Il Corriere della Sera di oggi 10 ottobre fa riferimento all' intervento del Direttore di Limes Lucio Caracciolo al Forum dei Trasporti di Cernobbio in cui è intervenuto anche il presidente dell' Autorità Portuale Zeno d' Agostino, come riportato dal Piccolo.
Ecco l' articolo del Corriere a pag. 33:
La via della
seta?
Il porto di Trieste si candida a snodo centrale
di Rita Querzè
di Rita Querzè
Per una penisola come la nostra è un paradosso: nonostante l’Italia sia protesa nel Mediterraneo, rischia l’emargizinazione dalle principali rotte del trasporto delle merci.
Come ha sottolineato al forum dei Trasporti di Cernobbio il direttore di Limes Lucio Caracciolo, se c’è un porto che ancora può giocarsi qualche carta per diventare un punto di riferimento per le merci da e per la Cina, quello è il porto dl Trieste.
D’altra parte in questi anni ci siamo già giocati (malissimo) le altre «candidature»: nell’ordine, Taranto, Gioia Tauro, Napoli e Livorno.
Il segretario generale di Conftrasporto Pasquale Russo ha usato i numeri per rappresentare la situazione: «Negli ultimi 20 anni le merci in container movimentate nel Mediterraneo sono aumentate del 500%. Mentre nei porti italiani l’incremento è stato del 5o%». «L’Italia ha agganciato solo il 10% della crescita», ha lamentato Russo.
Nel Mediterraneo passa un quinto del traffico marittimo mondiale. L’Italia rischia l’esclusione dalle grandi vie del traffico a causa di un sistema frammentato e di una burocrazia pesante che frenano la crescita dei porti, molti dei quali hanno piani regolatori vecchi di 6o anni.
Un segnale è arrivato dal viceministro delle lnfrastrutture Edoardo Rixi. Che ha assicurato: «Stiamo lavorando per aumentare le risorse destinate al porti».
Ecco invece l' articolo del Piccolo sull' intervento di Zeno D' Agostino:
forum di Cernobbio
D’Agostino: nei porti troppa burocrazia
Più investimenti in infrastrutture
Il presidente dell’Authority Alto Adriatico fa il punto sulla nuova geopolitica degli scali italiani: il ruolo centrale di Trieste
di Daniele Lettig
Smettere di pensare ai porti «come luoghi dove si caricano e scaricano scatolette da una nave all’altra», e rilanciare il ruolo delle autorità di sistema «nello sviluppo delle infrastrutture e del territorio». È questa la via che indica al settore portuale italiano Zeno D’Agostino, presidente del porto di Trieste e dell’associazione che riunisce tutti quelli del nostro paese, parlando a margine del suo intervento di ieri al quarto Forum internazionale di Conftrasporto-Confcommercio a Cernobbio. Occasione in cui l’associazione di categoria ha fatto il punto sullo stato dei trasporti marittimi in Italia, puntando il dito contro la burocrazia e la frammentazione che frenano la crescita di un settore che vale tra i 2 e i 3 punti di Pil. La riflessione di D’Agostino comincia proprio da un dato generale: nel 2017 il traffico merci nei porti italiani si è attestato su un valore di 10,7 milioni di Teu (la misura standard dei container), una cifra rimasta grosso modo costante negli ultimi dieci anni, ma che «analizzata più da vicino» mostra una grossa differenza rispetto al 2008. La maggior parte del traffico infatti «non passa più dai tre grandi porti di tranship di Cagliari, Taranto e Gioia Tauro», tutti attualmente in crisi, ma da altre infrastrutture – come Genova o Trieste – che non si limitano a trasferire i container dalle navi intercontinentali a quelle più piccole, ma costituiscono nella maggioranza dei casi il porto di destinazione: «Un container che arriva lì genera un indotto diverso, con un valore aggiunto molto più alto. Nel frattempo, però, abbiamo tre grandi porti in difficoltà e, tanto per cambiare, abbiamo tolto valore al Sud per portarlo al Nord». Una situazione che, a giudizio di D’Agostino, chiama in causa l’assenza di una politica industriale: «Bisogna che il potere pubblico si prenda la responsabilità di sviluppare il futuro del territorio, anche attraverso gli investimenti sulle infrastrutture. C’è chi pensa che questo sia compito dei privati, io ritengo invece che in Italia non ci siano soggetti privati in grado di farlo. Deve essere il pubblico ad alimentare un certo tipo di attività, altrimenti il rischio è che le infrastrutture restino inutilizzate». Lo dimostra proprio l’esempio di Trieste, «in cui negli ultimi tre anni i container in transito sono cresciuti del 50 per cento, e i treni raddoppiati». Anche nell’ottica del progetto cinese di una nuova “Via della Seta”, di cui proprio Trieste è considerato lo sbocco naturale nel nostro paese. —
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