fine, vogliamo agevolare la collaborazione sino-italiana nel campo della ricerca tecnologica con aziende come Huawei e Tencent, la quale ha già realizzato un centro per lo sviluppo delle smart cities in Sardegna. Il secondo livello riguarda lo sviluppo del sistema bancario, per favorire la vendita dei prodotti all’estero. Il terzo livello concerne lo sviluppo del sistema logistico, che richiede più tempo. Il denaro proveniente dalla valorizzazione del primo livello potrà essere investito nel secondo e nel terzo. Queste attività possono essere messe in piedi più rapidamente rispetto alla costruzione di infrastrutture e avere un effetto immediato sul territorio.
LIMES Roma e Pechino hanno da poco firmato un memorandum d’intesa per collaborare in paesi terzi. Può indicarcene qualcuno?
GERACI Possiamo lavorare insieme in diversi paesi dell’Africa, quali Etiopia, Eritrea, Gibuti, Egitto, Tanzania, Mozambico e Angola. La Repubblica Popolare ormai ha messo radici nel Continente Nero ma la collaborazione infrastrutturale con le aziende italiane è utile sia per il valore delle nostre conoscenze tecnologiche sia perché la presenza di un partner occidentale rassicura i paesi che ospitano l’investimento. In un certo senso, Pechino può beneficiare del soft power nostrano, che ad esempio in Africa è accolto più favorevolmente rispetto a quello francese, per ragioni storiche. La nostra reputazione all’estero è esattamente ciò che serve a Pechino per superare le perplessità degli altri paesi circa le proprie attività economiche. Italia e Cina vorrebbero anche che la Libia si stabilizzasse politicamente ed economicamente, che non fosse solo un cuscinetto con il resto del Continente. Roma è impegnata direttamente in questo processo, ma l’interesse cinese per questo paese potrebbe avere dei risvolti positivi. Nel Continente Nero, la Repubblica Popolare punta sugli investimenti. Questi facilitano la crescita economica, la quale è un presupposto essenziale della stabilità politica. Proprio ciò che manca in Libia.
LIMES Quali sono le possibili controindicazioni della collaborazione con la Cina?
GERACI Una volta spalancate le porte a Pechino, gli investimenti cinesi potrebbero diventare più predatori. Per questo, l’Italia dovrà essere selettiva, accettando solo quelli che producono aumento del pil, dell’occupazione e la possibile apertura del mercato cinese ai prodotti italiani. Questo è il caso delle operazioni greenfield e brownfield 1, che accrescono la capacità produttiva. Le fusioni e le acquisizioni invece non portano valore diretto all’Italia, solo all’azionista che cede la propria quota.
Nel caso del porto di Trieste, per esempio, potrebbe concretizzarsi un investimento brownfield, che consisterebbe nella costruzione di un nuovo terminal.
Si tratta di un caso diverso rispetto a quello del porto del Pireo (controllato dal gigante della logistica Cosco, n.d.r.), dove i cinesi hanno attuato sia un’acquisizione sia un investimento brownfield. Il secondo ha portato valore. Lo scalo marittimo ha aumentato il traffico del 300% grazie alla presenza cinese.
Se producesse il medesimo impatto in un porto italiano, una simile operazione sarebbe ben accolta, perché aumenterebbe la sua capacità e quindi gli introiti.
Nel caso del porto di Trieste, per esempio, potrebbe concretizzarsi un investimento brownfield, che consisterebbe nella costruzione di un nuovo terminal.
Si tratta di un caso diverso rispetto a quello del porto del Pireo (controllato dal gigante della logistica Cosco, n.d.r.), dove i cinesi hanno attuato sia un’acquisizione sia un investimento brownfield. Il secondo ha portato valore. Lo scalo marittimo ha aumentato il traffico del 300% grazie alla presenza cinese.
Se producesse il medesimo impatto in un porto italiano, una simile operazione sarebbe ben accolta, perché aumenterebbe la sua capacità e quindi gli introiti.
La seconda controindicazione è che un maggiore dialogo con la Cina potrebbe inasprire il già complesso rapporto tra Roma e il resto dell’Europa. Inoltre, l’aumento delle attività italiane in Africa potrebbe non essere gradito dalla Francia, che qui storicamente afferma la sua influenza.
L’Italia non rischia invece di cadere nella «trappola del debito» alimentata dagli investimenti cinesi. Su 2.300 miliardi di euro di debito pubblico italiano, il 32% è in mano straniera, prevalentemente tedesca e francese. La Cina non investirà 700 miliardi nel debito nostrano, quindi non si creerà un legame di dipendenza. Invece, il pericolo che alcuni paesi più vulnerabili sul piano economico incappino in un problema del genere offre all’Italia l’opportunità di fare affari con loro collaborando in triangolazione con la Cina. Tale dinamica potrebbe verificarsi in Africa, in Asia centrale e nel Sud-Est asiatico.
LIMES Cosa pensa della crescente presenza militare cinese all’estero, a cominciare da quella a Gibuti?
GERACI Vista la mole delle attività economiche della Repubblica Popolare in tutti i continenti, non bisogna stupirsi se Pechino vuole espandere la sua presenza militare all’estero. Gli Usa del resto hanno diverse installazioni militari in tutto il globo, persino a pochi chilometri dalla costa cinese. Il mondo ormai è bipolare, se non tripolare, e credo dovremmo abituarci a questo genere di sviluppi.
Nota:
1. Le prime consistono nel finanziamento di nuove opere, le seconde riguardano il rifinanziamento del debito contratto dal concessionario per opere già realizzate o in corso di realizzazione.
Dall' ultimo numero di Limes "Non tutte le Cine sono di Xi"
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SEGNALIAMO, INOLTRE, L' USCITA SUL CORRIERE DELLA SERA DI OGGI 2 GENNAIO, DI UN NUOVO APPELLO, PIU' LETTERARIO E VOLONTARISTICO CHE TECNICO, AL RUOLO DI VENEZIA COME VERO TERMINAL DELLA "NUOVA VIA DELLA SETA" , TEMATICA CHE APPARE DECISAMENTE SUPERATA PER I NOTI PROBLEMI DEL PORTO VENEZIANO DI ACCESSIBILITA' NAUTICA E COLLEGAMENTO ALLE RETE FERROVIARIA EUROPEA. Clicca QUI.
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