Limes On Line,
la versione elettronica delle rivista di geopolitica LIMES diretta da Lucio
Caracciolo, pubblica oggi un articolo sugli sviluppi in corso per arrivare all'
inserimento del Porto Franco Internazionale di Trieste nelle Nuove Vie della
Seta.
Questi sono giorni cruciali
per conseguire questo risultato non solo per la visita in corso in Cina a Chengdu da parte del presidente D'Agostino, di
una delegazione della Giunta regionale e del Vicepresidente del Consiglio dei
Ministri ma anche, e soprattutto, per delle partite che si stanno giocando
nella nostra città sul fronte del business.
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Tuttavia, trattandosi di un
argomento di grande interesse per i nostri lettori e per Trieste mettiamo a
disposizione il testo integrale qua sotto (le parti blu del testo danno accesso
a note, rimandi e altri articoli):20/09/2018
Trieste come snodo europeo delle nuove vie della seta, da ipotesi a realtà
di Paolo Deganutti
Mentre il 4 settembre si concludeva la visita governativa italiana in Cina, guidata dal ministro dell’Economia Giovanni Tria e dal sottosegretario allo Sviluppo economico Michele Geraci, da Parigi rimbalzavano le parole di Zeno D’Agostino.
Il presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico Orientale (Trieste e Monfalcone) e della Assoporti aveva affermato al simposio del Dialogo fra i continenti – Derive o connettività?, che “c’è una situazione nuova in Europa; i porti del Sud, tradizionalmente di serie b rispetto ad Amburgo, Rotterdam o Anversa, oggi sono coinvolti in primo piano. Gli investitori cinesi, passati da Suez e dal Pireo, arrivano da sud e per queste rotte è una grande rivoluzione”.
D’Agostino ha illustrato la portata innovatrice e le prospettive delle nuove via della seta. “Si tratta di un grande progetto di infrastrutturazione globale che modificherà, in meglio, l’accessibilità di alcune aree del globo. L’aumento della connettività e della relativa accessibilità di un territorio ne aumentano il traffico di merci e persone in primo luogo, ma soprattutto ne determinano una nuova dignità localizzativa industriale e logistica”.
Quello di oggi, ha spiegato, “è il risultato di tre anni di lavoro, di molte missioni di Trieste in Cina e delle società di Stato cinesi coinvolte nel progetto a Trieste”, "diventata protagonista insieme all’Adriatico. Basti pensare che a Trieste, negli ultimi tre anni, c’è stata un’esplosione positiva del traffico dei treni merci ".
Ha anche precisato che non si tratterebbe della privatizzazione e “colonizzazione” da taluni paventata, giacché "a Trieste i soggetti coinvolti diventerebbero partner di operatori già presenti in porto, consentendo così il potenziamento e lo sviluppo di nuove banchine, nuovi terminal, piazzali e attività portuali”.
Contestualmente alla prospettiva di fare di Trieste il terminal della nuova via della seta marittima nell’Alto Adriatico, diventata esplicita con la recente visita governativa a Pechino, sono cominciate a spuntare sulla stampa nazionale preoccupazioni e critiche riguardo i “pericoli delle nuove vie della seta” – nelle quali l’Italia è finora molto scarsamente, o per nulla, coinvolta concretamente. Di cui alcune provenienti da ambienti portuali genovesi, peraltro pesantemente colpiti dai problemi logistici creati dal crollo del ponte Morandi, che hanno fatto lievitare notevolmente i costi di trasporto con l’entroterra.
La chiusura del terminal container del porto di Taranto in conseguenza dello spostamento dei traffici al Pireo (controllato dal gigante della logistica cinese Cosco), dopo che era stato sostanzialmente snobbato l’interesse di Pechino per lo scalo pugliese, dimostra semmai che il pericolo è quello di restare tagliati fuori da un processo di connessione e infrastrutturazione di livello planetario. Del resto, gli stessi lavoratori portuali triestini del sindacato maggioritario Clpt considerano gli eventuali investimenti cinesi un’opportunità e non un rischio per le condizioni di lavoro.
Il presidente D’Agostino rileva sui presunti rischi di colonizzazione legati all’arrivo di investitori cinesi che “di un simile fenomeno si parla per Pireo, Gibuti, Sri Lanka; ossia, paesi in default che hanno svenduto i loro gioielli di famiglia. È stata la loro debolezza ad attirare l’investitore cinese, mentre nel nostro caso è successo esattamente il contrario“. D’Agostino sottolinea infatti che a interessare i cinesi è “la forza del territorio, la sua capacità di creare un sistema integrato, coeso e forte che rappresenti una piattaforma logistica per l’Europa centrale. Le forme di interlocuzione che noi abbiamo con l’Oriente sono ben diverse da quelle che possono avere realtà in declino”.
I punti di forza, insiste D’Agostino, sono “l’organizzazione, la messa a punto di tutti gli anelli della catena logistica in un’unica Autorità di sistema e garanzia del lavoro portuale: chi viene a investire a Trieste queste cose le conosce benissimo. Se i cinesi sanno fare i loro affari, e certo nessuno gli può dire alcunché, dopo aver dormito per troppo tempo ora dobbiamo dimostrare di saperli fare anche noi. La via della seta è un’occasione epocale, sta a noi coglierla. Quando i cinesi hanno definito il progetto non si sono preoccupati degli interessi di Trieste o del Friuli-Venezia Giulia, ma hanno posto le basi perché noi potessimo approfittarne per farlo diventare un elemento di forza e di reciproco interesse. Non a caso ci stanno riconoscendo forza e prospettiva di sviluppo, non debolezza”.
Alle obiezioni ha risposto anche il sottosegretario Michele Geraci, a capo della delegazione in Cina che si occupava degli investimenti produttivi: “il fatto è che il mondo cambierà e la Cina sarà sempre più importante nell’economia globale. Quando tira vento bisogna scegliere se ripararsi o costruire mulini. Finora ci siamo riparati, ora è giunto il momento di trarre benessere da questa ondata, che comunque è inarrestabile. La domanda è giusta, ma non c’è altro da fare che scegliere se cavalcare il fenomeno o farsi travolgere. In passato l’Italia ha pagato la concorrenza senza sfruttare i vantaggi. Ora vogliamo cambiare registro”.
Geraci rimarca come i porti di Trieste e Venezia abbiano caratteristiche e funzioni diverse. Lo scalo di Venezia, infatti, serve prevalentemente il mercato interno italiano in sostanziale stagnazione, come del resto Genova. Mentre Trieste lavora per il 90% con l’entroterra europeo, rendendola attrattiva per la Cina, che vuole raggiungere prioritariamente quel mercato.
Inoltre, mentre Venezia e Genova scontano la preferenza tradizionalmente accordata in Italia al trasporto su strada – dove transita il 94% delle merci – Trieste è dal 1857, dall’epoca asburgica, ben collegata via ferrovia con Vienna e l’Europa centrale. Ed ora anche del Nord, mediante accordi strategici con il nodo intermodale di Duisburg – capolinea attuale della via della seta terrestre – e collegamenti diretti con Kiel lungo il corridoio Baltico-Adriatico, nonché nuove linee per la Polonia. Non è un caso che, come comunica l’Autorità portuale, il primo semestre 2018 “conferma la vocazione ferroviaria internazionale del nostro porto, nonché il primato a livello italiano, e una previsione di circa 10 mila treni a chiusura annuale”.
Si tratta di un dato di importanza strategica perché il trasporto ferroviario, oltre che assai meno inquinante, è molto più economico di quello su gomma sia per gli operatori sia per la collettività. Così come il trasporto via nave è estremamente più economico di quello via terra: ciò fa di Trieste, che è il porto più a nord dell’Adriatico e più vicino all’Europa centrale, il terminal naturale della nuova via della seta marittima e l’ideale snodo intermodale nave–ferrovia.
L’attivazione di un hub intermodale consentirebbe di superare anche uno dei principali problemi incontrati dalla “via della seta” terrestre: i treni partiti dalla Cina carichi di merci e destinati a Mortara (Pavia) ritornano in gran parte vuoti rendendo antieconomico il trasporto ferroviario; infatti, il servizio sembra essersi già arenato.
Invece, l’arrivo via mare di merci destinate al mercato russo e dell’Europa orientale consentirebbe di garantire i carichi di ritorno almeno per una buona tratta. L’ottimo collegamento ferroviario con l’Europa, grazie anche alla consolidata e maggioritaria presenza di vettori ferroviari esteri, è una caratteristica specifica del Porto di Trieste. Mancante, ad esempio, sia a Genova sia Koper-Capodistria, la cui linea ferroviaria necessita di un raddoppio perché ormai satura. Così come a Venezia, che ha problemi sul nodo di Mestre e non ha vettori europei alternativi a Trenitalia Cargo.
Si aggiungano ai vantaggi dello scalo giuliano i fondali di 18 metri sottobanchina, i più profondi del Mediterraneo, che consentono l’approdo di navi di tutte le dimensioni. E la semplificazione burocratica, avendo solo l’Autorità portuale come ente di riferimento, grazie a una recente legge regionale, unita all' approvazione di un piano regolatore, due anni fa, che consente ampliamenti e nuovi moli eliminando gli ostacoli burocratici che sussistono in altre situazioni europee.
Inoltre ha la fondamentale caratteristica – unica in Europa – di “porto franco internazionale”, ereditata dal periodo austriaco e confermata dal trattato di pace del 1947. Che l’Autorità portuale si appresta a usare, oltre che per la logistica, per favorire insediamenti industriali per la produzione di merci che converrebbe effettuare in loco anziché importare. Valorizzando così il territorio, che non sarebbe di solo transito.
È un vantaggio che i cinesi comprendono bene, avendo realizzato da decenni un modello di sviluppo basato sulle Zone economiche speciali come quella di Shanghai. E che è stato rilevato in una recente intervista dell’ambasciatore cinese in Italia Li Ruiyu dove, tra l’altro, ricorda che “l’Autorità portuale di Trieste ha acquistato un’area di 300 mila metri quadrati per la realizzazione di una zona franca. Un’iniziativa che può dare un importante supporto allo sviluppo sistematico del settore.”
Il diplomatico cinese osserva inoltre che “Il porto di Trieste è situato vicino al confine nord-orientale dell’Italia e costituisce un accesso importante al Nord dell’Adriatico: una posizione decisamente favorevole”. In questo modo la vicinanza alle frontiere che aveva relegato il porto giuliano in una situazione di perifericità rispetto al sistema-paese Italia, con cui è mal collegato, si trasforma in vantaggio strategico esaltandone la baricentricità rispetto all’Europa.
Il porto franco internazionale di Trieste è reso lo scalo più conveniente per raggiungere l’Europa centrale dall’Oriente da queste caratteristiche, ormai note a livello internazionale grazie all’attivismo dell’Autorità portuale e al dinamismo imprenditoriale dei terminalisti e delle case di spedizione giuliani. In aggiunta a una rinnovata e diffusa coscienza collettiva che lo sviluppo della città e del territorio è legato indissolubilmente a quello del sistema portuale.
Mentre già ora e senza nuovi investimenti lo scalo triestino è competitivo con i porti del Nord sia per la struttura dei costi sia per i tempi di percorrenza delle merci, come dimostra uno studio dell’Aiom (Agenzia imprenditoriale operatori marittimi) presentato a Monaco di Baviera lo scorso anno. Del resto, è noto che fino al 1918 Trieste era il porto della Mitteleuropa e vi sono legami infrastrutturali, economici e culturali che perdurano malgrado le traversie della storia recente.
La visita a Pechino del governo italiano si è saldata con l’iniziativa portata avanti autonomamente dall’Autorità portuale triestina, che negli ultimi tre anni ha investito molte energie in viaggi e contatti con imprese e istituzioni cinesi. Avendo subito colto le potenzialità strategiche delle “nuove vie della seta” per Trieste che, nel passato, si è sviluppata proprio grazie ai traffici tra Europa e Oriente resi possibili dal Canale di Suez inaugurato nel 1869. Da qui la nuova missione dal 18 al 24 settembre a Chengdu, capoluogo della provincia di Sichuan, in occasione dell’esposizione multisettoriale Fiera internazionale della Cina occidentale 2018, insieme a una delegazione della nuova Giunta regionale.
Come dichiara Zeno D’Agostino “ci aspetta una missione importante nel segno della collaborazione tra Regione e Autorità portuale. Proporsi come sistema logistico integrato a Chengdu è particolarmente significativo visto che il capoluogo della provincia di Sichuan è una piattaforma ferroviaria della terrestre via della seta, lo snodo più importante per i traffici verso l’Europa». Infatti, da Chengdu partivano i treni destinati a Mortara in Italia.
Vi sono ormai le condizioni materiali e politiche perché Trieste sia inserita come scalo nelle nuove vie della seta e arrivino importanti investimenti cinesi. Ed è probabile che in questi giorni si giochino partite cruciali, non solo in Cina ma anche e soprattutto su tavoli locali. A partire dalla realizzazione di un nuovo grande terminal portuale in corrispondenza della nuova piattaforma logistica in costruzione; a corollario, ciò realizzerebbe anche le alternative occupazionali necessarie per favorire la chiusura dell’“area a caldo” della Ferriera, che crea problemi di inquinamento analoghi all’Ilva di Taranto.
Ciò sta avvenendo contemporaneamente al processo di riaggregazione dell’area mitteleuropea: un incremento delle interconnessioni, della condivisione di interessi economici e perfino di orientamenti politici, prevalenti o in crescita. Paradossalmente, in epoca di “sovranismi” nello spazio tra Monaco di Baviera, Mar Baltico, Mar Adriatico e confini occidentali della Federazione Russa sono numerose le iniziative di collaborazione che si stanno impostando tra le varie capitali.
A ricostruire l’Europa centrale saranno le infrastrutture, le connessioni e le opportunità economiche che con Trieste terminal delle nuove vie della seta cresceranno enormemente. Vasti territori, tra cui Trieste e il Nordest, sono ormai integrati nella “catena di valore” tedesca. Per il porto di Trieste, per esempio, transita strategicamente il 40% del fabbisogno petrolifero della Germania (il 100% della Baviera e del Baden-Württemberg), il 90% di quello dell’Austria e oltre il 30% della Repubblica Ceca.
Laris Gaiser recentemente parlava dello “scalo giuliano come porto di Monaco, con o senza vie della seta”. Facendo notare come sia possibile e importante alimentare un flusso bidirezionale di merci – e non solo – su questo corridoio infrastrutturale tra Europa e Oriente, che taluni paventano essere mero strumento di penetrazione cinese. È di pochi giorni fa un paginone a cura di Manlio Graziano che parla di “rinascita dell’impero austro-ungarico” e “un’alleanza neo-asburgica tra i paesi del gruppo di Visegrád, Vienna e la Croazia”. Con una forte attrazione sulla ricca Baviera, sulla Slovenia e su gran parte del “Lombardo–Veneto”, che rivendica e ottiene una forte autonomia in una dialettica con un apparentemente paradossale “sovranismo autonomista” della Lega al governo.
Naturalmente ognuno può valutarlo con entusiasmo o preoccupazione ma il fenomeno è ormai evidente e – seppure in modo non lineare e tra numerose contraddizioni – destinato a svilupparsi ulteriormente. Indirizzandosi verso una macroregione integrata in un’Unione Europea trasformata e rivitalizzata oppure, in assenza di interlocutori validi e duttili a Bruxelles, verso un blocco avverso all’Ue com’è ora strutturata e diretta. Il voto di condanna dell’Ungheria da parte del Parlamento di Strasburgo va nel senso di una contrapposizione frontale dagli esiti incerti.
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