venerdì 8 gennaio 2021

L'AMERICA IN TEMPESTA È UN PROBLEMA ANCHE PER ALLEATI E NEMICI - Articolo di Lucio Caracciolo sulla situazione degli USA

Tra qualche anno, forse, rivali e soci in via d’emancipazione degli Stati Uniti rimpiangeranno i tempi in cui dovevano tacere, ubbidire e godersi la vita

di Lucio Caracciolo

 

L’assalto al Congresso e il caos in cui s’inscrive alimentano la percezione che il Numero Uno sia troppo impegnato con sé stesso per pensare al mondo. Conclusione affrettata. Resta che il danno reputazionale subìto dal paese che va (andava?) orgoglioso del suo marchio democratico è profondo e non rapidamente sanabile. Né è chiaro chi sia in questo momento il comandante in capo: il presidente in carica, il vicepresidente che si comporta come se il presidente fosse lui o la cacofonica somma algebrica delle istituzioni strategiche e di sicurezza, colte con la guardia bassa durante le ore dell’assalto al Congresso?

L’avvento di Biden, il 20 gennaio, non sarà l’inizio di un nuovo capitolo. Sarà l’inizio del tentativo di chiudere quello in corso. Ovvero di liquidare definitivamente Trump. Soprattutto, di sedare i trumpisti in rivolta. Con le cattive, se necessario. Impresa ardua. Oggi in America i modi e i costumi su cui si è finora retta la nazione, da cui derivano le regole del gioco politico-istituzionale e la bilancia dei poteri domestici, non funzionano più in automatico. Urge inventare e imporre nuove regole, a cominciare da quelle che (non) stabiliscono come eleggere il presidente. Fra quattro anni, un altro collasso come l’attuale potrebbe rivelarsi esiziale.

Altrimenti prevarranno i separatismi interni, con parti del territorio e della società emancipati dal controllo del governo federale, che si radicalizzeranno coltivando le proprie religioni del complotto. E addestrando le proprie milizie.

Quando la potenza leader del pianeta è in confusione, il problema ci riguarda tutti. E preoccupa, a diverso titolo e in varia misura, sia i soci che i nemici dell’impero americano. Certo, Pechino, Mosca e Teheran hanno accolto con gioia maligna il disastro del 6 gennaio e godono del fatto che oggi per Washington sia piuttosto arduo impartire lezioni di democrazia ed efficienza istituzionale al resto del pianeta.

Ma a mente fredda, non sapere chi tenga non solo simbolicamente in mano il timone della superpotenza è un problema anche, forse soprattutto, per loro. Né si può escludere che per ricompattare la nazione e rinsaldare il primato nel mondo alcuni poteri americani siano pronti a scatenare una guerra, possibilmente breve e vittoriosa, che punisca almeno uno fra i tre supernemici. Di sicuro l’imprevedibilità degli Stati Uniti destabilizza il sistema delle cosiddette relazioni internazionali, già in entropia.

La potenza di ogni impero si misura dalla salute del centro, da cui dipende quella delle periferie.Non viceversa. In parole povere, il nostro paese e gli altri satelliti dell’informale impero a stelle e striscesono esposti alle onde d’urto sollevate dalla disputa fra i poteri americani. Specie per i soci più deboli e dipendenti, fra cui noi, si tratta di avventurarsi con i propri mezzi lungo sentieri inesplorati. E imparare a convivere con un capocordata stanco di occuparsi di tutti, in particolare degli alleati meno affidabili e potenti. Quanto ai soci più autorevoli e ambiziosi, è l’occasione per riequilibrare in parte il rapporto con la superpotenza.

Vale soprattutto per Germania e Francia. La prima reazione di Angela Merkel, che si è poco merkelianamente dichiarata “arrabbiata e triste”, esprime la frustrazione di un ex satellite strettamente sorvegliato perché sospettato di intelligenza col nemico cinese – vedi accordo sugli investimenti Ue-(leggi: Germania)-Cina – o russo (Nord Stream 2). Fra qualche anno, forse, scopriremo negli attuali soci in via di emancipazione dal controllo americano una lancinante nostalgia per i tempi in cui dovevano tacere, ubbidire e godersi la vita sotto l’ombrello a stelle e strisce.

Articolo originariamente pubblicato l’8 gennaio 2021 su La Stampa

 




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