Articolo di Federico Petroni pubblicato su Limes On Line del 27 giugno
Come di consueto, basta qualche centinaio di persone a gettare nel caos l’Unione Europea e a conferire al fenomeno migratorio una dimensione di crisi che altrimenti non avrebbe.
Attorno alla vicenda della nave Lifeline – che carica 234 migranti e attende di entrare in un porto di Malta – emergono ipocrisie, debolezze e strategie dei paesi europei coinvolti nella faticosa ricerca di un compromesso sulla gestione dei flussi migratori.
All’imbarcazione è stato negato il permesso di attraccare in Italia e in Spagna, la quale ha fatto retromarcia rispetto alla mossa puramente d’immagine effettuata con la Aquarius, non accettando nemmeno di ospitare una parte dei 234. Malta ha concesso l’autorizzazione alla nave solo quando altri 7 membri dell’Ue non hanno accettato di suddividersi fra loro le persone a bordo. Si tratta di Italia, Francia, Portogallo, Irlanda, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi. Stranamente, a essersi presi più tempo sono proprio questi ultimi, essendo lo Stato di cui la Lifeline batte bandiera. Inoltre, la Germania, paese di origine della ong che ha svolto l’operazione di trasbordo, non ha dato la propria disponibilità.
Il rallentamento del processo decisionale – al di là della presunta violazione delle norme internazionali da parte della Lifeline – è stato funzionale alla strategia di Roma. Il governo italiano esige un superamento del regolamento di Dublino che obbliga i paesi di primo approdo a registrare le richieste di asilo e nuove regole per distribuire tutti i migranti sbarcati sulle coste europee, poiché solo una parte di essi fa domanda per lo status di rifugiato.
Tuttavia, lo scenario in cui quasi ogni nave manda in cortocircuito i governi europei rischia di diventare norma se al vertice dell’Ue di domani e dopodomani i membri – o una parte di essi – non riusciranno a trovare un accordo. Eventualità assai improbabile se si auspicano ripartizioni interne, meno invece in tema di rafforzamento dei confini esterni. Ma senza un’intesa colerebbe a picco anche l’esecutivo tedesco, spaccato fra la cancelliera Merkel e il ministro dell’Interno Seehofer sulla questione del rimpatrio dei richiedenti asilo che hanno fatto domanda in un altro paese.
Una crisi di governo a Berlino avrebbe immediati effetti sulle periferie tedesche. L’Austria ne ha dato prova con un’esercitazione al confine di Spielfeld con la Slovenia, al grido che Vienna non permetterà una riedizione del transito del milione di persone avvenuto nel 2015. Le autorità austriache peraltro minacciano apertamente Roma di sigillare il Brennero e le altre frontiere e di rispedire nel nostro paese i profughi respinti dalla Germania.
L’Italia vedrebbe così ufficializzato il proprio status di ghetto migratorio. Condannata a occuparsi dell’integrazione degli allogeni cui nessun recente governo ha voluto dare la priorità. A quel punto, aver evitato che Vienna si riprenda informalmente l’Alto Adige - SudTirol sarebbe davvero magra consolazione.