DIBATTITO SU QUESTIONI INTERNAZIONALI PER UNA CITTA' INTERNAZIONALE

giovedì 14 novembre 2024

ZENO D’ AGOSTINO DI NUOVO SULLA SCENA: E CHE SCENA! LA “DEVELOPMENT ROAD” GOLFO PERSICO - TURCHIA


 

ZENO D’ AGOSTINO DI NUOVO SULLA SCENA: E CHE SCENA! LA “DEVELOPMENT ROAD” TRA IL GOLFO PERSICO E TURCHIA CHE BYPASSA SUEZ ED E’ ALTERNATIVA ALLA ASSURDA“ VIA DEL COTONE” ISRAELO-AMERICANA .
Mentre a Trieste c’è chi esalta sul Piccolo la ipotetica e improbabile “Via del Cotone” concepita a Washinghton e che attraverserebbe Arabia Saudita e Israele, decolla la “Development Road” dal porto iracheno di al FAW fino alla Turchia.
E dalla Turchia con l’ Autostrada del Mare tra Trieste e la Turchia le merci cinesi, indiane e orientali arriverebbero facilmente a Trieste bypassando Suez attualmente bloccato, senza che le navi militari occidentali riescano a ripristinare la rotta.
E, sorpresa !, la progettazione e la direzione dei lavori della costruzione del porto di FAW sul Golfo Persico sono affidati alla Technital il cui presidente è Zeno D’Agostino, stimato ex presidente del Porto di Trieste.
A concorrere alla costruzione del Grand Faw Port vicino a Bassora del costo di 17 miliardi sono grandi aziende internazionali compreso le cinesi come COSCO e China Mercants Port Group ma anche MSC e Adani. Con buona pace del boicottaggio dei rapporti con la Cina e delle Nuove Vie della Seta che ora vanno per la maggiore.
Ne parla il Secolo XIX di Genova e ne tace il Piccolo di Trieste. Tra l’altro segnalando un accordo sulla Blue Economy tra Shanghai e Genova, che evidentemente è più attenta ai propri interessi di Trieste.
Chi vuole saperne di più su questi corridoi commerciali può leggere il mio libro “Trieste Porto Franco Internazionale o bastione militare della Nato” cui a breve si aggiungerà un seguito sulla “Guerra delle Rotte Commerciali”.

paolo deganutti

IL MALE SECONDO NETANYAHU



mercoledì 6 novembre 2024

COSA ASPETTARSI DALLA RIELEZIONE DI TRUMP A PRESIDENTE DELL’ IMPERO AMERICANO? Breve analisi a caldo

 


1) La politica estera (imperiale) degli USA la decidono gli apparati dello stato e non i Presidenti che hanno poteri limitati in questo campo.
2) I Presidenti possono cambiare lo stile, gli accenti e, in parte, i tempi della politica imperiale americana: non la sostanza che è uguale sia per Repubblicani che Democratici ed è dettata dalle correnti prevalenti nello stato cosiddetto profondo (NON eletto).
3) Trump, come tutti i Repubblicani, ha una maggior tendenza all’ isolazionismo e a concentrarsi sui (grossi) problemi interni. Perciò tende a ritirarsi dagli scenari mondiali, senza però rinunciare ai benefici di essere Impero.
    I Democratici, invece, che si sentono portatori di una missione salvifica universale (non richiesta), tendono ad essere interventisti (facendo danni) e a considerarsi moralmente superiori.
4) L’ elezione dell’ isolazionista Trump, che da buon businessman ha la propensione alla trattativa dura ma anche agli accordi che rispettino le rispettive sfere di influenza, è funzionale ai progetti ora prevalenti nel Pentagono di ritirarsi dall’ Ucraina (anche per contrastare la saldatura tra Russia e Cina) e dalla difesa europea per concentrarsi sulla Cina e sul Pacifico.
    Pertanto si avvicina il disimpegno dalla guerra in Ucraina, possibilmente in un modo meno catastrofico che in Afganistan, riversando sugli “alleati”europei, in realtà satelliti, i costi sia militari che di ricostruzione del “buco nero” ucraino.
    Si potrà verificare la famosa affermazione di Henry Kissinger "Essere nemici degli Stati Uniti è pericoloso ma esserne alleati è letale".
5) I servi sciocchi della UE (Italia in testa) resteranno con il cerino in mano dovendo aumentare le spese militari e spendere follie per ricostruire l’ Ucraina. Dopo aver avuto l’ economia devastata da guerra e sanzioni.
    Gli USA hanno conseguito l’ obiettivo di tagliare le gambe all’ industria tedesca (da cui dipende quella italiana) “disaccopiandola” dall’ oriente eurasiatico e distruggendo i suoi pilastri: gas russo a basso costo e esportazioni verso i “cattivi” orientali (Cina in testa) definiti "Asse del Male".
6) Si accentuerà lo scontro militare in Medio Oriente e l’ appoggio a Israele per farlo diventare l’ egemone nell’ area in grado di tenere l’ Ordine Americano in quel quadrante per conto di Washinghton, che intende concentrarsi sul Pacifico.        Aumenterà la conflittualità con l' Iran, per impedire diventi potenza regionale antagonista.
    Netanyahu ieri ha licenziato il suo, relativamente più moderato, ministro della difesa Gallant lasciando campo libero ai suoi mastini di estrema destra. Sa che avrà più spazio.
    L’ Iran prenderà le sue contromisure fino alla costruzione dell’ atomica.
    La Turchia non tollererà nell’ area un egemone israeliano proxy degli USA. O ci sarà un accordo o la situazione deflagrerà.
7) Tutti i piani degli Americani, portati ad atteggiamenti sbrigativi e privi di conoscenza delle altre civiltà, naufragheranno come di consueto: dall’ Afganistan, all’ Iraq, alla Libia, al controllo del Mar Rosso (Suez) …allargando il Caos nel mondo.
8 - I rapporti con la Cina facilmente si inaspriranno riguardo la guerra commerciale, gli aumenti dei dazi ecc.
    Tuttavia c' è un ampio spiraglio di trattativa che porti a una divisione delle aree di influenza. Trump, come già evidenziato, ha una mentalità che porta alla trattativa dura con accordo finale.
    Ma a decidere saranno gli apparati dello stato in cui si scontrano tendenze diverse tra cui una favorevole allo scontro diretto col Dragone, prima che si rafforzi troppo.
9) La speranza è che intorno ai BRICS e alla SCO (Organizzazione per la Collaborazione di Shanghai) si formi un nuovo ordine mondiale multipolare in grado di arginare il caos conseguenza della transazione egemonica dovuta alla crisi irreversibile dell’ egemonia americana. Scenario valido sia con presidenti americani repubblicani che democratici.
9) Il sistema politico americano è cambiato definitivamente: i Repubblicani sono diventati il movimento MAGA composto da scontenti degli strati popolari vittime della globalizzazione neoliberista promossa dalle èlite.
    I Democratici sono stati puniti perchè accusati di essere espressione delle èlite neoliberiste delle coste: o si ristrutturano, o si avviano alla sparizione. Come le sedicenti sinistre europee che li hanno voluti imitare perfino assumendone il nome (PD) oltrechè dimenticando i diritti sociali (costosi) che hanno cercato di sostituire (NON integrare) con i diritti civili (gratuiti): diritti sessuali e individuali al posto di buon lavoro degnamente retribuito. Progetto sostitutivo fallito come si vede a Washington.
Paolo Deganutti



     Paesi aderenti al Consiglio Turco (turcofoni)


giovedì 3 ottobre 2024

CI SARA’ ANCHE TRIESTE TRA I PORTI PRIVATIZZATI E SVENDUTI AGLI USA ?

 


    L’incontro di lunedì 30 settembre fra Giorgia Meloni e Larry Fink, il numero uno di BlackRock, il più grande fondo finanziario americano e del mondo, è solo la punta avanzata di una strategia di penetrazione del capitale finanziario americano negli asset strategici del satellite italiano.

    Sul tavolo della riunione tra Meloni e Fink c’ era la creazione di una o più società nazionali per la gestione dei porti, aperta ai capitali privati, che superi la frammentazione attuale del sistema portuale italiano e la cessione di una quota di Ferrovie dello Stato o più probabilmente di Trenitalia. Si è stabilita la creazione di un tavolo di lavoro permanente tra BlacRock e ministeri competenti.
    BlackRock ha appena ricevuto dal governo Meloni l’autorizzazione a superare la soglia del 3% in Leonardo, la più grande industria europea di armamenti.
    E’ di luglio la scalata di KKR, fondo americano avente l’ex direttore della Cia David Petraeus tra i suoi partner, al controllo della rete di Telecom Italia.
    Anche con Musk si è parlato di infrastrutturazione internet affidata a Starlink seduti ad un tavolo a un Galà dell’ Atlantic Council.
    La cosa anomala è che si sta procedendo con un metodo simile alla “trattativa privata” in business di miliardi checomportano la cessione della proprietà di asset strategici pubblici a una potenza straniera.
    Cosa ne sarà della neutralità del Porto Franco Internazionale di Trieste se l’ Autorità Portuale sarà privatizzata e ceduta, interamente o parzialmente, al
capitale americano?

    Ci sarà un’ alzata di scudi dei politici come avvenuto contro la Via della Seta cinese che non prevedeva alcuna cessione di proprietà del porto di Trieste diventandone terminal, ma solo una concessione temporanea come per tutti gli altri operatori presenti?

    Vedi: "Il governo scommette in una collaborazione con BlackRock anche sui porti" Giorgio Santilli Il Foglio 02 ott 2024



lunedì 30 settembre 2024

ISRAELE E IL NUOVO ORDINE MONDIALE BASATO SULLE REGOLE DELL’ EGEMONIA E DEL BUSINESS AMERICANI

 


La sostanza della “Operazione Nuovo Ordine” di Israele in Libano e della Via del Cotone vs. Via della Seta portata a galla da una mappa esibita all’ ONU da Netanyahu.

Ci si sbagliava ad attribuire l’allargamento della guerra in Medio Oriente al solo bisogno di sopravvivenza del governo Netanyahu. In realtà dietro a questa innegabile spinta contingente vi è un disegno strategico di più ampio respiro. Che coinvolge, oltre all’intera area mediorientale,  l’ Indo Pacifico e il Mediterraneo fino al Nord Adriatico e Trieste. Da quest’ultima città portuale, posta perifericamente “in alto a destra” nelle carte geografiche italiane, paradossalmente si riesce a cogliere una visione d’insieme dei tragici avvenimenti mediorientali che non appaiono privi di una logica inquietante.

La prima spia che avrebbe dovuto catturare l’ attenzione dei commentatori è il nome dato da Israele alla sua operazione militare in Libano (con diramazioni in Siria e Yemen) che ha portato all’ uccisione di Nasrallah, capo di Hezbollah, e alla disarticolazione del suo gruppo dirigente: operazione “NEW ORDER – ORDINE NUOVO”. Un nome che si addice ad un intervento militare di portata strategica su ampia scala e non solo tattica in un conflitto locale.

La seconda spia che si è accesa è rappresentata dalle mappe esibite dal premier israeliano Netanyahu nel durissimo discorso del 27 settembre all’ ONU, definita senza ritegno “una palude antisemita”.

 La prima mappa, a sinistra della foto, mostra evidenziati  in nero l’ Iran, l’ Iraq e la Siria che incombono sul Medio Oriente. Interessante che sia l’ Iraq, sia la Siria sono raffigurati come appartenenti  all’ “Asse del Male”. Evidentemente l’ invasione dell’ Iraq da parte degli Stati Uniti e l’ intervento americano in Siria non hanno sortito i risultati sperati ma addirittura l' opposto.

La seconda mappa, definita “la Benedizione” o “l’augurabile prospettiva”, reca una striscia rossa con due frecce all’ estremità che congiungono il Mediterraneo con l’ India e l’ Oceano Indiano attraversando Israele, la Giordania e l’ Arabia Saudita evidenziate in verde speranza.

Chi sta a Trieste o chi ha letto i tre precedenti articoli sui progetti securitario-commerciali americani denominati IMEC “Via del Cotone” e Trimarium, riconoscerà immediatamente nella striscia rossa la “Via del Cotone” concepita dagli Stati Uniti come antagonista alla Nuova Via della Seta cinese e ora riapparsa nel contesto della guerra israeliana a Gaza e nel Libano del sud.  

(il testo prosegue dopo l' immagine)


La Via del Cotone IMEC sembra dunque essere diventata il centro, quantomeno retorico, della strategia degli Stati Uniti, e del luogotenente israeliano, nel Mediterraneo allargato fino all’ Oceano Indiano.

Questo progetto, finora solo abbozzato, prevede che  le merci viaggino tra i porti di Mumbay (India), Dubay – Dammam (Arabia) e Haifa (Israele) attraversando in ferrovia le lande desertiche dell’ Arabia Saudita e della Giordania per poi essere imbarcate e raggiungere l’ Europa centrale tramite Trieste. Da qui partirebbero per Danzica (Polonia) e Costanza (Romania) tramite le infrastrutture del Trimarum pagate con soldi degli europei ma utili quasi esclusivamente per la logistica di armi e truppe della NATO sul fronte est.

Il problema è che non ci sono le merci.

Ovvero che i traffici tra India ed Europa non sono assolutamente al livello di sostenere i costi di questo corridoio logistico perché lo sviluppo industriale indiano non è nemmeno paragonabile a quello cinese. Né è prevedibile nel medio periodo uno sviluppo indiano confrontabile con quello avvenuto in Cina: per problemi intrinseci all’India stessa con una società in realtà tuttora divisa in caste e in innumerevoli realtà nazionali e religiose che hanno già fatto franare i tentativi precedenti di reale unificazione del “subcontinente” in un’unica nazione in grado di realizzare dei progetti economici di largo respiro. Attualmente tenta di farlo Modi sotto un’autoritaria egemonia Indù rischiando, però, di destabilizzare una realtà complessa in fragile equilibrio, come è già successo in passato.

 Ma della Via del Cotone non ci sono nemmeno le infrastrutture, tra cui una lunga ferrovia che dovrebbe congiungere Dubay e Haifa che distano in linea d’aria 2.500 chilometri: si stima che il percorso reale sia superiore ai 3.000 chilometri in un territorio in gran parte desertico.

Questo percorso sboccherebbe sul mediterraneo al Nord di Gaza, a Haifa, porto israeliano che è stato bersaglio nei giorni scorsi di missili lanciati dal sud del Libano. Ma tutto il percorso sarebbe soggetto ad attacchi provenienti da Libano, Siria, Gaza, Cisgiordania e perfino Yemen.

Può Israele, insieme all’alleato americano, "pacificare" l’ area? I dubbi sono legittimi constatando che il porto israeliano di Eilat sul Mar Rosso ha dichiarato fallimento nel luglio scorso perché il traffico marittimo è bloccato da quasi un anno dagli Houthi yemeniti nonostante l’intervento delle marine anglosassoni ed europee. Una sola nave era arrivata a Eilat dal novembre 2023…

Quella di creare il terreno per l’ IMEC- Via del Cotone è una componente importante della strategia complessiva di Netanyahu, al punto di diventare il nocciolo retorico del suo discorso all’ ONU. 

La strategia del Governo Israeliano punta esplicitamente a risolvere il problema con una “Vittoria Finale” che elimini il problema stesso: cioè i palestinesi di Gaza e Cisgiordania e gli abitanti del Sud del Libano la cui società è strettamente legata alla presenza di Hezbollah che svolge un ruolo di supplenza all’evanescenza dello stato libanese.

Tuttavia appare improbabile una “soluzione finale” per via militare della complessa situazione mediorientale: gran parte degli analisti militari (anche israeliani) ritengono impossibile l’ eliminazione di  Hezbollah e Hamas che sono strettamente compenetrate con la società delle aree in cui operano non solo come milizie ma anche, e soprattutto, come fornitrici dell’unico welfare disponibile per quelle disgraziate popolazioni (sussidi, lavoro, scuola ecc.). A meno che non s’intraprenda una strada genocida e di deportazione di massa la cui ipotesi sembra allettare settori estremisti e messianici della società israeliana.  
La fallimentare invasione americana dell’ Iraq dovrebbe, però, sconsigliare di seguire la “via militare”.

Può darsi, come dicono alcuni analisti, che questa nuova fase della guerra in Medioriente, che ha visto la decapitazione di Hezbollah, si evolva verso un indebolimento dell Iran, della sua credibilità e deterrenza.

Ma se le cose andassero così, e non è detto vista la resilienza dell’ organizzazione eterarchica di Hezbollah, si aprirebbe ulteriore spazio all’iniziativa della concorrente Turchia.

 Erdogan, oltre ad aver interrotto i rapporti commerciali con Israele per proporsi come campione della causa palestinese, ha elaborato insieme all’Iraq, il Quatar e gli Emirati un corridoio logistico antagonista alla IMEC “Via del Cotone”.

La Turchia ha fatto sapere di non essere disposta a rinunziare al suo ruolo storico e strategico di collegamento tra l’ Europa e l’ Oriente medio e lontano, e si è mossa conseguentemente con un progetto infrastrutturale diverso, cui l’ India può ugualmente collegarsi proficuamente.

(il testo prosegue dopo l' immagine)

Si tratta del  progetto turco-iracheno della “Strategic Development Road” di cui si è firmato l’ accordo a Bagdad il 27 maggio 2023 (4 mesi prima del lancio della Via del Cotone al G20 di Delhi) che si estende per 1.200 chilometri attraverso l’Iraq e che mira a collegare la Turchia alle coste del Golfo Persico nel sud dell’Iraq entro il 2030.  Una joint venture recentemente creata tra la società emiratina Ad Ports Group e la General Company for Ports of Iraq è stata incaricata dello sviluppo del porto di Al-Faw nel sud dell’Iraq  e della sua “zona economica speciale” entro il 2025.

Il progetto prevede anche la realizzazione di una rete ferroviaria che colleghi il porto di Al-Faw con il porto di Mersin in Turchia, collegandosi così anche al Trans-Caspian International Transport Route (TITR), detto anche “Middle Corridor” delle Nuove Vie della Seta in cui il traffico commerciale è già notevole e in crescita. 

Come si vede sono tutti corridoi logistici che passano nell’ area nera delle mappe di Netanyahu, cioè vie di commercio soggette all’ “Asse del Male”, come dice il premier israeliano che si considera invece il Bene, cioè negli artigli del Dragone secondo la narrazione americana: pertanto da ostacolare in ogni modo. 

Invece, come rileva il bollettino 7/24 dell’ AIOM di Trieste il volume del trasporto merci lungo la Trans Caspian International Transport Route (TITR) nel 2023 è aumentato del 86% e nel 2024 è previsto un ulteriore aumento del 19% (fermo restando il trend dei primi 6 mesi). Questa rotta dimezza i tempi di percorrenza tra il confine occidentale della Cina e l’Europa, e in 15 giorni potrà collegare l’Europa e l’Asia centrale.

L’ aumento del traffico su questo corridoio logistico è dovuto alle modificazioni dovute prima alla Guerra in Ucraina, e alle sanzioni relative, e poi al blocco del canale di Suez conseguenza della guerra a Gaza.

Punto nevralgico di questa sorta di rivoluzione infrastrutturale, lungo l’asse Europa-Asia, è il Kazakhstan, dal momento che lo stato asiatico estende la propria rilevanza dal confine con la Cina fino al Mar Caspio. Ed è proprio con il Kazakhstan che la Cina ha lanciato una nuova fase di relazioni che lega Zhengzhou, Urumqi e Khorgos in Cina, al porto di Kuryk e Aktau in Kazakhstan, dove i camion cinesi vengono imbarcati su navi dirette in Azerbaigian dall’altra parte del Mar Caspio, con destinazione finale la Turchia.
E da qui i semirimorchi ro-ro possono imbarcarsi per raggiungere Trieste e l’ Europa lungo l’ Autostrada del Mare ormai consolidata da decenni e in crescita. 

Comparando i due progetti si vede chiaramente che quello turco prevede l’inserimento nel territorio iracheno abitato (l’antica Mesopotamia) di treni ad alta velocità, lo sviluppo di centri industriali ed energetici locali, compresi oleodotti e gasdotti, e la costruzione di oltre 1.200 chilometri di ferrovie e superstrade, che collegheranno l’Iraq con i paesi vicini.  Mentre quello americano-israeliano della IMEC prevede ferrovie lunghe il doppio in un territorio desertico semidisabitato.

Mentre il primo, già realizzato per il 40%, vede Turchia e Iraq impegnati seriamente con riunioni mensili tra governi, il secondo è solo ipotetico e dipendente dalla pacificazione reale del Medio Oriente e dagli “Accordi di Abramo” fra Israele e Arabia Saudita, attualmente congelati per una guerra che si sta estendendo .

L’adesione dell’Italia alla Via del Cotone nel settembre 2023 è stato uno schiaffo alla Turchia che ne resterebbe tagliata fuori, ed infatti la reazione turca al progetto è stata dura.

Che senso ha per Trieste entrare in conflitto con la Turchia che invia al suo Porto Franco Internazionale il 70% delle sue esportazioni e le cui merci già ora rappresentano il 60% del lavoro del porto giuliano, e in prospettiva concreta cresceranno?

Si tratterebbe di un’ autolesionistica adesione ideologica all’ “Asse del Bene” secondo Netanyahu: di cui il Regno dell’ Arabia Saudita e il Regno di Giordania non sono certo la crema delle democrazie liberali, ma solo degli stati graditi agli USA. Un nuovo elemento che smentisce la narrazione americana della lotta delle Democrazie contro le Autocrazie.


Paolo Deganutti



Il Bene al lavoro in albergo a New York dopo il discorso all' UNU


mercoledì 25 settembre 2024

TRIESTE, NATO, GOVERNO MELONI E LOBBISTI AMERICANI.

 

 Si parla molto in questi giorni della società Utopia e dei proficui rapporti con la “fiamma magica” di Palazzo Chigi, svelati dal quotidiano "Domani" (clicca QUI). 

Anche se il potente sottosegretario Fazzolari ha smentito il rapporto di conoscenza con Zurlo, presidente e AD di Utopia, il quotidiano Domani ha “scoperto che l’altro socio della Spa è Di Giovanni, ex dirigente di Azione universitaria di FdI. Che invitava Meloni, Donzelli e gli altri big” (clicca QUI).

Giampiero Zurlo, fondatore del gruppo di “sharing policy e communication” (tradotto: lobby), da ormai un anno ha fatto il suo ingresso anche nell’editoria. 

Utopia, infatti, tramite lo spin off “Urania Media”, lo scorso anno è entrato con il 22,5% nel capitale sociale di “Base per altezza”, gruppo fondato da Paolo Messa, che edita la rivista di “influenza” americana Formiche che ha rilanciato gli articoli sul ruolo di Trieste per le strategie NATO delle americane The National Interest e Atlantic Council, espressione degli omonimi autorevoli e operativi think tank americani.

Il “comunicatore” / lobbista Paolo Messa, nel tempo, ha mollato la gestione della sua creatura e, fino al dicembre del 2023, è stato vicepresidente esecutivo di LEONARDO  nonché suo responsabile delle Relazioni geo-strategiche con gli USA. Ora è vicepresidente della NIAF, la National Italian American Foundation di Washington e ricopre la carica di Nonresident Senior Fellow presso l’Atlantic Council, lo stesso che la scorsa notte ha premiato Giorgia Meloni per mano di Elon Musk... Con cui la sinergia non è solo personale, ma anche politica e di affari (come scrive InsideOver QUI). 

Saranno lo spazio e le telecomunicazioni esterne a Tim le prossime aree di intervento in Italia dei capitali Usa? Il Ceo di Tesla e Starlink appare il candidato numero uno alle prossime mosse.

Il ministro della difesa Crosetto cofondatore del partito meloniano Fratelli d’ Italia ha svolto, prima di diventare ministro, l’ attività di “advisor” per LEONARDO, ricevendone compensi (leciti) per circa 1,8 milioni di euro  tra il 2018 e il 2021, senza contare altri compensi incassati da Orizzonti Sistemi Navali, partecipata sempre da Leonardo e da Fincantieri, come segnalato sempre dal quotidiano Domani nell’ ottobre del 2022 (clicca QUI).

 La LEONARDO spa, come noto, è una colossale industria di armamenti ed aereospazio (la prima in Europa) controllata dal governo italiano, di cui in questi giorni gli americani stanno  acquistando una quota superiore al limite del 3% tramite il fondo BlackRock, con l’ autorizzazione del Governo Meloni necessaria nei casi di industria strategica.

BlackRock aveva un portafoglio italiano del valore di 97,3 miliardi di dollari al 31 dicembre 2023, comprese quote del 7% del capitale di Unicredit, il 5% di Intesa San Paolo e partecipazioni in Eni, Enel e Generali.

La penetrazione della grande finanza americana in asset strategici italiani sta dunque aumentando con l’ approvazione del Governo Meloni.


La scalata di BlackRock a LEONARDO fa il pari con la crescente sinergia del grande fondo americano con SACE, grande gruppo assicurativo controllato dal governo specializzato nel sostegno alle imprese, o con altri affari come la scalata di Kkr, fondo americano avente l’ex direttore della Cia David Petraeus tra i suoi partner, al controllo della rete di Telecom Italia.

David Patraeus è stato Comandante dell'United States Central Command, che prevedeva la responsabilità strategica di tutto il teatro medio-orientale, compresa la conduzione delle operazioni militari in Iraq e Afghanistan, prima di essere chiamato a diventare il 23° Direttore della CIA.

 

Ma cosa c’ entra tutto questo con Trieste?


Patreus è stato proposto, in interlocutori incontri a Trieste e a Washinghton, come possibile “patron” americano dell’ operazione studiata negli USA che vorrebbe fare del porto di Trieste contemporaneamente il vertice del triangolo Mumbay-Dubay-Trieste della “Via del Cotone” IMEC, sottoscritta dalla premier Meloni nel settembre 2023 durante il G20 a Delhi,  e del triangolo securitario Trieste – Danzica – Costanza  (il Trimarium della NATO), illustrata da Kaush Arha, Paolo Messa ed altri autorevoli autori (tra cui l’ ex Ministro degli Esteri del governo Monti Giulio Terzi di Sant’ Agata) nei numerosi articoli pubblicati recentemente dalle riviste dell’ Atlantic Council, The National Interest e Formiche.


Riguardo Trieste, Paolo Messa è stato protagonista il 13 settembre scorso di un’intervista “sdraiata” del quotidiano Il Piccolo di Trieste, come coautore degli articoli che sulle riviste degli autorevoli think tank americani illustravano il ruolo centrale che il porto di Trieste è destinato ad avere secondo le strategie securitarie americane per il  rafforzamento del fianco est della NATO in Europa e per il controllo dell’ Indo – Pacifico sotto lo schermo della “via del Cotone” IMEC che, in realtà, ha un valore economico e commerciale scarsissimo e, al momento, solo ipotetico.



L’ intervista, intitolata entusiasticamente “Un’ occasione unica: il FVG può diventare la porta per l’ Oriente”(sic!) in un doppio paginone intitolato pomposamente "La rotta da Trieste all' India", spiegava che il "presidente della Regione  FVG Fedriga partecipa agli eventi annuali a Washington della NIAF" di Paolo Messa. Nel contempo l' intervista tentava di minimizzare i rischi che Trieste corre di essere coinvolta, suo malgrado, nel crescente bellicismo che sta caratterizzando il confronto tra gli Stati Uniti, Russia e Cina in una situazione internazionale esplosiva come non mai dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.


Si sa che i nodi logistici militari strategici, come pensano di far diventare Trieste, sono bersagli militari legittimi. E Trieste ha anche la disgrazia di essere a soli 80 km dalla base aerea militare americana di Aviano dotata di capacità nucleare e già utilizzata nel ’99 per i bombardamenti NATO su Belgrado e la Serbia. Il che non rassicura i cittadini.


I forti legami che il Governo italiano sembra avere con gli ambienti del potente Atlantic Council e del lobbismo americano fanno aumentare il timore che sia concretamente spianata la strada ai progetti militari USA di fare di Trieste il vertice di un triangolo di logistica militare che alimenti il fronte est della NATO: la nuova “Cortina di Ferro” che va da Danzica in Polonia a Costanza in Romania. 

Il che confligge con il suo status di Porto Franco Internazionale, neutrale e aperto a tutti, derivato dal Trattato di Pace di Parigi del 1947.

 

Paolo Deganutti


Nota: 

Su tutta la vicenda che coinvolge Trieste è uscito il libro “Trieste porto franco internazionale o bastione militare della Nato ?” che riporta anche gli articoli americani oltre ad analisi geopolitiche e militari e fornisce numerosi dati molti dei quali inediti (clicca QUI) 






sabato 14 settembre 2024

TRIESTE, NATO, ARMI E PORTO FRANCO – Lettera aperta al Piccolo

 



Riceviamo e pubblichiamo per agevolare il dibattito:

Caro Piccolo,
    Oggi 13 settembre pubblichi un doppio paginone sulla dibattuta questione dell’interesse degli USA a fare del nostro Porto Franco un bastione strategico a sostegno del fianco est della NATO al fine di contrapporsi militarmente alla Russia e al resto dell’Eurasia.
    Dopo la pagina di domenica 1° settembre che prendeva spunto da un articolo, legittimamente criticabile, del prof. Pacini per accusare rozzamente di “propaganda russa” chi denuncia i rischi concreti di uso militare del Porto Franco Internazionale di Trieste in funzione antirussa e anticinese, oggi fai una parziale inversione di rotta tentando di apparire più equilibrato e in grado di fare giornalismo invece di denigrazione gratuita.

    Però non avresti sprecato ben tre pagine piene, in soli 10 giorni, se sotto quello che descrivi come fumo non ci fosse un grosso arrosto (oltre a parecchie sollecitazioni autorevoli).

    Oggi invece di un attacco denigratorio frontale, inefficace contro tesi ben documentate, hai dovuto scrivere di “granello di verità” e parli della, precedentemente ignorata, visita a Trieste avvenuta il giugno scorso del dott. Arha, esponente dell’ Atlantic Council, dimenticando però che era accompagnato da Carlos Roa ex direttore editoriale esecutivo del The National Interest nonchè Associate Washington Fellow all’ Institute for Peace and Diplomacy americano: entrambi ben inseriti negli ambienti che vanno, come tu scrivi, dai falchi liberal ai neo-con e securitari americani (quelli che hanno fomentato la fallimentare invasione USA di Afganistan e Iraq, per capirci).

    Dimentichi di dire che la mezza dozzina di articoli, in soli tre mesi, del dott. Arha su Trieste, Nato, Trimarium e Via del Cotone - in contrapposizione militare e commerciale a Russia e Cina - sulle autorevoli riviste dei think-tank americani Atlantic Council e National Interest erano firmati insieme a personaggi importanti.
Ad esempio: George Scutaru, ex consigliere per la sicurezza nazionale del presidente della Romania; Adam Eberhardt vicedirettore del Centro per gli studi sull’Europa orientale dell’Università di Varsavia; Paolo Messa che hai intervistato oggi. Il dott. Messa non è solo un senior fellow dell’Atlantic Council ma il vicepresidente esecutivo, fino al dicembre 2023, di Leonardo - la più grande società italiana attiva nei settori della difesa, dell’aerospazio e della sicurezza - nonché suo responsabile delle Relazioni geo-strategiche con gli Usa.
    Non si tratta, dunque, di giornalisti o intellettuali sognatori che parlano inutilmente.
    Del resto lo stesso tuo Giovanni Tomasin nell’articolo spiega che l’ Atlantic Councilfunge da collegamento informale fra leader europei e gli Usa”, ovvero si tratta concretamente di quella che si chiama “diplomazia parallela”.

    Purtroppo non scrivi, caro Piccolo, che l’ articolo di Arha il 10 settembre per Formiche sulla Via del Cotone era firmato insieme a, nientepopodimeno che, il Ministro degli Esteri del governo Monti, Giulio Terzi di Sant’Agata ora senatore di FdI, e a Francesco Maria Talò ex consigliere diplomatico di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi (ora da qualche mese in pensione). Clicca QUI

    Inoltre Arha era stato audito, come tu stesso scrivi, nell’aprile scorso dal Comitato Permanente sulla politica estera per l’indo-pacifico della Camera.

    Parlare dunque di “libero pensatore e intellettuale” e “curiosità intellettuale” a proposito di Trieste e NATO, come ci tocca leggere oggi, appare un po’ riduttivo (e fa sorridere come la fiaba di Biancaneve) anche alla luce del fatto che parliamo di un esperto pragmatico che “ha seguito fin dall’inizio la costruzione del gruppo I2U2, che include India, Israele, Emirati arabi e Stati Uniti, una intuizione nata dall’amministrazione Trump e confermata senza tentennamenti da quella Biden” come ci fai leggere oggi.

    E non citi nemmeno l’ articolo di Mirko Mussetti di Limes pubblicato sulla Rivista Marittima della Marina Militare italiana nel marzo del 2022 sulla “lettura militare della questione del Trimarium” che definisci “prematura” anche se è invece consolidata da anni.(clicca QUI)

    Tutto questo lo sapevi, e molto altro ancora, perché ti avevo mandato (anche a Tomasin personalmente) alcune copie del mio libretto “Trieste porto franco internazionale o bastione militare della Nato ?” che le illustra, citando esclusivamente fonti americane e occidentali e non certo moscovite o pechinesi. E di cui non hai, inusualmente, pubblicato nemmeno l’ annuncio della presentazione, avvenuta ugualmente con folto pubblico.
    
Bisogna trarre la conclusione che la parabola editoriale del Piccolo lo ha portato a coprire le operazioni dell' Atlantic Council e del National Interest, ovvero della destra neocon americana, eccezionalista e guerrafondaia, in collaborazione con la destra governativa italiana di Fratelli d' Italia? Accusando di essere "propagandisti russi" coloro che le portano allo scoporto? Ti stai riposizionando in previsione delle elezioni americane di novembre?

    Caro Piccolo, dal paginone odierno abbiamo appreso dal Commissario del Porto prof. Torbianelli che “Abbiamo oggi degli obblighi di far passare parte di logistica militare, ma questo non significa che il porto di Trieste sia un avamposto della Nato”.
        Sono proprio le pressioni americane perché lo diventi, bastione della Nato (veramente più “retrovia strategica e obiettivo militare legittimo” che avanposto), che preoccupano molto.
    Perché proprio a questo salto di qualità puntano chiaramente gli scritti, e le riunioni operative anche a Washington con partecipanti triestini, promossi dall’ Atlantic Council anche se usando il lubrificante della Via del Cotone attraverso Arabia Saudita e Israele: stati alleati degli USA nonostante non paiano attualmente campioni mondiali di diritti umani e di democrazia.

    Caro Piccolo, dopo aver citato romanticamente il grande David Bowie il tuo Tomasin, per minimizzare e giustificare ogni situazione presente e futura, chiude così: “Trieste è un tassello di quel caotico e mutevole mosaico che chiamiamo Storia” che ci dovremmo tenere in saccoccia così come ci piomba sulla testa.
Il fatto che siano diventati Storia non assolve gli uomini dalle loro responsabilità e dai loro crimini.

    Al liceo un rimpianto professore mi insegnava che “La Storia è fatta da fatti che sono stati fatti dagli uomini” e non è un’entità mistica che governa i destini umani.
    Uno di questi fatti concreti è il Trattato di Pace del 1947 dove all’ art. 1 dell’ Allegato VIII si prescrive che “Il porto e le vie di transito di Trieste siano accessibili in termini uguali per tutto il commercio internazionale….. come consuetudine negli altri porti liberi nel mondo”, mentre l’allegato VI - articolo 3 - tuttora vigente - stabilisce con estrema chiarezza la neutralità e la smilitarizzazione del Territorio Libero di Trieste (o di ciò che ne è seguito) e del suo Porto Franco Internazionale.
    Tutto ciò è palesemente incompatibile con il traffico di armi e di “logistica militare” attuale, molto onestamente e lodevolmente ammesso dal Commissario Torbianelli nell’intervista odierna, e contro cui bisogna opporsi in linea con gli orientamenti dei sindacati dei lavoratori portuali, della società civile e, in particolare, delle organizzazioni cattoliche come Pax Christi e Fari di Pace e laiche come osservatorio Weapon Watch che annunciano su questo un’ iniziativa a Trieste per il 20 novembre prossimo. Iniziativa cui fin d’ora aderisco e invito ad aderire, così come aderisco alla manifestazione di domenica 15 settembre alle 17 da Largo Riborgo e aderirò a qualsiasi manifestazione per la pace e la neutralità chiunque la promuova.
    Perché è una questione terribilmente seria che si presenta in una situazione mondiale esplosiva e molto pericolosa che solo degli irresponsabili possono sottovalutare.

    Figurarsi se in un Porto Franco Internazionale possono essere permessi traffici d’armi esclusivamente a favore di un blocco, quello NATO, a danno di un altro!
Per giunta escludendo il resto del mondo perfino dal diritto ad approdare per compiacere sanzioni emesse, contro i propri avversari geopolitici, solo da 30 paesi sui 193 presenti all’ Onu!

    Può darsi che la Storia ci porti ad un epoca in cui le Potenze egemoni, e i loro satelliti, se ne fregano apertamente di trattati e diritto internazionale e in cui si usano smaccatamente due pesi e due misure a seconda delle convenienze: non ci si lamenti allora del caos crescente e del moltiplicarsi delle guerre.

    Un Porto Franco è un Porto Libero, libero veramente, in armonia coi Trattati di Pace e non con le Dichiarazioni di Guerra e le Sanzioni unilaterali emanate dall’ Egemone di turno.
    Per questo: per la pace, la neutralità e la prosperità vale la pena di battersi. Non per preservare uno “status quo” egemonico morente caratterizzato da crescenti disordini, guerre, diseguaglianze e impoverimento.
    Gli uomini la storia la fanno e non sono condannati dagli Dei a subirla: LA STORIA SIAMO NOI, ogni giorno.

Paolo Deganutti


lunedì 9 settembre 2024

TRIESTE – I NUOVI ARTICOLI SUI PROGETTI MILITARI AMERICANI PER L’ INDO-MEDITERRANEO E IL NUOVO “MIDDLE CORRIDOR” DELLE NUOVE VIE DELLA SETA


      Il 1° settembre scorso è uscito sul National Interest, autorevole pensatoio di area repubblicana statunitense sin dal 1985, un nuovo articolo sulla strategia americana per l’Indo Mediterraneo: “Una strategia per l’Oceano Indiano è la chiave per prevalere sulla Cina”. Clicca QUI.

 L’autore principale è ancora una volta quel Kaush Arha (*1) (stavolta insieme al caporedattore del National Interest Himberger) che abbiamo già conosciuto nei tre articoli sui progetti strategici americani per Trieste pubblicati su Pluralia (clicca QuiQui e Qui) e nel libro “Trieste porto franco internazionale o bastione militare della Nato” (clicca Qui).

Prontamente il 4 settembre Formiche, una cassa di risonanza americana in Italia, ha pubblicato l’ articolo: “La strategia Usa per l’Oceano Indiano serve all’Italia nell’IndoMed. Ecco perché”.(clicca Qui)

L’ articolo di Formiche sostiene che: “L’Indo Mediterraneo (o IndoMed) è un ambiente geostrategico in cui gli interessi di Italia e Stati Uniti collimano. Per Roma, si tratta del prolungamento ovvio della proiezione nel Mediterraneo allargato — classica della dottrina italiana — verso oriente, ossia l’Indo Pacifico. Per Washington è una regione cruciale per il contenimento cinese, sia in termini economico-commerciali, sia in casi di un eventuale conflitto mondiale.”

Infatti “Il nostro chiaro scopo nell’Oceano Indiano è quello di affermare, in stretta consonanza con gli alleati, vantaggi operativi nel teatro negando lo stesso all’avversario”, scrivono Arha e Himberger sul National Interest. “Ciò richiede una strategia su due fronti per posizionare in primo luogo le forze tattiche e strategiche attraverso le aree geografiche critiche dell’Oceano Indiano e in secondo luogo aumentare le capacità di alleati e partner like minded”.

L’ articolo di Formiche continua così “ … quello che scrivono i due autori è utile per ricordare l’importanza di progetti come IMEC (il corridoio commerciale per unire India, Europa e Medio Oriente lanciato a latere del G20 dello scorso anno, (detto Via del Cotone) ”.

Ecco che rispunta la Via del Cotone all’interno di un progetto strategico militare americano.

Perché di questioni di forza militare parla Arha in quest’articolo del National Interest come in quelli precedenti riportati nei citati articoli su Pluralia che indicano Trieste come punto di snodo fondamentale tra Via del Cotone Trimarium.

Le considerazioni sullo sviluppo economico sono solo marginali e strumentali: un corollario utile per rendere vendibile il progetto statunitense agli “alleati”, su cui è previsto ricadano gran parte dei costi.

Infatti la “Via del Cotone” con l’ ipotizzato il triangolo Trieste – Dubai – Mumbay (via Haifa), appare priva di concretezza economica visto che ipotizza un fantomatico lungo collegamento terrestre lungo l’ Arabia Saudita da Dubai - Dammam a Haifa in Israele, zona coinvolta in una grave crisi bellica.

Analogamente avviene per il Trimarium in Europa, con il proposto triangolo Trieste – Danzica - Costanza, con scarso interesse economico e costi del progetto strategico militare americano in capo agli “alleati”. 


Il 10 settembre, a soli sei giorni di distanza dal precedente articolo, Kaush Arha scende nuovamente in campo con un ulteriore articolo su Formiche stavolta firmato con pezzi da novanta italiani, entrambi vicinissimi alla premier Meloni e alla sua linea iperatlantista.(clicca Qui )

Si tratta di Giulio Terzi di Sant’Agata, già Ministro degli Esteri nel governo Monti, ex-diplomatico e attualmente senatore di Fratelli d’Italia e Francesco Maria Talò ex consigliere diplomatico di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. L’ambasciatore Talò si era dimesso dopo la telefonata truffa orchestrata dai due comici russi Vovan e Lexus: telefonata in cui la premier ha parlato per 13 minuti con i due, pensando invece di avere dall’altra parte della cornetta il presidente della commissione dell'Unione africana.


In questo ennesimo articolo si torna alla carica riguardo al ruolo strategico di Trieste per la “Via del Cotone” immaginifico corridoio di trasporto che passerebbe dai porti del “Golfo Persico via terra attraverso Arabia Saudita, Giordania e Israele e giungano poi fino al Mediterraneo. Anche Turchia e Iraq stanno pianificando di collegare le rotte terrestri dal Golfo Persico attraverso l’Anatolia all’Europa (ma questo in frontale contrapposizione alla Via Del Cotone concepita a Washington ndr).


E’ significativo che gli articoli di Kaush Arha, firmati di volta in volta con partners-testimonial diversi, trattino solo fumosi temi di sviluppo economico se destinati al pubblico italiano, mentre hanno come tema principale il concreto aspetto strategico militare, vero interesse americano, se pubblicati sull’Atlantic Council e National Interest.

Nell’articolo, pubblicato con importanti diplomatici italiani di area governativa, si fa capire che il progetto ha l’appoggio dell’attuale governo italiano, pronto a “vendere” Trieste agli Stati Uniti.

       Non sorprenderebbe se tra qualche mese a Trieste venissero organizzati convegni internazionali e iniziative sulla Via del Cotone e il Trimarium, magari tramite think tank della destra governativa come il fiorentino Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli che ha come suo motto “SUADERE ATQUE AGERE -Persuadere e agire” ovvero finalizzare analisi e convegni all’azione dei decisori politici.

Mentre in Occidente si discetta d’improbabili progetti di corridoi logistici che in realtà nascondono molto concreti interessi strategico – militari americani, a luglio ad Astana il presidente cinese Xi Jinping e il presidente del Kazakistan Tokayev hanno lanciato la rotta che consentirà ai camion cinesi di arrivare al porto kazako di Kuryk per attraversare il Mar Caspio, con destinazione finale la Turchia. 

Dove potranno essere imbarcati sui traghetti ro-ro che percorrono l’“autostrada del mare” fino a Trieste, su cui già adesso viaggia il 70% delle esportazioni turche.  E da Trieste raggiungere tutta l’Europa centro-orientale grazie alla fitta rete ferroviaria che già parte dal Porto Franco triestino.



                 
Il commercio est-ovest potrà così contare su un nuovo corridoio logistico grazie al cosiddetto Trans-Caspian International Transport Route (Titr), chiamato Middle Corridor delle Nuove Vie della Seta, che si candida a essere il più strategico per unire le potenze commerciali su entrambi i lati della massa continentale eurasiatica.

          Si tratta di una rotta alternativa a Suez attraverso l’Asia centrale, il Mar Caspio e il Caucaso fino alla Turchia. A oggi il suo volume di carico è pari a 2,3 milioni di tonnellate ma dopo le fasi di ammodernamento previste, raggiungerà gli 11 milioni di tonnellate entro sei anni

La soluzione pratica trovata per abbattere i tempi si ritrova in un carnet Tir, che permette di evitare ispezioni intermedie e ritardi, dando ai Paesi di transito un voucher doganale internazionale per più Paesi. Il sistema coinvolge le dogane, i ministeri dei trasporti, gli enti locali e i partner industriali di vari Paesi, con cui le aziende di autotrasporti cinesi hanno costantemente aperto nuove rotte verso l’Asia centrale, il Caucaso e l’Europa. Allo studio da parte kazaka c’è anche un’integrazione simile con le ferrovie georgiane, proprio al fine di alleggerire non poco le procedure doganali.

Inoltre a giocare un ruolo non secondario vi è il terminal merci nel porto della città di Xi’an, nato nell’ambito della joint venture China-Kazakhstan Trade and Logistics Company, che ha il vantaggio di gestire il 40% di tutti i treni container diretti in Kazakistan.

Le prospettive sono d' ampio raggio, come dimostra la decisione kazaka di incoraggiare la Serbia (e di conseguenza i Balcani) a esplorare le opportunità nel Corridoio Centrale delle Nuove Vie della Seta.

Intanto a Trieste e in Italia…

 

 Paolo Deganutti




Per la conferenza di Paolo Deganutti su Trieste, Trimarium, Via del Cotone del 5 settembre 2024 presso la Scuola Interpreti - Culturni Dom dell' Università di Trieste clicca QUI.