DIBATTITO SU QUESTIONI INTERNAZIONALI PER UNA CITTA' INTERNAZIONALE

domenica 10 settembre 2017

GLI INVESTIMENTI CINESI NEL MEDITERRANEO TRA CUI IL PORTO FRANCO INTERNAZIONALE DI #TRIESTE - Un articolo di Limes: "Gli investimenti cinesi nei porti mediterranei scorrono lungo la rotta marittima delle Nuove Vie della Seta. Il Pireo è il perno, il Canale di Suez il collo di bottiglia. Gibuti come trampolino militare. Trieste e Genova, le mete promesse."


Secondo articolo sulla geopolitica del Mediterraneo e il Porto Franco Internazionale di Trieste. Per il primo clicca QUI:

LE ANCORE DELLA CINA NEL MARE NOSTRUM

Pubblicato in: MEDITERRANEI - n°6 - 2017 30/6/17 
di Giorgio Cuscito
Gli investimenti cinesi nei porti mediterranei scorrono lungo la rotta marittima delle nuove vie della seta. Il Pireo è il perno, il Canale di Suez il collo di bottiglia. Gibuti come trampolino militare. Trieste e Genova, le mete promesse.

1. La Cina ha gettato l’ancora nel Mediterraneo. Pechino sta investendo massicciamente nei portidel Mare nostrum per farne la cerniera tra la rotta terrestre e quella marittima della Belt and Road Initiative (Bri, o nuove vie della seta), il progetto infrastrutturale e commerciale lanciato da Xi Jinping nel 2013. La Repubblica Popolare è interessata ai porti che hanno un valore strategico, possibilmente collocati in paesi stabili sul piano politico ed economico, che le consentano di controllare i colli di bottiglia del commercio mondiale oppure di sviluppare rotte alternative per ridurre la dipendenza dagli stessi. Seppur in ritardo rispetto ad altri Stati, l’Italia si sta ritagliando un ruolo nella Bri. Lo ha confermato il viaggio di metà maggio del presidente del Consiglio Paolo Gentiloni in Cina per il Forum delle nuove vie della seta, dove ha ottenuto l’ok dei cinesi agli investimenti nel porto di Trieste e Genova.
La Bri sta contribuendo all’incremento delle attività economiche e della presenza di cittadini cinesilontano dal loro paese. Per questa ragione, gli analisti in Cina riflettono su come proteggere le sue rotte. È probabile che l’impegno di Pechino in tema di sicurezza nel Mediterraneo aumenterà in proporzione agli interessi della Repubblica Popolare nella regione. Generando nuove opportunità di collaborazione con i paesi rivieraschi, Italia inclusa, per il mantenimento della stabilità regionale.


Geostrategia dei porti
Negli ultimi anni, la crescita economica cinese ha determinato un notevole impatto sui flussicommerciali che attraversano il Mar Mediterraneo. Nel 1995, le rotte transpacifiche rappresentavano il 53% dei traffici globali, quella Europa-Estremo Oriente solo il 27%. Oggi il gap è notevolmente diminuito: la seconda ha raggiunto il 42% mentre la prima è scesa al 44% 1.
I porti in cui la Cina sta investendo si trovano sia sulla sponda Sud sia su quella Nord del Mare nostrum. Le operazioni più importanti sono condotte dal colosso della logistica China Ocean Shipping Company (Cosco).
Gli investimenti infrastrutturali cinesi in Africa non sono certo una novità, anzi precedono di una trentina d’anni il lancio della Bri. Ad ogni modo, le nuove vie della seta vi hanno dato nuova linfa sul piano progettuale. In prossimità di Tangeri in Marocco, sullo Stretto di Gibilterra, la Cina costruirà un grande parco industriale che ospiterà duecento multinazionali. Per la struttura, grande circa duemila ettari, da realizzare nell’arco di 10 anni, l’investimento previsto è di 10 miliardi di dollari. Dall’altra parte dello Stretto, la Cosco ha acquisito il 51% della spagnola Noatum Port Holdings, il cui 49% resterà sotto il controllo della Tpih Iberia. La Noatum gestisce il più grande terminal container nel porto di Valencia (tra i primi porti del Mediterraneo) e l’unico dello scalo di Bilbao, rispettivamente nel Nord-Ovest e nell’Est della Spagna 2. Il costo dell’operazione è stato di circa 228 milioni di dollari.
Più a est, in Algeria, prima destinazione per volume d’investimenti cinesi nel Nordafrica, la Cina ha firmato nel 2016 un accordo da 3,3 miliardi di dollari per costruire e sfruttare il centro di transhipment del porto di Šaršāl, a 60 chilometri da Algeri. Il porto avrà 23 moli capaci di processare 26 milioni di tonnellate di beni ogni anno. Il progetto dovrebbe essere completato nei prossimi sei anni, più altri quattro per la messa in servizio, con la China Shanghai Port Group ad assicurarne la gestione 3. Tra gli obiettivi vi è anche consentire l’accesso al mare ai paesi limitrofi che ne sono privi, come il Mali.
La Cina è il più grande investitore nello sviluppo della regione intorno al Canale di Suez in Egitto.Qui dal 2009 ha avviato la costruzione della China-Egypt Suez Economic and Trade Cooperation Zone, posizionata sulla sponda occidentale del Golfo di Suez, a ridosso dell’area dove è stato ampliato il Canale e a circa 120 chilometri dal Cairo. Al momento sono in corso i lavori di espansione della Zona economica, che hanno un valore pari a 230 milioni di dollari 4. A Porto Sa‘īd, la Cosco fa parte di una joint venture che gestisce il Suez Canal Container Terminal. Lo scopo della Zona economica speciale egiziana e delle altre 68 create lungo la Bri è favorire la domanda di prodotti cinesi, l’espansione delle piccole-medie imprese della Repubblica Popolare in gruppi industriali più grandi, esportare l’esperienza cinese in materia di sviluppo per aiutare a crescere le economie dei paesi dove sono state create. I volumi delle merci che attraversano il Canale di Suez sono più che raddoppiati (+124%) dal 2001 al 2016 e hanno reso il Mar Mediterraneo sbocco principale per il 19% del traffico globale, per il 25% dei servizi di linea container e per il 30% del petrolio. Il 56% delle merci che attraversa Suez approda nei porti del Mediterraneo per poi raggiungere il cuore dell’Europa 5. Secondo le statistiche dell’Autorità del Canale, lo scorso maggio lo hanno attraversato 1.484 navi, di cui 477 portacontainer. Circa 16.800 sono quelle che ne hanno usufruito nel 2016, 46 al giorno 6.
In Israele, la Repubblica Popolare vuole costruire la ferrovia Med-Red per unire il porto di Ashdodsul Mar Mediterraneo e quello di Eilat, bagnato dal Mar Rosso. A tal fine, nel primo scalo la China Harbor Engineering costruirà un nuovo porto da 876 milioni di dollari. L’obiettivo della rotta è alleggerire (solo parzialmente) la dipendenza dei flussi commerciali cinesi dal passaggio attraverso il Canale di Suez. Lo Shanghai International Port Group inoltre ha ottenuto una concessione di 25 anni per la gestione del porto di Haifa. Israele è il primo fornitore della Cina per la tecnologia avanzata nel campo agricolo e presto potrebbe entrare nella Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib), la banca infrastrutturale a guida cinese 7.
In Turchia, Cosco ha acquisito il 65% del Kumport Terminal, il terzo più grande del paese.Localizzato a pochi di chilometri da İstanbul e bagnato dal Mar di Marmara, Kumport potrebbe collegarsi alla rotta terrestre della Bri proveniente dal Medio Oriente e coordinarsi con il porto del Pireo, controllato dalla Cosco per il 67%. Gli affari tra Pechino e Ankara procedono nonostante il presunto sostegno di quest’ultima ai jihadisti di etnia uigura (minoranza turcofona che popola la Regione autonoma cinese del Xinjiang). Alcune migliaia di loro (Damasco sostiene 5 mila) avrebbero raggiunto la Siria passando per la Turchia per combattere con lo Stato Islamico o con le guerriglie che si oppongono al regime di al-Asad.
Il Pireo è il perno più importante dei flussi commerciali della Bri una volta giunti nel Mar Mediterraneo. In aprile il volume di container accolti dalla Cosco nello scalo greco è stato pari a circa 296 mila teu 8 (+10,8%) 9. Nei piani cinesi, il Pireo dovrebbe essere collegato al cuore dell’Europa grazie alla costruzione di una linea ferroviaria lunga 350 chilometri passante per i Balcani lungo l’asse Skopje-Belgrado-Budapest. Tuttavia, la penisola balcanica è tutt’altro che stabile sul piano geopolitico. Inoltre, lo scorso febbraio, la Commissione europea ha avviato un’indagine sulla rotta in questione per valutarne la fattibilità finanziaria e verificare se l’Ungheria – che ha affidato la costruzione dei binari ai cinesi – abbia violato la normativa europea secondo cui devono essere organizzate gare pubbliche per grandi progetti trasportistici transfrontalieri. Insomma, sviluppare questa rotta ferroviaria potrebbe essere meno semplice e sicuro di quanto pensavano i cinesi.


Trampolino Gibuti
La presenza cinese a Gibuti è di estrema rilevanza nell’ambito dello sviluppo e della protezione della rotta marittima della Bri e quindi per gli interessi di Pechino nel Mar Mediterraneo. Il piccolo ma strategico paese del Corno d’Africa è uno dei perni su cui ruota tale strategia. Il prossimo anno, Pechino completerà qui la costruzione della sua prima struttura logistica militare incaricata di supportare le operazioni antipirateria nel Golfo di Aden. La Cina assicura che non sarà responsabile di operazioni di combattimento, ma ne ha confermato la rilevanza nell’ambito della protezione delle nuove vie della seta. Non a caso, a Gibuti è stata creata la Silk Road International Bank, prima banca commerciale cinese all’estero, e China Telecom ha scelto di espandere il suo network nell’Africa orientale attraverso il Gibuti Data Center (Gdc), tra i principali punti d’incontro per i sistemi di cavi sottomarini. Attraverso di essi passa il 99% del traffico telefonico e Internet mondiale e il loro controllo è un fattore di potenza nella geopolitica dell’informazione.
A maggio a Gibuti è stato inaugurato il porto multiuso di Dūrāla, costruito dalla China State Construction Engineering Corporation e costato 590 milioni di dollari. Questo si trova in prossimità della struttura militare cinese e potrà gestire 7,08 milioni di tonnellate di merci all’anno 10. A gennaio è inoltre entrata in funzione la linea ferroviaria che collega Gibuti a Addis Abeba (Etiopia), finanziata al 70% dalla China Exim Bank e costruita dalla China Civil Engineering Construction Corporation e dalla China Railway Construction Corporation. In Etiopia, la Repubblica Popolare sta investendo ingenti somme di denaro per l’estrazione del gas naturale.
È probabile che la Cina costruisca basi analoghe a quella di Gibuti in paesi con cui ha relazioniamichevoli da molto tempo, che condividono interessi strategici comuni e possibilmente in corrispondenza di porti commerciali. Ciò faciliterebbe ipotetiche operazioni di evacuazione dei cittadini cinesi da teatri di crisi e l’assistenza umanitaria nella cornice Onu. Inoltre garantirebbe la sicurezza delle rotte commerciali. Tra le mete papabili per nuove basi militari vi sono Karachi in Pakistan e Ṣalāla in Oman, che come Gibuti, Gedda (Arabia Saudita) e Aden (Yemen) sono tra gli scali che negli ultimi anni hanno ricevuto più visite da parte delle navi della Marina militare cinese per manutenzione e rifornimento 11.
La Cina è il primo paese per truppe fornite alle missioni di peacekeeping tra i membri del Consiglio di sicurezza Onu e negli ultimi anni ha incrementato notevolmente gli sforzi in tali operazioni per tutelare maggiormente i propri interessi (in particolare in Africa) e consentire alle truppe di acquisire esperienza lontano dai suoi confini. Qualora fosse dotata di una portaerei, la base di Gibuti potrebbe offrire questa opportunità anche all’Aeronautica cinese, sinora poco impiegata all’estero.


Una rotta per l’Italia
Il governo cinese ha promesso al presidente del Consiglio italiano Paolo Gentiloni (unico leader del G7 presente all’evento) che investirà nei porti di Trieste e Genova, ma non è stata stabilito quando ciò avverrà. Gli scali italiani, come ha sottolineato Gentiloni, non dovrebbero essere considerati in competizione con il Pireo (non c’è paragone in termini di capacità), il cui successo peraltro gioverebbe in parte anche agli interessi nostrani, poiché Trainose, principale operatore ferroviario ellenico, è controllata da Ferrovie dello Stato. Due settimane dopo il viaggio del capo del nostro governo, una delegazione della Repubblica Popolare ha visitato Trieste. L’interesse di Pechino per questa meta dipende dal fatto che si tratta dell’unico porto europeo che gode di extraterritorialità doganale ed è collegato via treno all’Europa centrale e orientale 12. Secondo Gentiloni, i cinesi avrebbero mostrato interesse anche per possibili collaborazioni con l’Italia in triangolazione con altri paesi in Africa e nei Balcani.
Anche prima del forum della Bri non sono mancati tentativi spontanei dei nostri porti per proporsi lungo le nuove vie della seta. A Venezia, per ora non tra le prime scelte di Pechino, è in fase di progettazione una piattaforma plurimodale affidata al consorzio italo-cinese 4C3, costituito da China Communication Constructions Company Group (azienda statale cinese), 3Ti Progetti Italia e E-Ambiente. Obiettivo: ovviare al problema dei fondali troppo bassi (circa 12 metri) e ampliare la capacità di ricezione delle merci.
Genova, Savona-Vado e La Spezia hanno creato insieme la Ligurian Port Alliance per competere con i porti del Nord Europa. Da febbraio 2016, al Voltri Terminal Europa vi sono le maxigru gooseneck (a collo d’oca) made in China in grado di gestire navi da 20 mila teu. La Cosco è azionista della piattaforma di Vado Ligure insieme all’azienda danese Apm Terminals (Gruppo Maersk). Qui il gigante cinese costruirà un terminal container semiautomatizzato che sarà operativo nel 2018 e potrà movimentare 900 mila teu l’anno e accogliere le portacontainer da 19-20 mila teu. 
I porti del Mezzogiorno non rientrano ora nei piani della Cina, che in passato aveva cercato – senza riuscirci – di puntare su Taranto e Gioia Tauro. Eppure, sul piano geografico, gli scali del Sud Italia sarebbero convenienti in quanto non obbligherebbero le navi in transito a raggiungere il Nord dell’Adriatico e del Tirreno per poi fare dietro front. Il problema è che le infrastrutture e la rete ferroviaria nel Meridione sono carenti. L’integrazione tra binari, porti, retroporti e rete Ten-t è essenziale per valorizzare la posizione geografica della penisola lungo la Bri.
Le nuove vie della seta non permetterebbero all’Italia di svolgere solamente il ruolo di snodo per i flussi commerciali dalla Cina, ma anche di far crescere la cooperazione con la Repubblica Popolare in settori quali tecnologie verdi, urbanizzazione, aviazione, aerospazio, sanità e servizi sanitari, sicurezza alimentare e agricoltura. In tal senso, una notizia positiva giunge dalla rotta terrestre. Da settembre, il polo logistico integrato di Mortara (Pavia) sarà collegato via treno alla città di Chengdu lungo la prima rotta Cina-Italia. Il partner cinese è Changjiu Group (oltre 20 miliardi di fatturato) tramite Changjiu Logistics. I treni merci arriveranno in circa 18 giorni per tornare indietro carichi di prodotti made in Italy. Per il 2018 sono previsti fino a tre viaggi a settimana e il collegamento con Shanghai e Pechino. La struttura di Mortara è all’incrocio del corridoio mediterraneo e del corridoio Reno-Alpi della Trans European Network-Transport (Ten-t), che dovrebbe entrare in funzione nel 2030.
La Sardegna è invece sui radar di Pechino per la collaborazione nel settore dell’urbanizzazione. In provincia di Pula, vicino Cagliari, l’azienda Huawei ha aperto un centro d’innovazione congiunto con il Centro di ricerca, sviluppo e studi superiori in Sardegna (Crs4) dedicato ai progetti di ricerca sulle smart & safe city e al miglioramento della connettività su scala metropolitana. La Repubblica Popolare infatti sta sviluppando un audace piano d’urbanizzazione per garantire l’aumento dei consumi interni e della qualità della vita dei cittadini, tentando di ridurre gli altissimi livelli d’inquinamento. Lo scorso novembre, un mese prima dell’apertura del centro della Huawei, il presidente Xi Jinping è transitato per Cagliari dove ha incontrato in maniera informale l’allora presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi. Ciò ha attirato l’attenzione dei media cinesi sulla Sardegna.
Sul fronte agroalimentare è rilevante che nei primi due mesi del 2017 l’esportazione di prodotti italiani in Cina sia aumentata del 12% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Quello complessivo ha registrato un +33,7%. Inoltre, è stato annunciato recentemente lo sblocco dell’esportazione di agrumi italiani verso la Repubblica Popolare e nei prossimi mesi potrebbe verificarsi lo stesso per la carne bovina. L’interesse di Pechino per il cibo italiano dipende da tre fattori interni alla Cina: l’aumento del consumo di alimenti, la scarsità di terre coltivabili (solo il 7% di quelle del pianeta) in proporzione alla popolazione (il 22% di quella mondiale) e il cambio della dieta cinese, oggi più orientata al consumo di proteine e latticini.
In futuro, la crescente presenza cinese nel Mediterraneo potrebbe offrire all’Italia e all’Europa la possibilità di cooperare anche sul piano della sicurezza. Pechino oggi nutre scarsa fiducia verso il modo occidentale di rispondere alle crisi mediorientali e africane. A cominciare da quella in Libia, da cui Pechino ha evacuato circa 36 mila connazionali nel 2011 e dove gli affariå cinesi ammontavano prima della crisi a circa 20 miliardi di dollari tra settore immobiliare, ferrovie, telecomunicazioni ed energia. Alla luce di ciò e della forte presenza economica cinese in Africa non c’è da stupirsi dell’impegno profuso dalla Cina nell’ambito delle missioni di peacekeeping Onu, che le hanno consentito di fatto di proteggere i propri interessi in quel continente tenendo allo stesso tempo fede – sul piano formale – al principio di non-interferenza. Eppure, la crescita degli interessi e delle minacce lungo la Bri potrebbero spingere Pechino a cercare anche qui nuove forme di collaborazione da cui l’Italia potrebbe trarre beneficio per stabilizzare la vicina sponda Sud del Mediterraneo.


Note
1. Dati tratti da E. Fardella, A. Ghiselli (a cura di), «Cina: Il Mediterraneo nelle nuove vie della seta», Osservatorio di politica internazionale, n. 132, maggio 2017.
2. «Zhongyuan haiyun shougou xibanya Noatum gangkou konggu gongsi 51% gufen» («La Cosco acquisce il 51% del capitale della spagnola Noatum port holding»), Cosco.com, 12/6/17.
3. «Zhongguo gongsi yu Aerjiliya qianyue gongtong xingjian a zuida gangkou» («Aziende cinesi e Algeria firmano accordo per la costruzione di un mega-porto»), Xinhua, 18/1/2016.
4. «Expansion of Sino-Egyptian Economic Zone to Start soon», Xinhua, 20/1/0216.
5. «Le relazioni economiche tra l’Italia e il Mediterraneo», Rapporto 2016, Studi e ricerche del Mezzogiorno.
6. «Suez Canal Traffic Statistics», Suez Canal Authority, maggio 2017.
7. Liu Zhen, «Free Trade and Top Tech: What China Wants from Israel», South China Morning Post, 21/3/2017.
8. Unità equivalente a venti piedi, misura standard di volume nel trasporto dei container.
9. S. Igaz, «Container Turnover of Cosco Shipping Ports Increased by 10% in April 2017», Maritime Herald, 17/5/2017.
10. «Zhongguo jianzhu chengjian de Jibuti Duohalei duo gongneng gangkou zhengshì kai gang» («Il porto multiuso di Doraleh a Gibuti costruito dalla Cina ha aperto»), Xinhua, 24/5/2017.
11. A. Erickson, A. Strange, «China’s Blue Soft Power: Antipiracy, Engagement, and Image Enhancement», Naval War College Review, 68, 1, 2015.
12. P. Deganutti, «Il porto franco di Trieste piace a Mitteleuropa e Cina. L’Italia è altrove», Limes, «A chi serve l’Italia», n. 4/2017.



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