CINA-VATICANO, L’ACCORDO È L’INIZIO
“Il tempo di Dio assomiglia al tempo dei cinesi” ha detto papa Francesco, per rimarcare quanta arte e pazienza abbiano impiegato Santa Sede e Pechino per capirsi e raggiungere un accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi nella Repubblica Popolare.
Il Vaticano ha evidentemente compreso le tecniche di negoziato cinesi, secondo le quali la fiducia e il rapporto personale sono presupposti di qualunque intesa. Basti pensare al contributo fornito dal segretario di Stato Parolin, che ha guidato la delegazione vaticana durante i negoziati segreti con Pechino sin dai primi anni Duemila.
Per questo, nel messaggio ai cattolici cinesi, papa Francesco ha menzionato il passo del De amicitia di Matteo Ricci (gesuita come lui e noto per la sua attività pastorale nella Cina imperiale) che recita: “prima di contrarre amicizia, bisogna osservare; dopo averla contratta, bisogna fidarsi”. Nella Repubblica Popolare gli accordi rappresentano l’inizio del confronto, non il punto di arrivo. Non a caso il documento firmato da Pechino e dalla Santa Sede è provvisorio e privato. Pertanto può essere ridiscusso in corso d’opera.
La Cina ha di fatto rinunciato a un frammento di sovranità, lasciando che la nomina sia formalmente attribuita dal papa. Tuttavia, può servirsi del dialogo con la Santa Sede per rafforzare il suo soft power mentre affronta la guerra commerciale con gli Usa, le critiche internazionali riguardanti il rispetto dei diritti umani nel Xinjiang e quelle inerenti le ripercussioni negative della Belt and Road Initiative (Bri, o nuove vie della seta) sui paesi più deboli economicamente.
Nel lungo periodo, il Vaticano punterà invece a potenziare la sua attività pastorale nella Repubblica Popolare, dove si stima vi siano circa dieci milioni di cattolici.
Indicatore geopolitico: 1.3 miliardi
Sono i cattolici battezzati nel mondo. Sul vincolo di fede che li lega al papa si impernia l’impero spirituale della Chiesa.