La Francia ama il proprio monarca almeno quanto adora scagliarvisi contro. La piazza francese è da secoli fattore inaggirabile per valutare la consistenza di chi esercita il potere a Parigi e il suo margine di manovra all’estero. Gli effetti delle proteste di queste settimane possono dunque essere valutate con lenti geopolitiche.
I motivi che hanno innescato le manifestazioni sono i più disparati. Uno di questi riguarda i rapporti di forza in Europa. Per provare a rinvigorire l’asse franco-tedesco, dunque l’uso della Germania come moltiplicatore della potenza, il presidente Emmanuel Macron aveva proposto ad Angela Merkel una serie di riforme per l’Ue. Per convincere Berlino di essere un interlocutore affidabile, si era adeguato al verbo dell’austerità, promettendo di rimettere in ordine i conti di Stato – la Francia sforava fino a poco tempo fa i parametri di Maastricht.
Le ricette economiche importate dalla Germania hanno però alimentato l’insoddisfazione popolare. Non è un caso che un Macron in visibile difficoltà abbia promesso di aumentare il salario minimo di cento euro, di non tassare gli straordinari, di ridurre le tasse sulle pensioni. Il governo prevede stanziamenti da 8-10 miliardi di euro.
Tutto ciò però ricadrà sul bilancio pubblico, riportando Parigi nella lista dei cattivi alunni, in buona e salda compagnia dell’Italia, potenzialmente aprendo un fronte di crisi con Bruxelles e, ciò che più conta, con Berlino. In quest’ultima capitale è in corso la successione fra Merkel e Annegret Kramp-Karrenbauer: alla prima restano le redini della politica estera mentre la seconda costruisce le proprie credenziali in patria per assicurare alla CDU il primato nazionale. Sarà pertanto difficile per Macron ottenere rassicurazioni che non vadano oltre il cosmetico.
Le convulsioni macroniane interessano molto da vicino l’Italia. Lo dimostra il tweet del ministro dell’Interno Matteo Salvini, che spera di sfruttare lo stallo attuale (e il raffreddamento futuro) tra Francia e Germania per avvicinare Roma a Berlino. Non sarà facile: dalla Repubblica Federale il nostro paese tende a essere visto come un’arma di distruzione di massa (per l’euro e sui migranti) più che come un’opportunità.
Ma il governo italiano non si butterà nelle braccia dei tedeschi. Vorrà restare al fianco degli Usa nel tentativo di smorzare la Germania in Europa. E potrà usare i possibili sforamenti del debito pubblico della Francia per perorare la propria causa sulla crescita della capacità di spesa, che resta un obiettivo anche se la Commissione Europea è disposta ad accettare un aumento del deficit per il 2019 dall’1,8% all’1,95% (comunque abbassando l’iniziale richiesta del 2,34%). In ogni caso, Roma non si schiererà nettamente né con uno né con l’altro dei nostri maggiori partner europei.
Federico Petroni
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