DIBATTITO SU QUESTIONI INTERNAZIONALI PER UNA CITTA' INTERNAZIONALE

giovedì 14 settembre 2017

IL PORTO FRANCO INTERNAZIONALE DI TRIESTE E' REALTA'. NON SPRECHIAMOLA - A 70 anni dal Trattato di Pace del 1947 che lo istituiva: il 15 settembre 1947 - Un articolo appena uscito su Limes On Line nazionale -

E' appena uscito sull' edizione on-line di Limes un articolo sul Porto Franco Internazionale di Trieste.
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IL PORTO FRANCO INTERNAZIONALE DI TRIESTE E' REALTA'.
NON SPRECHIAMOLA 

Il decreto Delrio-Padoan toglie la città giuliana dal dimenticatoio, aprendola alle nuove vie della seta cinesi.
Ma la lenta deburocratizzazione potrebbe disincentivare potenziali investitori. Così come potrebbe attivare l’indipendentismo e l’autonomismo
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di Paolo Deganutti   14/9/2017


Il 31 luglio è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto del 13 dello stesso mese a firma dei ministri Delrio e Padoan. Nel testo vengono regolamentati i punti franchi del porto franco internazionale di Trieste accentrando sull’autorità portuale le competenze amministrative e autorizzative prima disperse su più enti, spesso scoordinati tra loro.

Come scritto in un precedente articolo, questo decreto era atteso dal dopoguerra ed esplicitamente previsto dalla legge 84 del 1994 sulla portualità. Così facendo, sono resi pienamente operativi i punti franchi anche per le attività industriali.

Grazie al presidente degli Spedizionieri triestini Stefano Visintin da noi consultato, è stata riportata una sommaria descrizione dei vantaggi del porto franco internazionale di Trieste. Si parla già di aggiungere una no tax area all’extraterritorialità doganale. Il punto di forza principale è che la città giuliana è un porto franco nel cuore dell’Europa, ben collegato e con un’estesa rete ferroviaria.

La spinta a superare questa lunghissima impasse è venuta dall’interesse cinese a utilizzare lo scalo di Trieste, unico porto franco in Europa, nell’ambito della Belt and Road Initiative (Bri), ossia le nuove vie della seta. Il porto di Trieste già guarda a Nord e a Est e lavora al 90% con l’Europa Centrale e Orientale con cui ha buoni collegamenti ferroviari.

All’inizio di giugno è stato siglato un accordo di collaborazione strategica 
 tra il porto franco internazionale di Trieste e il porto fluviale – l’hub intermodale tedesco di Duisburg – che le mappe di Pechino indicano come terminal della nuova via della seta terrestre con cui è già attivo un collegamento ferroviario.

Cresce dunque l’integrazione di fatto dello scalo marittimo triestino, che già era stato porto dell’impero asburgico, nell’attuale Mitteleuropa e nella Kerneuropa in gestazione.

Una rivincita della geografia, della storia e dell’economia sulle retoriche nazionaliste.

La strategia dell’autorità portuale di Trieste prevede l’utilizzo produttivo e industriale dell’extraterritorialità doganale dei punti franchi: una caratteristica esclusivamente triestina, conseguenza del Trattato di pace del 1947 recepito dall’Unione Europea e ampiamente richiamato nel recente decreto.

L’ampliamento dei punti franchi consentirebbe di realizzare un efficiente retroporto in grado di fissare sul territorio il valore aggiunto generato dai traffici, i quali non sarebbero solo di passaggio ma contribuirebbero a una nuova reindustrializzazione di un’area che nei decenni si è ridotta.

Una prospettiva che il presidente dell’autorità portuale D’Agostino ha espresso pubblicamente nell’affollato convegno sulle nuove vie della seta organizzato dal Limes Club di Trieste il 30 gennaio scorso.

Entro la fine del 2017 dovrebbero esserci i primi insediamenti produttivi. Le aspettative sono notevoli, tanto da portare uno dei maggiori operatori portuali, Enrico Samer, ad affermare che entro 5 o 10 anni il volto stesso della città giuliana cambierà. È di questi giorni l’interessamento del colosso dello shipping Msc per un’area industriale in regime di punto franco.
La classificazione del 2003 di un’ampia parte dell’ex zona industriale di Trieste come sito inquinato nazionale non ha portato negli ultimi 14 anni ad alcuna iniziativa. Si tratta di un evidente ostacolo alla promozione industriale sia per i costi dell’eventuale bonifica sia soprattutto per le stancanti trafile burocratiche presso ministeri e uffici, incompatibili con i tempi delle sfide globali e incomprensibili agli occhi potenziali investitori esteri.

Al fine di velocizzare le procedure per accorciare la catena burocratica, particolarmente onerosa in caso di siti inquinati nazionali, è in atto il trasferimento di alcune aree alla competenza della Regione autonoma con la possibilità di non passare dai ministeri, almeno per quanto riguarda 75 ettari prossimi alle banchine sui 500 complessivi.

Da più parti è stata fatta notare l’opportunità di una gestione ancora più efficiente, decentrata e autonoma di un territorio che, intorno a un porto franco internazionale e soggetto alle sollecitazioni dei mercati globali, deve rispondere a criteri di efficienza e velocità da cui la bizantina burocrazia ministeriale, ma anche regionale, risulta molto lontana.

Difficilmente un investitore internazionale aspetterebbe mesi e anni di procedure,autorizzazioni paesaggistiche comprese, per realizzare un insediamento produttivo nell’ambito di un porto franco. Le precedenti esperienze negative di interessamento cinese, vedasi il porto di Taranto, sono di ammonimento.

Questo rafforza le istanze autonomiste che guardano con interesse all’esperienza, per esempio, della provincia autonoma di Bolzano. Inoltre, gli esiti dei referendum autonomisti di ottobre in Veneto e Lombardia potrebbero avere ripercussioni in Friuli e a Trieste. Aree da sempre impregnata di un endemico autonomismo e indipendentismo, rilevabile anche sulla fascia costiera slovena e croata e che aveva fatto parte del “litorale austriaco-Österreichisch-illirisches küstenland” sotto l’impero asburgico.

Intanto, il vicinissimo e concorrente porto sloveno di Koper-Capodistria sarà protagonista il 24 settembre di un referendum contro la legge sul raddoppio della linea ferroviaria voluta da Lubiana. Legge che i suoi critici considerano “arruffata” e che, soprattutto, prevede un aumento delle tasse sulle merci in transito come copertura finanziaria.

Il porto di Capodistria, che ha un entroterra di riferimento uguale a quello di Trieste, nell’immediato dopoguerra non esisteva ma è cresciuto tanto da superare abbondantemente lo scalo triestino – dal 1954 sotto amministrazione italiana – saturando la linea ferroviaria che oggi ha assoluto bisogno di un raddoppio. Secondo la comunità locale, questo non deve avvenire alle condizioni fiscali dettate da Lubiana.

Questa regione da un secolo è ancora priva di equilibrio ed è stata ripetutamente smembrata da Stati nazione emersi nel corso del Novecento. È recente l’acutizzazione della tensione fra Slovenia e Croazia, con rappresaglie sui pescherecci, per il rifiuto di Zagabria di accettare l’arbitrato internazionale della Corte dell’Aja del 29 giugno che assegnava alla Slovenia gran parte delle acque della baia di Pirano, a 20 chilometri da Trieste, nonché l’accesso diretto alle acque internazionali dal porto di Koper-Capodistria.

Intanto sul “fronte del porto” nei Balcani prosegue l’iniziativa cinese: si parla di un altro progetto strategico che affiancherebbe la pianificata linea ferroviaria veloce da Budapest al Pireo, già sotto il controllo di Pechino. Si tratta di un canale navigabile dal porto fluviale di Belgrado sul Danubio all’Egeo, vicino a Salonicco.

Tramite il Danubio navigabile si arriverebbe all’importante porto fluviale di Vienna, che già ora ha movimenti per oltre 500 mila TEU all’anno e rappresenta un nodo logistico intermodale di importanza strategica in Europa. Il trasporto con navigazione interna nella fitta rete di fiumi e canali che solca l’Europa rappresenta circa il 7% del totale, con punte del 40% nei Paesi Bassi. L’Ue intende incentivare questa modalità per il minore impatto ambientale e la maggior economicità.

Questi progetti di creazione di nuove rotte commerciali, all’apparenza faraonici, vanno monitorati, perché sono alla portata delle attuali tecnologie e soprattutto delle ingenti risorse mobilitate dalla Bri. Realizzarli è perfino più semplice dell’idrovia tra Trieste e il Danubio (Bratislava) progettata dal Politecnico di Milano e pubblicata nel 2007 con il nome di progetto Adriatico.

Anche il Canale di Suez, ora raddoppiato, all’epoca sembrava solo un sogno avveniristico. Trieste tuttavia – con il Lloyd austriaco, le Assicurazioni Generali di Giuseppe Morpurgo e il barone Pasquale Revoltella – credette nel progetto, avendone intuito le enormi potenzialità di guadagno.


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