giovedì 7 marzo 2019

TRIESTE PUO' DIVENTARE COME SINGAPORE: CONVERSAZIONE CON ZENO D' AGOSTINO PRESIDENTE DELL' AUTORITA' PORTUALE DI TRIESTE - Dal nuovo numero di Limes


Pubblichiamo questa intervista a Zeno D' Agostino realizzata prima delle pubbliche prese di posizione di USA e UE critiche sulle "Nuove Vie della Seta". L' intervista è pubblicata sull' ultimo numero di Limes UNA STRATEGIA PER L'ITALIA - n°2 - 2019.

Abbiamo contattato telefonicamente il Presidente D' Agostino in merito alle odierne notizia di stampa sulla contrarietà americana (e UE) agli investimenti cinesi nel porto di Trieste ed è parso ottimista e particolarmente soddisfatto dell' interesse della stampa internazionale per il porto di Trieste e del fatto che gli arrivino richieste di interviste dalle maggiori testate americane e internazionali.
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Siamo sulla bocca e sulle pagine dei giornali di tutto il Mondo. E' probabile che molti investitori arriveranno. Spero anche molti americani..." " Ci sono accordi in vista con i maggiori player al mondo del settore, e da oggi interesse su Trieste che cresce a dismisura. Chi lo avrebbe mai solo immaginato solo pochi anni fa? Veramente la Singapore dell’Adriatico!" -


Speriamo bene perchè  Trieste è già stata sacrificata sull' altare della prima "Guerra Fredda" pagando con decenni di paralisi, e non gradirebbe che la storia si ripeta adesso che si aprivano serie prospettive di tornare ad essere lo snodo tra Europa ed Oriente.


L' articolo di fondo di questo numero di Limes suggerisce all' Italia riguardo questi aspetti di una strategia generale "... dagli americani ci attendiamo che rinuncino a sabotare la nostra adesione ai dossier economico-commerciali della via della seta – una volta accettato di prenegoziare con loro le linee rosse cui attenerci in materia – e a minare la per noi insostituibile interdipendenza energetica con la Russia, posto il nostro rifiuto di partecipare alla destabilizzazione del colosso eurasiatico".

Ecco l' intervista:

Conversazione con Zeno D’Agostino, presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico Orientale (Trieste e Monfalcone).
a cura di 

LIMESHa senso considerare Trieste un porto italiano vista la sua storia, il suo status giuridico e la sua propensione a operare con l’Europa centrale?
D’AGOSTINOTrieste è un porto italiano, ma oggi lavora soprattutto con lo spazio dell’ex impero austroungarico. Inoltre, sta ampliando le attività anche nell’Europa occidentale. Per esempio sono incrementati i trasporti merci intermodali verso il Lussemburgo e il Belgio. Dobbiamo ricordare che prima dell’emersione degli scali marittimi del Nord Europa, le attività di quelli nostrani erano proiettate naturalmente oltre i confini nazionali. Le dinamiche internazionali in corso offrono alla Penisola l’opportunità di tornare principale porta di accesso all’Europa dei flussi marittimi mondiali.
LIMESIl Trattato di pace del 1947 e il memorandum di Londra del 1954 (firmato da Italia, Usa, Regno Unito e Jugoslavia) disciplinano l’amministrazione di Trieste e del porto franco. In base a essi, il direttore dello scalo marittimo non deve essere italiano o jugoslavo. Come è possibile che lei sia presidente dell’Autorità portuale?
D’AGOSTINOSarebbe troppo facile rispondere che il Trattato di pace si riferisce alla figura del direttore e non a quella del presidente. Le due cariche di fatto coincidono. Piuttosto il documento del 1954, che riconosce la fine dell’esperienza del Territorio libero di Trieste, afferma l’impegno del governo italiano a mantenere il porto franco «in general accordance» con i primi venti articoli dell’Allegato VIII del Trattato. Ciò significa che non devono essere rispettati pedissequamente. Al di là di questo dettaglio giuridico, credo che la cosa più importante sia che il porto funzioni. Se questo non dovesse bastare, vorrà dire che cambierò cittadinanza (risata).
LIMESDa tempo si parla di investimenti della Cina a Trieste e in particolare di un interessamento di China Merchants Ports Holding per la piattaforma logistica del porto. Inoltre, a breve l’Italia potrebbe aderire alla Belt and Road Initiative (Bri, o nuove vie della seta). Dovremmo temere una maggiore presenza del Dragone in Italia?
D’AGOSTINOI colossi della logistica cinese sono certamente interessati a fare affari con Trieste, visto che è uno snodo strategico tra il Mar Mediterraneo e il Nord Europa. Ma le preoccupazioni italiane sono esagerate e comunque tardive. Da tempo la Repubblica Popolare investe nel nostro paese e in Europa. Le attività cinesi riguardano tutti i settori, inclusi i fondi che controllano proprietà logistiche e industriali. Parte dei timori emersi in Italia sono motivati dal fatto che la Cina ha preso il controllo di diversi porti stranieri, incluso quello del Pireo in Grecia, attraverso l’acquisizione delle Autorità portuali. Comprendo le riserve dei paesi economicamente più fragili, ma se Trieste concluderà degli accordi con la Cina, non si assisterà a un simile scenario. L’Autorità infatti non intende rinunciare alla gestione del porto. Oggi controlliamo una parte importante della nostra catena logistica marittima: non solo il porto in sé, ma anche i punti franchi, la zona industriale e gli interporti. In più, controlliamo al 100% l’impresa ferroviaria privata Adriafer. Abbiamo conservato in mano statale aziende che conducono attività fondamentali nello scalo marittimo e costituito un’agenzia del lavoro per gestire la manodopera, anziché affidare la questione ai privati. Così abbiamo evitato che costoro portassero forza lavoro a loro più gradita.
In Europa abbiamo scartato con troppa sufficienza l’importanza della pubblica amministrazione nell’ambito portuale. Anche perché le leggi comunitarie, ancorate al modello liberistico, privilegiano il settore privato e impediscono la preminenza del pubblico. In questo senso potremmo imparare qualcosa dall’approccio cinese e asiatico alla logistica portuale. La Repubblica Popolare ha di fatto abbracciato il capitalismo, ma è dotata di potenti società statali che sono riuscite a penetrare nei gangli dell’economia mondiale. Il ruolo dello Stato nell’accrescere la capacità del sistema portuale è evidente anche nel caso di Dp World a Dubai. Trieste ha preso spunto da modelli di successo come Singapore e Hong Kong, i cui porti non erano tanto più grandi del nostro prima di affermarsi come snodi marittimi mondiali. Forse sarò troppo ottimista, ma con questi presupposti e sulla base della nostra posizione strategica nel Mar Mediterraneo potremmo replicare il loro successo.
LIMESGli investimenti della Repubblica Popolare a Trieste implicherebbero anche l’avvio di collaborazioni legate alle telecomunicazioni?
D’AGOSTINO Le aziende cinesi hanno espresso il loro interesse anche in tal senso. Del resto, le nuove vie della seta costituiscono un progetto di integrazione globale, che prevede sia lo sviluppo di infrastrutture tradizionali sia il potenziamento delle connessioni digitali. Si pensi all’impatto che possono avere la rete 5G e l’intelligenza artificiale sull’efficienza dell’economia. La Cina in questi campi è all’avanguardia e cooperarci è inevitabile, a patto che sia in linea con i nostri interessi.

LIMES Quali altri paesi intendono operare a Trieste?


D’AGOSTINO Ungheria, Austria e Germania hanno manifestato la volontà di investire nei terminali del porto. Lo scorso dicembre, l’azienda indonesiana Java Biocolloid Europe ha avviato un’attività nel porto franco. Una società danese ha da poco preso la gestione di un terminale che prima era in mano turca. Anche Trieste vorrebbe fare lo stesso in scali stranieri importanti per i suoi traffici. Abbiamo affrontato questo capitolo con Austria, Germania, Lussemburgo, Ungheria, Slovacchia e Cina.
LIMESTrieste è storicamente territorio di frontiera. Oggi l’Italia è teatro della competizione tra Stati Uniti e Cina. Quale potrebbe essere la reazione americana agli investimenti cinesi?
D’AGOSTINOSpero che queste dinamiche inneschino un circolo virtuoso, attirando nuove opportunità. A quel punto, Trieste sarebbe più di un porto italiano. Diventerebbe uno snodo del commercio marittimo mondiale al pari di Rotterdam o Amburgo. In questi scali i cinesi sono già fortemente presenti, ma lì si agitano meno di quanto accade in Italia.
LIMESCosa si può fare per valorizzare i porti del Sud Italia, che per ora non sono considerati come snodi potenziali delle nuove vie della seta?
D’AGOSTINOIl futuro dei porti del Mezzogiorno non va solamente legato allo sviluppo delle rotte provenienti da Oriente, ma a quello del commercio interno al Mar Mediterraneo e in particolare ai rapporti con l’Africa. Da tempo la Cina opera nel Continente Nero, ma gli africani gradiscono di più gli europei, come ha detto l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi a Parigi lo scorso settembre durante la conferenza del Reinventing Bretton Woods Committee. Non si capisce perché l’Ue non abbia ancora sviluppato un progetto speculare alle nuove vie della seta, dotato di una visione unitaria di lungo periodo e progetti specifici focalizzati sul versante Sud del Mar Mediterraneo. L’Italia sarebbe la prima a trarne beneficio, vista la sua collocazione in mezzo al mare nostrum.

3 commenti:

  1. Balle, nell allegato, nel memorandum di londra si parla di amministrazione provvisoria...

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    1. Esatto. Trusteeship Administration.If I well remember it.

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  2. se tutte le balle sono come la gestione odierna del porto e del suo punto franco ben vengano.

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