venerdì 21 aprile 2017

Nel caso Del Grande, l’Italia fa gli errori di sempre - Un articolo di Limes - Il Porto di Trieste lavora moltissimo con gli operatori turchi e un peggioramento delle relazioni con la Turchia potrebbe avere effetti molto negativi.


Oggi Limes On Line pubblica un articolo che ci riguarda da vicino visti gli intensi rapporti commerciali che il Porto di Trieste ha con la Turchia ( clicca QUI) : lo riproduciamo per i nostri lettori non abbonati. 

Il nostro paese non ha imparato dal passato: stiamo affrontando la vicenda del reporter arrestato in Turchia con la stessa pericolosa incoscienza che ci è già costata caro con Egitto, India e Brasile. Dovremmo capire la strategia di Erdoğan.
di 

Ci risiamo!

Nonostante gli insegnamenti che dovremmo essere stati capaci di trarre dai precedenti episodi, in particolare da quello dei due marinai arrestati in India e dal più recente “caso Regeni“, stiamo affrontando la vicenda di Gabriele Del Grande – il reporter italiano arrestato in Turchia – con la stessa pericolosa e inconcludente incoscienza.

Eppure quegli episodi avrebbero dovuto chiarirci una volta per tutte almeno tre punti.

In primo luogo: una reazione immediata, a caldo, è sempre una reazione d’istinto. Vi giocano un ruolo particolarmente importante fattori e sentimenti che sarebbe meglio mantenere sotto controllo almeno sino a quando non si avrà una chiara idea di quali siano le ragioni e la tattica, se non la strategia, della controparte.

In secondo luogo: non conviene attribuire a un incidente tutto sommato banale e trascurabile – se visto alla luce di quelle che sono le normali reazioni fra due Stati sovrani – un’importanza tale da elevarlo subito al rango di “caso internazionale”. Ciò impedisce alla giustizia e alla diplomazia di entrambi i paesi di seguire il loro normale iter, magari un po’ lungo ma sicuramente privo di tutti quegli elementi di turbativa che possono introdurvi un’opinione pubblica intollerante, una stampa straordinaria nell’amplificare ma del tutto incapace di farsi portavoce di un sereno richiamo alla saggezza e forze politiche sempre pronte a cavalcare qualsiasi onda emotiva che percorra il loro potenziale elettorato.

In terzo luogo: questo tipo di reazione non tiene conto di come sia sempre controproducente per l’Italia – una media potenza declinante e capace di assumere posizioni forti soltanto a parole – innescare contenziosi duri con paesi che si considerano medie potenze emergenti, con credenziali democratiche molto discutibili e spesso guidati da un “uomo forte” che non attende altro che di poter evidenziare la propria risolutezza in casi del genere, negandoci magari anche quello che sarebbe nostro diritto pretendere.

Sono caratteristiche riscontrabili in parecchi casi precedenti, in parte ancora aperti, in parte risoltisi in maniera per noi del tutto insoddisfacente.

Abbiamo così preteso dal Brasile l’estradizione del terrorista Battisti, che ci è stata negata. Abbiamo inferto un colpo durissimo alle relazioni con l’India grazie all’arroganza con cui abbiamo inizialmente richiesto il rientro in Italia di La Torre e Girone, salvo cambiare tattica dopo parecchio tempo, allorché il danno era divenuto difficilmente riparabile. Probabilmente ancora non abbiamo deciso come agire qualora la Corte Internazionale ci desse torto e pretendesse la restituzione dei nostri marò alla giustizia indiana.

Con l’Egitto abbiamo ancora il caso Regeni in sospeso e se abbiamo ottenuto qualche risultato lo dobbiamo all’azione delle due magistrature nazionali, che hanno continuato a fare il loro lavoro in silenzio e nel rispetto delle regole. Atti di facciata come il ritiro dell’ambasciatore, immediatamente reciprocato dal Cairo, le prese di posizione del governo, le dichiarazioni della politica e i clamori densi di presunte rivelazioni della stampa sono nel frattempo riusciti a farci perdere – in un paese che era la nostra storica controparte dall’altro lato del Mediterraneo – una posizione di privilegio conquistata al prezzo di decenni di duro lavoro.

Ora sfidiamo la Turchia, oltretutto in un momento in cui il suo presidente Erdoğan sta cercando di costringere il paese a una svolta in senso autoritario cui si oppone buona parte della popolazione e che è stata sanzionata da un referendum sulla cui correttezza gli osservatori internazionali hanno espresso un giudizio fortemente negativo.

In simili condizioni, quale miglior pretesto della vicenda Del Grande per distogliere l’attenzione dell’elettorato turco dalle vicende domestiche facendo appello al forte sentimento nazionale del paese e indirizzando verso un altro bersaglio – l’Italia – l’attuale diffuso malcontento?

Impossibile? Difficile? Chi ha la memoria abbastanza lunga ricorderà la facilità con cui l’opinione pubblica turca si infiammò nei nostri confronti allorché Öcalan, il capo del Pkk curdo – considerato da Ankara un movimento terroristico responsabile negli anni della morte di circa trentamila persone – cercò rifugio a Roma. In quell’occasione si ipotizzò il boicottaggio dei prodotti italiani in tutta l’Anatolia e il risentimento si calmò solo quando fu chiaro che l’Italia non avrebbe mai permesso un processo al leader curdo, che si sarebbe inevitabilmente trasformato in un processo alla Turchia e al suo regime di allora.

Il caso Del Grande non ha sufficiente rilievo? Per il momento è vero, ma se continuiamo ad agitarci scompostamente come abbiamo fatto sinora saremo noi a fornire tutto il fiato necessario per trasformare la rana in un bue, servendo a Erdoğan l’occasione su un piatto d’argento. Non dobbiamo dimenticare come tra lui e l’Italia ci sia stato di recente un momento di forte tensione, generato da un procedimento giudiziario forse troppo affrettato iniziato a Bologna contro uno dei suoi figli e rinfocolato dal presidente turco con affermazioni davvero poco diplomatiche nei confronti del nostro paese.

Serve quindi molta cautela nell’affrontare questa e altre situazioni analoghe che potranno presentarsi nel futuro. Cerchiamo prima di capire cosa sia davvero successo e quali siano le ragioni della controparte, o perlomeno quelle che essa ritiene di avere. Seguiamo fino a quando si può i canali normali: governativi, politici, diplomatici, giudiziari….a ben guardare ce ne sono tanti. Evitiamo di infilarci in un vicolo cieco in cui nessuno dei due può più fare marcia indietro senza perdere la faccia, tanto sul piano nazionale che su quello internazionale.

Soprattutto, fino a quando possibile, evitiamo di fare la voce grossa e di cercare di imporre le cose unilateralmente. I tempi in cui ci potevamo concedere dei lussi del genere sono definitivamente trascorsi. Sarebbe bene che lo capissimo!

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