DIBATTITO SU QUESTIONI INTERNAZIONALI PER UNA CITTA' INTERNAZIONALE

lunedì 30 settembre 2024

ISRAELE E IL NUOVO ORDINE MONDIALE BASATO SULLE REGOLE DELL’ EGEMONIA E DEL BUSINESS AMERICANI

 


La sostanza della “Operazione Nuovo Ordine” di Israele in Libano e della Via del Cotone vs. Via della Seta portata a galla da una mappa esibita all’ ONU da Netanyahu.

Ci si sbagliava ad attribuire l’allargamento della guerra in Medio Oriente al solo bisogno di sopravvivenza del governo Netanyahu. In realtà dietro a questa innegabile spinta contingente vi è un disegno strategico di più ampio respiro. Che coinvolge, oltre all’intera area mediorientale,  l’ Indo Pacifico e il Mediterraneo fino al Nord Adriatico e Trieste. Da quest’ultima città portuale, posta perifericamente “in alto a destra” nelle carte geografiche italiane, paradossalmente si riesce a cogliere una visione d’insieme dei tragici avvenimenti mediorientali che non appaiono privi di una logica inquietante.

La prima spia che avrebbe dovuto catturare l’ attenzione dei commentatori è il nome dato da Israele alla sua operazione militare in Libano (con diramazioni in Siria e Yemen) che ha portato all’ uccisione di Nasrallah, capo di Hezbollah, e alla disarticolazione del suo gruppo dirigente: operazione “NEW ORDER – ORDINE NUOVO”. Un nome che si addice ad un intervento militare di portata strategica su ampia scala e non solo tattica in un conflitto locale.

La seconda spia che si è accesa è rappresentata dalle mappe esibite dal premier israeliano Netanyahu nel durissimo discorso del 27 settembre all’ ONU, definita senza ritegno “una palude antisemita”.

 La prima mappa, a sinistra della foto, mostra evidenziati  in nero l’ Iran, l’ Iraq e la Siria che incombono sul Medio Oriente. Interessante che sia l’ Iraq, sia la Siria sono raffigurati come appartenenti  all’ “Asse del Male”. Evidentemente l’ invasione dell’ Iraq da parte degli Stati Uniti e l’ intervento americano in Siria non hanno sortito i risultati sperati ma addirittura l' opposto.

La seconda mappa, definita “la Benedizione” o “l’augurabile prospettiva”, reca una striscia rossa con due frecce all’ estremità che congiungono il Mediterraneo con l’ India e l’ Oceano Indiano attraversando Israele, la Giordania e l’ Arabia Saudita evidenziate in verde speranza.

Chi sta a Trieste o chi ha letto i tre precedenti articoli sui progetti securitario-commerciali americani denominati IMEC “Via del Cotone” e Trimarium, riconoscerà immediatamente nella striscia rossa la “Via del Cotone” concepita dagli Stati Uniti come antagonista alla Nuova Via della Seta cinese e ora riapparsa nel contesto della guerra israeliana a Gaza e nel Libano del sud.  

(il testo prosegue dopo l' immagine)


La Via del Cotone IMEC sembra dunque essere diventata il centro, quantomeno retorico, della strategia degli Stati Uniti, e del luogotenente israeliano, nel Mediterraneo allargato fino all’ Oceano Indiano.

Questo progetto, finora solo abbozzato, prevede che  le merci viaggino tra i porti di Mumbay (India), Dubay – Dammam (Arabia) e Haifa (Israele) attraversando in ferrovia le lande desertiche dell’ Arabia Saudita e della Giordania per poi essere imbarcate e raggiungere l’ Europa centrale tramite Trieste. Da qui partirebbero per Danzica (Polonia) e Costanza (Romania) tramite le infrastrutture del Trimarum pagate con soldi degli europei ma utili quasi esclusivamente per la logistica di armi e truppe della NATO sul fronte est.

Il problema è che non ci sono le merci.

Ovvero che i traffici tra India ed Europa non sono assolutamente al livello di sostenere i costi di questo corridoio logistico perché lo sviluppo industriale indiano non è nemmeno paragonabile a quello cinese. Né è prevedibile nel medio periodo uno sviluppo indiano confrontabile con quello avvenuto in Cina: per problemi intrinseci all’India stessa con una società in realtà tuttora divisa in caste e in innumerevoli realtà nazionali e religiose che hanno già fatto franare i tentativi precedenti di reale unificazione del “subcontinente” in un’unica nazione in grado di realizzare dei progetti economici di largo respiro. Attualmente tenta di farlo Modi sotto un’autoritaria egemonia Indù rischiando, però, di destabilizzare una realtà complessa in fragile equilibrio, come è già successo in passato.

 Ma della Via del Cotone non ci sono nemmeno le infrastrutture, tra cui una lunga ferrovia che dovrebbe congiungere Dubay e Haifa che distano in linea d’aria 2.500 chilometri: si stima che il percorso reale sia superiore ai 3.000 chilometri in un territorio in gran parte desertico.

Questo percorso sboccherebbe sul mediterraneo al Nord di Gaza, a Haifa, porto israeliano che è stato bersaglio nei giorni scorsi di missili lanciati dal sud del Libano. Ma tutto il percorso sarebbe soggetto ad attacchi provenienti da Libano, Siria, Gaza, Cisgiordania e perfino Yemen.

Può Israele, insieme all’alleato americano, "pacificare" l’ area? I dubbi sono legittimi constatando che il porto israeliano di Eilat sul Mar Rosso ha dichiarato fallimento nel luglio scorso perché il traffico marittimo è bloccato da quasi un anno dagli Houthi yemeniti nonostante l’intervento delle marine anglosassoni ed europee. Una sola nave era arrivata a Eilat dal novembre 2023…

Quella di creare il terreno per l’ IMEC- Via del Cotone è una componente importante della strategia complessiva di Netanyahu, al punto di diventare il nocciolo retorico del suo discorso all’ ONU. 

La strategia del Governo Israeliano punta esplicitamente a risolvere il problema con una “Vittoria Finale” che elimini il problema stesso: cioè i palestinesi di Gaza e Cisgiordania e gli abitanti del Sud del Libano la cui società è strettamente legata alla presenza di Hezbollah che svolge un ruolo di supplenza all’evanescenza dello stato libanese.

Tuttavia appare improbabile una “soluzione finale” per via militare della complessa situazione mediorientale: gran parte degli analisti militari (anche israeliani) ritengono impossibile l’ eliminazione di  Hezbollah e Hamas che sono strettamente compenetrate con la società delle aree in cui operano non solo come milizie ma anche, e soprattutto, come fornitrici dell’unico welfare disponibile per quelle disgraziate popolazioni (sussidi, lavoro, scuola ecc.). A meno che non s’intraprenda una strada genocida e di deportazione di massa la cui ipotesi sembra allettare settori estremisti e messianici della società israeliana.  
La fallimentare invasione americana dell’ Iraq dovrebbe, però, sconsigliare di seguire la “via militare”.

Può darsi, come dicono alcuni analisti, che questa nuova fase della guerra in Medioriente, che ha visto la decapitazione di Hezbollah, si evolva verso un indebolimento dell Iran, della sua credibilità e deterrenza.

Ma se le cose andassero così, e non è detto vista la resilienza dell’ organizzazione eterarchica di Hezbollah, si aprirebbe ulteriore spazio all’iniziativa della concorrente Turchia.

 Erdogan, oltre ad aver interrotto i rapporti commerciali con Israele per proporsi come campione della causa palestinese, ha elaborato insieme all’Iraq, il Quatar e gli Emirati un corridoio logistico antagonista alla IMEC “Via del Cotone”.

La Turchia ha fatto sapere di non essere disposta a rinunziare al suo ruolo storico e strategico di collegamento tra l’ Europa e l’ Oriente medio e lontano, e si è mossa conseguentemente con un progetto infrastrutturale diverso, cui l’ India può ugualmente collegarsi proficuamente.

(il testo prosegue dopo l' immagine)

Si tratta del  progetto turco-iracheno della “Strategic Development Road” di cui si è firmato l’ accordo a Bagdad il 27 maggio 2023 (4 mesi prima del lancio della Via del Cotone al G20 di Delhi) che si estende per 1.200 chilometri attraverso l’Iraq e che mira a collegare la Turchia alle coste del Golfo Persico nel sud dell’Iraq entro il 2030.  Una joint venture recentemente creata tra la società emiratina Ad Ports Group e la General Company for Ports of Iraq è stata incaricata dello sviluppo del porto di Al-Faw nel sud dell’Iraq  e della sua “zona economica speciale” entro il 2025.

Il progetto prevede anche la realizzazione di una rete ferroviaria che colleghi il porto di Al-Faw con il porto di Mersin in Turchia, collegandosi così anche al Trans-Caspian International Transport Route (TITR), detto anche “Middle Corridor” delle Nuove Vie della Seta in cui il traffico commerciale è già notevole e in crescita. 

Come si vede sono tutti corridoi logistici che passano nell’ area nera delle mappe di Netanyahu, cioè vie di commercio soggette all’ “Asse del Male”, come dice il premier israeliano che si considera invece il Bene, cioè negli artigli del Dragone secondo la narrazione americana: pertanto da ostacolare in ogni modo. 

Invece, come rileva il bollettino 7/24 dell’ AIOM di Trieste il volume del trasporto merci lungo la Trans Caspian International Transport Route (TITR) nel 2023 è aumentato del 86% e nel 2024 è previsto un ulteriore aumento del 19% (fermo restando il trend dei primi 6 mesi). Questa rotta dimezza i tempi di percorrenza tra il confine occidentale della Cina e l’Europa, e in 15 giorni potrà collegare l’Europa e l’Asia centrale.

L’ aumento del traffico su questo corridoio logistico è dovuto alle modificazioni dovute prima alla Guerra in Ucraina, e alle sanzioni relative, e poi al blocco del canale di Suez conseguenza della guerra a Gaza.

Punto nevralgico di questa sorta di rivoluzione infrastrutturale, lungo l’asse Europa-Asia, è il Kazakhstan, dal momento che lo stato asiatico estende la propria rilevanza dal confine con la Cina fino al Mar Caspio. Ed è proprio con il Kazakhstan che la Cina ha lanciato una nuova fase di relazioni che lega Zhengzhou, Urumqi e Khorgos in Cina, al porto di Kuryk e Aktau in Kazakhstan, dove i camion cinesi vengono imbarcati su navi dirette in Azerbaigian dall’altra parte del Mar Caspio, con destinazione finale la Turchia.
E da qui i semirimorchi ro-ro possono imbarcarsi per raggiungere Trieste e l’ Europa lungo l’ Autostrada del Mare ormai consolidata da decenni e in crescita. 

Comparando i due progetti si vede chiaramente che quello turco prevede l’inserimento nel territorio iracheno abitato (l’antica Mesopotamia) di treni ad alta velocità, lo sviluppo di centri industriali ed energetici locali, compresi oleodotti e gasdotti, e la costruzione di oltre 1.200 chilometri di ferrovie e superstrade, che collegheranno l’Iraq con i paesi vicini.  Mentre quello americano-israeliano della IMEC prevede ferrovie lunghe il doppio in un territorio desertico semidisabitato.

Mentre il primo, già realizzato per il 40%, vede Turchia e Iraq impegnati seriamente con riunioni mensili tra governi, il secondo è solo ipotetico e dipendente dalla pacificazione reale del Medio Oriente e dagli “Accordi di Abramo” fra Israele e Arabia Saudita, attualmente congelati per una guerra che si sta estendendo .

L’adesione dell’Italia alla Via del Cotone nel settembre 2023 è stato uno schiaffo alla Turchia che ne resterebbe tagliata fuori, ed infatti la reazione turca al progetto è stata dura.

Che senso ha per Trieste entrare in conflitto con la Turchia che invia al suo Porto Franco Internazionale il 70% delle sue esportazioni e le cui merci già ora rappresentano il 60% del lavoro del porto giuliano, e in prospettiva concreta cresceranno?

Si tratterebbe di un’ autolesionistica adesione ideologica all’ “Asse del Bene” secondo Netanyahu: di cui il Regno dell’ Arabia Saudita e il Regno di Giordania non sono certo la crema delle democrazie liberali, ma solo degli stati graditi agli USA. Un nuovo elemento che smentisce la narrazione americana della lotta delle Democrazie contro le Autocrazie.


Paolo Deganutti



Il Bene al lavoro in albergo a New York dopo il discorso all' UNU


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