DIBATTITO SU QUESTIONI INTERNAZIONALI PER UNA CITTA' INTERNAZIONALE

lunedì 28 settembre 2020

STORICA CONNESSIONE TRIESTE-AMBURGO ! PORTO FRANCO: TANTO PREOCCUPAVA L’ ARRIVO DELLA CINA CHE E’ ARRIVATA LA GERMANIA - HHLA, COLOSSO LOGISTICO DI AMBURGO, ACQUISISCE IL NUOVO GRANDE TERMINAL PORTUALE E SI AFFIANCA AD ALTRI IMPORTANTI INVESTIMENTI CENTROEUROPEI.


Questa è la versione estesa dell' articolo per Limes On Line di Paolo Deganutti (clicca QUI)

E’ di portata geopolitica l’ annuncio ufficiale dell’ acquisizione da parte del colosso amburghese HHLA (Hamburger Hafen und Logistik AG) del nuovo grande terminal del porto di Trieste. La HHLA è una Compagnia tedesca di logistica e trasporto di importanza strategica che gestisce 3 terminal su 4 del porto di Amburgo che è il principale della Germania. Fondata nel 1885 è partecipata dalla città di Amburgo che gode del rango di Stato nella Repubblica Federale di Germania. 

Si tratta del più importante investimento privato mai avvenuto nel Porto Franco Internazionale di Trieste: circa un miliardo complessivamente sarà speso in alcuni anni per la Piattaforma Logistica su cui si innesterà il grande Molo 8° servito da un nuovo hub ferroviario che prenderà il posto dell’ “area a caldo”  della Ferriera (l’ “ILVA triestina”) per il quale anche le Ferrovie Austriache (ÖBB) hanno espresso il loro interesse (
come per la Piattaforma Logistica e l’ Interporto di Fernetti). 

Inoltre alcune settimane fa è stato confermato l’acquisto di una quota dell’ Interporto di Trieste, che controlla la nuova Zona Franca industriale “Freeste”, da parte di Duisport  società del Porto di Duisburg: il più importante porto interno e hub intermodale non solo della Germania ma del mondo intero, nonché terminal ferroviario europeo della “Via della Seta-BRI” terrestre.Si tratta, tra l’altro, di un partner che ha già maturato in patria un’esperienza specifica nel risanamento di aree industriali dismesse ed inquinate e nella loro trasformazione in hub logisitci.

Nei mesi scorsi è stato anche siglato un contratto di compravendita tra il governo ungherese e i due soggetti privati Teseco e Seastock, primo passo per la realizzazione di un terminal  multipurpose, proprio in un’altra area dismessa e da bonificare. 
Obiettivo dell’Ungheria è disporre di una piattaforma per l’ import-export capace di 
garantire l’uscita marittima entro 24 ore. Il tutto rivalorizzando l’ex sede dell’impianto petrolifero dell’Aquila con un investimento iniziale di 100 milioni €.

La HHLA acquisirà la maggioranza della società che ha la concessione – restando ovviamente pubblica la proprietà – del futuro più grande terminal del Porto Franco Internazionale di Trieste dotato di fondali naturali di 18 metri, in regime di Porto Franco, collegato efficientemente alla rete ferroviaria e stradale europea. Gli investimenti per la costruzione del Molo 8°, già approvato dal Piano Regolatore del Porto, saranno principalmente a carico del colosso amburghese della logistica.

Con l’ arrivo delle società dei porti di Amburgo e di Duisburg che si aggiungono all’ oleodotto transalpino TAL con il terminal petrolifero SIOT- che forniscono il 100% del fabbisogno petrolifero della  Baviera e del Baden-Württemberg, il 90% dell’Austria e oltre il 30% della Repubblica Ceca - si ricostruisce l’ antico legame di Trieste con l’ entroterra mitteleuropeo.
Un  legame che si era rivitalizzato dopo la caduta del Muro di Berlino e che si era molto sviluppato negli ultimi anni soprattutto grazie alle ferrovie per il trasporto merci, vecchia eccellenza dell’ Impero Asburgico.

L’ interesse del più grande porto tedesco per Trieste ha anche delle motivazioni pratiche: Amburgo è un porto sul fiume Elba a 100 km dalla costa con problemi di fondali che le nuove gigantesche portacontainer richiedono sempre più profondi mentre le ricorrenti siccità dovute ai cambiamenti climatici aumentano le criticità delle vie d’ acqua fluviali. Si creano dunque problemi sia di accessibilità nautica dei porti che di navigabilità delle rete di canali interni, vera linfa dei porti del nord Europa. 
Anche le linee ferroviarie intorno ai porti del Nord, prima della crisi pandemica del 2020, davano segnali di saturazione mentre, stante il progetto germanico di  taglio delle emissioni di CO2 del 55% rispetto al 1990, è difficile pensare ad uno sviluppo del sistema autostradale federale.

Appare quindi logico da parte del porto tedesco investire nel porto di Trieste che invece gode di fondali marini naturali profondi 18 metri, di un’estesa rete ferroviaria con margini di sviluppo senza enormi investimenti,  rotte marittime più brevi per l’ Oriente attraverso il raddoppiato Canale di Suez, coniugati al regime di Porto Franco che rende conveniente non solo la manipolazione e lo stoccaggio delle merci ma anche la loro trasformazione industriale allo stato estero.

La trasformazione industriale in regime di Porto Franco è il tema cruciale per l’ economia triestina, essendo necessaria per creare valore aggiunto sul territorio, cosa che il mero transito di container non può fare anche per la sempre maggior automazione del lavoro dei terminal.
I vantaggi delle zone franche portuali sono particolarmente attraenti sia per l’ insediamento di nuove industrie e servizi sia per il “reshoring” cioè il rientro di imprese precedentemente delocalizzate: processo accelerato dalla crisi del Covid-19.

Il 24 luglio scorso il Consiglio Regionale ha convocato per un’ audizione sul tema del Porto Franco il presidente dell'Autorità di sistema portuale del mare Adriatico orientale, Zeno D'Agostino e Stefano Visintin, presidente della CONFETRA FVG , che si è conclusa con una mozione di richiesta a Roma di piena attuazione del regime di  Porto Franco appoggiata da tutte le forze politiche.
D’ Agostino, che era stato reinsediato da un mese con una massiccia mobilitazione dei lavoratori portuali e della città dopo un maldestro tentativo di destituzione, ha fatto delle dichiarazioni molto nette:
mentre noi siamo qui a perdere opportunità preziose e legittime, l'ufficio legislativo del ministero per l'Economia e le Finanze (Mef) non riconosce l'extraterritorialità doganale di Trieste, perché non riesce a interpretare il fatto che un trattato internazionale deve essere rispettato" .
"Il Porto franco - ha proseguito D'Agostino - potrebbe essere il luogo dove le imprese tornano a fare attività e a essere aggressive. Basta leggere i venti articoli dell'allegato ottavo del Trattato di pace di Parigi del 1947 e le poche righe nel Memorandum di Londra del 1954 per apprendere che il porto di Trieste gode di determinati benefici e che qui devono essere applicati addirittura quelli migliori tra tutte le zone franche del mondo".

"Lo Stato italiano, nell'ambito della sua comunicazione a Bruxelles relativa ai territori extra doganali, si è dimenticato di dire che esiste il porto franco di Trieste. E anche di aggiungere che ha tutti i requisiti in regola per essere presente nella lista.”

"l'Europa verificherà se ci sono le basi giuridiche. L'ostacolo più insidioso non è tuttavia Bruxelles ma Roma”.  (clicca QUI 

Stefano Visintin è stato altrettanto chiaro:

vi è certezza che la trasformazione industriale delle merci nel porto franco di Trieste è fattibile, nonché prevista anche da un decreto del 1959. Perché farlo? Intanto, smentisco la possibilità di pagare di meno i lavoratori, perché vengono applicati i contratti di lavoro nazionali con forti controlli da parte dell'Autorità di sistema. Inoltre, la Dogana rende impossibili falsificazioni o contrabbando, proprio perché il porto franco è soggetto a maggiori controlli ai varchi. I vantaggi della lavorazione di merci allo stato estero derivano dalla possibilità di acquisire l’origine europea anche se nessuna materia prima è stata mai introdotta in Unione Europea: ciò deriva dal fatto che il porto franco di Trieste è territorio politico dell’Unione Europea, ma non fa parte del suo territorio doganale.

L'utilità è dunque legata al fatto che le merci rimangano allo stato estero e chi le detiene non deve anticipare dazi e IVA prima che vengano immesse in lavorazione e ai differenziali dei dazi applicati sul prodotto finito e sulle materie prime nei Paesi di destinazione”.
Concetti senz’altro complessi, molto più sofisticati della mera riduzione delle imposte, che all’interno dell’Unione Europea può essere consentita solo per un periodo limitato ed in aree particolarmente depresse. L’extradoganalità del punto franco triestino rappresenta un unicum in territorio italiano ed europeo ma i numerosi governi italiani “non hanno mai comunicato correttamente all’Unione Europea il suo status”, escludendo de facto la possibilità di uno sviluppo industriale del porto franco triestino.

 Con la svolta rappresentata dall’ arrivo degli amburghesi di HHLA c’è da domandarsi se la pluridecennale resistenza romana alla piena applicazione del regime di Porto Franco continuerà a fronte di prevedibili richieste tedesche e centroeuropee di applicazione dei trattati internazionali a favore delle loro imprese insediate nel porto triestino.

Già in passato vi era stata la richiesta dei Governi di Austria e Germania di rispettare il Trattato di pace di Parigi che confermava il Porto Franco di Trieste con annesso divieto di tassazione eccedente il corrispettivo dei servizi resi,  in opposizione ad un aumento del 150% delle tasse e dei diritti marittimi nei porti italiani previsto dalla legge 255 del 1991. Di conseguenza il Consiglio di Stato, con parere del 21 marzo 1996, si era espresso a favore di un regolamento ministeriale che consentisse l'inapplicabilità della normativa generale nello scalo giuliano.

E’ paradossale, ma non inaspettato, che i sostenitori del Porto Franco di Trieste risiedano a Berlino, Vienna e Budapest ma non a Roma impegnata a gestire campanilistiche rivalità fra porti: particolarmente assurde in questo caso visto che il porto giuliano lavora per il 90% con l’ estero mentre tutti i porti italiani si rivolgono solo al mercato interno.

Si aggiunga che, finito il lock-down, Trenitalia e Alitalia hanno soppresso numerosi servizi passeggeri con la Penisola rendendo ancora più precari e complicati i collegamenti soprattutto con Roma al punto da provocare proteste ufficiali delle Autorità locali. 

Si è dunque accentuata la

perifericità di Trieste dall’ Italia nel mentre si è accresciuta la sua centralità rispetto all’ Europa o meglio Kerneuropa e la sua integrazione nella rete logistica e “supply chain” tedesca.

 

Nel mondo uscito dalla pandemia, le “supply chains” sono destinate ad essere più corte di prima e, contemporaneamente, alcune produzioni strategiche devono essere riportate in Europa, non solo per creare occupazione e valore, ma anche per permettere la disponibilità immediata dei prodotti considerati fondamentali, dopo che è emersa in tutta la sua drammaticità la indisponibilità di prodotti salvavita, a causa del trasferimento totale della loro produzione in paesi extraeuropei.

 Se Trieste possa diventare o meno uno dei centri produttivi e distributivi delle catene di valore europee dipende fondamentalmente dal governo italiano dove il ministro del MISE Patuanelli si è impegnato per il riconoscimento della piena extradoganalità dello scalo trovando però resistenze: certamente la strategia tedesca nel porto giuliano ci fa comprendere che non ci sono nemici o oppositori al di là delle Alpi.

Non solo il Porto è inserito nella “catena di valore” tedesca: si pensi anche al settore assicurativo con le triestine RAS, Lloyd Adriatico e SASA (assicurazioni navali) acquisite dalla bavarese Allianz - prima Compagnia al mondo nel settore delle assicurazioni - che a Trieste mantiene i centri elaborazione dati e molti uffici.

E’ un processo di reintegrazione di fatto di Trieste nella Mitteleuropa che si sviluppa contestualmente all’ attivazione della faglia geopolitica che da sempre passa per Trieste e che la pone al centro di tensioni internazionali sin dal secolo scorso (si pensi alla “Cortina di Ferro da Stettino a Trieste” del famoso discorso di Churcill nel 1946), come era parso evidente anche dalle pesanti reazioni, in particola USA, alle notizie su possibili investimenti cinesi nel porto.

Illustri e disinformati personaggi politici e giornalisti si erano sbilanciati nel dare per già venduto, anzi “svenduto”, ai cinesi il Porto di Trieste, analogamente a quanto avvenuto con il Pireo.
Come si vede le cose non stavano così: sia perché nulla poteva essere venduto trattandosi  di concessioni su proprietà pubbliche subordinate al controllo dell’ Autorità Portuale, sia perché a sbarcare in forze è stata la Germania (di cui tuttavia la Cina è il primo partner commerciale).

Trieste è un buon sismografo della situazione internazionale
 ed ha già registrato le turbolenze del confronto USA-Cina nei mari asiatici.

Il 26 agosto scorso il Segretario di Stato degli Stati Uniti 

Mike Pompeo ha emesso un durissimo comunicato con cui, in conseguenza delle tensioni con la Cina nel Mar Cinese Meridionale,  ha annunciato l’ inserimento nella “black list” della China Communications Constructions Company (CCCC) la gigantesca compagnia con cui nel marzo 2019 l’ Autorità Portuale di Trieste aveva firmato il memorandum d’ intesa riguardante una parte dello sviluppo ferroviario dello scalo, la partecipazione triestina nell’ importante interporto slovacco di Kosice e il progetto di export del vino italiano in Cina tramite  apposite  Zone Economiche Speciali in loco, in un quadro di evidente reciprocità.

Ma la CCCC tramite il suo ramo China Shipbuilding Group aveva siglato nel 2018 anche un accordo di cooperazione con la Fincantieri, cha ha sede a Trieste, e con l’ americana Carnival per la costruzione di navi da crociera destinate al mercato asiatico e la gestione dei terminal.
Tra i rami della CCCC c’è anche la ZPMC che è il più grande produttore mondiale di gru da terminal container  che serve, tra gli altri, una buona metà dei porti americani.

E’ evidente che una messa al bando della CCCC, già fortemente radicata in occidente, avrebbe conseguenze di difficile gestione perfino negli USA.
Tuttavia l’ AD di Fincantieri Giuseppe Bono è ottimista perché l’ accordo siglato non prevede il trasferimento di know how mentre il Presidente dell’ Autorità Portuale rileva che “spetta a Roma indicarci con quali soggetti possiamo trattare e noi prenderemo le precauzioni del caso” facendo trasparire un maggior pessimismo sulla realizzazione di quanto previsto dal memorandum soprattutto come conseguenza dei rallentamenti dovuti al Covid. (Il Piccolo 16/9/20 pag. 18).

Stiamo dunque assistendo alla connessione  strutturale tra due città portuali europee finora operanti su rotte antagoniste e tale da dare impulso a tutto il Nord Adriatico:  Amburgo che si fregia del titolo di  “Freie und Hansestadt”-“Città Libera e Anseatica” essendo  tuttora una città-stato federata alla Repubblica Federale tedesca e Trieste che fino al 1918 aveva il titolo di “Reichsunmittelbare Stadt Triest und ihr Gebiet”-“Città Imperiale di Trieste e dintorni”,  Land autonomo nell’ Impero con una propria Dieta (parlamento).
La Storia ha tuttora un suo peso soprattutto in queste terre che hanno vissuto sulla propria pelle il tormentato ‘900. 

E' il primo, e finora unico, intervento di rilievo di un grande porto del Nord Europa in un porto europeo sul Mediterraneo.
HHLA recentemente è intervenuta anche nei porti di Tallin sul Mar Baltico e di Odessa sul Mar Nero ma la sua presenza a Trieste si annuncia decisamente come la più strategica.

Paolo Deganutti


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