DIBATTITO SU QUESTIONI INTERNAZIONALI PER UNA CITTA' INTERNAZIONALE

giovedì 6 luglio 2017

L’ITALIA E I MIGRANTI: GIGANTE BUONO O GIGANTE SCEMO? - Oggi si è concluso negativamente per l' Italia il vertice di Tallin e riproduciamo l' articolo di Limes sui soccorsi in mare ai migranti pubblicato sul numero dedicato al Mediterraneo appena uscito.

La questione dei migranti è notoriamente cruciale.
Sono di ieri le tensioni al confine con l' Austria e proprio oggi a Tallin si è concluso negativamente per l' Italia un vertice sulla questione:

Il vertice di Tallinn sui migranti: la Ue chiude i suoi porti, l’Italia isolata (clicca QUI per l' articolo del Corriere)La Germania fa fronte comune con Francia, Olanda e Belgio. Il commissario Ue Avramopoulos: «Non cambieremo la missione di salvataggi come chiede l’Italia».

Pubblichiamo l' articolo uscito oggi sul numero di Limes dedicato al Mediterraneo:


L’ITALIA E I MIGRANTI: GIGANTE BUONO O GIGANTE SCEMO? (clicca QUI)
Gli sbarchi nel nostro paese sono aumentati perché non abbiamo una strategia nazionale, quindi siamo affidati alle scelte altrui. Paghiamo il prezzo della liquidazione della Libia:pacta sunt servanda anche con i dittatori, come insegna Merkel.
di Adstans


1. Che cosa sta rendendo sempre più attraente la migrazione via mare verso l’Italia? Con una tendenza iniziata dopo il crollo del regime di Gheddafi nel 2011, fortemente acuitasi negli ultimi dodici mesi, il flusso di migranti verso l’Italia è ormai costante e in continua crescita. E presto potrebbe non essere più sostenibile dal Belpaese, né economicamente né politicamente né socialmente. Specie nelle grandi città o nei centri dove la concentrazione di immigrati tocca o potrebbe a breve toccare – financo superare – il 10%.

Ma come si è arrivati a questo punto? La mancanza di quali politiche lo ha permesso? Quali obiettivi particolari sono entrati in gioco? Vi è una rete informale di sostegno a questa immigrazione? Domande difficili che richiedono un’analisi a tutto tondo e un esame di coscienza da parte di tutti per gli errori commessi o per le azioni omesse.

Partiamo dal presente. Siamo di fronte a un percorso migratorio che ha visto drasticamente diminuire i rischi e aumentare i flussi. La presenza di migranti non più solo africani e originari di paesi a forte instabilità lo dimostra. Pakistani e bengalesi giungono ormai in aereo a Tripoli per intraprendere una traversata che può avere questo nome solo per la parte garantita dai soccorsi. Per il resto è una farsa.

Fino a non troppo tempo fa la traversata era quella via Zodiac, o gommone analogo, verso una grande barca, spesso fornita da pescatori locali, che fungeva da piattaforma galleggiante in attesa dei soccorsi. Oggi si preferisce risparmiare ancora di più. Gommoni standardizzati fabbricati probabilmente in Cina (qualcuno dice in Italia, ma è probabile che alcuni italiani operino soltanto come importatori dei gommoni), con una capienza di circa cento persone ciascuno, diventano piattaforme una volta giunti al limite delle acque territoriali libiche. I trafficanti risparmiano ampiamente sul carburante, che è lo stretto necessario per arrivare in zona soccorsi, cioè più o meno sul limite delle acque libiche. Costi abbattuti e rischi anche. Gommoni standardizzati, che se vanno persi non sono un grande costo, ma che possono essere anche riutilizzati se non distrutti, come spesso avviene. È la fase di organizzazione del traffico migratorio su scala industriale. Si opera con il bel tempo, e una volta al largo i migranti devono solo farsi coraggio e attendere di essere soccorsi.










Strana definizione di soccorso, per un recupero in favore di chi si è messo intenzionalmente a galleggiare su un gommone. Ma l’interpretazione del diritto può anche operare la trasformazione di un rifugiato (?) in naufrago. Anche se non sono esattamente la stessa cosa.
Una volta come oggi, per chi aveva traversato il deserto, pieno di insidie, pericoli e minacce certe, il mare era un rischio tutto sommato accettabile. Se è diventato accettabile anche per chi arriva con un paio di tratte in aereo alle spalle bisogna porsi qualche seria domanda, perché tutto è cambiato.

2. Quali le principali mancanze dell’Italia?
La prima consiste nel non aver saputo o voluto capire quali erano i propri interessi al momento dell’intervento in Libia nel 2011. La politica tenuta nei confronti della Libia negli anni precedenti certo non ha aiutato l’Italia a fare la voce grossa e a rispettare gli accordi presi con GheddafiPacta sunt servanda anche con i dittatori. E l’aver mancato alla parola data ha creato parecchi nemici all’ Italia in Libia, molti dei quali hanno adottato la bandiera nera dello Stato Islamico (Is). Altri sono trafficanti di migranti perché così, per loro stessa ammissione, possono creare problemi all’Europa e all’ Italia. Una sorta di vendetta. Fra l’altro, quei patti con Gheddafi avevano una filosofia di fondo molto simile a quella che ha ispirato gli accordi dell’Unione Europea con la Turchia sponsorizzati da Angela Merkel: soldi in cambio di un impegno a fermare il flusso di migranti. Il trattato di amicizia italo-libico garantiva un importante filtro nei confronti dei flussi migratori che dal Sud del Sahara si dirigevano verso il Mediterraneo e l’Europa. La stabilità libica, e del governo di Gheddafi, ne era un presupposto. La questione veniva così affrontata nella prima fase del movimento migratorio.
La seconda mancanza sta nel non aver mai adottato una politica di accoglienza, che sarebbe stata un riferimento in bene o in male sia per le istituzioni italiane coinvolte, sia per i migranti, sia per i trafficanti. Lasciata sostanzialmente a se stessa, la gestione dell’accoglienza si è invece adagiata, consentendo in qualche caso l’ingresso di illegali, sulla falsariga – e spesso secondo gli stessi canali – di quanto già avvenuto per i campi rom.
L’assenza di strategia ha anche generato effetti negativi internazionali e domestici, fra loro collegati. Sul piano internazionale l’Italia è rimasta alla mercé delle politiche di altri Stati che avevano più chiari i loro obiettivi. Malta, i vari gruppi libici, la Tunisia, altri paesi europei, la Santa Sede hanno tutti perseguito i loro obiettivi mentre l’Italia stava a guardare. O meglio riempiva le caselle mancanti di un disegno che non era il suo, perché non aveva nessun disegno. Sul piano domestico dunque le istituzioni coinvolte, a partire dalla Guardia costiera, non potevano fare di meglio, in assenza di obiettivi chiari, che investire sulle attività che davano maggior lustro e cioè proprio il soccorso ai migranti. Ma creando così un involontario effetto distorsivo che ha – di fatto se non nelle intenzioni – incentivato i viaggi migratori.
Il soccorso in mare è regolato, in maniera operativa, da una convenzione firmata ad Amburgo nel 1979. Questa convenzione stabilisce delle zone, cosiddette Sar (Search and Rescue), fissate di comune accordo. Benché l’area Sar non influenzi minimamente la sovranità o la giurisdizione degli Stati, Malta ne ha fatto spesso una questione di prestigio, dichiarandosi responsabile per una zona che è estesa 750 volte il suo territorio. Salvo poi tirarsi indietro nell’attività da svolgere nella sua area di competenza, lasciando il cerino nelle mani delle autorità italiane. Che hanno finito per tenerselo.
Come mai sono le navi italiane a operare pressoché in tutte le aree di soccorso Sar e non solo in quelle di propria competenza? La Sar maltese, quella libica e quella tunisina dovrebbero essere responsabilità di ciascuno di quei paesi. I quali fanno finta di niente. I maltesi dichiarano di non avere i mezzi per operare i soccorsi. L’Italia invece vuole avere i mezzi per operare in tutto il Mediterraneo. Primo risultato: l’Italia opera in tutte le aree Sar limitrofe e non solo, di responsabilità di altri.









Come mai sono i porti italiani ad accogliere sempre i migranti soccorsi? Dovrebbe valere il principio di porto sicuro più vicino. Eppure, dovunque si operi, il porto sicuro più vicino è sempre un porto italiano, anche a una decina di miglia dalle coste africane. Il porto non è mai maltese né libico né tunisino. Sorprende che anche quando a operare i soccorsi è una nave battente bandiera tedesca o olandese il porto di destinazione sarà immancabilmente un porto italiano. Risultato: i porti italiani accolgono tutti i migranti provenienti dalla Libia, non importa da che nave soccorsi, in che zona Sar soccorsi, o vicino quale porto soccorsi.
Che cosa è successo? Certo l’Italia ci ha messo del suo. Se in una prima fase i barconi dei migranti si spingevano fin sotto la pur vicina Lampedusa, oggi la norma è che le autorità italiane vadano a recuperare i gommoni grigi carichi di profughi quasi appena fuori le acque libiche. Questa situazione si è generata in assenza di politiche sia per il destino dei migranti una volta sbarcati che per il loro recupero, e anche a seguito del vuoto di autorità creatosi in Libia. Con il venir meno di ogni autorità effettiva sul territorio libico l’Italia si è trovata a estendere la sua competenza anche all’area Sar libica. Non va dimenticato che nel 1994 la Guardia costiera italiana è stata ristrutturata. Avendo perso la gestione del demanio, passata con il «federalismo» amministrativo alle Regioni, ha trovato il suo nuovo motivo di essere nel soccorso in mare. E su questa attività ha investito moltissimo, forse anche oltre misura. Ha investito in mezzi sempre più potenti destinati al soccorso dei migranti, anche oltre un ragionevole raggio di azione, trovandosi così un ruolo a scapito di una vera strategia nazionale di lungo periodo. Né c’era un’indicazione politica su questi investimenti pubblici. Un chiaro caso di quando la coda muove il cane. E con quali effetti! Sulla questione dei migranti l’Italia si è perciò trovata a estendere le sue competenze, decidendo (ma è stata vera decisione?) di giocare il ruolo di «gigante buono» nell’area. Fin quando ne avrà i mezzi?
Secondo alcuni l’estensione non era poi così automatica, ma è pur vero che (soprattutto in assenza di indicazioni) era difficile operare scelte diverse, anche perché dal punto di vista giuridico vi era il serio rischio che non rispondendo alle chiamate di soccorso (quasi sempre registrate) i comandanti potessero incorrere in una incriminazione per omissione di soccorso in mare ai sensi dell’articolo 1158 del codice della navigazione italiano. In realtà però il codice della navigazione parla di omissione da parte del comandante che abbia un obbligo di soccorso. Articolo destinato in particolare ai comandanti di navi mercantili. Non dovrebbe essere così automatico l’obbligo di un intervento, mettiamo caso, in zona libica da parte di organi istituzionali italiani (a meno che non si tratti di comandanti che incrociano casualmente in quelle stesse acque).
Le autorità maltesi non operano soccorso in zona Sar maltese. Sono perseguite? Le autorità italiane non operano soccorso in zona Sar maltese. Sono perseguibili? E ancora: le autorità tunisine non operano in zona Sar libica. Sono perseguite? Le autorità italiane non operano in zona Sar libica. Sono perseguibili? Sembrerebbe che mentre le autorità maltesi, libiche, tunisine e così via non siano perseguite nemmeno se non operano nelle aree sotto propria responsabilità, le autorità italiane sono almeno in teoria sempre perseguibili, anche per non aver operato in zone che sarebbero di responsabilità altrui e ben lontane dalle proprie coste. Per cui le motovedette italiane incrociano normalmente in acque internazionali in prossimità delle coste libiche in attesa della chiamata di soccorso. Per evitare problemi? Vi è obbligo per tanto zelo?

3. Il punto è che il sistema è ormai rodato e organizzato ma ha perso di vista i fini originari incentivando senza volerlo il flusso migratorio. Organizzato anche attraverso l’impiego di navi mercantili incrocianti in prossimità, così come è previsto dalle convenzioni sulla sicurezza in mare (Solas) e dalla convenzione Sar. Anzi tali convenzioni sono state emendate proprio per non lasciare i comandanti di navi civili con il cerino in mano e prevedendo obblighi o linee guida per gli Stati responsabili della zona Sar. Fatto sta che tali obblighi vengono applicati nei casi esaminati solo dall’Italia.
Gli emendamenti alle convenzioni Solas e Sar, alcuni dei quali sponsorizzati dall’Italia, mirano a preservare l’integrità dei servizi di ricerca e soccorso, garantendo che le persone in pericolo in mare vengano assistite e allo stesso tempo riducendo al minimo gli inconvenienti per la nave che presta assistenza. Essi richiedono agli Stati e alle parti contraenti di coordinarsi e cooperare per far sì che i comandanti delle navi che prestano soccorso e assistenza imbarcando persone in difficoltà in mare siano sollevati dai propri obblighi con una minima ulteriore deviazione rispetto alla rotta prevista dalla nave. E spingono a organizzare lo sbarco al più presto, per quanto praticabile. Essi inoltre obbligano i comandanti che hanno imbarcato persone in difficoltà in mare a trattare queste ultime con umanità, compatibilmente con le possibilità della nave. Per fornire una guida alle autorità di governo e ai comandanti che si trovano a mettere in pratica questi emendamenti, sono state anche elaborate delle linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare. Si prevede inoltre che il governo responsabile per la regione Sar in cui sono stati recuperati i sopravvissuti deve fornire un luogo sicuro o assicurare che tale luogo venga fornito. Un luogo sicuro è una località dove le operazioni di soccorso si considerano concluse e dove la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non è più minacciata, le necessità umane primarie (cibo, alloggio e cure mediche) possono essere soddisfatte e può essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione successiva o finale. Sebbene una nave che presta assistenza possa costituire temporaneamente un luogo sicuro, secondo le linee guida essa dovrebbe essere sollevata da tale responsabilità non appena possano essere individuate soluzioni alternative.
Lo sbarco di richiedenti asilo e rifugiati recuperati in mare in territori nei quali la loro vita e la loro libertà sarebbero minacciate dovrebbe essere evitato e ogni operazione e procedura che vada oltre la fornitura di assistenza alle persone in pericolo, come l’identificazione e la definizione dello status delle persone soccorse, non dovrebbe essere consentita laddove ostacoli la fornitura di tale assistenza o ritardi oltremisura lo sbarco.
L’Italia, da sempre garante del diritto, sembrerebbe aver sponsorizzato proprio quegli emendamenti relativi alla tutela dei rifugiati e dei recuperati in mare che creano maggiori obblighi e oneri alle stesse autorità italiane. A che pro? Gli obblighi per gli Stati responsabili di area Sar sembrano invece rimasti lettera morta. È sempre l’Italia a farsene carico.
Ma alle operazioni partecipano ormai anche volontari, in genere organizzazioni non governative, non italiane, che però affidano ai porti italiani i rifugiati messi da loro in salvo. Grande efficienza da parte di piccole organizzazioni, che ha originato qualche sospetto da parte di polizie straniere e di qualche magistrato italiano. Sospetti di accordi, se non di condivisione di interessi, con i trafficanti.
Come per tutti i traffici illeciti, forse la liberalizzazione sarebbe la soluzione migliore: onesti traghetti invece di sospetti gommoni, biglietti più economici, controlli maggiori, programmazione dei flussi. Ciò che si dice valere per la droga e la prostituzione, potrebbe valere anche per i migranti. Anche perché ormai è chiaro che il gigante buono ha i piedi d’argilla.

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