DIBATTITO SU QUESTIONI INTERNAZIONALI PER UNA CITTA' INTERNAZIONALE

lunedì 16 dicembre 2024

LA QUESTIONE DI TRIESTE BASTIONE DELLA NATO DIVENTA UN TEMA NAZIONALE ITALIANO: LIMES, CHIESA CATTOLICA, INTELLETTUALI, RIVISTE


          In seguito agli articoli pubblicati da Pluralia (clicca QUI, QUI e QUI) sul progetto strategico elaborato a Washington di trasformare il porto Franco Internazionale di Trieste nel perno della logistica militare a sostegno del fianco est della Nato, oltreché al servizio della basi americane di Aviano e Vicenza,  il tema è arrivato al centro dell’attenzione d’importanti think tank  in grado di influenzare i decisori politici italiani.

Ne sono prova le prese di posizione della rivista Limes e del suo direttore Lucio Caracciolo, ritenuti autorevoli anche dal “mainstream” giornalistico e dal mondo politico, 

ma anche il tentativo del Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli, think tank vicinissimo agli ambienti governativi, di promuovere su questo tema un convegno internazionale a Trieste il 18 ottobre  scorso con la partecipazione del governatore della Regione Massimiliano Fedriga.

 Lucio Caracciolo ha evidenziato la realtà e l’importanza dell’interesse militare americano per il Porto di Trieste a fini di contenimento di Russia e Cina. 

Lo ha fatto nell’intervento introduttivo alle Giornate del Mare del 9 e 10 novembre scorsi a Roma di fronte a una platea di autorità e ammiragli della Marina Militare Italiana (clicca QUI dal minuto 33), poi nel video di presentazione del nuovo volume di LimesI signori degli oceani” del 16 novembre 2024 (clicca QUIe infine dedicando all’argomento una gran parte dell’editoriale di quel numero di Limes, in cui mi ha citato.

Altri articoli compariranno sul prossimo numero della rivista italiana di geopolitica.

 A rafforzare la fondatezza delle preoccupazioni sul coinvolgimento del porto di Trieste nella logistica militare si è aggiunta anche l’iniziativa della Chiesa Cattolica, con il convegno triestino del 19 novembre contro il traffico di armi nel porto.

 

Durante l’incontro promosso dai Fari di Pace c’è stato un importante intervento del Vescovo di Trieste mons.Trevisi che ha presentato la lettera, a firma sua e di numerose associazioni cattoliche, che è stata inviata all’Autorità Portuale di Trieste invitando al rispetto della legge 185/90 che prevede la pubblicità sulle operazioni di export di armi nonché dell’elenco delle banche che le finanziano e offrono servizi (in appendice all’ articolo).



Un atto forte, in stile ovviamente diplomatico, quello del Vescovo Trevisi che chiede trasparenza sui traffici di armi in porto.

La lettera del Vescovo è un atto inconsueto di cui, incredibilmente, il quotidiano locale non ha dato nessuna notizia, confermando così che “di certe cose non bisogna parlare”.

Così come non parla delle numerose segnalazioni di lavoratori e cittadini allarmati dai traffici di mezzi militari in porto, confermati dalle stesse parole del Commissario del Porto Torbianelli che sul Piccolo dell’11 settembre scorso affermava ”Abbiamo degli obblighi di far passare parte di logistica militare…”.

Quali obblighi può avere un Porto Franco Internazionale di consentire traffici di armi a favore di un solo blocco militare a danno di altri? Non si sa, e non viene detto.

Il giornale cattolico “Città Nuova” ha riportato il 19 novembre scorso che“il Porto di Trieste nel 2022 ha esportato armi leggere e munizioni leggere/pesanti per 174 milioni di euro, il 12% del totale nazionaleUna punta di iceberg che non conteggia i mezzi pesanti e i tank visti e fotografati anche dai lavoratori portuali.

Da segnalare anche il contributo al dibattito del filosofo Diego Fusaro, autore di numerosi libri pubblicati da autorevoli case editrici, con il denso intervento “Trieste e il suo porto franco nel tempo della quarta guerra mondiale” disponibile in video (clicca QUI).

Un certo ruolo di diffusione a livello nazionale, e non solo, lo hanno avuto anche i miei tre libri "2027 la guerra per il Porto Franco di Trieste" (QUI), " Trieste porto franco internazionale o bastione militare della Nato?" (QUI) e il seguito appena uscito "Trieste e le rotte commerciali medioerientali e per l'Istmo d' Europa" (QUI).

Entriamo ora, nel merito di quanto sostiene Lucio Caracciolo nell’editoriale di Limes riguardo il possibile futuro di Trieste, dopo aver confermato i piani statunitensi emersi dalle riviste dell’ Atlantic Council e del National Interest.

La prima ipotesi è di tipo iperautonomista, a sfondo indipendentista, imperniata sullo sviluppo del Porto Franco Internazionale. Sognando una Singapore neutrale sull’Adriatico”.

La seconda è.il progetto americano ”che bilancia l’accento militare con la Via del Cotone. Giù le mani cinesi e russe dallo snodo adriatico dei Tre Mari, sia dirette sia indirette (tedesche, ungheresi, austriache)”. 

La terza è la non-soluzione all’italiana. Ficchiamo la testa sotto la coperta, rifiutiamo di considerare la Guerra Grande affar nostro… Ci immaginiamo sicuri sotto l’ombrello a stelle e strisce,… Accettiamo un grado di militarizzazione del porto il meno visibile possibile….”

Se l’analisi di Caracciolo è corretta, e io penso che lo sia, è evidente che la seconda ipotesi, quella americana, è una minaccia esistenziale per Trieste e il suo Porto Franco Internazionale perché implica l’interdizione non solo per Cina e Russia ma anche per quelli che sono percepiti come loro “proxy”. Cioè Germania, Austria, Ungheria citate esplicitamente. Ma anche la Turchia, alleato infido che sta espandendo la sua influenza di potenza regionale perseguendo solo i propri interessi.

Cioè tutti, ma proprio tutti, gli stati con cui il porto giuliano commercia, storicamente e attualmente.

Trieste è posta in questa parte del mondo, non sull’Atlantico, e da sempre collega la costa sud dell’Eurasia, dall’Adriatico, alla Turchia, alla Cina, e le altre realtà che gli Stati Uniti percepiscono come avversari strategici.

Smettere di avere rapporti, di concedere terminal e quant’altro, con questi Paesi vorrebbe dire chiudere immediatamente il Porto e dedicarsi a fare la base militare della Nato vivendo di quello che spendono le truppe in città:  replica umiliante della semiprostituzione a base di “cioccolata, sigarette e calze nylon” del dopoguerra.

Quindi la strategia americana per Trieste è un’autentica minaccia esistenziale che si tenta di occultare con contentini, investimenti marginali e soft power come i sorprendenti ripetuti investimenti americani nelle società calcistiche, di basket  e nello stadio locale: c’è poco da trattare per mitigarla.

Il tentativo di far passare questa ipotesi distruttiva con investimenti marginali stile “panem et circenses “ nel Friuli-Venezia Giulia si scontra con l’autentico Sogno Triestino di uscire dalla decadenza economica e demografica in cui è piombata la città da oltre un secolo. Un sogno che si nutre degli esempi di successo dei Porti Franchi che si moltiplicano nel mondo, che ne ha molto bisogno specialmente in tempi turbolenti come questi.

Cosa significa concretamente per Trieste l’ ipotesi “americana”? Si fanno passare convogli militari Nato nel Porto Franco che dovrebbe invece essere neutrale, minandone la credibilità internazionale, si diventa centro logistico militare di rango europeo per il fronte est dell’Alleanza Atlantica e conseguentemente bersaglio militare legittimo, si aumentano i rischi geopolitici del territorio con calo dell’appetibilità per gli investimenti privati (cosa già vista durante la Guerra Fredda), e niente rapporti con i “cattivi” Russi, Cinesi, Iraniani e i loro proxy Tedeschi, Ungheresi, Turchi, Austriaci e così via. Cioè tutti i "clienti" del disgraziato porto di Trieste che senza di loro potrebbe chiudere il giorno stesso.

In cambio di cosa? Dell’immaginaria “Via del Cotone” che non esiste e che è solo un’idea balzana americo-israeliana, già ora resa inutile dalla Development Road patrocinata da Ankara,  principale partner del porto triestino, che stanno costruendo attraverso l’Iraq e la Turchia.

Tutto ciò nel quadro dell’adesione al Trimarium: altra iniziativa strategica concepita a Washington, priva di contenuto economico e finalizzata a scopi militari di rafforzamento del fianco est della Nato.

Cioè rinunciare all’anima e alla propria natura in cambio di nulla o al massimo del “piatto di lenticchie” di qualche investimento marginale qua e là per la Regione Friuli-Venezia Giulia (con trattino).

Questo sarebbe il Make Triest Great Again  proposto dagli Stati Uniti fermamente intenzionati a scaricare le spese e i costi delle loro strategie militari sugli europei, senza spendere i loro dollari da destinare invece alle ostilità anticinesi nel Pacifico.

La proposta di Caracciolo è esposta chiaramente nell’editoriale di Limes:“spiegare a  Roma che con Trieste abbiamo una risorsa mai così strategica…Il pacchetto militar-economico elaborato dai serbatoi di pensiero strategico a stelle e strisce merita di essere valutato con lente nazionale. Obiettivo: ancorare Nessun Luogo (Trieste ndr) all’Italia anche via America.”.

Trieste è cioè una carta preziosa da gettare sul tavolo per ottenere dei vantaggi nazionali. Città portuale che, viste le spinte autonomiste/indipendentiste endemiche che covano al suo interno  perché è incardinata tra Mitteleuropa e Oriente e non sullo Stivale, va ancorata all’Italia in forza degli accordi militari con gli Stati Uniti.

Caracciolo propone uno “scambio non troppo ineguale fra interessi italiani e americani”: eventualità estremamente improbabile soprattutto ora che l’Italia è alla canna del gas mentre la sua classe politica fa a gara per ingraziarsi il presidente USA di turno.

Dov’è questa classe politica italiana ed europea in grado di trattare con schiena dritta con gli americani per affermare i propri interessi nazionali (o europei)?

Anche se, per caso improbabile, Roma trovasse la capacità e la forza di giocarsi la carta strategica di Trieste con gli Stati Uniti - invece di limitarsi a subirne gli ordini come sta facendo da lunghi anni - si tratterebbe di una svendita di Trieste e dei suoi interessi vitali per qualche piccolo vantaggio per gli interessi italiani, che sono strutturalmente diversi da quelli della città giuliana.

Un probabile esito dell’auspicata trattativa potrebbe essere uno sconto marginale sul 3% del Pil di spesa militare richiesto dalla Nato, che l’Italia comunque non è in grado di tirar fuori, in cambio del totale via libera militare Nato a Trieste.

La negoziazione sulla Via del Cotone avverrebbe sul Nulla perché il progetto è congelato in attesa di tempi migliori in Medio Oriente e non ha alcuna infrastruttura. Mentre riguardo il Trimarium si tratterebbe sul “quasi nulla” economico visto che è privo di finanziamenti adeguati, oltre che di utilità economica, come abbiamo illustrato negli articoli precedenti.

            Ancora una volta Trieste come merce di scambio geopolitica sacrificata sull’altare degli interessi altrui: un buon modo per esasperarne l’autonomismo. 

Invece l’Italia dovrebbe ricordare che ha degli obblighi internazionali nei confronti del Porto di Trieste, derivanti dal Trattato di Pace del 1947 e confermati dai successivi accordi internazionali  (Memorandum di Londra del ’54 e Osimo del’75): ovvero di realizzare compiutamente il Porto Franco Internazionale di Trieste come da Allegato VIII al Trattato di Pace vigente. Che all’articolo 1 recita Al fine di garantire che il porto e le vie di transito di Trieste siano accessibili in termini uguali per tutto il commercio internazionale e della Jugoslavia, Italia e degli stati dell’Europa Centrale come consuetudine negli altri porti liberi nel mondo.

Questo significa con libero approdo per tutti, senza i divieti applicati alla Russia e agli altri Paesi sanzionati per compiacere sanzioni emesse unilateralmente dal blocco occidentale contro i propri avversari geopolitici: cioè solo da 30 paesi sui 193 presenti all’ ONU.

Porto Franco che sia neutrale e smilitarizzato non consentendo il traffico di armamenti a favore del solo blocco Nato a trazione americana.

Non c’è dubbio giuridico alcuno, anche per numerosa giurisprudenza italiana recentissima, che l’Italia sia tenuta a rispettare gli articoli dall’ 1 al 20 all’ Allegato VIII al Trattato di Pace di Parigi.

Se non lo vuole fare, anche per la pressione americana, e non vuole rispettare lo spirito di equità e neutralità garantito dai Trattati al Porto Franco Internazionale di Trieste, oltre a perdere di credibilità, si mette in una situazione geopolitica complicata e di violazione del diritto internazionale.

Trieste come bastione militare della Nato non trasforma in un potenziale bersaglio militare legittimo solo questa città portuale, che si trova a soli 80 chilometri dalla base aerea nucleare americana di Aviano, ma espone al rischio di coinvolgimento diretto in un conflitto tutta l’Italia, che considera questa regione parte del suo territorio nazionale.

Forse è il caso di pensarci seriamente visto che, in questo momento di transazione egemonica, la tendenza al caos e alla guerra si sta estendendo nel mondo.

 Paolo Deganutti

 

  

La lettera del Vescovo di Trieste al Presidente dell’Autorità Portuale

                                                                                        Prot. 698/VDI/24 

Alla cortese att.ne del Presidente dell’Autorità di Sistema Portuale dell’Alto Adriatico Commissario Straordinario dott. Vittorio Torbianelli

 

Dopo essere passato in molti dei maggiori porti italiani, l’evento dei Fari di Pace approda finalmente a Trieste-Monfalcone, promosso da numerose associazioni della società civile ed ecclesiale insieme alla Diocesi di Trieste, che seguendo le sollecitazioni ripetutamente formulate da Papa Francesco per la Pace nel mondo, desidera promuovere anche in sede locale la riflessione e la preghiera affinché cessi la voce delle armi e subentri la voce della solidarietà e fraternità tra i popoli.

In tale contesto, appare importante che i valori e le motivazioni che hanno portato l’Italia ad approvare la legge 185/1990, che prevede che tutti i transiti di armi nei porti italiani siano comunicati pubblicamente, non vengano disattesi con la proposta di modifica presentata in Parlamento.

Chiediamo innanzi tutto che sia comunque rispettata la lettera della legge 185/1990, che regola l’export degli armamenti, in particolare all’articolo 6; e che sia rispettata la lettera del Trattato internazionale sul commercio delle armi, in particolare agli articoli 6 e 7, nei punti dove prescrivono che le diverse autorità che hanno, nel concreto, poteri di controllo sull’entrata e sull’uscita delle merci e sul transito delle stesse nei porti, non devono consentire il transito di armamenti di cui si possa presumere l’impiego in conflitti che violino gravemente i diritti umani, o in cui si possano commettere crimini di guerra e genocidi.

Chiediamo inoltre che il dialogo comporti la discussione intorno ai rischi che le navi cariche di armi e munizioni rappresentano al loro arrivo e sosta in porto, dal punto di vista della sicurezza dei lavoratori in banchina e della cittadinanza residente nelle aree vicine al porto. Va peraltro apprezzato il fatto che l’Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale, per il Porto di Trieste, disponga di un dispositivo congiunto con la Capitaneria di Porto che impone limitazioni e specifici controlli su imbarchi, sbarchi, trasbordi e transiti di armi nonché il divieto di sbarco, imbarco o trasbordo di esplosivi.

Chiediamo infine che il dialogo si svolga in una cornice di trasparenza, come peraltro previsto dalle leggi sopra citate, e che tutte le autorità competenti per i controlli, nei porti, sulla natura delle merci in transito, nonché per lo spostamento di materiali militari da parte di soggetti pubblici competenti, rispondano positivamente, per quanto di competenza, alle richieste di accesso agli atti riguardanti gli armamenti caricati su navi in transito e la destinazione di tali armamenti: dialogo che si auspica coinvolga la società civile e le sue rappresentanze.

Siamo pertanto a sostenere le esigenze di trasparenza e legalità riguardanti i transiti delle merci e degli armamenti caricati su navi in transito e la destinazione degli stessi, nella convinzione che tale vigilanza possa contribuire anche ad arginare eventuali traffici illegali di armi e droghe, entrambi distruttivi per il genere umano.

 

 Trieste 18 novembre 2024

 † Enrico Trevisi

Vescovo di Trieste

 

Pax Christi Italia  -


3a Marcia mondiale per la pace e la nonviolenza -

The Weapon Watch –

Movimento dei Focolari Italia –

Azione Cattolica Trieste –

Agesci Zona di Trieste –

Caritas Diocesana Trieste –

Acli provinciali di Trieste -

UCIIM -

ACCRI –

Comunità di Sant’Egidio - 

Articolo 21- 

Centro di accoglienza e di promozione culturale Ernesto Balducci -


 La Trilogia con tutte le informazioni e le fonti


giovedì 14 novembre 2024

ZENO D’ AGOSTINO DI NUOVO SULLA SCENA: E CHE SCENA! LA “DEVELOPMENT ROAD” GOLFO PERSICO - TURCHIA


 

ZENO D’ AGOSTINO DI NUOVO SULLA SCENA: E CHE SCENA! LA “DEVELOPMENT ROAD” TRA IL GOLFO PERSICO E TURCHIA CHE BYPASSA SUEZ ED E’ ALTERNATIVA ALLA ASSURDA“ VIA DEL COTONE” ISRAELO-AMERICANA .
Mentre a Trieste c’è chi esalta sul Piccolo la ipotetica e improbabile “Via del Cotone” concepita a Washinghton e che attraverserebbe Arabia Saudita e Israele, decolla la “Development Road” dal porto iracheno di al FAW fino alla Turchia.
E dalla Turchia con l’ Autostrada del Mare tra Trieste e la Turchia le merci cinesi, indiane e orientali arriverebbero facilmente a Trieste bypassando Suez attualmente bloccato, senza che le navi militari occidentali riescano a ripristinare la rotta.
E, sorpresa !, la progettazione e la direzione dei lavori della costruzione del porto di FAW sul Golfo Persico sono affidati alla Technital il cui presidente è Zeno D’Agostino, stimato ex presidente del Porto di Trieste.
A concorrere alla costruzione del Grand Faw Port vicino a Bassora del costo di 17 miliardi sono grandi aziende internazionali compreso le cinesi come COSCO e China Mercants Port Group ma anche MSC e Adani. Con buona pace del boicottaggio dei rapporti con la Cina e delle Nuove Vie della Seta che ora vanno per la maggiore.
Ne parla il Secolo XIX di Genova e ne tace il Piccolo di Trieste. Tra l’altro segnalando un accordo sulla Blue Economy tra Shanghai e Genova, che evidentemente è più attenta ai propri interessi di Trieste.
Chi vuole saperne di più su questi corridoi commerciali può leggere il mio libro “Trieste Porto Franco Internazionale o bastione militare della Nato” cui a breve si aggiungerà un seguito sulla “Guerra delle Rotte Commerciali”.

paolo deganutti

IL MALE SECONDO NETANYAHU



mercoledì 6 novembre 2024

COSA ASPETTARSI DALLA RIELEZIONE DI TRUMP A PRESIDENTE DELL’ IMPERO AMERICANO? Breve analisi a caldo

 


1) La politica estera (imperiale) degli USA la decidono gli apparati dello stato e non i Presidenti che hanno poteri limitati in questo campo.
2) I Presidenti possono cambiare lo stile, gli accenti e, in parte, i tempi della politica imperiale americana: non la sostanza che è uguale sia per Repubblicani che Democratici ed è dettata dalle correnti prevalenti nello stato cosiddetto profondo (NON eletto).
3) Trump, come tutti i Repubblicani, ha una maggior tendenza all’ isolazionismo e a concentrarsi sui (grossi) problemi interni. Perciò tende a ritirarsi dagli scenari mondiali, senza però rinunciare ai benefici di essere Impero.
    I Democratici, invece, che si sentono portatori di una missione salvifica universale (non richiesta), tendono ad essere interventisti (facendo danni) e a considerarsi moralmente superiori.
4) L’ elezione dell’ isolazionista Trump, che da buon businessman ha la propensione alla trattativa dura ma anche agli accordi che rispettino le rispettive sfere di influenza, è funzionale ai progetti ora prevalenti nel Pentagono di ritirarsi dall’ Ucraina (anche per contrastare la saldatura tra Russia e Cina) e dalla difesa europea per concentrarsi sulla Cina e sul Pacifico.
    Pertanto si avvicina il disimpegno dalla guerra in Ucraina, possibilmente in un modo meno catastrofico che in Afganistan, riversando sugli “alleati”europei, in realtà satelliti, i costi sia militari che di ricostruzione del “buco nero” ucraino.
    Si potrà verificare la famosa affermazione di Henry Kissinger "Essere nemici degli Stati Uniti è pericoloso ma esserne alleati è letale".
5) I servi sciocchi della UE (Italia in testa) resteranno con il cerino in mano dovendo aumentare le spese militari e spendere follie per ricostruire l’ Ucraina. Dopo aver avuto l’ economia devastata da guerra e sanzioni.
    Gli USA hanno conseguito l’ obiettivo di tagliare le gambe all’ industria tedesca (da cui dipende quella italiana) “disaccopiandola” dall’ oriente eurasiatico e distruggendo i suoi pilastri: gas russo a basso costo e esportazioni verso i “cattivi” orientali (Cina in testa) definiti "Asse del Male".
6) Si accentuerà lo scontro militare in Medio Oriente e l’ appoggio a Israele per farlo diventare l’ egemone nell’ area in grado di tenere l’ Ordine Americano in quel quadrante per conto di Washinghton, che intende concentrarsi sul Pacifico.        Aumenterà la conflittualità con l' Iran, per impedire diventi potenza regionale antagonista.
    Netanyahu ieri ha licenziato il suo, relativamente più moderato, ministro della difesa Gallant lasciando campo libero ai suoi mastini di estrema destra. Sa che avrà più spazio.
    L’ Iran prenderà le sue contromisure fino alla costruzione dell’ atomica.
    La Turchia non tollererà nell’ area un egemone israeliano proxy degli USA. O ci sarà un accordo o la situazione deflagrerà.
7) Tutti i piani degli Americani, portati ad atteggiamenti sbrigativi e privi di conoscenza delle altre civiltà, naufragheranno come di consueto: dall’ Afganistan, all’ Iraq, alla Libia, al controllo del Mar Rosso (Suez) …allargando il Caos nel mondo.
8 - I rapporti con la Cina facilmente si inaspriranno riguardo la guerra commerciale, gli aumenti dei dazi ecc.
    Tuttavia c' è un ampio spiraglio di trattativa che porti a una divisione delle aree di influenza. Trump, come già evidenziato, ha una mentalità che porta alla trattativa dura con accordo finale.
    Ma a decidere saranno gli apparati dello stato in cui si scontrano tendenze diverse tra cui una favorevole allo scontro diretto col Dragone, prima che si rafforzi troppo.
9) La speranza è che intorno ai BRICS e alla SCO (Organizzazione per la Collaborazione di Shanghai) si formi un nuovo ordine mondiale multipolare in grado di arginare il caos conseguenza della transazione egemonica dovuta alla crisi irreversibile dell’ egemonia americana. Scenario valido sia con presidenti americani repubblicani che democratici.
9) Il sistema politico americano è cambiato definitivamente: i Repubblicani sono diventati il movimento MAGA composto da scontenti degli strati popolari vittime della globalizzazione neoliberista promossa dalle èlite.
    I Democratici sono stati puniti perchè accusati di essere espressione delle èlite neoliberiste delle coste: o si ristrutturano, o si avviano alla sparizione. Come le sedicenti sinistre europee che li hanno voluti imitare perfino assumendone il nome (PD) oltrechè dimenticando i diritti sociali (costosi) che hanno cercato di sostituire (NON integrare) con i diritti civili (gratuiti): diritti sessuali e individuali al posto di buon lavoro degnamente retribuito. Progetto sostitutivo fallito come si vede a Washington.
Paolo Deganutti



     Paesi aderenti al Consiglio Turco (turcofoni)


giovedì 3 ottobre 2024

CI SARA’ ANCHE TRIESTE TRA I PORTI PRIVATIZZATI E SVENDUTI AGLI USA ?

 


    L’incontro di lunedì 30 settembre fra Giorgia Meloni e Larry Fink, il numero uno di BlackRock, il più grande fondo finanziario americano e del mondo, è solo la punta avanzata di una strategia di penetrazione del capitale finanziario americano negli asset strategici del satellite italiano.

    Sul tavolo della riunione tra Meloni e Fink c’ era la creazione di una o più società nazionali per la gestione dei porti, aperta ai capitali privati, che superi la frammentazione attuale del sistema portuale italiano e la cessione di una quota di Ferrovie dello Stato o più probabilmente di Trenitalia. Si è stabilita la creazione di un tavolo di lavoro permanente tra BlacRock e ministeri competenti.
    BlackRock ha appena ricevuto dal governo Meloni l’autorizzazione a superare la soglia del 3% in Leonardo, la più grande industria europea di armamenti.
    E’ di luglio la scalata di KKR, fondo americano avente l’ex direttore della Cia David Petraeus tra i suoi partner, al controllo della rete di Telecom Italia.
    Anche con Musk si è parlato di infrastrutturazione internet affidata a Starlink seduti ad un tavolo a un Galà dell’ Atlantic Council.
    La cosa anomala è che si sta procedendo con un metodo simile alla “trattativa privata” in business di miliardi checomportano la cessione della proprietà di asset strategici pubblici a una potenza straniera.
    Cosa ne sarà della neutralità del Porto Franco Internazionale di Trieste se l’ Autorità Portuale sarà privatizzata e ceduta, interamente o parzialmente, al
capitale americano?

    Ci sarà un’ alzata di scudi dei politici come avvenuto contro la Via della Seta cinese che non prevedeva alcuna cessione di proprietà del porto di Trieste diventandone terminal, ma solo una concessione temporanea come per tutti gli altri operatori presenti?

    Vedi: "Il governo scommette in una collaborazione con BlackRock anche sui porti" Giorgio Santilli Il Foglio 02 ott 2024



lunedì 30 settembre 2024

ISRAELE E IL NUOVO ORDINE MONDIALE BASATO SULLE REGOLE DELL’ EGEMONIA E DEL BUSINESS AMERICANI

 


La sostanza della “Operazione Nuovo Ordine” di Israele in Libano e della Via del Cotone vs. Via della Seta portata a galla da una mappa esibita all’ ONU da Netanyahu.

Ci si sbagliava ad attribuire l’allargamento della guerra in Medio Oriente al solo bisogno di sopravvivenza del governo Netanyahu. In realtà dietro a questa innegabile spinta contingente vi è un disegno strategico di più ampio respiro. Che coinvolge, oltre all’intera area mediorientale,  l’ Indo Pacifico e il Mediterraneo fino al Nord Adriatico e Trieste. Da quest’ultima città portuale, posta perifericamente “in alto a destra” nelle carte geografiche italiane, paradossalmente si riesce a cogliere una visione d’insieme dei tragici avvenimenti mediorientali che non appaiono privi di una logica inquietante.

La prima spia che avrebbe dovuto catturare l’ attenzione dei commentatori è il nome dato da Israele alla sua operazione militare in Libano (con diramazioni in Siria e Yemen) che ha portato all’ uccisione di Nasrallah, capo di Hezbollah, e alla disarticolazione del suo gruppo dirigente: operazione “NEW ORDER – ORDINE NUOVO”. Un nome che si addice ad un intervento militare di portata strategica su ampia scala e non solo tattica in un conflitto locale.

La seconda spia che si è accesa è rappresentata dalle mappe esibite dal premier israeliano Netanyahu nel durissimo discorso del 27 settembre all’ ONU, definita senza ritegno “una palude antisemita”.

 La prima mappa, a sinistra della foto, mostra evidenziati  in nero l’ Iran, l’ Iraq e la Siria che incombono sul Medio Oriente. Interessante che sia l’ Iraq, sia la Siria sono raffigurati come appartenenti  all’ “Asse del Male”. Evidentemente l’ invasione dell’ Iraq da parte degli Stati Uniti e l’ intervento americano in Siria non hanno sortito i risultati sperati ma addirittura l' opposto.

La seconda mappa, definita “la Benedizione” o “l’augurabile prospettiva”, reca una striscia rossa con due frecce all’ estremità che congiungono il Mediterraneo con l’ India e l’ Oceano Indiano attraversando Israele, la Giordania e l’ Arabia Saudita evidenziate in verde speranza.

Chi sta a Trieste o chi ha letto i tre precedenti articoli sui progetti securitario-commerciali americani denominati IMEC “Via del Cotone” e Trimarium, riconoscerà immediatamente nella striscia rossa la “Via del Cotone” concepita dagli Stati Uniti come antagonista alla Nuova Via della Seta cinese e ora riapparsa nel contesto della guerra israeliana a Gaza e nel Libano del sud.  

(il testo prosegue dopo l' immagine)


La Via del Cotone IMEC sembra dunque essere diventata il centro, quantomeno retorico, della strategia degli Stati Uniti, e del luogotenente israeliano, nel Mediterraneo allargato fino all’ Oceano Indiano.

Questo progetto, finora solo abbozzato, prevede che  le merci viaggino tra i porti di Mumbay (India), Dubay – Dammam (Arabia) e Haifa (Israele) attraversando in ferrovia le lande desertiche dell’ Arabia Saudita e della Giordania per poi essere imbarcate e raggiungere l’ Europa centrale tramite Trieste. Da qui partirebbero per Danzica (Polonia) e Costanza (Romania) tramite le infrastrutture del Trimarum pagate con soldi degli europei ma utili quasi esclusivamente per la logistica di armi e truppe della NATO sul fronte est.

Il problema è che non ci sono le merci.

Ovvero che i traffici tra India ed Europa non sono assolutamente al livello di sostenere i costi di questo corridoio logistico perché lo sviluppo industriale indiano non è nemmeno paragonabile a quello cinese. Né è prevedibile nel medio periodo uno sviluppo indiano confrontabile con quello avvenuto in Cina: per problemi intrinseci all’India stessa con una società in realtà tuttora divisa in caste e in innumerevoli realtà nazionali e religiose che hanno già fatto franare i tentativi precedenti di reale unificazione del “subcontinente” in un’unica nazione in grado di realizzare dei progetti economici di largo respiro. Attualmente tenta di farlo Modi sotto un’autoritaria egemonia Indù rischiando, però, di destabilizzare una realtà complessa in fragile equilibrio, come è già successo in passato.

 Ma della Via del Cotone non ci sono nemmeno le infrastrutture, tra cui una lunga ferrovia che dovrebbe congiungere Dubay e Haifa che distano in linea d’aria 2.500 chilometri: si stima che il percorso reale sia superiore ai 3.000 chilometri in un territorio in gran parte desertico.

Questo percorso sboccherebbe sul mediterraneo al Nord di Gaza, a Haifa, porto israeliano che è stato bersaglio nei giorni scorsi di missili lanciati dal sud del Libano. Ma tutto il percorso sarebbe soggetto ad attacchi provenienti da Libano, Siria, Gaza, Cisgiordania e perfino Yemen.

Può Israele, insieme all’alleato americano, "pacificare" l’ area? I dubbi sono legittimi constatando che il porto israeliano di Eilat sul Mar Rosso ha dichiarato fallimento nel luglio scorso perché il traffico marittimo è bloccato da quasi un anno dagli Houthi yemeniti nonostante l’intervento delle marine anglosassoni ed europee. Una sola nave era arrivata a Eilat dal novembre 2023…

Quella di creare il terreno per l’ IMEC- Via del Cotone è una componente importante della strategia complessiva di Netanyahu, al punto di diventare il nocciolo retorico del suo discorso all’ ONU. 

La strategia del Governo Israeliano punta esplicitamente a risolvere il problema con una “Vittoria Finale” che elimini il problema stesso: cioè i palestinesi di Gaza e Cisgiordania e gli abitanti del Sud del Libano la cui società è strettamente legata alla presenza di Hezbollah che svolge un ruolo di supplenza all’evanescenza dello stato libanese.

Tuttavia appare improbabile una “soluzione finale” per via militare della complessa situazione mediorientale: gran parte degli analisti militari (anche israeliani) ritengono impossibile l’ eliminazione di  Hezbollah e Hamas che sono strettamente compenetrate con la società delle aree in cui operano non solo come milizie ma anche, e soprattutto, come fornitrici dell’unico welfare disponibile per quelle disgraziate popolazioni (sussidi, lavoro, scuola ecc.). A meno che non s’intraprenda una strada genocida e di deportazione di massa la cui ipotesi sembra allettare settori estremisti e messianici della società israeliana.  
La fallimentare invasione americana dell’ Iraq dovrebbe, però, sconsigliare di seguire la “via militare”.

Può darsi, come dicono alcuni analisti, che questa nuova fase della guerra in Medioriente, che ha visto la decapitazione di Hezbollah, si evolva verso un indebolimento dell Iran, della sua credibilità e deterrenza.

Ma se le cose andassero così, e non è detto vista la resilienza dell’ organizzazione eterarchica di Hezbollah, si aprirebbe ulteriore spazio all’iniziativa della concorrente Turchia.

 Erdogan, oltre ad aver interrotto i rapporti commerciali con Israele per proporsi come campione della causa palestinese, ha elaborato insieme all’Iraq, il Quatar e gli Emirati un corridoio logistico antagonista alla IMEC “Via del Cotone”.

La Turchia ha fatto sapere di non essere disposta a rinunziare al suo ruolo storico e strategico di collegamento tra l’ Europa e l’ Oriente medio e lontano, e si è mossa conseguentemente con un progetto infrastrutturale diverso, cui l’ India può ugualmente collegarsi proficuamente.

(il testo prosegue dopo l' immagine)

Si tratta del  progetto turco-iracheno della “Strategic Development Road” di cui si è firmato l’ accordo a Bagdad il 27 maggio 2023 (4 mesi prima del lancio della Via del Cotone al G20 di Delhi) che si estende per 1.200 chilometri attraverso l’Iraq e che mira a collegare la Turchia alle coste del Golfo Persico nel sud dell’Iraq entro il 2030.  Una joint venture recentemente creata tra la società emiratina Ad Ports Group e la General Company for Ports of Iraq è stata incaricata dello sviluppo del porto di Al-Faw nel sud dell’Iraq  e della sua “zona economica speciale” entro il 2025.

Il progetto prevede anche la realizzazione di una rete ferroviaria che colleghi il porto di Al-Faw con il porto di Mersin in Turchia, collegandosi così anche al Trans-Caspian International Transport Route (TITR), detto anche “Middle Corridor” delle Nuove Vie della Seta in cui il traffico commerciale è già notevole e in crescita. 

Come si vede sono tutti corridoi logistici che passano nell’ area nera delle mappe di Netanyahu, cioè vie di commercio soggette all’ “Asse del Male”, come dice il premier israeliano che si considera invece il Bene, cioè negli artigli del Dragone secondo la narrazione americana: pertanto da ostacolare in ogni modo. 

Invece, come rileva il bollettino 7/24 dell’ AIOM di Trieste il volume del trasporto merci lungo la Trans Caspian International Transport Route (TITR) nel 2023 è aumentato del 86% e nel 2024 è previsto un ulteriore aumento del 19% (fermo restando il trend dei primi 6 mesi). Questa rotta dimezza i tempi di percorrenza tra il confine occidentale della Cina e l’Europa, e in 15 giorni potrà collegare l’Europa e l’Asia centrale.

L’ aumento del traffico su questo corridoio logistico è dovuto alle modificazioni dovute prima alla Guerra in Ucraina, e alle sanzioni relative, e poi al blocco del canale di Suez conseguenza della guerra a Gaza.

Punto nevralgico di questa sorta di rivoluzione infrastrutturale, lungo l’asse Europa-Asia, è il Kazakhstan, dal momento che lo stato asiatico estende la propria rilevanza dal confine con la Cina fino al Mar Caspio. Ed è proprio con il Kazakhstan che la Cina ha lanciato una nuova fase di relazioni che lega Zhengzhou, Urumqi e Khorgos in Cina, al porto di Kuryk e Aktau in Kazakhstan, dove i camion cinesi vengono imbarcati su navi dirette in Azerbaigian dall’altra parte del Mar Caspio, con destinazione finale la Turchia.
E da qui i semirimorchi ro-ro possono imbarcarsi per raggiungere Trieste e l’ Europa lungo l’ Autostrada del Mare ormai consolidata da decenni e in crescita. 

Comparando i due progetti si vede chiaramente che quello turco prevede l’inserimento nel territorio iracheno abitato (l’antica Mesopotamia) di treni ad alta velocità, lo sviluppo di centri industriali ed energetici locali, compresi oleodotti e gasdotti, e la costruzione di oltre 1.200 chilometri di ferrovie e superstrade, che collegheranno l’Iraq con i paesi vicini.  Mentre quello americano-israeliano della IMEC prevede ferrovie lunghe il doppio in un territorio desertico semidisabitato.

Mentre il primo, già realizzato per il 40%, vede Turchia e Iraq impegnati seriamente con riunioni mensili tra governi, il secondo è solo ipotetico e dipendente dalla pacificazione reale del Medio Oriente e dagli “Accordi di Abramo” fra Israele e Arabia Saudita, attualmente congelati per una guerra che si sta estendendo .

L’adesione dell’Italia alla Via del Cotone nel settembre 2023 è stato uno schiaffo alla Turchia che ne resterebbe tagliata fuori, ed infatti la reazione turca al progetto è stata dura.

Che senso ha per Trieste entrare in conflitto con la Turchia che invia al suo Porto Franco Internazionale il 70% delle sue esportazioni e le cui merci già ora rappresentano il 60% del lavoro del porto giuliano, e in prospettiva concreta cresceranno?

Si tratterebbe di un’ autolesionistica adesione ideologica all’ “Asse del Bene” secondo Netanyahu: di cui il Regno dell’ Arabia Saudita e il Regno di Giordania non sono certo la crema delle democrazie liberali, ma solo degli stati graditi agli USA. Un nuovo elemento che smentisce la narrazione americana della lotta delle Democrazie contro le Autocrazie.


Paolo Deganutti



Il Bene al lavoro in albergo a New York dopo il discorso all' UNU


mercoledì 25 settembre 2024

TRIESTE, NATO, GOVERNO MELONI E LOBBISTI AMERICANI.

 

 Si parla molto in questi giorni della società Utopia e dei proficui rapporti con la “fiamma magica” di Palazzo Chigi, svelati dal quotidiano "Domani" (clicca QUI). 

Anche se il potente sottosegretario Fazzolari ha smentito il rapporto di conoscenza con Zurlo, presidente e AD di Utopia, il quotidiano Domani ha “scoperto che l’altro socio della Spa è Di Giovanni, ex dirigente di Azione universitaria di FdI. Che invitava Meloni, Donzelli e gli altri big” (clicca QUI).

Giampiero Zurlo, fondatore del gruppo di “sharing policy e communication” (tradotto: lobby), da ormai un anno ha fatto il suo ingresso anche nell’editoria. 

Utopia, infatti, tramite lo spin off “Urania Media”, lo scorso anno è entrato con il 22,5% nel capitale sociale di “Base per altezza”, gruppo fondato da Paolo Messa, che edita la rivista di “influenza” americana Formiche che ha rilanciato gli articoli sul ruolo di Trieste per le strategie NATO delle americane The National Interest e Atlantic Council, espressione degli omonimi autorevoli e operativi think tank americani.

Il “comunicatore” / lobbista Paolo Messa, nel tempo, ha mollato la gestione della sua creatura e, fino al dicembre del 2023, è stato vicepresidente esecutivo di LEONARDO  nonché suo responsabile delle Relazioni geo-strategiche con gli USA. Ora è vicepresidente della NIAF, la National Italian American Foundation di Washington e ricopre la carica di Nonresident Senior Fellow presso l’Atlantic Council, lo stesso che la scorsa notte ha premiato Giorgia Meloni per mano di Elon Musk... Con cui la sinergia non è solo personale, ma anche politica e di affari (come scrive InsideOver QUI). 

Saranno lo spazio e le telecomunicazioni esterne a Tim le prossime aree di intervento in Italia dei capitali Usa? Il Ceo di Tesla e Starlink appare il candidato numero uno alle prossime mosse.

Il ministro della difesa Crosetto cofondatore del partito meloniano Fratelli d’ Italia ha svolto, prima di diventare ministro, l’ attività di “advisor” per LEONARDO, ricevendone compensi (leciti) per circa 1,8 milioni di euro  tra il 2018 e il 2021, senza contare altri compensi incassati da Orizzonti Sistemi Navali, partecipata sempre da Leonardo e da Fincantieri, come segnalato sempre dal quotidiano Domani nell’ ottobre del 2022 (clicca QUI).

 La LEONARDO spa, come noto, è una colossale industria di armamenti ed aereospazio (la prima in Europa) controllata dal governo italiano, di cui in questi giorni gli americani stanno  acquistando una quota superiore al limite del 3% tramite il fondo BlackRock, con l’ autorizzazione del Governo Meloni necessaria nei casi di industria strategica.

BlackRock aveva un portafoglio italiano del valore di 97,3 miliardi di dollari al 31 dicembre 2023, comprese quote del 7% del capitale di Unicredit, il 5% di Intesa San Paolo e partecipazioni in Eni, Enel e Generali.

La penetrazione della grande finanza americana in asset strategici italiani sta dunque aumentando con l’ approvazione del Governo Meloni.


La scalata di BlackRock a LEONARDO fa il pari con la crescente sinergia del grande fondo americano con SACE, grande gruppo assicurativo controllato dal governo specializzato nel sostegno alle imprese, o con altri affari come la scalata di Kkr, fondo americano avente l’ex direttore della Cia David Petraeus tra i suoi partner, al controllo della rete di Telecom Italia.

David Patraeus è stato Comandante dell'United States Central Command, che prevedeva la responsabilità strategica di tutto il teatro medio-orientale, compresa la conduzione delle operazioni militari in Iraq e Afghanistan, prima di essere chiamato a diventare il 23° Direttore della CIA.

 

Ma cosa c’ entra tutto questo con Trieste?


Patreus è stato proposto, in interlocutori incontri a Trieste e a Washinghton, come possibile “patron” americano dell’ operazione studiata negli USA che vorrebbe fare del porto di Trieste contemporaneamente il vertice del triangolo Mumbay-Dubay-Trieste della “Via del Cotone” IMEC, sottoscritta dalla premier Meloni nel settembre 2023 durante il G20 a Delhi,  e del triangolo securitario Trieste – Danzica – Costanza  (il Trimarium della NATO), illustrata da Kaush Arha, Paolo Messa ed altri autorevoli autori (tra cui l’ ex Ministro degli Esteri del governo Monti Giulio Terzi di Sant’ Agata) nei numerosi articoli pubblicati recentemente dalle riviste dell’ Atlantic Council, The National Interest e Formiche.


Riguardo Trieste, Paolo Messa è stato protagonista il 13 settembre scorso di un’intervista “sdraiata” del quotidiano Il Piccolo di Trieste, come coautore degli articoli che sulle riviste degli autorevoli think tank americani illustravano il ruolo centrale che il porto di Trieste è destinato ad avere secondo le strategie securitarie americane per il  rafforzamento del fianco est della NATO in Europa e per il controllo dell’ Indo – Pacifico sotto lo schermo della “via del Cotone” IMEC che, in realtà, ha un valore economico e commerciale scarsissimo e, al momento, solo ipotetico.



L’ intervista, intitolata entusiasticamente “Un’ occasione unica: il FVG può diventare la porta per l’ Oriente”(sic!) in un doppio paginone intitolato pomposamente "La rotta da Trieste all' India", spiegava che il "presidente della Regione  FVG Fedriga partecipa agli eventi annuali a Washington della NIAF" di Paolo Messa. Nel contempo l' intervista tentava di minimizzare i rischi che Trieste corre di essere coinvolta, suo malgrado, nel crescente bellicismo che sta caratterizzando il confronto tra gli Stati Uniti, Russia e Cina in una situazione internazionale esplosiva come non mai dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.


Si sa che i nodi logistici militari strategici, come pensano di far diventare Trieste, sono bersagli militari legittimi. E Trieste ha anche la disgrazia di essere a soli 80 km dalla base aerea militare americana di Aviano dotata di capacità nucleare e già utilizzata nel ’99 per i bombardamenti NATO su Belgrado e la Serbia. Il che non rassicura i cittadini.


I forti legami che il Governo italiano sembra avere con gli ambienti del potente Atlantic Council e del lobbismo americano fanno aumentare il timore che sia concretamente spianata la strada ai progetti militari USA di fare di Trieste il vertice di un triangolo di logistica militare che alimenti il fronte est della NATO: la nuova “Cortina di Ferro” che va da Danzica in Polonia a Costanza in Romania. 

Il che confligge con il suo status di Porto Franco Internazionale, neutrale e aperto a tutti, derivato dal Trattato di Pace di Parigi del 1947.

 

Paolo Deganutti


Nota: 

Su tutta la vicenda che coinvolge Trieste è uscito il libro “Trieste porto franco internazionale o bastione militare della Nato ?” che riporta anche gli articoli americani oltre ad analisi geopolitiche e militari e fornisce numerosi dati molti dei quali inediti (clicca QUI)