DIBATTITO SU QUESTIONI INTERNAZIONALI PER UNA CITTA' INTERNAZIONALE

venerdì 5 gennaio 2018

L’IMPERO DEL CENTRO NELL’EUROPA DI MEZZO - Pechino vede nella Mitteleuropa uno snodo cruciale delle nuove vie della seta - La rapida costruzione di infrastrutture - Un articolo di Limes che dovrebbe far pensare parecchio e velocemente su temi di cui si parlerà anche al convegno del 10 gennaio a Trieste -


Pechino vede nella Mitteleuropa uno snodo cruciale delle nuove vie della seta, ma Bruxelles e Berlino temono l’eccessiva influenza cinese a due passi da casa. Per prevenire l’impasse servono trasparenza dei progetti e apertura della Cina ai capitali esteri.

1. L’europa di mezzo attira la Cina poiché congeniale allo sviluppo dei suoi progetti infrastrutturali nella cornice della Belt and road initiative (Bri, o nuove vie della seta). I motivi di tale convenienza sono due.
Il primo è la posizione strategica, che ha reso l’area compresa tra il Baltico e il Mar Nero uno storico terreno di scontro tra Germania, Russia, Turchia e Stati Uniti. In particolare, agli occhi del Dragone la penisola balcanica appare uno snodo idoneo a far confluire verso il Nord Europa le proprie merci scaricate al porto del Pireo, greco per geografia, cinese di proprietà.

Il secondo è la convenienza economica. I paesi dell’Europa centro-orientale si distinguono per bassi costi degli asset e del lavoro, alta richiesta di prestiti, attitudine al commercio e impellente necessità di sviluppo.

La presenza economica della Cina nell’Europa di mezzo è al momento inferiore a quanto si pensi, ma Bruxelles e Berlino temono che Pechino voglia minare la stabilità dell’Ue creando qui una sua area d’influenza, da usare come strumento di pressione nelle relazioni sino-europee. Elevando la trasparenza dei progetti infrastrutturali, Pechino può cogliere due obiettivi: contenere le preoccupazioni europee e rafforzare il suo soft power.
Il sesto summit «16+1» tra Repubblica Popolare e paesi dell’Europa centro-orientale (acronimo inglese Ceec), svoltosi lo scorso novembre a Budapest, ha confermato l’interesse cinese per questa fetta di continente 1. Il primo ministro cinese Li Keqiang si è recato all’evento con due obiettivi. Il primo era incoraggiare scambi commerciali e progetti infrastrutturali nella cornice Bri, in cui il summit «16+1» è ora pienamente incardinato. Per questo, Li ha annunciato investimenti per 3 miliardi di dollari e la creazione di un’associazione interbancaria Cina-Ceec. Il secondo obiettivo era rassicurare Bruxelles sul fatto che il summit non è uno strumento geopolitico e che la Cina non intende danneggiare l’integrità dell’Ue.
L’impostazione dell’evento suscita ciclicamente le perplessità europee. Questo è organizzato annualmente dal segretariato per la cooperazione Cina-Ceec, che opera sotto il ministero degli Esteri di Pechino. Il segretariato è cinese, mentre ai paesi europei spetta un ruolo marginale, legato al coordinamento dell’iniziativa a livello nazionale. Dal 2016 questa cornice di collaborazione conta anche sul fondo China-Central Eastern Europe, in cui Pechino ha versato 10 miliardi di euro e che si concentra su infrastrutture, manifattura hi-tech e beni di consumo.
I Ceec apprezzano gli investimenti cinesi per tre ragioni. Primo, sperano che contribuiscano al miglioramento delle infrastrutture esistenti e che rendano più efficienti i trasporti, sia interni sia diretti al cuore del Vecchio Continente. Secondo, si augurano che alimentino l’occupazione e la crescita economica. Terzo, l’interesse cinese può essere utilizzato come leva negoziale nei confronti di Bruxelles, con cui permane la frattura legata all’emergere dei nazionalismi, al dossier migratorio e a quello energetico (raddoppio del gasdotto Nord Stream, che collega Russia e Germania).
È presto per valutare il riverbero della presenza cinese sull’Europa centrale. Secondo una ricerca del Center for Strategic and International Studies e del Financial Times, dal 2012 a oggi la Cina ha annunciato nei paesi dell’Europa centro-orientale investimenti per 15 miliardi di dollari nel settore delle infrastrutture e nelle industrie affini. Le principali mete dei progetti (di cui diversi in corso d’opera) sono nell’ordine: Bosnia, Cechia, Romania, Serbia, Ungheria, Montenegro, Macedonia, Albania, Polonia e Croazia 2.
A Budapest, durante il summenzionato summit, Li Keqiang ha detto che la cifra investita complessivamente dal Dragone nei Ceec è pari a 9 miliardi di dollari. Non molto se si pensa che quella elargita nell’intera Ue ha toccato i 65 miliardi e che gli investimenti totali nell’Europa centro-orientale (la maggior parte giunta dagli Stati Uniti e da altri paesi europei) hanno raggiunto i 25 miliardi di dollari 3.
L’interscambio Cina-Ceec ha superato invece i 58 miliardi di dollari nel 20164. La cifra, inferiore ai 100 miliardi preventivati da Pechino entro il 2015, rappresenta solo una porzione dei 600 miliardi di dollari (oltre 500 miliardi di euro) del commercio sino-europeo 5.
Anche lo scambio culturale Cina-Ceec non è così ampio. Dal 2012 Pechino inietta annualmente circa 250 mila euro nel Fondo di ricerca per le relazioni tra la Cina e l’Europa centro-orientale, ma vi è ancora scarsa comprensione e fiducia circa le attività cinesi: un sentimento da tenere in considerazione per migliorare le percezioni reciproche 6.
2. Il progetto infrastrutturale più rilevante avviato dalla Cina nell’Europa di mezzo è la China-Europe Land-Sea Express Line. Nei piani di Pechino, questa linea ferroviaria dovrebbe passare per Macedonia, Serbia e Ungheria trasportando verso l’Europa occidentale le merci cinesi che approdano al porto del Pireo, controllato dal gigante della logistica cinese Cosco. La tratta ferroviaria Budapest-Belgrado, lunga 350 chilometri e finanziata per l’85% dalla cinese Exim Bank, ridurrebbe il tempo di percorrenza da 8 a 2,5 ore 7.
Belgrado ha iniziato ufficialmente la costruzione della propria sezione durante il summit in Ungheria, ma proprio in questo paese lo sviluppo della linea ha incontrato degli intoppi. Poche ore prima del vertice, Budapest ha infatti annunciato che avrebbe indetto una gara pubblica per la realizzazione della sua sezione. Così facendo il governo di Viktor Orbán ha dato ragione alla Commissione europea, che lo scorso febbraio aveva avviato un’indagine per verificare se l’appalto dei lavori alla China Railway International Corporation fosse conforme alle normative europee sulle gare pubbliche per i grandi progetti infrastrutturali. La decisione ungherese ha suscitato opinioni negative in Cina, come quella di John Gong – professore della University of International Business and Economics di Pechino – che ha criticato l’Ue per aver «intimidito» Budapest 8. Non è escluso che un’azienda cinese ottenga comunque l’appalto. Richieste da parte di imprese di altra nazionalità metterebbero in imbarazzo Budapest e causerebbero il malcontento di Pechino, che finanzia il progetto.
Nessuno dei due governi è interessato a prolungare lo stallo. Come affermato nel 2011 dall’allora primo ministro Wen Jiabao, Pechino considera l’Ungheria un punto d’ingresso nel mercato europeo. Del resto, le sette principali autostrade che si diramano dal paese collegano 480 milioni di consumatori nel raggio di mille chilometri, e dieci paesi all’interno di questo territorio sono membri dell’Ue 9.
Budapest ricambia l’attenzione cinese. Durante il summit 16+1 dello scorso anno, Orbán ha detto senza mezzi termini che «il centro di gravità dell’economia mondiale si è spostato da ovest a est, nonostante qualcuno in Occidente ancora lo neghi» 10. Inoltre, Ungheria e Grecia sarebbero stati tra i paesi che nel 2016 hanno contribuito a smussare i toni di una dichiarazione Ue sul rispetto da parte di Pechino della sentenza emanata dalla Corte internazionale d’arbitrato dell’Aia sulla disputa marittima con le Filippine nel Mar Cinese Meridionale. La versione pubblicata non si riferisce esplicitamente alla Repubblica Popolare 11.

3. L’andamento della China-Europe Land-Sea Express Line interessa l’Italia per due motivi. In primo luogo, Ferrovie dello Stato controlla TrainOse, il principale operatore ferroviario in Grecia. In secondo luogo, lo sviluppo di questa linea influenza la concorrenza tra i nostri scali marittimi e il Pireo. Trieste, Genova e Venezia non possono competere con il porto greco in termini di dimensioni, tuttavia puntano a ritagliarsi una propria fetta di traffico contando sulla vicinanza geografica al cuore dell’Europa e sull’allacciamento ai corridoi intermodali del Trans-European Transport Network (Ten-t), che dovrebbero potenziare i collegamenti infrastrutturali europei entro il 2030.
Anche altri progetti cinesi hanno incontrato delle difficoltà. In Macedonia, il ministro dei Trasporti e delle Comunicazioni ha bloccato la costruzione dell’autostrada Kičevo-Ohrid, lunga 57 chilometri e del valore di 373 milioni di euro, per presunte perdite statali (155 milioni). Nel 2014 il Montenegro ha invece firmato con la Cina un accordo da 800 milioni di euro per la costruzione del tratto autostradale da Bar (principale porto del paese affacciato sull’Adriatico) a Boljare (località al confine con la Serbia, da cui dovrebbe raggiungere Belgrado), malgrado il Fondo monetario internazionale avesse avvisato Podgorica dei possibili danni alla stabilità fiscale del paese. Questo segmento fa parte del corridoio paneuropeo XI – finanziato in larga parte dalla Cina – che dovrebbe in futuro collegare Bari, Belgrado e Timişoara (Romania) e intercettare il corridoio IV diretto verso Budapest.

Per Pechino, l’Ue è rilevante sia in quanto principale partner commerciale, sia come meta d’investimenti, ambito in cui primeggiano Regno Unito, Germania e Italia 12. Per questo il governo cinese osserva con preoccupazione i provvedimenti di Bruxelles a protezione del mercato comunitario.

In tale contesto rientra la proposta del presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker di una nuova cornice normativa volta a prevenire acquisizioni di aziende d’interesse strategico da parte di compagnie statali extracontinentali. Per entrare in vigore la mozione dovrà essere approvata dal Parlamento europeo e dagli Stati membri in sede di Consiglio. In ogni caso, la cornice normativa rimarrà flessibile e i singoli paesi avranno l’ultima parola su qualunque investimento.

Poi vi è l’accordo informale tra Parlamento, Consiglio e Commissione europea dello scorso ottobre sull’adozione di un nuovo metodo di calcolo dei dazi antidumping per le importazioni da paesi terzi, in caso di significative distorsioni di mercato o di pervasiva influenza economica dello Stato esportatore. La misura non fa distinzione tra i paesi con status di economia di mercato e gli altri, pertanto vanificherebbe gli sforzi della Cina, che da tempo chiede di vedersi accordato tale riconoscimento. Secondo Pechino, le normative stabilite dall’Organizzazione mondiale del commercio non menzionano il concetto di «significative distorsioni di mercato» per questo settore e la metodologia non sarebbe conforme a quanto previsto dall’organismo.

L’approvazione del sistema dovrebbe avvenire a breve e prenderà in considerazione diversi criteri: le politiche dello Stato in questione, la diffusa presenza di imprese pubbliche, la discriminazione a favore delle aziende interne e il grado d’indipendenza del settore finanziario. La Commissione redigerà dei rapporti per identificare paesi e settori che presentano distorsioni.

Per evitare di danneggiare i rapporti con l’Ue, Pechino dovrà anzitutto preservare quelli con Berlino. Questi sono solidi sul piano economico, ma la Germania non vuole rinunciare alla sua sfera d’influenza geoeconomica, che comprende paesi quali Polonia, Cechia, Slovacchia e Ungheria. Ciò spiega perché lo scorso agosto il ministro degli Esteri tedesco Sigmar Gabriel abbia chiesto agli europei di parlare con «una sola voce» a Pechino, esortando quest’ultima a adottare la politica «un’Europa», così come l’Ue riconosce «una sola Cina» (cioè non Taiwan). Il paragone, non calzante sul piano storico e geopolitico, ha generato malcontento a Pechino. La portavoce del ministero degli Esteri cinese Hua Chunying si è augurata che Gabriel possa chiarire cosa intende per «un’Europa» e se c’è consenso su questo concetto tra i membri dell’Ue 13. Dalle pagine del quotidiano Global Times, il professor Cui Hongjian ha risposto che il summenzionato concetto è attuabile sul piano geografico, ma non su quello politico ed economico 14, poiché l’Ue non rappresenta per intero il Vecchio Continente. Cui ha poi punzecchiato Berlino, aggiungendo che la creazione di «un’Europa» dipende dai paesi della regione e soprattutto dalla Germania, in quanto potenza principale.

4. L’aumento della tensione tra Cina e Ue è controproducente per entrambe. Pechino può rendere le nuove vie della seta uno strumento più accattivante agli occhi europei in due modi.

Il primo è aprire ulteriormente il proprio mercato alle aziende straniere, fronte su cui già si intravedono dei risultati. La Repubblica Popolare infatti non ha bisogno solo di esportare, ma di stimolare i consumi e gli investimenti in entrata. In Ungheria, Li Keqiang ha infatti detto che nei prossimi cinque anni la Cina importerà prodotti per 8 mila miliardi di dollari. Il governo cinese ha recentemente diminuito i dazi di circa il 10% su quasi 200 prodotti (alimentari, farmaceutici e ricreativi). Si tratta per ora di una misura cosmetica, che amplia lievemente i margini degli importatori cinesi, ma non determina cali sensibili dei prezzi al consumo.

Pechino inoltre ha da poco annunciato l’innalzamento delle quote azionarie estere in banche (non solo commerciali), fondi d’investimento e compagnie assicurative dal 49 al 51%, per aprire gradualmente il mercato finanziario. Il concetto di liberalizzazione non si applica al socialismo con caratteristiche cinesi, dove il volante dell’economia resta saldamente in mano pubblica. Tuttavia, è probabile che in futuro assisteremo ad altre misure di questo genere. In tale contesto, i paesi europei devono servirsi delle nuove vie della seta per potenziare le loro attività nella Repubblica Popolare. La crescita del 26% delle esportazioni italiane in Cina tra gennaio e agosto e il recente arrivo a Chengdu del primo treno partito dal polo logistico di Mortara (Pavia) con a bordo merci made in Italy suggeriscono che il nostro paese, seppur lentamente, si sta muovendo.

Il secondo modo per arginare i dubbi di Bruxelles e Berlino potrebbe essere accrescere il livello di trasparenza e affidabilità dei progetti. Nei prossimi anni, le sfide che le nuove vie della seta incontreranno sul piano economico, geopolitico e della sicurezza aumenteranno e ciò ne complicherà la riuscita. Il rallentamento o addirittura il blocco di piani da miliardi di euro potrebbe compromettere l’affidabilità della Cina come investitore e quindi la sua capacità d’influenza. Oggi la pianificazione e la direzione dei progetti spetta al Gruppo ristretto per l’avanzamento dello sviluppo della Bri, istituito dal Consiglio di Stato, il supremo organo amministrativo del paese. Questo ente poi attua i piani con l’ausilio di organi nazionali (Commissione nazionale per lo sviluppo delle riforme, ministero degli Esteri e del Commercio), del Silk Road Fund, della Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib) e di imprese di Stato. Tale struttura consente a Pechino di far progredire in maniera relativamente rapida i progetti in Eurasia, ma potrebbe non essere adeguata a sostenere la crescita dell’iniziativa.

La creazione di un ente ad hoc incaricato di valutare e coordinare i progetti sarebbe una soluzione per rafforzare la trasparenza e l’efficienza della Bri. Se questo coinvolgesse attivamente anche i paesi partner dell’iniziativa cinese, contribuirebbe al soft power della Repubblica Popolare.

NOTE
1. I paesi partecipanti al summit sono: Albania, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Cechia, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Macedonia, Montenegro, Polonia, Romania, Serbia, Slovacchia e Slovenia.
Di questi Albania, Serbia, Macedonia, Montenegro e Bosnia-Erzegovina non sono membri Ue. I primi quattro sono in procinto di recepirne la legislazione, il quinto non soddisfa ancora i requisiti per l’adesione, goo.gl/vFVDP3
2. J. Kynge, M. Peel, «Brussels Rattled as China Reaches out to Eastern Europe», Financial Times, 27/11/2017
3. V. Zaneli, «What Has China Accomplished in Central and Eastern Europe?», The Diplomat, 25/11/2017.
4. «Zhongguo tuidong “16+1 hezuo” jie shuoguo» («La “cooperazione 16+1” proposta dalla Cina ha raggiunto ottimi risultati»), sito del Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese, 27/11/2017.
5. «European Union, Trade in Goods with China», Commissione europea, 17/11/2017
6. Cfr. Liu Zuokui, «Yidai yilu changyi beijing xia de 16+1 hezuo» («La Belt and Road Initiative nel contesto della cooperazione 16+1»), Dangdai Shijie Yu Shihui Zhuyi, n. 3, 2016.
7. Hu Yuanyuan, «Hungary to Serbia Railway now Well on Track», China Daily, 16/8/2016.
8. J. Tong, «Opinion: Public Tender in Budapest», Cgtn, 27/11/2017.
9. Liu Guomin, «Shangmao wuliu yuanqu shi liantong zhong’ou shuniu» («Il parco logisitico e commerciale è il perno dei collegamenti in Europa centrale), China Trade News, 6/72017
10. Discorso di Viktor Orbán alla conferenza Cina-Ceec, 6/10/2016
11. R. Emmott, «EU’s Statement on South China Sea Reflects Divisions», Reuters, 15/7/2016
12. «Chinese Investment in Europe: Record Flows and Growing Imbalances», Merics, gennaio 2017.
13. Conferenza stampa della portavoce del ministero degli Esteri cinese Hua Chunying del 31/8/2017.
14. Cui Hongjian, «Dreams of “One Europe” Need Actions to Match», Global Times, 6/9/2017.



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