martedì 19 dicembre 2017

LE PROMESSE E IL PARADAOSSO DELLA DESTRA IN AUSTRIA - da Limes on Line


LE PROMESSE DI KURZ
Il nuovo governo di destra-destra dell’Austria potrà ottenere facili vittorie sul piano simbolico: dall’opposizione all’ingresso della Turchia nell’Unione Europea (ingresso che la stessa Ankara di fatto non vuole) al rifiuto delle quote sui migranti (rifiuto che altri paesi stanno già mettendo in pratica).
Sulle sanzioni alla Russia e sulla permanenza di Vienna nell’Ue però l’esecutivo del giovane Kurz ha già promesso che non creerà problemi, malgrado il programma elettorale della FPÖ promettesse atti dirompenti.
La vagheggiata concessione della cittadinanza austriaca ai sudtirolesi e il cinematografico blocco del Brennero rimarranno probabilmente lettera morta, ma confermano che l’Italia non potrà contare su Vienna.
Commenta Paolo Quercia:
Ha giurato il nuovo governo austriaco, frutto di un alleanza tra il Partito conservatore della OVP ed la destra dalla FPÖ, dalle tendenze più liberali in economia ma complessivamente di carattere nazionalista. Si apre ora uno scenario inedito: l’Austria si ritrova un governo nazional-conservatore nonostante il Partito socialista rimanga il secondo partito del paese e soprattutto nonostante la grande coalizione socialisti-popolari abbia incrementato il numero dei propri parlamentari alle ultime elezioni e avesse tutti i numeri per formare un governo.
La coalizione nero-blu nasce durante il mandato presidenziale di un rappresentante del Partito dei Verdi, Van Der Bellen, che ora non ha più un partito e che aveva garantito durante la sua campagna elettorale che la FPO non sarebbe entrata al governo. Divenuto presidente e dovendo gestire la formazione del nuovo esecutivo, Van Der Bellen ha abbassato le pretese, sostenendo che alla FPÖ non avrebbe mai dato Giustizia e Interno per timori – onestamente infondati – legati alla tenuta democratica. Alla fine, la FPÖ ha ottenuto i dicasteri di Interno, Difesa ed Esteri, mentre alla Giustizia è andato comunque un ex uomo del partito. Quasi mai nel dopoguerra Interno e Difesa sono finiti allo stesso partito, in quanto ciò vuol dire una egemonia pressoché totale sulla sicurezza e sull’intelligence.
Il governo che nasce ha un cancelliere-ragazzo trentenne, divenuto ministro degli Esteri a 27 anni senza aver mai conseguito una laurea universitaria. Pur rappresentando il partito di maggioranza governativa, Kurz si è costruito una squadra di governo prevalentemente basata su tecnici esterni e non sui quadri del suo partito, che in buona parte gli è contro.
Intanto la SPO – che vent’anni fa, in una situazione analoga e per impedire ad un FPÖ non dissimile di andare al governo, provocò una crisi diplomatica di (s)proporzioni europee – oggi sostanzialmente rinuncia a fare opposizione.
Detto questo, non ci sono particolari motivi per temere o screditare la nascita di questo esecutivo all’estero. In Europa i toni allarmati dell’avanzata dell’ultradestra populista e xenofoba appaiono totalmente inappropriati e fuori luogo. La collaborazione socialisti-cattolici è, quantomeno in Austria, arrivata al capolinea e non appare rispondere ai problemi degli austriaci di oggi.Che hanno votato Kurz non perché sia un grande statista ma perché ha promesso politiche di destra e di fare un governo con la destra. E sopratutto di modernizzare un paese bloccato, che viene da molti anni di scandali e sprechi – ovvia conseguenza di una politica consociativa senza opposizione.
Il 2018 si apre con il paradosso di un governo nazional-conservatore che ha la grande occasione di modernizzare il paese. Può fallire solo pensando al passato o finendo strumentalizzato nelle sue relazioni internazionali dall’azione di altri Stati. L’area di azione internazionale di Vienna nei prossimi cinque anni, difatti, rischia di essere molto calda e contesa.

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