mercoledì 2 gennaio 2019

IL PIANO DELL' ITALIA PER FAR PARTE DELLE NUOVE VIE DELLA SETA (E IL RUOLO DI TRIESTE) - Conversazione con Michele Geraci, sottosegretario presso il ministero dello Sviluppo economico e coordinatore della Task Force Cina.




Conversazione con Michele Geraci, sottosegretario presso il ministero dello Sviluppo economico e coordinatore della Task Force Cina.

a cura di 

LIMES Quali sono le opportunità per l’Italia derivanti dal rafforzamento dei rapporti con la Cina?


GERACI Tra Italia e Cina ci sono potenzialmente grandi sinergie. La più grande deriva dallo sviluppo della Belt and Road Initiative (Bri, o nuove vie della seta, n.d.r.). Potremmo firmare il memorandum d’intesa di adesione all’iniziativa infrastrutturale nei prossimi mesi.Le nuove vie della seta si basano su due rotte fisiche, rispettivamente terrestre e marittima. Il trasporto via acqua è il più conveniente in termini di costi. Il nostro paese ha il vantaggio di trovarsi nel cuore del Mar Mediterraneo, a metà strada tra Africa e Nordeuropa. Possiamo e dobbiamo diventare uno dei terminali della Bri in questo bacino d’acqua. La Cina è già fortemente presente nel Continente Nero, ma è alla ricerca di un paese europeo di riferimento prospiciente a esso con cui collaborare. Questa per l’Italia è un’occasione.
Il porto di Trieste, che beneficia della prossimità al Nordeuropa, potrebbe trovare un accordo con la Repubblica Popolare a breve.

Roma ha proposto a Pechino di includere nelle nuove vie della seta tre nuove rotte: aerea, spaziale e culturale. In ciascuna, l’Italia può dare il suo contributo. Nel primo ambito rientra la possibile partecipazione cinese in Alitalia. Pechino cerca anche uno snodo logistico da cui far operare le proprie compagnie aeree che volano in Africa. Questo ruolo potrebbe essere benissimo svolto dall’aeroporto di Fiumicino a Roma. Nel secondo ambito, rileva il ruolo dell’Agenzia spaziale italiana, quale unica agenzia straniera autorizzata a costruire una componente della stazione aerospaziale cinese. Infine, Cina e Italia hanno molto da condividere nell’ambito culturale. Del resto, abbiamo usi e costumi molto simili. Basti pensare all’importanza che riveste il legame familiare in entrambi i paesi. L’affinità culturale è per noi un vantaggio che incide su tutti gli altri ambiti della collaborazione economica con la Cina, tra cui il settore agroalimentare, quello infrastrutturale e il turismo. Non bisogna dimenticare poi le opportunità che in quel paese offrono rispettivamente il sistema assicurativo, sanitario e pensionistico. La Repubblica Popolare sta invecchiando rapidamente e fra vent’anni avrà problemi demografici simili a quelli dell’Italia di oggi. Possiamo far tesoro della nostra esperienza per fare nuovi affari in Cina.

LIMES Che ruolo può avere il Mezzogiorno nelle nuove vie della seta?

GERACI Al momento il Sud non è dotato delle infrastrutture necessarie per essere integrato nell’iniziativa cinese. Per coinvolgerlo è necessario un approccio diverso rispetto a quello adottato nel Nord Italia: bisogna puntare prima sul software anziché sull’hardware, poiché le attività legate al mondo digitale possono essere avviate più rapidamente e con meno costi rispetto alla costruzione delle infrastrutture. I livelli di questo processo sono tre. Primo, favorire la digitalizzazione delle aziende, per mostrare al mondo cosa vendono. Tutte le imprese italiane che hanno una propensione all’internazionalizzazione devono essere digitalizzate, per rendere il contesto del Meridione appetibile alla Cina. Un imprenditore cinese è più invogliato a investire se trova sul territorio un sistema di e-commerce sviluppato e la rete Internet 5G. A tal fine, vogliamo agevolare la collaborazione sino-italiana nel campo della ricerca tecnologica con aziende come Huawei e Tencent, la quale ha già realizzato un centro per lo sviluppo delle smart cities in Sardegna. Il secondo livello riguarda lo sviluppo del sistema bancario, per favorire la vendita dei prodotti all’estero. Il terzo livello concerne lo sviluppo del sistema logistico, che richiede più tempo. Il denaro proveniente dalla valorizzazione del primo livello potrà essere investito nel secondo e nel terzo. Queste attività possono essere messe in piedi più rapidamente rispetto alla costruzione di infrastrutture e avere un effetto immediato sul territorio.

LIMES Roma e Pechino hanno da poco firmato un memorandum d’intesa per collaborare in paesi terzi. Può indicarcene qualcuno?

GERACI Possiamo lavorare insieme in diversi paesi dell’Africa, quali Etiopia, Eritrea, Gibuti, Egitto, Tanzania, Mozambico e Angola. La Repubblica Popolare ormai ha messo radici nel Continente Nero ma la collaborazione infrastrutturale con le aziende italiane è utile sia per il valore delle nostre conoscenze tecnologiche sia perché la presenza di un partner occidentale rassicura i paesi che ospitano l’investimento. In un certo senso, Pechino può beneficiare del soft power nostrano, che ad esempio in Africa è accolto più favorevolmente rispetto a quello francese, per ragioni storiche. La nostra reputazione all’estero è esattamente ciò che serve a Pechino per superare le perplessità degli altri paesi circa le proprie attività economiche. Italia e Cina vorrebbero anche che la Libia si stabilizzasse politicamente ed economicamente, che non fosse solo un cuscinetto con il resto del Continente. Roma è impegnata direttamente in questo processo, ma l’interesse cinese per questo paese potrebbe avere dei risvolti positivi. Nel Continente Nero, la Repubblica Popolare punta sugli investimenti. Questi facilitano la crescita economica, la quale è un presupposto essenziale della stabilità politica. Proprio ciò che manca in Libia.

LIMES Quali sono le possibili controindicazioni della collaborazione con la Cina?

GERACI Una volta spalancate le porte a Pechino, gli investimenti cinesi potrebbero diventare più predatori. Per questo, l’Italia dovrà essere selettiva, accettando solo quelli che producono aumento del pil, dell’occupazione e la possibile apertura del mercato cinese ai prodotti italiani. Questo è il caso delle operazioni greenfield e brownfield 1, che accrescono la capacità produttiva. Le fusioni e le acquisizioni invece non portano valore diretto all’Italia, solo all’azionista che cede la propria quota.
Nel caso del porto di Trieste, per esempio, potrebbe concretizzarsi un investimento brownfield, che consisterebbe nella costruzione di un nuovo terminal.
Si tratta di un caso diverso rispetto a quello del porto del Pireo (controllato dal gigante della logistica Cosco, n.d.r.), dove i cinesi hanno attuato sia un’acquisizione sia un investimento brownfield. Il secondo ha portato valore. Lo scalo marittimo ha aumentato il traffico del 300% grazie alla presenza cinese.
Se producesse il medesimo impatto in un porto italiano, una simile operazione sarebbe ben accolta, perché aumenterebbe la sua capacità e quindi gli introiti.

La seconda controindicazione è che un maggiore dialogo con la Cina potrebbe inasprire il già complesso rapporto tra Roma e il resto dell’Europa. Inoltre, l’aumento delle attività italiane in Africa potrebbe non essere gradito dalla Francia, che qui storicamente afferma la sua influenza.

L’Italia non rischia invece di cadere nella «trappola del debito» alimentata dagli investimenti cinesi. Su 2.300 miliardi di euro di debito pubblico italiano, il 32% è in mano straniera, prevalentemente tedesca e francese. La Cina non investirà 700 miliardi nel debito nostrano, quindi non si creerà un legame di dipendenza. Invece, il pericolo che alcuni paesi più vulnerabili sul piano economico incappino in un problema del genere offre all’Italia l’opportunità di fare affari con loro collaborando in triangolazione con la Cina. Tale dinamica potrebbe verificarsi in Africa, in Asia centrale e nel Sud-Est asiatico.
LIMES Cosa pensa della crescente presenza militare cinese all’estero, a cominciare da quella a Gibuti?
GERACI Vista la mole delle attività economiche della Repubblica Popolare in tutti i continenti, non bisogna stupirsi se Pechino vuole espandere la sua presenza militare all’estero. Gli Usa del resto hanno diverse installazioni militari in tutto il globo, persino a pochi chilometri dalla costa cinese. Il mondo ormai è bipolare, se non tripolare, e credo dovremmo abituarci a questo genere di sviluppi.

Nota:
1. Le prime consistono nel finanziamento di nuove opere, le seconde riguardano il rifinanziamento del debito contratto dal concessionario per opere già realizzate o in corso di realizzazione.

Dall' ultimo numero di Limes "Non tutte le Cine sono di Xi"
________________________________________________


SEGNALIAMO, INOLTRE, L' USCITA SUL CORRIERE  DELLA SERA DI OGGI 2 GENNAIO, DI UN NUOVO APPELLO, PIU' LETTERARIO E VOLONTARISTICO CHE TECNICO, AL RUOLO DI VENEZIA COME VERO TERMINAL DELLA "NUOVA VIA DELLA SETA" , TEMATICA CHE APPARE DECISAMENTE SUPERATA PER I NOTI PROBLEMI DEL PORTO VENEZIANO DI ACCESSIBILITA' NAUTICA E COLLEGAMENTO ALLE RETE FERROVIARIA EUROPEA. Clicca QUI.



La nuova Via della Seta, un’occasione per Venezia

Il progetto del leader cinese Xi Jinping s’è allargato a dismisura, ma il ruolo della città di Marco Polo resta centrale: un’opportunità da cogliere

di Antonio Armellini


Annunciando nel settembre 2013 la Nuova Via della Seta verso Occidente, il presidente Xi Jinping ne ha tracciato un percorso ideale che, partendo da Pechino, giunge sino a Venezia. L’indicazione non è stata casuale, né tantomeno frutto di suggestioni estetiche. Il personaggio di Marco Polo ha un ruolo fondamentale (ben più che da noi) nell’immaginario cinese: dichiarando di voler ripercorrere a ritroso il cammino da lui fatto più di ottocento anni fa, Xi ha inteso ribadire la determinazione della Cina di affermare un ruolo di grande potenza, e di mercato imprescindibile, al cuore della ritrovata centralità geopolitica dell’Asia. Un messaggio che Marco Polo e Venezia dovevano rendere chiaro.
La Nuova Via della Seta, dapprima marittima dall’Oceano Indiano verso ilMediterraneo, si è rapidamente ampliata in altre direzioni, passando dall’hinterland caucasico verso l’Europa centro-settentrionale, dirigendosi verso l’Africa e da ultima anche l’America Latina. Da una, le Vie sono diventate tante e hanno preso il nuovo nome di Obor («One Road One Belt Initiative»), ma la destinazione è rimasta la stessa. Spinti dalla generosità finanziaria apparentemente illimitata di Pechino, molti paesi si sono lasciati attrarre da faraonici progetti di investimento che rispondevano ai piani cinesi ben più che alle loro priorità di sviluppo e che in più occasioni — dallo Sri Lanka al Pakistan — li hanno portati sull’orlo della bancarotta. Sono in parallelo cresciute le preoccupazioni di europei e americani che, sotto il mantello della cooperazione, Pechino nascondesse un disegno egemonico pericoloso, rispetto al quale era necessario fare molta attenzione nel valutare costi e benefici reciproci. Tutto ciò ha indotto prudenza e qualche pausa di riflessione in più, ma non ha arrestato il cammino di Obor che ha continuato ad andare avanti nella sua strada.
La Via della Seta si presenta oggi come un sistema complesso ancora in evoluzione: fra i tanti, al momento attuale i punti d’arrivo marittimi vanno, nel Mediterraneo, dal Pireo a Marsiglia e ai porti italiani di Savona e Trieste; nel Mare del Nord, da Rotterdam ad Amburgo, mentre Francoforte dovrebbe essere il terminale terrestre da Est. Per ciascuno di essi si porranno delle esigenze diverse che richiederanno una disciplina specifica, ma per le sue dimensioni, le ramificazioni internazionali e le implicazioni politiche Obor nel suo complesso non potrà prescindere in Europa da uno strumento unitario per la gestione coordinata degli aspetti logistici, amministrativi e delle strategie commerciali. Lo pensano i cinesi e a maggior ragione dovremmo volerlo noi, specie alla luce dell’esigenza di correlarne il funzionamento a una visione coerente dei nostri interessi.
C’è folla di candidati per un simile compito. Dal Pireo — ormai a tutti gli effetti un porto cinese — a Rotterdam, Amburgo e Francoforte. Xi però ha parlato di Venezia e non di altro. Il forte valore simbolico del richiamo al personaggio di Marco Polo gli dà l’occasione di porsi come elemento di continuità fra tradizione classica e innovazione, nella rivendicazione di un ruolo di leader incontrastato in grado di guidare la Cina sulle ali della storia verso la sua nuova dimensione globale. Vi sono molte città europee — o italiane — più strutturate e competitive di Venezia, ma essa è la sola in grado di consentirgli una consacrazione cui mostra di tenere personalmente.
Non possiamo lasciar cadere l’occasione. Per l’Italia, si tratterebbe di recuperare centralità non solo nei confronti della Cina — dove ci siamo trovati spesso più a rincorrere che a fare da guida — ma soprattutto in relazione a uno sviluppo chiave per il futuro delle relazioni con l’Asia. Quanto a Venezia, si lamenta sempre il degrado dovuto a una monocultura turistica devastante. Eppure resta un punto di contatto privilegiato verso Oriente. Farne il riferimento politico, amministrativo e commerciale del sistema Obor vorrebbe dire restituirla al suo ruolo storico, sviluppando al tempo stesso la sua vera via di salvezza, di centro di servizi avanzati con forte caratura internazionale. Oltretutto, Venezia non sarebbe per le sue caratteristiche in concorrenza con altre scelte, ma rappresenterebbe un valore aggiunto utile a tutti.
Nella mappa che accompagnava la prima presentazione del progetto, Veneziaappariva con chiara evidenza. Si sarebbe pensato che la risposta sarebbe stata immediata a livello di governo e invece non è successo granché, a parte qualche occasionale accenno, mentre Venezia non ha perso l’occasione di confermare la sua albagia. La destinazione è stata sommersa nelle mappe successive da altre, sempre nuove, ma non è ancora troppo tardi per recuperare. Per quanto altri si stiano muovendo aggressivamente, il vantaggio della Serenissima resta incolmabile. A condizione, s’intende, di volerlo cogliere.



Nessun commento:

Posta un commento