DIBATTITO SU QUESTIONI INTERNAZIONALI PER UNA CITTA' INTERNAZIONALE

sabato 27 gennaio 2018

LA "VIA DELLA SETA POLARE" CHE POTREBBE FAR CONCORRENZA A TRIESTE - UN ARTICOLO SUL CORRIERE DEL CORRISPONDENTE DA PECHINO -


Nel candidarsi a diventare il terminal della "Via della Seta Marittima" il Porto di Trieste non ha solo la concorrenza del Pireo e dell' infrastrutturazione dell' Europa Orientale organizzata nel Trimarium ma si profila anche quella della "rotta polare" che approfitta del riscaldamento globale per congiungere Cina ed Europa passando per lo stretto di Bering.
Un motivo di più per combattere contro i cambiamenti climatici provocati dall' inquinamento umano e per darsi da fare con la massima urgenza per occupare i posti di testa nella gara ormai iniziata e potenziare gli esclusivi vantaggi del Porto Franco.

Ne parla un articolo del Corriere della Sera del 27 gennaio che riproduciamo sotto (QUI il link):

La via della seta polare: Shanghai-Rotterdam risparmiando 20 giorni

Pechino ha svelato ieri il progetto che, sfruttando l’opportunità del restringimento dei ghiacci, può permettere al traffico commerciale di accorciare i tempi di navigazione

di Guido Santevecchi, corrispondente da Pechino

PECHINO - Quante sono le nuove Vie della Seta immaginate da Xi Jinping? Se si realizzerà la visione del presidente cinese abbracceranno tutto il globo, compreso l’Artide. Pechino ha svelato ieri il progetto per una Via della Seta Polare, che sfruttando l’opportunità del restringimento dei ghiacci dovuto al riscaldamento terrestre può permettere al traffico commerciale di accorciare i tempi di navigazione dall’Asia all’Europa. Un mercantile salpato da Shanghai, usando il passaggio a Nordest della Russia risparmierebbe quasi tremila miglia nautiche per raggiungere il porto di Rotterdam in Olanda, che significano venti giorni, evitando il percorso tradizionale attraverso l’Oceano Indiano, il Canale di Suez e il Mediterraneo che dura circa 48 giorni.
L’idea cinese per la zona artica è appoggiata dalla Russia, ma è vista dai Paesi occidentali come la prova che i cinesi vogliono lanciarsi nella corsa allo sfruttamento delle sue risorse naturali, perché si calcola che nella regione più settentrionale del globo ci sia il 22 per cento delle risorse di combustibile fossile non ancora sfruttate. Seguono preoccupazioni per l’ecosistema. Presentando il Libro Bianco sulla Politica artica, il viceministro degli Esteri di Pechino Kong Xuanyou ieri ha assicurato «sviluppo sociale ed economico per tutti». E ha aggiunto: «A proposito del ruolo della Cina negli affari artici voglio sottolineare che non essendo un Paese della regione non interferiremo». Nel documento si legge che il governo incoraggerà le aziende cinesi a costruire infrastrutture lungo la rotta artica.
Il linguaggio ecumenico è tipico della diplomazia di Pechino. Ma secondo il Center for Strategic and International Studies di Washington, in realtà le iniziative della «Belt and Road» (nome internazionale del piano Vie della Seta di Xi) offrono grandi opportunità principalmente alle aziende della Repubblica popolare. Al momento è cinese l’89% delle aziende impegnate nella realizzazione delle infrastrutture, dei porti, delle autostrade e delle ferrovie; il 7,6% è dei Paesi attraversati, dall’Asia all’Africa all’Europa e il 3,4% è internazionale.
Il cambiamento climatico è un dato di fatto e la Cina è pronta a sfruttarne un aspetto commercialmente utile. Lo scioglimento dei ghiacci ha liberato la nuova rotta: nel 2010 furono quattro i mercantili a passare a Nord durante l’estate, con un carico complessivo di 110 mila tonnellate, ma nel 2017 la via polare è stata seguita da 46 navi, che hanno trasportato 1,26 milioni di tonnellate di prodotti. Tra quei cargo c’era una petroliera cinese che dalla Norvegia alla Sud Corea ha impiegato solo 19 giorni di navigazione. A settembre il rompighiaccio «Xue Long» (Dragone della neve) ha seguito il Passaggio a Nordovest del Canada, riducendo di una settimana la rotta tradizionale da Shanghai a New York attraverso il Canale di Panama. Mentre Pechino esultava per l’apertura di un nuovo percorso commerciale, il governo del Canada protestava perché la crociera del Dragone era stata autorizzata per «puri motivi di ricerca scientifica».
Il Mar glaciale artico si estende su una superficie di circa 14 milioni di chilometri quadrati che rientrano nelle giurisdizioni di Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia e Stati Uniti. Nel 2013 la Cina ha ottenuto lo status di Paese osservatore nel Consiglio Artico (anche l’Italia è stata accolta). Da allora, Pechino si è mossa su diversi fronti. Ricerche di petrolio offshore con l’Islanda; un gasdotto con la Russia; la posa di un cavo a fibra ottica lungo 10.500 chilometri, dalla Cina sino all’Europa attraverso il territorio della Finlandia.


Il progetto di ferrovia veloce tra il Pireo, controllato dalla Cosco cinese e Budapest

giovedì 25 gennaio 2018

I VIDEO DEL NOSTRO CONVEGNO DEL 10 GENNAIO SULLA "VIA DELLA SETA E DEI CANTIERI"


Mettiamo a disposizione dei nostri lettori tutti i video degli interventi al nostro convegno del 10 gennaio ringraziando FaqTrieste che ha effettuato e messo in rete le registrazioni.

PAOLO DEGANUTTI - LIMES CLUB TRIESTE E LIBRERIA EINAUDI -



INTRODUZIONE PADRE LARIVERA - DIRETTORE CENTRO VERITAS 



INTERVENTO LUCIO CARACCIOLO- DIRETTORE DI LIMES



INTERVENTO PIERPAOLO BARBONE - VICEAMMINISTRATORE DELEGATO DI WÄRTSILÄ (prima parte)




INTERVENTO PIERPAOLO BARBONE - VICEAMMINISTRATORE DELEGATO DI WÄRTSILÄ (seconda parte)


INTERVENTO MAURIZIO ELISEO -THALIA MARINE SERVICES (prima parte)



INTERVENTO MAURIZIO ELISEO -THALIA MARINE SERVICES (seconda parte)



INTERVENTO ZENO D'AGOSTINO - PRESIDENTE AUTORITA' PORTUALE TRIESTE (prima parte)




INTERVENTO ZENO D'AGOSTINO - PRESIDENTE AUTORITA' PORTUALE TRIESTE (seconda parte)












LA COPERTINA DELL' ULTIMO NUMERO DI LIMES DEDICATO AL "TRIMARIUM" TEMA TRATTATO NELL' INTERVENTO DI LUCIO CARACCIOLO E SOTTO LA REGISTRAZIONE DELLA CONFERENZA SU TRIMARIUM, FAGLIA DELL' ARCO E RUSSIAGATE


Lucio Caracciolo, Federico Petroni e Dario Fabbri presentano il numero 12/17 di Limes "Trimarium, tra Russia e Germania" al Mercato Centrale di Roma. Roma, 9 gennaio 2018.



lunedì 15 gennaio 2018

"GEOPOLIS" L' AUSPICABILE FESTIVAL INTERNAZIONALE DI GEOPOLITICA DI TRIESTE - Un buon articolo sul Piccolo, con un titolo equivocabile.


Proponiamo ai nostri lettori l' articolo uscito oggi sul Piccolo in merito alla proposta di un Festival Internazionale di Geopolitica a Trieste che noi sosteniamo.
Con l' avvertenza che l' ottimo testo è sovrastato da un titolo che a nostro avviso rischia di essere fuorviante.
Un "festival internazionale di geopolitica" è l' opposto che "identitario" termine che generalmente e giornalisticamente viene riferito all' "Identitarismo" ovvero a movimenti e partiti, generalmente di estrema destra, che esaltano l' identità nazionale come valore fondante e principale.
Un tanto senza polemica e per evitare fraintendimenti in chi si è limitato a leggere il titolo e a guardare l' immagine del cranio rasato.


Ecco il testo dell' articolo, il cui contenuto invece condividiamo pienamente:

 "Trieste: città della geografia e della geopolitica. 
Questa la proposta del giornalista e scrittore Roberto Curci avanzata su Il Piccolo in un articolo del 6 novembre scorso. 
Raccogliendo la sfida lanciata qualche giorno prima da Renzo S. Crivelli (“Strategia culturale per Trieste”, lunedì 30 ottobre), Curci muove il primo passo per delineare una strategia culturale della città, in grado di andare oltre a etichette identitarie quali “città del caffè”, “città della Barcolana” o addirittura la più svilente “città delle clanfe”. 
L’idea è di appropriarsi in fretta di uno strumento sempre più importante a livello internazionale: la geografia. 
Strumento che anche a Trieste ha iniziato a interessare un pubblico sempre più vasto, come dimostrano le attività del Limes Club Trieste e iniziative come quelle riguardanti il porto triestino e la Via della Seta. 
Insomma, Trieste potrebbe ospitare Geopolis, Festival della geografia e della geopolitica. Un’etichetta che è più di un’etichetta. Indicare la geografia come tema identitario per la città – e prima che lo faccia qualcun altro! – potrebbe essere più che una semplice strategia culturale. 
La geografia può davvero essere l’elemento cardine di una strategia per il futuro della città, ben al di là di un festival.
La geografia può infatti unire gli studi sociali e le necessità politico-economiche della città.
Una città, Trieste, che ha nella sua vocazione storica lo studio della geografia.
Lo sviluppo di studi geografici a Trieste potrebbe rivelarsi di estrema importanza per la sopravvivenza stessa della città, che si ritrova oggi a dover fare una fondamentale scelta strategica: chiudersi nella conservazione, o aprirsi alle sfide? Solo nel secondo caso è necessario dotarsi della corretta strumentazione interpretativa.
Trieste oggi può aspirare a diventare un centro di diplomazia culturale ed economica di secondo livello, soprattutto verso Balcani, Turchia, Iran, Cina, Mitteleuropa e Russia.
Sviluppare centri di ricerca di geografia politica, lingue e culture di questi paesi, con relativi scambi professionali, può diventare il cemento per una più vasta operazione di costruzione di quelle relazioni internazionali indispensabili a ogni sviluppo collettivo.
In particolare per una città portuale.
Il porto rimane infatti il fulcro economico e strategico della città.
Le sue caratteristiche, geografiche, storiche e giuridiche suggeriscono la potenzialità geoeconomica per un ruolo di rilievo di Trieste lungo i sempre più cruciali traffici con l’Oriente.
Legato allo sviluppo portuale vi è pure la trasformazione della città e i possibili processi di reindustralizzazione.
L’intera opera di ricucitura delle periferie e lo sviluppo policentrico della città diventerebbe tema fondamentale per organizzare la crescita della città stessa in maniera equilibrata. Infine, da sottolineare è l’enorme beneficio che una città può trarre dalla sinergia tra questi tre ambiti: ambiente, scienza e sviluppo.
Trieste è già oggi una città che ospita l’eccellenza scientifica, grazie alla presenza della Sissa e dell’Area Science Park del Sincrotrone.
Mentre a Venezia c’è una sede dell’importante Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici.
La geografia è proprio quello studio che si inserisce tra scienza, ambiente e attività umana; ne è quindi il raccordo: l’indispensabile piattaforma logistica cognitiva.
Trieste non ha solo bisogno di una “strategia culturale”, ma di una strategia generale.
L’interessante proposta di Curci di lanciare il festival Geopolis è il primo passo, il più visibile.
E sarebbe da avviare al più presto possibile, per avere la prima edizione magari già nel 2018.
Ma servirebbe poi sviluppare questi temi in maniera più strutturata, poiché i festival possono anche dare un’identità culturale a una città, ma non ne definiscono le strategie di lunga durata.
Per queste ci vogliono centri studio pensati appositamente per le sfide più profonde che Trieste è chiamata ad affrontare da qui ai prossimi decenni.
La geografia – nelle sue varianti classica, critica e radicale – offre gli strumenti critici e operativi di cui una città oggi si deve dotare per affrontare sfide complesse in maniera organica.
Può quindi la geografia essere la chiave d’accesso di Trieste al XXI secolo?
Ci sono buone ragioni per pensarlo. Purché non si perda tempo."

di FRANCESCO VENTURA*

*Dottorando di ricerca al Dipartimento di geografia dell’University College of Dublin

lunedì 8 gennaio 2018

INTERVISTA A LUCIO CARACCIOLO SUL PICCOLO: RISCHIAMO DI PERDERE IL TRENO DELLA "NUOVA VIA DELLA SETA" - MERCOLEDI' 10 ALLE 18 IL CONVEGNO IN STAZIONE MARITTIMA -


Per i nostri lettori che non possono procurarsi il Piccolo di oggi riproduciamo l' intervista a Lucio Caracciolo pubblicata sulla pagina dell' Economia.

Trieste e la Via della Seta: «Serve un piano nazionale»
Parla Lucio Caracciolo: «Il governo convinca i cinesi che si tratta di un investimento di lungo periodo. Altrimenti rischiamo di essere tagliati fuori dall’asse balcanico»
di Mauro Manzin

Il governo italiano deve fare scelte precise sulla portualità se vuole essere competitivo nel progetto cinese della Via della seta. Deve puntare su uno, al massimo due porti, dove concentrare gli investimenti di Pechino, altrimenti si perderà l’ennesima occasione.
Ne è certo Lucio Caracciolo, direttore di Limes che nell’ultimo numero intitolato “Trimarium tra Russia e Germania” analizza quanto sta dietro le strategie cinesi e la vera e propria battaglia geopolitica che si sta consumando proprio nello scacchiere balcanico per l’egemonia economico-sociale dell’area, vera e propria porta dell’Europa.
Via della seta e Porto di Trieste, quali possono essere gli sviluppi? 
Dipende dalla disponibilità dell’Italia ad accogliere un progetto cinese di questo rilievo sia economico che geopolitico.
Quindi che cosa occorre?
Occorre una scelta nazionale a livello di governo, che in questa fase mi sembra difficile visto che siamo davanti alle elezioni politiche, per convincere i cinesi che si tratta di un investimento utile nel lungo periodo.
Come giudica il lavoro fin qui svolto dall’Autorità portuale di Trieste in questa direzione?
È stato un lavoro importante per segnalare la disponibilità e l’interesse di Trieste ad aprirsi a questo progetto e quindi a diventare un grande hub marittimo mediterraneo. Però non basta, serve, come dicevo, una scelta nazionale e poi servono, ma credo che questi arriveranno se ci fosse questa scelta, di forti investimenti cinesi e anche di altri partner nelle infrastrutture portuali, retroportuali e in generale nei collegamenti fra Trieste e il resto dell’Europa, in particolare con quella centrale che sono già abbastanza buoni e, magari, anche con il resto dell’Italia, che sono invece pessimi.
Ritiene opportuno riunire i porti di Trieste e di Monfalcone sotto un’unica autorithy?
Meno autorità ci sono più potere hanno queste autorità, più semplice è costruire una strategia.
Nei nostri vicini Balcani si sta combattendo una guerra geoeconomica tra Stati Uniti da una parte e Cina e Russia dall’altra...
È una questione che riguarda i tre mari, ossia l’Adriatico, il Baltico e il Mar Nero, in altri termini il Trimarium.
In Croazia lo chiamano già il Progetto dei Tre mari...
Sì, la Croazia, insieme alla Polonia e alla Romania giocano un ruolo di avanguardia stimolato dagli americani e dallo stesso presidente Donald Trump e quindi questo può avere delle implicazioni per il nostro Paese e per Trieste.
Quali sono dunque queste “ricadute”? 
È molto curioso che si costruisca un progetto che riguarda l’Adriatico senza l’Italia che dovrebbe essere il Paese più importante nell’area adriatica, ma sembra evidente che non si coinvolge il nostro Paese perché lo si considera troppo vicino alla Russia.
L’altro grande perdente è anche la Slovenia...
Certo, anch’essa accusata di essere troppo morbida con la Russia e poi ci sono i contenziosi confinari ancora aperti con la Croazia, per cui Zagabria ha una posizione prevalente e cerca di utilizzarla. 
Americani che investono anche militarmente in Croazia, in progetto c’è una base per le forze speciali Nato e di recente ci sono state forniture di armi...
Certamente. In quest’ottica anche il ruolo del Porto di Fiume potrebbe essere rivalutato. Eppoi uno dei grandi progetti, per me piuttosto fantasiosi del Trimarium, è di diminuire la dipendenza dal gas russo attraverso l’immissione in rete del gas liquido di provenienza americana, e in quest’ottica si legge anche la costruzione del rigassificatore sull’isola di Veglia.
La Cina sta facendo sul serio, i Paesi interessati dalla sua Via della seta lo hanno capito?
Sì lo hanno capito benissimo, soprattuto è ben chiaro che questo non è solamente un progetto economico e infrastrutturale, ma è un progetto geopolitico che mira a rilanciare il ruolo della Cina nel mondo, mira a portare il marchio Cina nel mondo e mira ad acquistare influenza.
In termini pratici questo che cosa significa?
Significa che in termini pratici gli americani fanno di tutto per osteggiarlo e quindi fanno anche pressione sui Paesi europei che considerano troppo correi nei confronti di Pechino.
È fantapolitica immaginare un’asse sino-russo tedesca?
Sì, penso che la Cina non consideri nessun Paese suo pari e quindi non ragiona e non ha mai ragionato nella sua storia in termini di alleanze, però in termini pratici si sono creati degli allineamenti di carattere strategico con Russia e di carattere più economico con la Germania che possono portare di fatto a una situazione non codificata di avvicinamento tra queste tre potenze, che è esattamente lo scenario dell’orrore da un punto di vista americano.
Anche l’Italia dovrà fare la sua scelta...
Certo, si tratta prevalentemente delle vie di comunicazione marittime per cui deve scegliere un porto, massimo due, e non immaginare di costruire una collana di scali piccoli e medi che alla fine non sono economici. Un progetto di queste dimensioni non si decide a Trieste o in Friuli Venezia Giulia, ma deve avere dietro di sè un progetto concreto che, per ora, assolutamente non vedo.

Direttore della rivista Limes, Lucio Caracciolo insegna Studi strategici all’Università Luiss di Roma. È uno dei maggiori esperti italiani in geopolitica.
Nelle sue analisi guarda alla storia contemporanea da un punto di vista geografico e politico.
Nell’ultimo numero intitolato “Trimarium tra Russia e Germania” la rivista Limes analizza quanto sta dietro le strategie cinesi e la vera e propria battaglia geopolitica che si sta consumando proprio nello scacchiere balcanico. La Cina dopo avere investito nel Pireo punta a investire sulle ferrovie nei Balcani per creare un collegamento diretto con l’Europa centrale: lo scalo di Trieste, guidato da Zeno D’Agostino, diventa una dei centri di sviluppo dei traffici. 





venerdì 5 gennaio 2018

L’IMPERO DEL CENTRO NELL’EUROPA DI MEZZO - Pechino vede nella Mitteleuropa uno snodo cruciale delle nuove vie della seta - La rapida costruzione di infrastrutture - Un articolo di Limes che dovrebbe far pensare parecchio e velocemente su temi di cui si parlerà anche al convegno del 10 gennaio a Trieste -


Pechino vede nella Mitteleuropa uno snodo cruciale delle nuove vie della seta, ma Bruxelles e Berlino temono l’eccessiva influenza cinese a due passi da casa. Per prevenire l’impasse servono trasparenza dei progetti e apertura della Cina ai capitali esteri.

1. L’europa di mezzo attira la Cina poiché congeniale allo sviluppo dei suoi progetti infrastrutturali nella cornice della Belt and road initiative (Bri, o nuove vie della seta). I motivi di tale convenienza sono due.
Il primo è la posizione strategica, che ha reso l’area compresa tra il Baltico e il Mar Nero uno storico terreno di scontro tra Germania, Russia, Turchia e Stati Uniti. In particolare, agli occhi del Dragone la penisola balcanica appare uno snodo idoneo a far confluire verso il Nord Europa le proprie merci scaricate al porto del Pireo, greco per geografia, cinese di proprietà.

Il secondo è la convenienza economica. I paesi dell’Europa centro-orientale si distinguono per bassi costi degli asset e del lavoro, alta richiesta di prestiti, attitudine al commercio e impellente necessità di sviluppo.

La presenza economica della Cina nell’Europa di mezzo è al momento inferiore a quanto si pensi, ma Bruxelles e Berlino temono che Pechino voglia minare la stabilità dell’Ue creando qui una sua area d’influenza, da usare come strumento di pressione nelle relazioni sino-europee. Elevando la trasparenza dei progetti infrastrutturali, Pechino può cogliere due obiettivi: contenere le preoccupazioni europee e rafforzare il suo soft power.
Il sesto summit «16+1» tra Repubblica Popolare e paesi dell’Europa centro-orientale (acronimo inglese Ceec), svoltosi lo scorso novembre a Budapest, ha confermato l’interesse cinese per questa fetta di continente 1. Il primo ministro cinese Li Keqiang si è recato all’evento con due obiettivi. Il primo era incoraggiare scambi commerciali e progetti infrastrutturali nella cornice Bri, in cui il summit «16+1» è ora pienamente incardinato. Per questo, Li ha annunciato investimenti per 3 miliardi di dollari e la creazione di un’associazione interbancaria Cina-Ceec. Il secondo obiettivo era rassicurare Bruxelles sul fatto che il summit non è uno strumento geopolitico e che la Cina non intende danneggiare l’integrità dell’Ue.
L’impostazione dell’evento suscita ciclicamente le perplessità europee. Questo è organizzato annualmente dal segretariato per la cooperazione Cina-Ceec, che opera sotto il ministero degli Esteri di Pechino. Il segretariato è cinese, mentre ai paesi europei spetta un ruolo marginale, legato al coordinamento dell’iniziativa a livello nazionale. Dal 2016 questa cornice di collaborazione conta anche sul fondo China-Central Eastern Europe, in cui Pechino ha versato 10 miliardi di euro e che si concentra su infrastrutture, manifattura hi-tech e beni di consumo.
I Ceec apprezzano gli investimenti cinesi per tre ragioni. Primo, sperano che contribuiscano al miglioramento delle infrastrutture esistenti e che rendano più efficienti i trasporti, sia interni sia diretti al cuore del Vecchio Continente. Secondo, si augurano che alimentino l’occupazione e la crescita economica. Terzo, l’interesse cinese può essere utilizzato come leva negoziale nei confronti di Bruxelles, con cui permane la frattura legata all’emergere dei nazionalismi, al dossier migratorio e a quello energetico (raddoppio del gasdotto Nord Stream, che collega Russia e Germania).
È presto per valutare il riverbero della presenza cinese sull’Europa centrale. Secondo una ricerca del Center for Strategic and International Studies e del Financial Times, dal 2012 a oggi la Cina ha annunciato nei paesi dell’Europa centro-orientale investimenti per 15 miliardi di dollari nel settore delle infrastrutture e nelle industrie affini. Le principali mete dei progetti (di cui diversi in corso d’opera) sono nell’ordine: Bosnia, Cechia, Romania, Serbia, Ungheria, Montenegro, Macedonia, Albania, Polonia e Croazia 2.
A Budapest, durante il summenzionato summit, Li Keqiang ha detto che la cifra investita complessivamente dal Dragone nei Ceec è pari a 9 miliardi di dollari. Non molto se si pensa che quella elargita nell’intera Ue ha toccato i 65 miliardi e che gli investimenti totali nell’Europa centro-orientale (la maggior parte giunta dagli Stati Uniti e da altri paesi europei) hanno raggiunto i 25 miliardi di dollari 3.
L’interscambio Cina-Ceec ha superato invece i 58 miliardi di dollari nel 20164. La cifra, inferiore ai 100 miliardi preventivati da Pechino entro il 2015, rappresenta solo una porzione dei 600 miliardi di dollari (oltre 500 miliardi di euro) del commercio sino-europeo 5.
Anche lo scambio culturale Cina-Ceec non è così ampio. Dal 2012 Pechino inietta annualmente circa 250 mila euro nel Fondo di ricerca per le relazioni tra la Cina e l’Europa centro-orientale, ma vi è ancora scarsa comprensione e fiducia circa le attività cinesi: un sentimento da tenere in considerazione per migliorare le percezioni reciproche 6.
2. Il progetto infrastrutturale più rilevante avviato dalla Cina nell’Europa di mezzo è la China-Europe Land-Sea Express Line. Nei piani di Pechino, questa linea ferroviaria dovrebbe passare per Macedonia, Serbia e Ungheria trasportando verso l’Europa occidentale le merci cinesi che approdano al porto del Pireo, controllato dal gigante della logistica cinese Cosco. La tratta ferroviaria Budapest-Belgrado, lunga 350 chilometri e finanziata per l’85% dalla cinese Exim Bank, ridurrebbe il tempo di percorrenza da 8 a 2,5 ore 7.
Belgrado ha iniziato ufficialmente la costruzione della propria sezione durante il summit in Ungheria, ma proprio in questo paese lo sviluppo della linea ha incontrato degli intoppi. Poche ore prima del vertice, Budapest ha infatti annunciato che avrebbe indetto una gara pubblica per la realizzazione della sua sezione. Così facendo il governo di Viktor Orbán ha dato ragione alla Commissione europea, che lo scorso febbraio aveva avviato un’indagine per verificare se l’appalto dei lavori alla China Railway International Corporation fosse conforme alle normative europee sulle gare pubbliche per i grandi progetti infrastrutturali. La decisione ungherese ha suscitato opinioni negative in Cina, come quella di John Gong – professore della University of International Business and Economics di Pechino – che ha criticato l’Ue per aver «intimidito» Budapest 8. Non è escluso che un’azienda cinese ottenga comunque l’appalto. Richieste da parte di imprese di altra nazionalità metterebbero in imbarazzo Budapest e causerebbero il malcontento di Pechino, che finanzia il progetto.
Nessuno dei due governi è interessato a prolungare lo stallo. Come affermato nel 2011 dall’allora primo ministro Wen Jiabao, Pechino considera l’Ungheria un punto d’ingresso nel mercato europeo. Del resto, le sette principali autostrade che si diramano dal paese collegano 480 milioni di consumatori nel raggio di mille chilometri, e dieci paesi all’interno di questo territorio sono membri dell’Ue 9.
Budapest ricambia l’attenzione cinese. Durante il summit 16+1 dello scorso anno, Orbán ha detto senza mezzi termini che «il centro di gravità dell’economia mondiale si è spostato da ovest a est, nonostante qualcuno in Occidente ancora lo neghi» 10. Inoltre, Ungheria e Grecia sarebbero stati tra i paesi che nel 2016 hanno contribuito a smussare i toni di una dichiarazione Ue sul rispetto da parte di Pechino della sentenza emanata dalla Corte internazionale d’arbitrato dell’Aia sulla disputa marittima con le Filippine nel Mar Cinese Meridionale. La versione pubblicata non si riferisce esplicitamente alla Repubblica Popolare 11.

3. L’andamento della China-Europe Land-Sea Express Line interessa l’Italia per due motivi. In primo luogo, Ferrovie dello Stato controlla TrainOse, il principale operatore ferroviario in Grecia. In secondo luogo, lo sviluppo di questa linea influenza la concorrenza tra i nostri scali marittimi e il Pireo. Trieste, Genova e Venezia non possono competere con il porto greco in termini di dimensioni, tuttavia puntano a ritagliarsi una propria fetta di traffico contando sulla vicinanza geografica al cuore dell’Europa e sull’allacciamento ai corridoi intermodali del Trans-European Transport Network (Ten-t), che dovrebbero potenziare i collegamenti infrastrutturali europei entro il 2030.
Anche altri progetti cinesi hanno incontrato delle difficoltà. In Macedonia, il ministro dei Trasporti e delle Comunicazioni ha bloccato la costruzione dell’autostrada Kičevo-Ohrid, lunga 57 chilometri e del valore di 373 milioni di euro, per presunte perdite statali (155 milioni). Nel 2014 il Montenegro ha invece firmato con la Cina un accordo da 800 milioni di euro per la costruzione del tratto autostradale da Bar (principale porto del paese affacciato sull’Adriatico) a Boljare (località al confine con la Serbia, da cui dovrebbe raggiungere Belgrado), malgrado il Fondo monetario internazionale avesse avvisato Podgorica dei possibili danni alla stabilità fiscale del paese. Questo segmento fa parte del corridoio paneuropeo XI – finanziato in larga parte dalla Cina – che dovrebbe in futuro collegare Bari, Belgrado e Timişoara (Romania) e intercettare il corridoio IV diretto verso Budapest.

Per Pechino, l’Ue è rilevante sia in quanto principale partner commerciale, sia come meta d’investimenti, ambito in cui primeggiano Regno Unito, Germania e Italia 12. Per questo il governo cinese osserva con preoccupazione i provvedimenti di Bruxelles a protezione del mercato comunitario.

In tale contesto rientra la proposta del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker di una nuova cornice normativa volta a prevenire acquisizioni di aziende d’interesse strategico da parte di compagnie statali extracontinentali. Per entrare in vigore la mozione dovrà essere approvata dal Parlamento europeo e dagli Stati membri in sede di Consiglio. In ogni caso, la cornice normativa rimarrà flessibile e i singoli paesi avranno l’ultima parola su qualunque investimento.

Poi vi è l’accordo informale tra Parlamento, Consiglio e Commissione europea dello scorso ottobre sull’adozione di un nuovo metodo di calcolo dei dazi antidumping per le importazioni da paesi terzi, in caso di significative distorsioni di mercato o di pervasiva influenza economica dello Stato esportatore. La misura non fa distinzione tra i paesi con status di economia di mercato e gli altri, pertanto vanificherebbe gli sforzi della Cina, che da tempo chiede di vedersi accordato tale riconoscimento. Secondo Pechino, le normative stabilite dall’Organizzazione mondiale del commercio non menzionano il concetto di «significative distorsioni di mercato» per questo settore e la metodologia non sarebbe conforme a quanto previsto dall’organismo.

L’approvazione del sistema dovrebbe avvenire a breve e prenderà in considerazione diversi criteri: le politiche dello Stato in questione, la diffusa presenza di imprese pubbliche, la discriminazione a favore delle aziende interne e il grado d’indipendenza del settore finanziario. La Commissione redigerà dei rapporti per identificare paesi e settori che presentano distorsioni.

Per evitare di danneggiare i rapporti con l’Ue, Pechino dovrà anzitutto preservare quelli con Berlino. Questi sono solidi sul piano economico, ma la Germania non vuole rinunciare alla sua sfera d’influenza geoeconomica, che comprende paesi quali Polonia, Cechia, Slovacchia e Ungheria. Ciò spiega perché lo scorso agosto il ministro degli Esteri tedesco Sigmar Gabriel abbia chiesto agli europei di parlare con «una sola voce» a Pechino, esortando quest’ultima a adottare la politica «un’Europa», così come l’Ue riconosce «una sola Cina» (cioè non Taiwan). Il paragone, non calzante sul piano storico e geopolitico, ha generato malcontento a Pechino. La portavoce del ministero degli Esteri cinese Hua Chunying si è augurata che Gabriel possa chiarire cosa intende per «un’Europa» e se c’è consenso su questo concetto tra i membri dell’Ue 13. Dalle pagine del quotidiano Global Times, il professor Cui Hongjian ha risposto che il summenzionato concetto è attuabile sul piano geografico, ma non su quello politico ed economico 14, poiché l’Ue non rappresenta per intero il Vecchio Continente. Cui ha poi punzecchiato Berlino, aggiungendo che la creazione di «un’Europa» dipende dai paesi della regione e soprattutto dalla Germania, in quanto potenza principale.

4. L’aumento della tensione tra Cina e Ue è controproducente per entrambe. Pechino può rendere le nuove vie della seta uno strumento più accattivante agli occhi europei in due modi.

Il primo è aprire ulteriormente il proprio mercato alle aziende straniere, fronte su cui già si intravedono dei risultati. La Repubblica Popolare infatti non ha bisogno solo di esportare, ma di stimolare i consumi e gli investimenti in entrata. In Ungheria, Li Keqiang ha infatti detto che nei prossimi cinque anni la Cina importerà prodotti per 8 mila miliardi di dollari. Il governo cinese ha recentemente diminuito i dazi di circa il 10% su quasi 200 prodotti (alimentari, farmaceutici e ricreativi). Si tratta per ora di una misura cosmetica, che amplia lievemente i margini degli importatori cinesi, ma non determina cali sensibili dei prezzi al consumo.

Pechino inoltre ha da poco annunciato l’innalzamento delle quote azionarie estere in banche (non solo commerciali), fondi d’investimento e compagnie assicurative dal 49 al 51%, per aprire gradualmente il mercato finanziario. Il concetto di liberalizzazione non si applica al socialismo con caratteristiche cinesi, dove il volante dell’economia resta saldamente in mano pubblica. Tuttavia, è probabile che in futuro assisteremo ad altre misure di questo genere. In tale contesto, i paesi europei devono servirsi delle nuove vie della seta per potenziare le loro attività nella Repubblica Popolare. La crescita del 26% delle esportazioni italiane in Cina tra gennaio e agosto e il recente arrivo a Chengdu del primo treno partito dal polo logistico di Mortara (Pavia) con a bordo merci made in Italy suggeriscono che il nostro paese, seppur lentamente, si sta muovendo.

Il secondo modo per arginare i dubbi di Bruxelles e Berlino potrebbe essere accrescere il livello di trasparenza e affidabilità dei progetti. Nei prossimi anni, le sfide che le nuove vie della seta incontreranno sul piano economico, geopolitico e della sicurezza aumenteranno e ciò ne complicherà la riuscita. Il rallentamento o addirittura il blocco di piani da miliardi di euro potrebbe compromettere l’affidabilità della Cina come investitore e quindi la sua capacità d’influenza. Oggi la pianificazione e la direzione dei progetti spetta al Gruppo ristretto per l’avanzamento dello sviluppo della Bri, istituito dal Consiglio di Stato, il supremo organo amministrativo del paese. Questo ente poi attua i piani con l’ausilio di organi nazionali (Commissione nazionale per lo sviluppo delle riforme, ministero degli Esteri e del Commercio), del Silk Road Fund, della Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib) e di imprese di Stato. Tale struttura consente a Pechino di far progredire in maniera relativamente rapida i progetti in Eurasia, ma potrebbe non essere adeguata a sostenere la crescita dell’iniziativa.

La creazione di un ente ad hoc incaricato di valutare e coordinare i progetti sarebbe una soluzione per rafforzare la trasparenza e l’efficienza della Bri. Se questo coinvolgesse attivamente anche i paesi partner dell’iniziativa cinese, contribuirebbe al soft power della Repubblica Popolare.

NOTE
1. I paesi partecipanti al summit sono: Albania, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Cechia, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Macedonia, Montenegro, Polonia, Romania, Serbia, Slovacchia e Slovenia.
Di questi Albania, Serbia, Macedonia, Montenegro e Bosnia-Erzegovina non sono membri Ue. I primi quattro sono in procinto di recepirne la legislazione, il quinto non soddisfa ancora i requisiti per l’adesione, goo.gl/vFVDP3
2. J. Kynge, M. Peel, «Brussels Rattled as China Reaches out to Eastern Europe», Financial Times, 27/11/2017
3. V. Zaneli, «What Has China Accomplished in Central and Eastern Europe?», The Diplomat, 25/11/2017.
4. «Zhongguo tuidong “16+1 hezuo” jie shuoguo» («La “cooperazione 16+1” proposta dalla Cina ha raggiunto ottimi risultati»), sito del Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese, 27/11/2017.
5. «European Union, Trade in Goods with China», Commissione europea, 17/11/2017
6. Cfr. Liu Zuokui, «Yidai yilu changyi beijing xia de 16+1 hezuo» («La Belt and Road Initiative nel contesto della cooperazione 16+1»), Dangdai Shijie Yu Shihui Zhuyi, n. 3, 2016.
7. Hu Yuanyuan, «Hungary to Serbia Railway now Well on Track», China Daily, 16/8/2016.
8. J. Tong, «Opinion: Public Tender in Budapest», Cgtn, 27/11/2017.
9. Liu Guomin, «Shangmao wuliu yuanqu shi liantong zhong’ou shuniu» («Il parco logisitico e commerciale è il perno dei collegamenti in Europa centrale), China Trade News, 6/72017
10. Discorso di Viktor Orbán alla conferenza Cina-Ceec, 6/10/2016
11. R. Emmott, «EU’s Statement on South China Sea Reflects Divisions», Reuters, 15/7/2016
12. «Chinese Investment in Europe: Record Flows and Growing Imbalances», Merics, gennaio 2017.
13. Conferenza stampa della portavoce del ministero degli Esteri cinese Hua Chunying del 31/8/2017.
14. Cui Hongjian, «Dreams of “One Europe” Need Actions to Match», Global Times, 6/9/2017.



mercoledì 3 gennaio 2018

LA NUOVA EUROPA LONGITUDINALE: IL TRIMARIUM VISTO DALLA POLONIA - I progetti infrastrutturali lungo l’asse Nord-Sud nell' Europa centro-orientale - Un articolo dal nuovo numero di Limes che a Trieste dovrebbe far pensare -


Con l’Iniziativa dei Tre Mari, Varsavia punta a rendere coesa l’Europa centro-orientale storicamente trascurata dagli imperi cui è appartenuta. I progetti infrastrutturali lungo l’asse Nord-Sud e il complesso d’inferiorità verso l’Occidente.
di Przemysław Żurawski vel Grajewski


L’iniziativa del Trimarium è un forum dei 12 membri centro-orientali dell’Unione Europea dedicato alla cooperazione infrastrutturale. Ne fanno parte Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Cechia, Slovacchia, Ungheria, Austria, Slovenia, Croazia, Romania e Bulgaria. È nata nel 2015 come progetto polacco-croato sotto impulso dei rispettivi presidenti, Andrzej Duda e Kolinda Grabar-Kitarović. Formalizzata al primo vertice di Dubrovnik del 25-26 agosto 2016, ha preso slancio al secondo summit, tenutosi a Varsavia il 6-7 luglio 2017, soprattutto grazie alla concomitante visita del presidente degli Stati Uniti Donald Trump nella capitale polacca. Il prossimo appuntamento è a Bucarest nel 2018.

Il progetto si focalizza su due dimensioni – le infrastrutture dei trasporti e quelle energetiche – e ha carattere puramente economico. La chiave per la sua riuscita è la comune appartenenza dei suoi membri all’Unione Europea; il suo obiettivo politico è di approfondire la cooperazione settoriale e rafforzare la coesione fra gli Stati del fianco orientale dell’Ue. Al fondo, l’intento è di sviluppare legami economici e personali fra i paesi dell’Europa centro-orientale, per rendere questi ultimi creatori attivi del processo di integrazione europea, non meri consumatori di idee e progetti provenienti dal nucleo dell’Unione.
A parte l’Austria, tutti gli altri membri in passato sono appartenuti a imperi stranieri: quello russo-sovietico, quello degli Asburgo e quello tedesco. Pertanto, le rispettive infrastrutture erano state sviluppate seguendo le necessità economiche delle nazioni dominanti, le cui capitali (San Pietroburgo o Mosca, Vienna e Berlino) fungevano da centro di gravità dei sistemi di trasporto. Tutti gli Stati del Trimarium – ancora, Austria esclusa – hanno avuto esperienze tragiche sotto il comunismo dopo la seconda guerra mondiale. Tutto ciò ha generato non solo un’arretratezza infrastrutturale, ma pure la profonda convinzione che la realtà non possa essere creata a suon di decreti e dichiarazioni. Tuttavia, in questa regione il mercato unico europeo è in buona parte solamente una realtà dichiarata. E lo è a causa della mancanza di infrastrutture di trasporto che impediscono ai paesi in questione di sfruttare il potenziale dei rispettivi mercati e dare impulso agli scambi. Il Trimarium è pensato per superare tale debolezza, applicando l’antico principio romano facta non verba e spostando il mercato unico dall’ambito delle parole a quello della realtà.

La dimensione infrastrutturale dell’iniziativa e la sua limitazione ai membri dell’Ue sono al contempo la sua forza e la sua bellezza. C’è ovviamente del potenziale per ampliare la cooperazione dal punto di vista sia geografico sia tematico. Ma per sopravvivere e prosperare, il Trimarium non deve diventare una barca sovraffollata, che affonderebbe immediatamente sotto il peso di priorità e iniziative nazionali eccessive. Ecco perché la Polonia non ha invitato l’Ucraina, la Croazia non l’ha fatto con la Bosnia-Erzegovina (nonostante la sua ampia popolazione croata) e la Romania con la Moldova. La cooperazione con questi paesi sarà possibile nel futuro; prima però i 12 fondatori devono ottenere risultati fra di loro. La partecipazione della Scandinavia è tuttavia desiderabile e logica per ragioni formali (l’appartenenza all’Ue, Norvegia esclusa), geografiche (la posizione lungo l’asse Nord-Sud dei progetti infrastrutturali) e di valore aggiunto (dato dal prestigio del «vecchio» Occidente, dalla qualità degli apparati statuali e dallo sviluppo tecnologico).
Che cosa non è il Trimarium
Teoricamente esisterebbe il potenziale per espandere la cooperazione fra i paesi membri al di fuori del solo ambito infrastrutturale. Un primo settore di cui spesso si parla è quello della sicurezza. Un altro è la promozione di soluzioni nell’Ue che vengano incontro all’interesse degli Stati della regione. Ma si tratta solo di teorie. Soprattutto per quanto riguarda il secondo ambito, in cui è più facile fare proclami che trovare una posizione comune fra i dodici paesi del Trimarium. La regione non è politicamente omogenea ed è difficile immaginare di conseguire l’uniformità di vedute necessaria nella maggioranza delle questioni dibattute a Bruxelles.
Il Trimarium non si occupa di sicurezza. È vero che alcuni dei suoi partecipanti sono accomunati da una peculiare visione della dimensione militare delle relazioni internazionali in Est Europa e, soprattutto dopo il 2014, dalla percezione della minaccia russa. Ma in questo campo l’integrazione regionale è già iniziata. Segnatamente con il summit del novembre 2015 del fianco orientale della Nato, riunito su iniziativa polacco-romena, in cui sono nati i cosiddetti «nove di Bucarest» (Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Cechia, Romania, Slovacchia, Ungheria). Alla luce dell’aggressione russa in Ucraina, questi paesi hanno fatto appello all’Alleanza Atlantica per rafforzare la sua presenza a est. Quelli che confinano su terra o per mare con la Russia (i tre baltici, Polonia, Romania e Bulgaria) hanno richiesto formalmente la presenza di truppe alleate sul proprio suolo, mentre gli altri tre così fortunati da non avere un tale vicino hanno offerto solidarietà e sostegno politico. La Nato ha accolto le richieste – a parte quella di Sofia, visto il suo collocamento più meridionale – al summit di Varsavia del luglio 2016 e le sta implementando. Ciò tuttavia ha esaurito il potenziale per altre azioni panregionali in questa direzione. È l’Alleanza Atlantica la struttura difensiva comune cui gli attori locali guardano e non c’è bisogno di duplicarne l’architettura. Inoltre, l’Austria, uno dei dodici del Trimarium, non ne fa parte, mentre Croazia, Cechia, Slovacchia, Slovenia e Ungheria non sono propense ad approfondire i collegamenti militari con il resto della regione. Aggiungere la sfera militare all’Iniziativa avrebbe minato il consenso interno. I suoi membri sono consci del fatto che né Varsavia né gli altri paesi confinanti con la Russia che condividono la priorità sulla sicurezza intendono rischiare di distruggere il progetto.

Omnes viae Europam ducunt
Nella sua attuale configurazione a dodici, il Trimarium raduna 105 milioni di persone e un pil di 2,8 trilioni di euro. Un potenziale economico non certo trascurabile. Da un punto di vista tedesco, il solo mercato polacco è ampio il doppio di quello della Russia, mentre la somma dei quattro di Visegrád (Polonia, Cechia, Ungheria, Slovacchia) è maggiore di quello della Francia. Per anni, quello ceco è stato il secondo maggiore mercato per la Polonia dopo la Germania (11,9 miliardi di euro per l’8,4% dell’export nel 2015, rispetto ai 5,1 miliardi per il 2,9% dell’export con la Russia); è solo nel 2015 che la Repubblica Ceca è scivolata in terza piazza a favore del Regno Unito (12,1 miliardi, 8,5% dell’export). Nello stesso anno, l’Ungheria tallonava addirittura la Russia (4,8 miliardi, 2,7% dell’export). Inoltre, i mercati che crescono più velocemente nell’Ue sono quelli di Romania (tasso di crescita del pil del 5,5% nel 2017), Estonia (4%), Lettonia e Polonia (entrambe 3,8%). I paesi del Trimarium offrono l’un l’altro condizioni stabili, basso rischio politico, sicurezza legale e personale agli imprenditori e ai loro impiegati, livelli di corruzione bassi e in diminuzione, prossimità geografica e dunque minori costi di trasporto, consumatori con un potere d’acquisto discreto e in crescita che peraltro non sono dispersi su un vasto territorio come quello russo. Se si conta l’impatto dei progetti infrastrutturali del Trimarium, la regione ha la possibilità di diventare un mercato potente e attrattivo per l’intera Ue.


Primo obiettivo: i trasporti
Nello scorso decennio sono state potenziate le vie di collegamento fra l’Est e l’Ovest; ora è tempo di fare altrettanto lungo l’asse Nord-Sud. I quattro di Visegrád e la Croazia costituiscono il nucleo di questo settore. Assieme ai tre baltici e ai cinque nordici, questi paesi hanno un grande potenziale per cooperare su progetti comuni di trasporto e di comunicazione.
Partiamo dalle strade. L’esempio più famoso è il piano della Via Carpatia – l’autostrada con partenza dalla greca Salonicco e arrivo o nel porto lituano di Klaipėda o più a nord nella capitale estone Tallinn, con traghetti fino a Helsinki in Finlandia. Nella porzione meridionale, tale asse viario si diramerà in Bulgaria e poi in Turchia fino a Istanbul e verso il porto romeno di Costanza sul Mar Nero. Un’altra zona di possibile espansione è quella dei Sudeti, dove c’è spazio per progetti stradali e ferroviari bilaterali ceco-polacchi. La sezione polacca della Via Carpatia (570 chilometri) corre lungo la S19 e dovrebbe essere completata per il 2023. Il costo stimato è di 7 miliardi di euro, investiti dalla Direzione generale delle strade e autostrade nazionali (Gddkia, nell’acronimo polacco). La S19 va da Barwinek sul confine slovacco a Budzisko su quello con la Lituania, passando per città come Rzeszów e Lublino. Le regioni coinvolte rappresentano il cosiddetto «muro orientale», le province dell’Est polacco che appartennero all’impero zarista nel XIX secolo e che dopo la seconda guerra mondiale confinavano con l’Urss, motivi per i quali esse furono molto trascurate in termini infrastrutturali. La Via Carpatia può essere concepita come spina dorsale cui affiancare alcune costole, per esempio le connessioni latitudinali con l’Ucraina (Rzeszów-Przemyśl-Leopoli, Zamość-Volodymyr-Volyn­s’kyi-Luc’k e Lublino-Chełm-Kovel’). Non è solo la sezione polacca a potersi collegare con l’Ucraina, ma pure quella slovacca (via Mukačevo-Užhorod-Košice) e quella ungherese (Mukačevo-Debrecen).
Un altro progetto della stessa natura è la Via Baltica. È un blocco della diramazione B del primo corridoio di trasporto paneuropeo, in parte basato sulla strada europea E67 Praga-Helsinki. Il costo dei 91 chilometri della sezione polacca che saranno completati fra 2018 e 2021 è stimato sugli 820 milioni di euro, investiti ancora una volta dalla Gddkia. Il progetto autostradale inizierà con un collegamento Berlino-Varsavia per poi volgere a nord lungo le esistenti S8 e S61 attraverso Ostrów Mazowiecka, Łomża, Ełka e Suwałki, prima di raggiungere il confine lituano a Budzisko e continuare verso Kaunas, Riga, Tallinn e Helsinki.
Un altro esempio di miglioramenti alla rete stradale è la A1 – al momento in costruzione, completamento previsto per il 2022 – da Gorzyczki al confine ceco fino a Danzica via Katowice, Czȩstochowa, Łódz´ e Toruń. In Polonia è conosciuta come «autostrada dell’ambra», simbolico riferimento alla via romana che da Aquileia passava per la Porta Morava (il corridoio fra i Sudeti e i Carpazi), per la più antica città polacca di Kalisz (in latino Calisia), finendo sul Mar Baltico. Il tratto polacco già esiste e dovrebbe essere solo esteso verso sud, per formare una sezione della E75 che dalla norvegese Vardø passa attraverso la Finlandia, oltrepassa il Baltico in traghetto tra Helsinki e Danzica, poi solca Cechia, Slovacchia, Ungheria, Serbia, Macedonia e Grecia. Intersecandosi alla E30 (da Cork in Irlanda e Omsk in Russia) e alla E40 (da Calais a Ridder in Kazakistan), essa è un importante elemento delle infrastrutture viarie europee.
La superstrada S3 da Świnoujście sulla costa baltica presso il confine tedesco fino a Lubawka su quello ceco sarà terminata nel 2018 ed entro il 2023 sarà affiancata da un altro collegamento alla Cechia. Fa parte della E65 e anche del corridoio di trasporto centro-europeo 65 che va da Malmö in Svezia (sbarcando con il traghetto proprio a Świnoujście) fino a Creta, passando per Polonia, Cechia, Slovacchia, Ungheria, Croazia, Montenegro, Kosovo, Serbia, Macedonia e Grecia.
Ultimo progetto da citare in questo contesto, ma non per importanza, è la cosiddetta autostrada Go Odessa-Danzica, potenzialmente inseribile nella Belt and Road Initiative della Cina.
Quanto ai collegamenti via rotaia, la priorità è la Ferrovia Baltica Varsavia-Tallinn, che dovrebbe essere completata entro il 2025, con l’aggiunta di un tunnel sottomarino verso Helsinki per la metà degli anni Trenta. Il successo dell’asse Kiev-Leopoli-Przemyśl, realizzato dalle ferrovie ucraine di Ukrzalinznycja nel dicembre 2016, è un esempio da seguire e replicare altrove. Aggiungere nuove ferrovie dedicate sulle rotte Wrocław-Cracovia-Przemyśl-Leopoli-Ternopil’-Khmel’nytc’kyj-Vinnycja-­Kiev e Varsavia- Lublino-Chełm-Kovel’-Korosten’-Kiev ridurrebbe il traffico ai valichi di frontiera polacco-ucraini, questione sempre più urgente dopo l’esenzione per i visti verso l’Ue rilasciata nel giugno 2017. Anche i treni locali sulle tratte Lublino-Chełm-Kovel’-Rivne-Žytomyr e Przemyśl-Leopoli-Ivano-Frankivs’k-Čer­nivci aiuterebbero a ridurre la congestione al confine.
Nel Trimarium figurano anche tre progetti per vie d’acqua: la E30 da Świnoujście sul Baltico, lungo l’Oder, l’Elba e il Danubio fino al Mar Nero; la E40 fra gli stessi due mari da Danzica a Odessa; la E70 fra l’Oder e la Vistola, parte di un asse che collega Rotterdam a Klaipėda.
Secondo obiettivo: energia e transito di materie prime
La cooperazione energetica nel Trimarium è nata come reazione alla sfida posta dalla Russia, evidente nelle cosiddette guerre del gas fra Mosca e Kiev iniziate subito dopo la prima rivoluzione di Jevromajdan (2004), culminate nel 2009 e accompagnate dall’aggressione militare russa a partire dal 2014. La risposta dell’Iniziativa dei Tre Mari è incarnata nel corridoio nord-sud che punta a collegare il già esistente terminal di gas naturale liquido di Świnoujście sulla costa baltica a quello pianificato sull’isola croata di Krk nel Mar Adriatico. Un progetto che si allaccia a quello del Northern Gateway, un gasdotto baltico per unire i giacimenti norvegesi con il mercato polacco. Gli investitori sono: Gaz-System (Polonia), Gassco (Norvegia) e Energinet (Danimarca). È coinvolto anche il principale distributore del gas polacco, Pgnig, con la sua sussidiaria Pgnig Upstream Norway che detiene quote di venti giacimenti nel Mar del Nord. Il costo stimato è di 1,6-2,2 miliardi di euro, avrà una capacità di 10 miliardi di metri cubi (bcm) annui, sarà completato entro il 2022 e potrà anche funzionare in senso inverso. Affinché siano efficaci, però, questi investimenti dovranno essere affiancati a interconnettori tra i paesi del Gruppo di Visegrád, i loro vicini del Trimarium e pure l’Ucraina. In particolare, la creazione del corridoio nord-sud richiede la realizzazione di tre ulteriori interconnettori: fra Polonia e Ucraina, fra Polonia e Slovacchia – entrambi previsti per il 2020 – e fra Polonia e Cechia, per il quale non è stata ancora stabilita una scadenza.
L’interconnettore polacco-slovacco dovrebbe unire Strochocin e Vel’ké Kapuša­ny. La sua capacità annuale sarà di 4,7 bcm verso la Slovacchia e di 5,7 verso la Polonia. I principali investitori sono Gaz-System e la slovacca Eustream, i quali hanno stanziato 83 milioni di euro. Il progetto è sostenuto da 108 milioni provenienti dai fondi europei della Connecting Europe Facility. L’interconnettore ceco-polacco, invece, andrà da Libhošt’ in Repubblica Ceca alla località di confine di Hat’ per poi proseguire fino a Kȩdzierzyn Koz´le. Avrà una capacità di 5 bcm verso la Repubblica Ceca e di 2,5 nel senso opposto. I costi non sono stati stimati, anche se sono noti gli investitori: Gaz-System sarà qui affiancata dalla ceca Netgas. Quanto all’interconnettore polacco-ucraino, il suo tracciato previsto va da Hermanowice in Polonia a Bil’če Volycja in Ucraina, passando per la stazione di Strochocin. La capacità prevista è fra i 5 e gli 8 bcm e oltre alla solita Gaz-System l’altro investitore è Uktranshaz.
Per Varsavia e Kiev il progetto è motivato da timori di sicurezza energetica, ma anche gli altri due interconnettori – nonostante una più spiccata dimensione economica – possono essere inquadrati come risposta a una minaccia. Le rendite slovacche e ucraine sono infatti messe a repentaglio dal gasdotto russo-tedesco Nord Stream 2. Il bilancio polacco non dipende affatto dalle tasse di transito per il gas russo, ma le finanze dell’Ucraina sarebbero immediatamente destabilizzate qualora queste risorse smettessero di passare per il suo territorio. E nemmeno Bratislava se la passerebbe benissimo. Ecco perché le capitali di entrambi i paesi cercano alternative. La capacità slovacca di reverse flow (9,85 bcm all’anno) è l’unica che ha taglia strategica nella regione ed è solo grazie a essa che l’Ucraina è sopravvissuta al primo inverno post-Jevromajdan (2014-15) dopo l’arresto delle forniture di gas dalla Russia. Questo esempio e quello del blocco russo anti-ucraino del 2009 mostrano come nessuno sia al sicuro nella geopolitica del gas europeo. Chiunque può restare al freddo, sia il protettorato russo della Transnistria che Bulgaria o Repubblica Ceca – queste due relativamente in buoni rapporti sia con Mosca che con la Germania, il principale partner di Nord Stream 2 e acquirente di Gazprom. Ecco perché le nazioni che si sentono minacciate dall’aleatorietà del gas russo hanno deciso di dotarsi di più tangibili garanzie di sicurezza energetica.
La soluzione è il gas naturale liquido (gnl). La nuova politica di esportazione degli Stati Uniti ne ha aumentato l’interesse per il mercato europeo. Non c’è dubbio su chi la Polonia preferirebbe vedere come maggior fornitore fra l’alleato americano e l’aggressivo vicino russo. Il 16 giugno 2017 la prima spedizione sperimentale di gnl a stelle e strisce è arrivata a Świnoujście, seguita dall’annuncio del presidente Trump a Varsavia che gli Stati Uniti riforniranno l’Europa centrale, promessa mantenuta il 21 novembre con la firma di un contratto polacco-americano. Ciò ha fornito un forte impulso alla dimensione energetica del Trimarium, rendendo il successo della cooperazione in questo ambito molto probabile.
La sfida con il progetto russo-tedesco di Nord Stream 2 sarà particolarmente serrata, non solo perché lo sbocco di quest’ultimo è a Greifswald, a una decina di chilometri dallo snodo polacco di Świnoujście. L’iniziativa russo-tedesca rischia di saturare il mercato del gas in Europa centrale, rendendo così la regione vulnerabile nei confronti delle pressioni politiche di Mosca. Per questo, dal punto di vista della Polonia, è cruciale che la Commissione europea imponga a tutte le componenti di Nord Stream 2, inclusi i fondali baltici e il gasdotto Opal, l’acquis communautaire, ossia applichi il terzo pacchetto legislativo sull’energia. Il risultato sperato dovrebbe essere una maggiore suddivisione degli interessi della rete del gas.
La sfida a Nord Stream 2 accomuna Polonia e Slovacchia dentro il formato del Trimarium e Ucraina e Bielorussia al di fuori di esso. È altamente probabile che questi paesi coopereranno con gli scandinavi e i baltici, dal momento che ognuno di essi teme il dominio russo e percepisce l’esportazione di gas come strumento della politica estera del Cremlino. D’altronde, si erano opposti pure alla realizzazione del primo Nord Stream.
L’attenzione americana per il mercato del gnl centro-europeo e le misure del Congresso degli Stati Uniti contro Nord Stream 2 forniscono un certo ottimismo e sono state salutate dalla Polonia come gesti concreti da parte di Washington per sostenere il Trimarium. Le iniziative americane combaciano alla perfezione con i piani infrastrutturali della regione. In particolare con il Corridoio nord-sud, visto da Varsavia come una garanzia per l’approvvigionamento regionale di gas nel caso in cui la Russia causi un’interruzione delle forniture di gnl a Świnoujście attraverso il Baltico. Al di là di questo progetto, il Gas Interconnector Poland-Lithuania (Gipl) collegherà la polacca Hołowczyce alla lituana Jauniūnai entro il 2021. Gli investitori sono Gaz-System, Amber Grid (Lituania) e l’Innovation Network Executive Agency dell’Ue, per un costo stimato di 558 milioni di euro. Il Gipl intende connettere la rete del gas dei tre baltici con quella del resto dell’Ue, ma i suoi piani saranno facilmente complicati dalla natura competitiva dei terminal di gnl: oltre a quello già citato di Świnoujście, ce n’è uno a Klaipėda e ne sono pianificati a Skulte (Lettonia), Tallin e Paldiski (Estonia) e Costanza (Romania).
Ai progetti infrastrutturali energetici del Trimarium si potranno aggiungere anche due collegamenti elettrici al momento ancora in fase di pianificazione: il primo è il LitPol Link fra la polacca Ełk e la lituana Alytus e il secondo è fra località non ancora definite di Polonia e Ucraina.
Conclusioni
L’Iniziativa del Trimarium non punta a sostituirsi all’Ue o alla Nato e non è stata creata contro qualcuno o qualcosa, ma per promuovere la cooperazione regionale. Anche se focalizzata per il momento solo sulle infrastrutture, potrebbe rafforzare anche le relazioni transatlantiche attirando le forniture di gnl dagli Stati Uniti. Un’Europa centro-orientale coesa è cruciale soprattutto per la Polonia, paese situato all’incrocio delle regioni baltica e danubiana e il più grande in termini di popolazione. Assieme alla Cechia e all’Ungheria, si distingue per la doppia esperienza di aver dominato e di essere stata dominata. Memori di tale retaggio storico, i polacchi sono propensi a espandere un’iniziativa come questa basata sul rispetto reciproco e sull’uguaglianza fra i partner. Il suo successo dipende dal genuino sostegno degli Stati più piccoli e pertanto a ottenerlo non basterà un rispetto di facciata per la loro dignità e i loro interessi. Nel Trimarium non ci dovrebbe essere una potenza dominante. E qualora qualcuno ci provasse, l’intero edificio crollerebbe.