DIBATTITO SU QUESTIONI INTERNAZIONALI PER UNA CITTA' INTERNAZIONALE

mercoledì 25 settembre 2024

TRIESTE, NATO, GOVERNO MELONI E LOBBISTI AMERICANI.

 

 Si parla molto in questi giorni della società Utopia e dei proficui rapporti con la “fiamma magica” di Palazzo Chigi, svelati dal quotidiano "Domani" (clicca QUI). 

Anche se il potente sottosegretario Fazzolari ha smentito il rapporto di conoscenza con Zurlo, presidente e AD di Utopia, il quotidiano Domani ha “scoperto che l’altro socio della Spa è Di Giovanni, ex dirigente di Azione universitaria di FdI. Che invitava Meloni, Donzelli e gli altri big” (clicca QUI).

Giampiero Zurlo, fondatore del gruppo di “sharing policy e communication” (tradotto: lobby), da ormai un anno ha fatto il suo ingresso anche nell’editoria. 

Utopia, infatti, tramite lo spin off “Urania Media”, lo scorso anno è entrato con il 22,5% nel capitale sociale di “Base per altezza”, gruppo fondato da Paolo Messa, che edita la rivista di “influenza” americana Formiche che ha rilanciato gli articoli sul ruolo di Trieste per le strategie NATO delle americane The National Interest e Atlantic Council, espressione degli omonimi autorevoli e operativi think tank americani.

Il “comunicatore” / lobbista Paolo Messa, nel tempo, ha mollato la gestione della sua creatura e, fino al dicembre del 2023, è stato vicepresidente esecutivo di LEONARDO  nonché suo responsabile delle Relazioni geo-strategiche con gli USA. Ora è vicepresidente della NIAF, la National Italian American Foundation di Washington e ricopre la carica di Nonresident Senior Fellow presso l’Atlantic Council, lo stesso che la scorsa notte ha premiato Giorgia Meloni per mano di Elon Musk... Con cui la sinergia non è solo personale, ma anche politica e di affari (come scrive InsideOver QUI). 

Saranno lo spazio e le telecomunicazioni esterne a Tim le prossime aree di intervento in Italia dei capitali Usa? Il Ceo di Tesla e Starlink appare il candidato numero uno alle prossime mosse.

Il ministro della difesa Crosetto cofondatore del partito meloniano Fratelli d’ Italia ha svolto, prima di diventare ministro, l’ attività di “advisor” per LEONARDO, ricevendone compensi (leciti) per circa 1,8 milioni di euro  tra il 2018 e il 2021, senza contare altri compensi incassati da Orizzonti Sistemi Navali, partecipata sempre da Leonardo e da Fincantieri, come segnalato sempre dal quotidiano Domani nell’ ottobre del 2022 (clicca QUI).

 La LEONARDO spa, come noto, è una colossale industria di armamenti ed aereospazio (la prima in Europa) controllata dal governo italiano, di cui in questi giorni gli americani stanno  acquistando una quota superiore al limite del 3% tramite il fondo BlackRock, con l’ autorizzazione del Governo Meloni necessaria nei casi di industria strategica.

BlackRock aveva un portafoglio italiano del valore di 97,3 miliardi di dollari al 31 dicembre 2023, comprese quote del 7% del capitale di Unicredit, il 5% di Intesa San Paolo e partecipazioni in Eni, Enel e Generali.

La penetrazione della grande finanza americana in asset strategici italiani sta dunque aumentando con l’ approvazione del Governo Meloni.


La scalata di BlackRock a LEONARDO fa il pari con la crescente sinergia del grande fondo americano con SACE, grande gruppo assicurativo controllato dal governo specializzato nel sostegno alle imprese, o con altri affari come la scalata di Kkr, fondo americano avente l’ex direttore della Cia David Petraeus tra i suoi partner, al controllo della rete di Telecom Italia.

David Patraeus è stato Comandante dell'United States Central Command, che prevedeva la responsabilità strategica di tutto il teatro medio-orientale, compresa la conduzione delle operazioni militari in Iraq e Afghanistan, prima di essere chiamato a diventare il 23° Direttore della CIA.

 

Ma cosa c’ entra tutto questo con Trieste?


Patreus è stato proposto, in interlocutori incontri a Trieste e a Washinghton, come possibile “patron” americano dell’ operazione studiata negli USA che vorrebbe fare del porto di Trieste contemporaneamente il vertice del triangolo Mumbay-Dubay-Trieste della “Via del Cotone” IMEC, sottoscritta dalla premier Meloni nel settembre 2023 durante il G20 a Delhi,  e del triangolo securitario Trieste – Danzica – Costanza  (il Trimarium della NATO), illustrata da Kaush Arha, Paolo Messa ed altri autorevoli autori (tra cui l’ ex Ministro degli Esteri del governo Monti Giulio Terzi di Sant’ Agata) nei numerosi articoli pubblicati recentemente dalle riviste dell’ Atlantic Council, The National Interest e Formiche.


Riguardo Trieste, Paolo Messa è stato protagonista il 13 settembre scorso di un’intervista “sdraiata” del quotidiano Il Piccolo di Trieste, come coautore degli articoli che sulle riviste degli autorevoli think tank americani illustravano il ruolo centrale che il porto di Trieste è destinato ad avere secondo le strategie securitarie americane per il  rafforzamento del fianco est della NATO in Europa e per il controllo dell’ Indo – Pacifico sotto lo schermo della “via del Cotone” IMEC che, in realtà, ha un valore economico e commerciale scarsissimo e, al momento, solo ipotetico.



L’ intervista, intitolata entusiasticamente “Un’ occasione unica: il FVG può diventare la porta per l’ Oriente”(sic!) in un doppio paginone intitolato pomposamente "La rotta da Trieste all' India", spiegava che il "presidente della Regione  FVG Fedriga partecipa agli eventi annuali a Washington della NIAF" di Paolo Messa. Nel contempo l' intervista tentava di minimizzare i rischi che Trieste corre di essere coinvolta, suo malgrado, nel crescente bellicismo che sta caratterizzando il confronto tra gli Stati Uniti, Russia e Cina in una situazione internazionale esplosiva come non mai dalla fine della Seconda Guerra Mondiale.


Si sa che i nodi logistici militari strategici, come pensano di far diventare Trieste, sono bersagli militari legittimi. E Trieste ha anche la disgrazia di essere a soli 80 km dalla base aerea militare americana di Aviano dotata di capacità nucleare e già utilizzata nel ’99 per i bombardamenti NATO su Belgrado e la Serbia. Il che non rassicura i cittadini.


I forti legami che il Governo italiano sembra avere con gli ambienti del potente Atlantic Council e del lobbismo americano fanno aumentare il timore che sia concretamente spianata la strada ai progetti militari USA di fare di Trieste il vertice di un triangolo di logistica militare che alimenti il fronte est della NATO: la nuova “Cortina di Ferro” che va da Danzica in Polonia a Costanza in Romania. 

Il che confligge con il suo status di Porto Franco Internazionale, neutrale e aperto a tutti, derivato dal Trattato di Pace di Parigi del 1947.

 

Paolo Deganutti


Nota: 

Su tutta la vicenda che coinvolge Trieste è uscito il libro “Trieste porto franco internazionale o bastione militare della Nato ?” che riporta anche gli articoli americani oltre ad analisi geopolitiche e militari e fornisce numerosi dati molti dei quali inediti (clicca QUI) 






sabato 14 settembre 2024

TRIESTE, NATO, ARMI E PORTO FRANCO – Lettera aperta al Piccolo

 



Riceviamo e pubblichiamo per agevolare il dibattito:

Caro Piccolo,
    Oggi 13 settembre pubblichi un doppio paginone sulla dibattuta questione dell’interesse degli USA a fare del nostro Porto Franco un bastione strategico a sostegno del fianco est della NATO al fine di contrapporsi militarmente alla Russia e al resto dell’Eurasia.
    Dopo la pagina di domenica 1° settembre che prendeva spunto da un articolo, legittimamente criticabile, del prof. Pacini per accusare rozzamente di “propaganda russa” chi denuncia i rischi concreti di uso militare del Porto Franco Internazionale di Trieste in funzione antirussa e anticinese, oggi fai una parziale inversione di rotta tentando di apparire più equilibrato e in grado di fare giornalismo invece di denigrazione gratuita.

    Però non avresti sprecato ben tre pagine piene, in soli 10 giorni, se sotto quello che descrivi come fumo non ci fosse un grosso arrosto (oltre a parecchie sollecitazioni autorevoli).

    Oggi invece di un attacco denigratorio frontale, inefficace contro tesi ben documentate, hai dovuto scrivere di “granello di verità” e parli della, precedentemente ignorata, visita a Trieste avvenuta il giugno scorso del dott. Arha, esponente dell’ Atlantic Council, dimenticando però che era accompagnato da Carlos Roa ex direttore editoriale esecutivo del The National Interest nonchè Associate Washington Fellow all’ Institute for Peace and Diplomacy americano: entrambi ben inseriti negli ambienti che vanno, come tu scrivi, dai falchi liberal ai neo-con e securitari americani (quelli che hanno fomentato la fallimentare invasione USA di Afganistan e Iraq, per capirci).

    Dimentichi di dire che la mezza dozzina di articoli, in soli tre mesi, del dott. Arha su Trieste, Nato, Trimarium e Via del Cotone - in contrapposizione militare e commerciale a Russia e Cina - sulle autorevoli riviste dei think-tank americani Atlantic Council e National Interest erano firmati insieme a personaggi importanti.
Ad esempio: George Scutaru, ex consigliere per la sicurezza nazionale del presidente della Romania; Adam Eberhardt vicedirettore del Centro per gli studi sull’Europa orientale dell’Università di Varsavia; Paolo Messa che hai intervistato oggi. Il dott. Messa non è solo un senior fellow dell’Atlantic Council ma il vicepresidente esecutivo, fino al dicembre 2023, di Leonardo - la più grande società italiana attiva nei settori della difesa, dell’aerospazio e della sicurezza - nonché suo responsabile delle Relazioni geo-strategiche con gli Usa.
    Non si tratta, dunque, di giornalisti o intellettuali sognatori che parlano inutilmente.
    Del resto lo stesso tuo Giovanni Tomasin nell’articolo spiega che l’ Atlantic Councilfunge da collegamento informale fra leader europei e gli Usa”, ovvero si tratta concretamente di quella che si chiama “diplomazia parallela”.

    Purtroppo non scrivi, caro Piccolo, che l’ articolo di Arha il 10 settembre per Formiche sulla Via del Cotone era firmato insieme a, nientepopodimeno che, il Ministro degli Esteri del governo Monti, Giulio Terzi di Sant’Agata ora senatore di FdI, e a Francesco Maria Talò ex consigliere diplomatico di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi (ora da qualche mese in pensione). Clicca QUI

    Inoltre Arha era stato audito, come tu stesso scrivi, nell’aprile scorso dal Comitato Permanente sulla politica estera per l’indo-pacifico della Camera.

    Parlare dunque di “libero pensatore e intellettuale” e “curiosità intellettuale” a proposito di Trieste e NATO, come ci tocca leggere oggi, appare un po’ riduttivo (e fa sorridere come la fiaba di Biancaneve) anche alla luce del fatto che parliamo di un esperto pragmatico che “ha seguito fin dall’inizio la costruzione del gruppo I2U2, che include India, Israele, Emirati arabi e Stati Uniti, una intuizione nata dall’amministrazione Trump e confermata senza tentennamenti da quella Biden” come ci fai leggere oggi.

    E non citi nemmeno l’ articolo di Mirko Mussetti di Limes pubblicato sulla Rivista Marittima della Marina Militare italiana nel marzo del 2022 sulla “lettura militare della questione del Trimarium” che definisci “prematura” anche se è invece consolidata da anni.(clicca QUI)

    Tutto questo lo sapevi, e molto altro ancora, perché ti avevo mandato (anche a Tomasin personalmente) alcune copie del mio libretto “Trieste porto franco internazionale o bastione militare della Nato ?” che le illustra, citando esclusivamente fonti americane e occidentali e non certo moscovite o pechinesi. E di cui non hai, inusualmente, pubblicato nemmeno l’ annuncio della presentazione, avvenuta ugualmente con folto pubblico.
    
Bisogna trarre la conclusione che la parabola editoriale del Piccolo lo ha portato a coprire le operazioni dell' Atlantic Council e del National Interest, ovvero della destra neocon americana, eccezionalista e guerrafondaia, in collaborazione con la destra governativa italiana di Fratelli d' Italia? Accusando di essere "propagandisti russi" coloro che le portano allo scoporto? Ti stai riposizionando in previsione delle elezioni americane di novembre?

    Caro Piccolo, dal paginone odierno abbiamo appreso dal Commissario del Porto prof. Torbianelli che “Abbiamo oggi degli obblighi di far passare parte di logistica militare, ma questo non significa che il porto di Trieste sia un avamposto della Nato”.
        Sono proprio le pressioni americane perché lo diventi, bastione della Nato (veramente più “retrovia strategica e obiettivo militare legittimo” che avanposto), che preoccupano molto.
    Perché proprio a questo salto di qualità puntano chiaramente gli scritti, e le riunioni operative anche a Washington con partecipanti triestini, promossi dall’ Atlantic Council anche se usando il lubrificante della Via del Cotone attraverso Arabia Saudita e Israele: stati alleati degli USA nonostante non paiano attualmente campioni mondiali di diritti umani e di democrazia.

    Caro Piccolo, dopo aver citato romanticamente il grande David Bowie il tuo Tomasin, per minimizzare e giustificare ogni situazione presente e futura, chiude così: “Trieste è un tassello di quel caotico e mutevole mosaico che chiamiamo Storia” che ci dovremmo tenere in saccoccia così come ci piomba sulla testa.
Il fatto che siano diventati Storia non assolve gli uomini dalle loro responsabilità e dai loro crimini.

    Al liceo un rimpianto professore mi insegnava che “La Storia è fatta da fatti che sono stati fatti dagli uomini” e non è un’entità mistica che governa i destini umani.
    Uno di questi fatti concreti è il Trattato di Pace del 1947 dove all’ art. 1 dell’ Allegato VIII si prescrive che “Il porto e le vie di transito di Trieste siano accessibili in termini uguali per tutto il commercio internazionale….. come consuetudine negli altri porti liberi nel mondo”, mentre l’allegato VI - articolo 3 - tuttora vigente - stabilisce con estrema chiarezza la neutralità e la smilitarizzazione del Territorio Libero di Trieste (o di ciò che ne è seguito) e del suo Porto Franco Internazionale.
    Tutto ciò è palesemente incompatibile con il traffico di armi e di “logistica militare” attuale, molto onestamente e lodevolmente ammesso dal Commissario Torbianelli nell’intervista odierna, e contro cui bisogna opporsi in linea con gli orientamenti dei sindacati dei lavoratori portuali, della società civile e, in particolare, delle organizzazioni cattoliche come Pax Christi e Fari di Pace e laiche come osservatorio Weapon Watch che annunciano su questo un’ iniziativa a Trieste per il 20 novembre prossimo. Iniziativa cui fin d’ora aderisco e invito ad aderire, così come aderisco alla manifestazione di domenica 15 settembre alle 17 da Largo Riborgo e aderirò a qualsiasi manifestazione per la pace e la neutralità chiunque la promuova.
    Perché è una questione terribilmente seria che si presenta in una situazione mondiale esplosiva e molto pericolosa che solo degli irresponsabili possono sottovalutare.

    Figurarsi se in un Porto Franco Internazionale possono essere permessi traffici d’armi esclusivamente a favore di un blocco, quello NATO, a danno di un altro!
Per giunta escludendo il resto del mondo perfino dal diritto ad approdare per compiacere sanzioni emesse, contro i propri avversari geopolitici, solo da 30 paesi sui 193 presenti all’ Onu!

    Può darsi che la Storia ci porti ad un epoca in cui le Potenze egemoni, e i loro satelliti, se ne fregano apertamente di trattati e diritto internazionale e in cui si usano smaccatamente due pesi e due misure a seconda delle convenienze: non ci si lamenti allora del caos crescente e del moltiplicarsi delle guerre.

    Un Porto Franco è un Porto Libero, libero veramente, in armonia coi Trattati di Pace e non con le Dichiarazioni di Guerra e le Sanzioni unilaterali emanate dall’ Egemone di turno.
    Per questo: per la pace, la neutralità e la prosperità vale la pena di battersi. Non per preservare uno “status quo” egemonico morente caratterizzato da crescenti disordini, guerre, diseguaglianze e impoverimento.
    Gli uomini la storia la fanno e non sono condannati dagli Dei a subirla: LA STORIA SIAMO NOI, ogni giorno.

Paolo Deganutti


lunedì 9 settembre 2024

TRIESTE – I NUOVI ARTICOLI SUI PROGETTI MILITARI AMERICANI PER L’ INDO-MEDITERRANEO E IL NUOVO “MIDDLE CORRIDOR” DELLE NUOVE VIE DELLA SETA


      Il 1° settembre scorso è uscito sul National Interest, autorevole pensatoio di area repubblicana statunitense sin dal 1985, un nuovo articolo sulla strategia americana per l’Indo Mediterraneo: “Una strategia per l’Oceano Indiano è la chiave per prevalere sulla Cina”. Clicca QUI.

 L’autore principale è ancora una volta quel Kaush Arha (*1) (stavolta insieme al caporedattore del National Interest Himberger) che abbiamo già conosciuto nei tre articoli sui progetti strategici americani per Trieste pubblicati su Pluralia (clicca QuiQui e Qui) e nel libro “Trieste porto franco internazionale o bastione militare della Nato” (clicca Qui).

Prontamente il 4 settembre Formiche, una cassa di risonanza americana in Italia, ha pubblicato l’ articolo: “La strategia Usa per l’Oceano Indiano serve all’Italia nell’IndoMed. Ecco perché”.(clicca Qui)

L’ articolo di Formiche sostiene che: “L’Indo Mediterraneo (o IndoMed) è un ambiente geostrategico in cui gli interessi di Italia e Stati Uniti collimano. Per Roma, si tratta del prolungamento ovvio della proiezione nel Mediterraneo allargato — classica della dottrina italiana — verso oriente, ossia l’Indo Pacifico. Per Washington è una regione cruciale per il contenimento cinese, sia in termini economico-commerciali, sia in casi di un eventuale conflitto mondiale.”

Infatti “Il nostro chiaro scopo nell’Oceano Indiano è quello di affermare, in stretta consonanza con gli alleati, vantaggi operativi nel teatro negando lo stesso all’avversario”, scrivono Arha e Himberger sul National Interest. “Ciò richiede una strategia su due fronti per posizionare in primo luogo le forze tattiche e strategiche attraverso le aree geografiche critiche dell’Oceano Indiano e in secondo luogo aumentare le capacità di alleati e partner like minded”.

L’ articolo di Formiche continua così “ … quello che scrivono i due autori è utile per ricordare l’importanza di progetti come IMEC (il corridoio commerciale per unire India, Europa e Medio Oriente lanciato a latere del G20 dello scorso anno, (detto Via del Cotone) ”.

Ecco che rispunta la Via del Cotone all’interno di un progetto strategico militare americano.

Perché di questioni di forza militare parla Arha in quest’articolo del National Interest come in quelli precedenti riportati nei citati articoli su Pluralia che indicano Trieste come punto di snodo fondamentale tra Via del Cotone Trimarium.

Le considerazioni sullo sviluppo economico sono solo marginali e strumentali: un corollario utile per rendere vendibile il progetto statunitense agli “alleati”, su cui è previsto ricadano gran parte dei costi.

Infatti la “Via del Cotone” con l’ ipotizzato il triangolo Trieste – Dubai – Mumbay (via Haifa), appare priva di concretezza economica visto che ipotizza un fantomatico lungo collegamento terrestre lungo l’ Arabia Saudita da Dubai - Dammam a Haifa in Israele, zona coinvolta in una grave crisi bellica.

Analogamente avviene per il Trimarium in Europa, con il proposto triangolo Trieste – Danzica - Costanza, con scarso interesse economico e costi del progetto strategico militare americano in capo agli “alleati”. 


Il 10 settembre, a soli sei giorni di distanza dal precedente articolo, Kaush Arha scende nuovamente in campo con un ulteriore articolo su Formiche stavolta firmato con pezzi da novanta italiani, entrambi vicinissimi alla premier Meloni e alla sua linea iperatlantista.(clicca Qui )

Si tratta di Giulio Terzi di Sant’Agata, già Ministro degli Esteri nel governo Monti, ex-diplomatico e attualmente senatore di Fratelli d’Italia e Francesco Maria Talò ex consigliere diplomatico di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. L’ambasciatore Talò si era dimesso dopo la telefonata truffa orchestrata dai due comici russi Vovan e Lexus: telefonata in cui la premier ha parlato per 13 minuti con i due, pensando invece di avere dall’altra parte della cornetta il presidente della commissione dell'Unione africana.


In questo ennesimo articolo si torna alla carica riguardo al ruolo strategico di Trieste per la “Via del Cotone” immaginifico corridoio di trasporto che passerebbe dai porti del “Golfo Persico via terra attraverso Arabia Saudita, Giordania e Israele e giungano poi fino al Mediterraneo. Anche Turchia e Iraq stanno pianificando di collegare le rotte terrestri dal Golfo Persico attraverso l’Anatolia all’Europa (ma questo in frontale contrapposizione alla Via Del Cotone concepita a Washington ndr).


E’ significativo che gli articoli di Kaush Arha, firmati di volta in volta con partners-testimonial diversi, trattino solo fumosi temi di sviluppo economico se destinati al pubblico italiano, mentre hanno come tema principale il concreto aspetto strategico militare, vero interesse americano, se pubblicati sull’Atlantic Council e National Interest.

Nell’articolo, pubblicato con importanti diplomatici italiani di area governativa, si fa capire che il progetto ha l’appoggio dell’attuale governo italiano, pronto a “vendere” Trieste agli Stati Uniti.

       Non sorprenderebbe se tra qualche mese a Trieste venissero organizzati convegni internazionali e iniziative sulla Via del Cotone e il Trimarium, magari tramite think tank della destra governativa come il fiorentino Centro Studi Politici e Strategici Machiavelli che ha come suo motto “SUADERE ATQUE AGERE -Persuadere e agire” ovvero finalizzare analisi e convegni all’azione dei decisori politici.

Mentre in Occidente si discetta d’improbabili progetti di corridoi logistici che in realtà nascondono molto concreti interessi strategico – militari americani, a luglio ad Astana il presidente cinese Xi Jinping e il presidente del Kazakistan Tokayev hanno lanciato la rotta che consentirà ai camion cinesi di arrivare al porto kazako di Kuryk per attraversare il Mar Caspio, con destinazione finale la Turchia. 

Dove potranno essere imbarcati sui traghetti ro-ro che percorrono l’“autostrada del mare” fino a Trieste, su cui già adesso viaggia il 70% delle esportazioni turche.  E da Trieste raggiungere tutta l’Europa centro-orientale grazie alla fitta rete ferroviaria che già parte dal Porto Franco triestino.



                 
Il commercio est-ovest potrà così contare su un nuovo corridoio logistico grazie al cosiddetto Trans-Caspian International Transport Route (Titr), chiamato Middle Corridor delle Nuove Vie della Seta, che si candida a essere il più strategico per unire le potenze commerciali su entrambi i lati della massa continentale eurasiatica.

          Si tratta di una rotta alternativa a Suez attraverso l’Asia centrale, il Mar Caspio e il Caucaso fino alla Turchia. A oggi il suo volume di carico è pari a 2,3 milioni di tonnellate ma dopo le fasi di ammodernamento previste, raggiungerà gli 11 milioni di tonnellate entro sei anni

La soluzione pratica trovata per abbattere i tempi si ritrova in un carnet Tir, che permette di evitare ispezioni intermedie e ritardi, dando ai Paesi di transito un voucher doganale internazionale per più Paesi. Il sistema coinvolge le dogane, i ministeri dei trasporti, gli enti locali e i partner industriali di vari Paesi, con cui le aziende di autotrasporti cinesi hanno costantemente aperto nuove rotte verso l’Asia centrale, il Caucaso e l’Europa. Allo studio da parte kazaka c’è anche un’integrazione simile con le ferrovie georgiane, proprio al fine di alleggerire non poco le procedure doganali.

Inoltre a giocare un ruolo non secondario vi è il terminal merci nel porto della città di Xi’an, nato nell’ambito della joint venture China-Kazakhstan Trade and Logistics Company, che ha il vantaggio di gestire il 40% di tutti i treni container diretti in Kazakistan.

Le prospettive sono d' ampio raggio, come dimostra la decisione kazaka di incoraggiare la Serbia (e di conseguenza i Balcani) a esplorare le opportunità nel Corridoio Centrale delle Nuove Vie della Seta.

Intanto a Trieste e in Italia…

 

 Paolo Deganutti




Per la conferenza di Paolo Deganutti su Trieste, Trimarium, Via del Cotone del 5 settembre 2024 presso la Scuola Interpreti - Culturni Dom dell' Università di Trieste clicca QUI. 

 



domenica 8 settembre 2024

#Video - TRIESTE, PORTO INTERNAZIONALE O BASTIONE MILITARE DELLA NATO? - Via del Cotone americana Vs. Via della Seta cinese


     Il 5 settembre scorso si è tenuta, presso la Scuola Interpreti dell’ Università di Trieste - Narodni Dom e di fronte a un folto pubblico, la conferenza di Paolo Deganutti sul suo ultimo libro:TRIESTE, PORTO INTERNAZIONALE O BASTIONE MILITARE DELLA NATO? .

Cliccando QUI si può vedere la registrazione video della conferenza.

Le slides (immagini) proiettate durante la conferenza sono scaricabili  cliccando QUI.

In un momento che vede la conflittualità mondiale estendersi pericolosamente, il porto di Trieste assume nuovamente un ruolo strategico: porta marittima dell’ Europa centro orientale e del fianco est della Nato.
Il libro contiene “saggi geopolitici triestini” che utilizzano, cioè, Trieste come punto di osservazione privilegiato sulla situazione globale e in particolare dell’ Eurasia.
Prende spunto dalla recente pubblicazione di articoli su autorevoli riviste americane riguardanti l' intenzione degli USA di includere il Porto di Trieste nel progetto militare di contenimento della Russia e della Cina, sul fianco est della Nato in Europa.
La situazione di Trieste, città portuale strategica posta su una sensibile faglia geopolitica, viene inserita nel quadro geopolitico globale con particolare attenzione al ruolo del suo Porto Franco.
Include articoli di Paolo Deganutti pubblicati su riviste nazionali come LIMES, PLURALIA e ANALISI DIFESA. Gli articoli di Pluralia sono pubblicati in italiano, inglese, russo e cinese perché destinati a un pubblico internazionale.
Un’ ampia e aggiornatissima Introduzione analizza i più recenti avvenimenti sulla scena mondiale. Inoltre il libro è corredato di numerose mappe geopolitiche.
Anche il lettore che non ne condividesse l’impostazione potrà comunque utilizzare questo libro, il primo sulla geopolitica di Trieste, come importante fonte di dati spesso inediti.

Il libro è disponibile su Amazon in più formati e e-book (clicca QUI per un estratto) e nelle migliori librerie (a Trieste Minerva, Nero Su Bianco, San Marco e Lovat) a € 13,99.






venerdì 15 marzo 2024

Recensione de Il Piccolo al Libro "2027 - LA GUERRA PER IL PORTO FRANCO DI TRIESTE" di Paolo Deganutti

E’ uscita sul Piccolo la recensione di “ 2027 - LA GUERRA PER IL PORTO FRANCO DI TRIESTE - La“Guerra Mondiale a Pezzi” da Odessa al Mar Rosso fino a Trieste - di Paolo Deganutti.

Sotto il testo dell’ articolo di Paolo Marcolin nelle pagine della Cultura:
GUERRA PER IL PORTO FRANCO DI TRIESTE
La storia ritorna indietro nel 2027
- È il primo libro di Paolo Deganutti, che passa dall’altra parte della barricata con un “romanzo storico scritto in un futuro possibile”-


L a Stazione marittima distrutta, il Palazzo della Regione in piazza Unità ridotto a un cumulo di macerie, polvere e morte sulle Rive. Sono stati due missili, sganciati dagli F 35 partiti da Aviano, a centrare due navi militari cinesi ormeggiate nel porto di Trieste. Lo scenario, collocato in un futuro molto prossimo da terza guerra mondiale, è quello che Paolo Deganutti ha immaginato per il suo libro “2027. La guerra per il Porto Franco di Trieste’ (Ellet, 193 pagg., 13,99 euro).
Deganutti, conclusa la pluriennale attività di libraio, ha deciso di passare dall’altra parte, e per il suo esordio da autore ha scelto di cimentarsi con quello che lui chiama “un romanzo storico scritto in un futuro possibile”. Scritto con lo stile di un saggio distopico, il libro muove dall’elaborazione di dati geopolitici che Deganutti compie a partire dalla situazione internazionale che coinvolge il nostro porto; stretto nella morsa degli interessi americani da una parte e di quelli cinesi con i loro alleati russi dall’altra, lo scalo triestino è tornato al centro dell’attenzione nternazionale.
In anni vicini si pensava che quest’area potesse diventare nuovamente una cerniera tra oriente e occidente e il porto diventare una base strategica. Gli Usa avevano stoppato l’iniziativadella Via della Seta ma ora, ed è qui che inizia il libro di Deganutti, la Cina vuole forzare la situazione, costi quel che costi, inviando un convoglio di navi commerciali scortate dalla marina militare del Dragone fino a Trieste.
Praticare la Via della Seta significa per cinesi e russi di fendere la libertà di navigazione e di commercio, mentre per gli Usa e la Nato è un affronto al diritto internazionale che, secondo Deganutti non è nient’altro che il pretesto dietro al quale si erge la forza dell’Occidente a guida stelle e strisce.
Per lo schieramento a guida americana, le navi cinesi ormeggiate nel porto di Trieste, con la loro scorta militare, rappresentano una minaccia.
Lo scenario triestino si inseriscenel vasto arcipelago di guerra a intensità più o meno alta, di rivolte e terrorismi, che ci vengono quotidianamente propinati dalle news. Non mancano,nelle pagine di Deganutti, richiami a quanto succede a Gaza e agli attacchi dei ribelli Houthi ai convogli nel Mar Rosso.
In un così ampio contesto assolutamente reale, Deganutti costruisce il suo sguardo locale, immaginando un porto, sulla base del Articolo 5 allegato 8 del Trattato di pace tanto caro agli indipendentisti vecchi e nuovi, rimesso al centro degli interessi mondiali proprio dal bombardamento degli F35 alle navi cinesi. I ‘fatti di Trieste’, così viene chiamata l’aggressione americana, fanno saldare gli interessi asiatici e quelli degli stati mitteleuropei che storicamente guardavano allo scalo giuliano come al loro sbocco privilegiato. Da un Porto Franco libero agli scambi commerciali, è il pensiero di Deganutti, Trieste ha tutto da guadagnare, ma l’egemonia americana è intenzionata a impedirlo a ogni costo. La città torna capolinea della guerra fredda, anche se ormai altri minacciosi teatri di guerra si aprono nel mondo, e i rombi degli aerei che i manifestanti per la pace con le loro bandiere arcobaleno sentono sfrecciare sopra le loro teste sono diretti nel Pacifico. —
PAOLO MARCOLIN"


Disponibile su Amazon (anche e-book) e nelle migliori librerie a solo € 13,90.

Si può visionare e ordinare il libro al seguente link: CLICCA QUI


 

domenica 1 gennaio 2023

2022 L'ANNO SPARTIACQUE - Riassunto geopolitico del 2022 con, alla fine, un’ integrazione su Trieste


RIASSUNTO GEOPOLITICO DEL 2022, CHE SEGNA UN “PRIMA” E UN “DOPO” NELLA STORIA DI QUESTO SECOLO CON, ALLA FINE, UN’ INTEGRAZIONE SU TRIESTE.


1) 
IL 2022 SARÀ CONSIDERATO UN ANNO SPARTIACQUE NELLA STORIA DEL XXI SECOLO.
di
 Niccolò Locatelli   per LIMES

L’invasione russa dell’Ucraina ha avviato o accelerato dei processi che promettono di alterare l’equilibrio continentale e mondiale raggiunto dopo la fine della seconda guerra mondiale e sopravvissuto al collasso dell’Unione Sovietica (di cui proprio quest’anno è morto uno dei protagonisti, Michail Gorbačëv).

Il calcolo del presidente della Russia Vladimir Putin si è rivelato errato sotto tutti i punti di vista.
L’Ucraina si è dimostrata molto più solida del previsto. Sia dal punto di vista militare, grazie alle armi e all’addestramento forniti in questi anni e negli ultimi mesi dall’Occidente, sia dal punto di vista politico, grazie anche al coraggio del presidente Volodymyr Zelens’kyj (Zelensky), che non è fuggito e non è stato rovesciato.

La Nato, che Putin voleva allontanare, si è avvicinata: il confine terrestre tra Russia e Alleanza Atlantica è destinato a raddoppiare e Kaliningrad a essere circondata anche nel Baltico con l’imminente ingresso di Finlandia e Svezia, richiesto da Helsinki e Stoccolma subito dopo l’invasione e inimmaginabile prima. Gli Stati Uniti hanno sostenuto Kiev (cercando di limitarne le rappresaglie in Crimea e in territorio russo) e hanno sanzionato Mosca dal primo momento. I paesi dell’Unione Europea hanno promulgato le loro sanzioni e avviato in tempi record e con un certo successo la ricerca di fornitori di gas e petrolio alternativi; le faglie interne all’Ue, pur approfondite dalla guerra [e analizzate più avanti nell’articolo], non hanno intaccato la reazione compatta contro Mosca. I legami anche culturali della Russia con l’Occidente sono ai minimi storici.

Quelli con la Repubblica Popolare Cinese (Prc) – definita “amica senza limiti” nel documento congiunto firmato da Putin e Xi Jinping ma non informata dell’imminente attacco a Kiev durante l’incontro di gennaio a Pechino – hanno accusato il colpo. All’intrinseca sfiducia tra due imperi confinanti si è aggiunto il fastidio cinese per le ricadute internazionali di una guerra che la Russia non è in grado di vincere. Un fastidio emerso in un paio di votazioni alle Nazioni Unite e nel vertice di settembre a Samarcanda. Putin ha chiuso l’anno invitando Xi a Mosca in primavera.

L’invasione gioca a favore della retorica del presidente degli Stati Uniti Joe Biden, che vuole le democrazie occidentali impegnate contro le dittature russa e cinese. Con il conflitto è emersa, oltre alla dimensione ideologica, quella decisiva del controllo delle materie prime e delle catene di produzione del valore. Questa dimensione agevola il perseguimento statunitense dell’agenda anticinese, che passa per la negazione della supremazia tecnologica a Pechino. Dunque ulteriori restrizioni alla penetrazione di imprese e social network cinesi negli Usa, da Huawei e Zte a TikTok, tornato in bilico come ai tempi di Trump; e ulteriori restrizioni all’esportazione verso la Cina di microchip.

Il fatto che la prima azienda di semiconduttori al mondo abbia sede a Taiwan contribuisce a spiegare l’importanza dell’arcipelago per gli Stati Uniti; nella sua storica visita di agosto, la speaker della Camera Nancy Pelosi ha anche incontrato il presidente di quell’azienda, Tsmc. Per la Cina, oltre alla spinta tecnologica, c’è quella nazionalista.
Alla base di tutto c’è naturalmente la geografia: il controllo dello Stretto di Taiwan, dunque del mare di casa, è requisito essenziale dell’ascesa internazionale della Prc o della sua negazione. Non sorprende che le sortite di aerei e navi da guerra nei cieli e nelle acque vicino la Repubblica di Cina abbiano più volte superato il record; né sorprende che l’isola si stia preparando al peggio.

Xi Jinping, il cui dominio sulla Repubblica Popolare Cinese è stato confermato al XX congresso del Partito comunista, ha indicato il centenario della fondazione della Prc come data limite entro cui ricongiungersi, pacificamente se possibile, a Formosa. Dunque, il 2049. Ma l’invasione russa dell’Ucraina potrebbe avvicinare la resa dei conti. Gli Stati Uniti continuano a rifornire di armi Kiev (oltre che Taipei) anche per segnalare alla Cina che non tollerano sovvertimenti violenti dei confini e dell’ordine internazionale basato sulle regole, di cui gli stessi Usa sono ultimi garanti e primi beneficiari. L’attacco russo e l’assertività cinese – oltre alle crescenti provocazioni della Corea del Nord – hanno dato ulteriore linfa al riarmo del Giappone, malgrado l’uccisione di uno dei suoi storici sostenitori, l’ex primo ministro Shinzo Abe.

Nell’immediato però la priorità della Cina è un’altra: le proteste senza precedenti di novembre, in cui si è arrivati a chiedere apertamente le dimissioni di Xi, hanno evidenziato l’esasperazione popolare verso la severissima politica “zero-Covid” implementata dallo scoppio dell’epidemia di coronavirus. Il successivo rilassamento delle restrizioni, indice della volontà del presidente di evitare ulteriori manifestazioni di dissenso sotto gli occhi del mondo, potrebbe scatenare una nuova ondata di contagi non facilmente gestibile.

Altre proteste stanno subendo una repressione molto più violenta senza aver avuto lo stesso successo: sono quelle che da qualche mese scuotono l’Iran e preoccupano un regime già indebolito dal mancato rinnovo dell’accordo sul nucleare con gli Stati Uniti. La pressione sulla Repubblica Islamica è destinata ad aumentare anche dal fronte israeliano, con il nuovo governo di Benjamin Netanyahu.

Chi invece ha trovato se non un accordo almeno un modus vivendi con gli Stati Uniti è la dittatura di Nicolás Maduro. Il petrolio del Venezuela è tornato prezioso agli occhi dell’amministrazione Biden prima delle elezioni di metà mandato (andate meno peggio del previsto) in un momento in cui il prezzo della benzina negli Usa era alle stelle. Continuerà ad esserlo fino a quando il greggio russo rimarrà bandito e quello saudita verrà pompato meno di quanto l’attuale inquilino della Casa Bianca vorrebbe – neanche il suo viaggio a Riyad per incontrare il principe ereditario Mohammed bin Salman ha sortito l’effetto sperato.
Rispetto agli anni di Trump, il Venezuela di Maduro potrà anche beneficiare di un quadro regionale a lui meno ostile, con il ritorno o il debutto “a sinistra” di numerosi paesi del Sudamerica: ColombiaCile, dal 1° gennaio 2023 di nuovo Brasile, di nuovo con Lula.

Tornando all’Europa: la guerra d’Ucraina ha prodotto una reazione a catena che parte da Berlino. La Germania del cancelliere Olaf Scholz sta cercando di ridurre le proprie dipendenze: energetica dalla Russia, commerciale dalla Cina. La svolta epocale (Zeitenwende) della Germania comprende un riarmo nell’ordine di cento miliardi di euro, che seppur pensato alla luce dell’invasione russa non può non preoccupare la Francia, la Polonia e gli Stati Uniti. Una modifica dei rapporti tra la principale potenza economica d’Europa e le principali potenze mondiali promette di avere ripercussioni importanti su tutto il continente.

La Francia ha vissuto un anno tra palco e realtà. Il palco è la Comunità politica europea, iniziativa (priva di cogenza e di mordente) del presidente Emmanuel Macron volta a ridare una centralità continentale a Parigi andando oltre i confini dell’Ue; il palco sono anche i ripetuti tentativi dell’Eliseo di ergersi a mediatore con Mosca.
La realtà è l’indifferenza putiniana a questi tentativi, che tra l’altro indeboliscono il legame tra Parigi e i paesi esteuropei più allarmati dalla Russia; la realtà è anche lo sfilacciamento dell’asse franco-tedesco e la conseguente esposizione della fragilità economica di Parigi di fronte ai frugali nordeuropei, in una fase in cui anche l’intesa con l’Italia post-Draghi vacilla; la realtà è infine la missione fallita e il conseguente ritiro dal Sahel, dove si moltiplicano i colpi di Stato anti-francesi (dopo il Mali, quest’anno è stato il turno del Burkina Faso) e cresce l’influenza di Mosca. In Africa si affacciano da tempo attori extra-occidentali (oltre alla stessa Russia, Turchia, Cina, Emirati Arabi Uniti), attratti dalla collocazione geografica e dalle risorse del continente e non intimoriti dalle situazioni di conflitto più o meno latente (LibiaEtiopiaRepubblica Democratica del Congo).

Stretta tra l’aggressione di Mosca e il riarmo di Berlino, la Polonia ha a sua volta avviato un rafforzamento delle proprie capacità militari che però – a differenza di quello tedesco – rientra pienamente negli interessi di Washington.

Agli Stati Uniti l’invasione russa dell’Ucraina sta portando benefici non indifferenti. Innanzitutto si sono rotti i legami energetici tra la Russia e l’Europa occidentale, in particolare la Germania, appena pochi mesi dopo la conclusione dei lavori del gasdotto Nord Stream 2 (sabotato assieme a Nord Stream 1 e mai entrato in funzione); anche i rapporti economici e culturali sono ai minimi storici. In secondo luogo la Russia si è impantanata in un conflitto che non può vincere, dando una clamorosa dimostrazione di inettitudine e debolezza militare. Così facendo Mosca rischia anche di trasformarsi in un fardello per la Cina. L’aggressività di Putin ha compattato l’Alleanza Atlantica attorno al suo azionista di maggioranza, cioè gli Stati Uniti – con l’eccezione della Turchia, che al pari dell’India cerca di massimizzare i suoi margini negoziali con Washington e con Mosca.

Infine, l’embargo europeo di fatto contro gli idrocarburi russi ha dato una bella spinta alle esportazioni di gas naturale liquefatto made in Usa. Mentre ci vende il suo gnl, Washington con l’Inflation Reduction Act (Ira) punta a dominare la transizione energetica.

L’Ira e il Chips Act sono diretti in primo luogo contro la Cina, ma segnalano un cambio di paradigma di cui anche i paesi europei dovrebbero prendere nota. Il perseguimento dell’interesse nazionale statunitense passa ora per l’aumento della produzione interna – anche con misure protezionistiche, se necessario – e non più per l’espansione del libero commercio.

L’esito della guerra in Ucraina, lo scontro Usa-Cina, la “nuova” politica industriale degli Stati Uniti e il riarmo della Germania sono questioni che non riguardano solo gli attori coinvolti, ma hanno un impatto sul futuro di tutti.

 

2)  E TRIESTE IN TUTTO QUESTO
di Paolo Deganutti.

Trieste è sempre stata un sensibile sismografo dei sommovimenti geopolitici e ne ha risentito in modo particolare perché è posta su una “faglia” geopolitica attiva che ha avuto la sua plastica evidenza con la “Cortina di Ferro da Stettino a Trieste” del famoso discorso di Churchill.

Nel quadro generale sopra delineato nel 2022 l’ Adriatico ha accresciuto la sua importanza strategica nell’ ambito di un Mediterraneo che a sua volta vede accresciuta la sua centralità internazionale.
In conseguenza della guerra in Ucraina e delle sanzioni le correnti di traffico nell’ Alto Adriatico sono aumentate e ne ha beneficiato in particolare il Porto Franco Internazionale di Trieste che è il terminal dell’ “autostrada del mare” che collega la Turchia con l’ Europa centro orientale e la Germania in particolare.

La Turchia, grazie anche a un’ abile politica estera di mediazione tra Occidente e Russia, ha aumentato la sua rilevanza sia geopolitica che commerciale.
In seguito alle sanzioni alla Russia diverse correnti di traffico hanno cominciato ad utilizzare l’ “hub” turco che si avvia a diventare anche nodo strategico di smistamento e fornitura del gas russo all’ Europa.

L’ aumento del ruolo di Ankara e il suo solido legame commerciale con l’ Europa centrale integrata nella “catena del valore” di Berlino (altrimenti detta Kerneuropa) e il suo forte antagonismo con la Francia (Macron si pone come il principale avversario di Erdogan) sta portando sempre di più la parte d’ Europa di cui facciamo parte, e che beneficia dell’ aumento dei traffici nell’ Adriatico, a sentire la crescente attrazione del centro gravitazionale tedesco.

La Turchia sta anche aumentando la sua influenza nei Balcani occidentali, oltre che in Libia: un’ area che risente di una sempre maggior instabilità come conseguenza della guerra Russo-Americana in Ucraina.
La situazione è esplosiva nel Kosovo e in Bosnia dove si stanno riaccendendo scontri con le minoranze serbe. Non sono ancora dimenticati i bombardamenti Nato del ’99 contro la Serbia alleato storico della Russia.
E quanto avviene nei Balcani vicini ha sempre avuto conseguenze dirette su Trieste.

Questa parte del mondo è portata a sperimentare un periodo di maggiore instabilità e cambiamenti.

In un’ Europa in cui si sta indebolendo l’ asse franco – tedesco e sta aumentando il protagonismo geopolitico di Berlino - che ha deciso di riarmarsi autonomamente mentre tenta di non recidere totalmente i suoi legami vitali con l’ Oriente (Russia e Cina) come vorrebbero gli USA – è inevitabile che Trieste e lo stesso Nord-Est italiano guardino sempre di più verso la Germania e la Mitteleuropa (Kerneuropa).

Per la Germania il Porto di Trieste con i suoi collegamenti ferroviari sta aumentando la sua importanza strategica non solo perché è un’ importante strumento di approvvigionamento di idrocarburi (l’ Oleodotto TAL-Siot è in incremento) ma anche per i traffici in aumento con la Turchia, importante hub per tutta l’ area.

Inoltre i sommovimenti geopolitici in atto accentuano la necessità di un accorciamento delle catene produttive e di approvvigionamento con un rientro di molte produzioni industriali delocalizzate (reshoring).
Di questa tendenza  generale può beneficare la reindustrializzazione di Trieste a partire dalle aree portuali ricche di servizi marittimi e ferroviari e che potrebbero usufruire del vantaggioso regime di extraterritorialità doganale del Porto Franco una volta completato l’ iter burocratico con la UE che prevede una comunicazione da parte del Governo Italiano.

Tuttavia il nostro porto è considerato strategico anche dalla Nato: per il servizio alle vicine basi americane e per gli eventuali trasporti militari verso l’ Europa Centro  Orientale: come la visita del console americano Needham ha rimarcato.

Questi interessi sono in conflitto latente e Trieste dovrà imparare a destreggiarsi facendo gli interessi propri che storicamente sono diversi da quelli di Roma che ha inevitabilmente scelto di adeguarsi alle indicazioni provenienti da oltreoceano.
Un esempio storico di abile destreggiamento sulla stessa faglia geopolitica è stata la prospera Repubblica di Ragusa (ora Dubrovnik), e il cui motto neutralista nelle trattative diplomatiche era “
Non siamo Turchi, non siamo Ebrei ma solo poveri Ragusei…