lunedì 18 marzo 2019
TRIESTE CELEBRA GLI ASBURGO E I 300 ANNI DI PORTO FRANCO - Articolo di Laris GAISER originariamente pubblicato su La Verità
Articolo di Laris GAISER originariamente pubblicato su La Verità (clicca QUI)
il 18 marzo di trecento anni fa l’imperatore Carlo VI d’Asburgo segnava il destino di Trieste donandole la patente di porto franco.
Grazie a quella provvidenziale decisione e alla successiva strategia di sviluppo commerciale esplicitamente sostenuta anche da Maria Teresa e da Giuseppe II un piccolo borgo divenne una delle più fiorenti e ricche città d’Europa.
Dal 1719 fino alla prima guerra mondiale, con cui l’Italia l’ha strappata al suo entroterra di riferimento, Trieste ha influito pesantemente sullo sviluppo dei rapporti geoeconomici mondiali e soprattutto sullo sviluppo dei rapporti con l’Oriente a causa della cui importanza furono proprio le compagnie triestine a proporre per prime la costruzione del canale di Suez quando francesi ed inglesi ragionavano ancora di collegamenti ferroviari tra il Cairo ed il Mar Rosso.
Con l’annessione all’Italia la città, come prognosticato all’epoca da Luigi Einaudi, perse il senso della sua esistenza.
Ancora peggiore fu il periodo della guerra fredda in cui Roma e i suoi alleati non avevano alcun interesse a favorire la vivacità del locale porto che inevitabilmente avrebbe sostenuto i sistemi produttivi dei Paesi socialisti centroeuropei.
Oggi, grazie al crollo del comunismo e al rifiorire dell’economia nella regione, Trieste sta ritornando protagonista.
Le persone celebrano i fasti passati discutendo animatamente su come rilanciare il futuro e Il periodo pre-unitario non è più un tema politicamente scorretto.
Proprio la settimana scorsa i cittadini hanno partecipato ad un referendum pubblico per scegliere il monumento da erigere a Maria Teresa. Un tallero gigante con la sua effige sarò posto nel cuore del quartiere da lei voluto alle spalle del porto. Il Comitato per l’erezione della statua, guidato da Massimiliano Lacota, che ha raccolto i fondi necessari, spera si possa così rendere omaggio alla regina che di Trieste fece una metropoli vivace e magari anche mandare un messaggio, non proprio velato, a Roma.
Il porto, la cui struttura logistica d’epoca imperiale ha ispirato la costruzione della più grande base di una marina militare al mondo, quella di Norfolk, voluta nel 1917 da Woodrow Wilson, da novembre 2017 è nuovamente porto franco.
I carichi sono in crescita. Il traffico container è aumentato nel 2018 del 49% in confronto al 2016 e del 13% la movimentazione ferroviaria trasformando lo scalo giuliano nel primo porto ferroviario d’Italia.
Nel 2016 in occasione della manifestazione Transport Logistic, la più grande fiera logistica del mondo, il ministro bavarese per gli affari federali e progetti speciali Marcel Huber ed il suo collega per i trasporti Joachim Hermann hanno chiesto che il potenziale del sistema intermodale, cioè la frequenza dei treni, venisse aumentata sottolineando come Trieste sia il porto della Baviera da cui passa il 40% di tutto il fabbisogno petrolifero tedesco ed il 100% di quello bavarese.
L’ Autorità portuale negli ultimi anni ha favorito l’inserimento sui moli di diverse realtà straniere tra cui il Belgio, la Danimarca, l’Iran sperando che i contatti instaurati con Pechino potessero farlo divenire il terminale naturale della futura via della seta dato che ormeggiando a Trieste, anziché nei grandi porti del Nord Europa, le merci raggiungono il cuore del continente con cinque giorni d’anticipo.
L’Italia unita non ha mai trovato la sintonia col mondo esistente alle spalle di Trieste diviso e al tempo stesso unito per secoli dagli idiomi tedeschi, slavi ed ungherese in cui l’inno imperiale – non a caso intitolato Inno del Popolo – poteva essere cantato ufficialmente in tredici lingue diverse, tra cui anche il friulano, e nel cui parlamento ognuno aveva il diritto di esprimersi nella parlata più familiare.
Tuttavia, in questi ultimi anni pareva che la tendenziale mancanza di iniziativa geopolitica di Roma nei confronti dell’Europa centrale potesse favorire il dinamismo commerciale autoctono dei triestini e la loro disperata voglia di ritornare ai fasti del passato.
In questo contesto la firma del memorandum di cooperazione tra l’Italia e la Cina potrebbe però portare molti più danni che benefici facendo ritornare Trieste nuovamente ostaggio di giochi geopolitici sui quali ha ben poco controllo.
Nel molto probabile caso in cui gli Stati Uniti d’America, del cui impero siamo un tassello non irrilevante e con i quali non abbiamo avuto l’accortezza diplomatica di discutere preventivamente un nostro eventuale ingaggio all’interno del progetto commerciale cinese, dovessero optare per una pesante rappresaglia politico-economica nei confronti del Belpaese Trieste ne risentirebbe pesantemente.
Oltre le colline carsiche e lungo il litorale adriatico, Washington è impegnata a lanciare il progetto del Trimarium, cioè di un nuovo sistema di contenimento politico ed infrastrutturale della Russia e della Cina.
Trieste, dialogando con Washington, avrebbe tanto da guadagnaci. Potrebbe perfino divenire un dormiente cavallo di Troia occidentale nel cuore del sistema geopolitico Cinese esattamente come, a parti invertite, accaduto per il Pireo. Qualora il governo riuscisse a comprendere l’importanza dei giochi in atto rivedendo la propria postura disporrebbe di Trieste per sostenere gli alleati senza rinunciare, piratescamente, agli investimenti orientali.
Si tratterebbe di trovare e comunicare un bilanciamento degli interessi a cui la storia italiana non è del tutto estranea se si pensa ai rapporti trattenuti da Roma, con il silente beneplacito americano, durante la guerra fredda con molti Paesi geopoliticamente scomodi.
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